Book Title

Esiodo e l’Elicona nella parodia di Luciano, Adversus indoctum 3

Paola Angeli BERNARDINI

Lo scritto lucianeo Contro un ignorante collezionatore di libri è un attacco feroce contro chi crede di diventare colto comprando molti libri che poi non legge. L’atteggiamento dell’autore è risentito e ironico come può esserlo quello di un intellettuale vero, toccato in prima persona dalla presunzione di chi si spaccia per tale senza averne diritto. Le argomentazioni sono stringenti e suffragate da aneddoti, ricordi personali, citazioni e non poche malignità. Più che una diatriba l’operetta sembra un vero e proprio pamphlet contro un nemico personale dello scrittore, tanto che secondo lo scoliasta antico si tratterebbe di una degna riposta di Luciano per il rifiuto del prestito di un libro da parte dell’indoctus1.

Il tema di fondo è, dunque, quello dell’ἀπαιδευσία (1) che si contrappone alla παιδεία (4) ; dell’ἀπαίδευτoς che non può spacciarsi per πεπαιδευμένος.

Proprio all’inizio dell’opuscolo, dopo aver brevemente esposto il problema, Luciano prorompe nella domanda che più gli sta a cuore e che, a suo parere, segna l’incolmabile differenza tra lui e l’incolto bibliofilo : Τί οὗν ; Φὴς ϰαὶ ταὐτα μὴ μαθὼν ἡμῖν εἰδέναι ; « ma come ? Dici di sapere le stesse cose che sappiamo noi senza averle apprese ? » (3). La conoscenza per Luciano è, come vedremo, frutto di una μάθησις lunga e faticosa che deriva dalla lettura dei libri, non dal loro possesso. Nessuno può sapere senza avere appreso. Quale eccezione a questa regola e quale straordinario esempio di « scienza infusa » egli avrebbe potuto portare a questo punto più pertinente di quello di Esiodo che, pur essendo un pastore, ricevette sull’Elicona 1’ispirazione poetica dalle Muse ? La distanza tra il compratore di libri ed Esiodo, nonostante l’apparente affinità di situazione iniziale rappresentata dalla comune ignoranza, non potrebbe, tuttavia, essere più macroscopica. Ad Esiodo le Muse dettero sulla montagna dell’Elicona come scettro un ramo di alloro, segno di riconoscimento e di prestigio, e non esitarono ad avvicinarlo di persona e ad ispirarlo ; all’ignorante collezionatore di libri non solo non si sarebbero mai accostate, ma non gli avrebbero mai consegnato il ramoscello dell’albero sacro ad Apollo. L’avrebbero piuttosto cacciato dalla loro sede, frustandolo con un ramo di mirto o con foglie di malva perché non potesse avvicinarsi all’Olmio e all’Ippocrene, rispettivamente il fiume et la fonte della montagna delle Muse (3).

Il riferimento al proemio della Teogonia è fuori di dubbio. Anche se non vi è alcuna citazione diretta che espliciti l’ipotesto, come per lo più suole fare Luciano in casi analoghi, le allusioni disseminate nell’intero brano in questione rinviano inequivocabilmente ad Esiodo2. Il nome del poeta non viene fatto, ma, quasi per mettere alla prova l’incolto riccone, Esiodo viene definito ὁ ποιμὴν ἐϰεῖνος, « il celebre pastore »3. Seguono una serie di allusioni, trasparenti per il lettore istruito, meno per l’indoctus, almeno nella convinzione di Luciano4, che richiamano i versi esiodei, nelle quali egli non risparmia la sua ironia né nei confronti del nemico, né nei confronti del poeta preso a modello. Il bersaglio è, infatti, duplice. Da un lato l’ignorante che probabilmente non ha neanche mai sentito nominare l’Elicona e le Muse, dall’altro Esiodo, raffigurato come un uomo rozzo, villoso, cotto dal sole che, soltanto grazie al favore delle Muse e non certo per meriti personali, da pastore diventa poeta.

Nel racconto di Luciano gli elementi che rinviano al proemio esiodeo sono rappresentati nell’ordine da : il ramo di alloro che le Muse danno come scettro ad Esiodo dopo averlo esse stesse staccato (Theog. 30-31)5 ; la collocazione delle Muse sul monte Elicona (Theog. 1-2 ; 7 ; 23) ; la loro epifania (Theog. 22-23) ; la caratterizzazione dei pastori (Theog. 26) ; il riferimento al fiume Olmìo e alla fonte Ippocrene (Theog. 6). Gli indizi della rivisitazione in chiave parodica operata da Luciano vanno dalla mancata conoscenza da parte dell’indoctus del famoso monte dell’Elicona, al rifiuto delle Muse di mostrarglisi, al loro intervento mirato unicamente a impedirgli di contaminare le pure acque della montagna sacra. La « punta parodica » è data dalla trasformazione dello « splendido ramo di alloro rigoglioso » in una frusta di mirto o di malva.

Alcune delle allusioni esiodee sopra evidenziate vengono riutilizzate da Luciano anche in altre opere e sia in contesti seri che parodici. L’immagine del bastone consegnato ad Esiodo dalle Muse come scettro torna in Rh. Pr. 4 ; Dem. Enc. 126 ; Hes. 1 ; la collocazione delle Muse sull’Elicona in Im. 16 ; I. trag. 26 ; la loro epifania in Salt. 24 ; Sacr. 5 ; la loro danza intorno alla fonte sull’Elicona in Salt. 247 ; la caratterizzazione dei pastori in Hes. 48 ; il dono del « canto divino » in Hes. I9.

Il ricorso da parte di Luciano ai medesimi motivi in opere diverse non può essere interpretato corne il segno di una sua conoscenza superficiale e limitata dell’opera esiodea — in questo caso la Teogonia —, come ha polemicamente suggerito G. Anderson in un articolo dal titolo provocatorio « Lucian’s Classics : some short cuts to culture »10, che vuole opporsi alla esagerata valutazione della cultura di Luciano operata da F.W. Householder11 et da J. Bompaire12. Una analisi approfondita del rapporto di intertestualità tra Luciano ed Esiodo porta, invero, a conclusioni opposte a quelle difese da Anderson.

I riferimenti a Esiodo in questo passo specifico, ma anche in altri in cui non si prende come referente la Teogonia, ma anche Le opere e i giorni e Il catalogo delle donne, presuppongono da parte di Luciano una conoscenza diretta e meditata del poeta beotico. Proprio perché, come osserva C.P. Jones, l’atteggiamento di Luciano verso Esiodo era quello di una « double attitude of admiration and disrespect »13, è difficile pensare che le citazioni o, come in questo caso, le allusioni esiodee potessero derivare da una erudizione superficiale piuttosto che da una vera cultura o addirittura essere fatte di seconda mano14. Il ripetersi più volte di una medesima citazione o l’analoga strategia strutturale con la quale Luciano distribuisce « quotations » e « allusions » all’interno dei singoli dialoghi (quasi sempre all’inizio, a metà o alla fine) non infirmano la qualità della sua paideia.

Se riconsideriamo, ad esempio, l’utilizzazione corne ipotesto del proemio della Teogonia nel complesso dell’opera lucianea, vediamo che i rinvii e le allusioni, anche se ripetitive, si arricchiscono ogni volta di particolari diversi creando nel loro complesso una griglia di riferimenti che sottende un testo conosciuto in profondità e ben assimilato. In Rh. Pr. 4, oltre al solito accenno allo scettro consegnato a Esiodo sull’Elicona e alla repentina trasformazione di quest’ultimo da pastore a poeta, si trova anche quale è la materia del canto ispirato dalle Muse (ϰαὶ ᾗδε θεῶν ϰαὶ ἡρώων γένη), che riecheggia il ν. 33 della Teogonia (ϰαὶ μ’ έϰέλονθ’ ὑμνεῖν μαϰάρων γένος αἰὲν ἐόντων) con in più « la stirpe degli eroi ». In Hes. 1 è ripetuto e discusso il proponimento, fatto dalle Muse in Theog. 31-32, di fare cantare da Esiodo « le cose che saranno e le cose che furono ». In Sacr. 5 Luciano rievoca allusivamente in chiave parodica l’assistenza delle Muse ai poeti epici che, ispirati da esse (ἔνθεοι), narrano cose sovrumane (ἱερώτερα) degli dei. I nomi di Omero e di Esiodo, fatti da Luciano al cap. 8, esplicitano quali sono i poemi epici che offrono il fianco alla sua denuncia e alla sua critica. In Hes. 9, infine, viene riproposto il cammino percorso nel momento dell’ispirazione, sintetizzato da Esiodo (Theog. 27-28) attraverso le parole delle Muse : « Noi sappiamo dire moite menzogrie simili al vero ; noi sappiamo, quando vogliamo, proclamare parole veritiere. » Nel dialogo lucianeo Licino obietta a Esiodo : « tu non sapevi niente di ciò che dicevi, ma era una certa divina ispirazione (ἔμπνοια δαιμόνιος) che suggeriva a te i versi. »15

Quanto al tema della verità poetica, problematicamente posto da Esiodo nei vv. 27-28 come una probabile contrapposizione alla poesia omerica, va segnalato che in I. conf. 2 Luciano affronta la questione della verità dei poeti epici (Omero e Esiodo citati poco sopra), dicendo che essi sono veritieri fino a quando ci sono accanto a loro le Muse. Quando queste si allontanano, essi perdono la percezione del vero16.

Come si vede, non si può dire che l’esordio della Teogonia non fosse ben presente a Luciano. C’è da aggiungerer che in Hes. 3 l’espressione θεοὶ δωτῆρες ἐάων riproduce fedelmente la parte finale del. v. 46 della Teogonia e, anche se la medesima frase si trova in Od. 8, 325, concordo con M. Pinto17 nel ritenerla una citazione esiodea, pur appartenendo naturalmente al linguaggio formulare dell’epica. Nel brano dell’Adv. ind. nessun verso è citato né per intero, né parzialmente, per cui la parodia non opera attraverso l’inserzione di un riferimento testuale, ma il testo esiodeo, richiamato in maniera indiretta e allusiva, presuppone nello scrittore di Samosata il possesso di un patrimonio mnemonico epico che, come abbiamo visto, affiora in più occasioni. La ripetitività dell’immagine dello scettro è legata probabilmente più al suo peso e rilievo nella mneme dello scrittore che ad una ipotetica scarsità di materiale mnemonico a disposizione di quest’ultimo. Qui la memoria epica, che altrove può suggerire anche citazioni testuali — fedeli oppure distorte — dei poemi di Omero18 e anche di Esiodo, è una memoria più generica, che coglie i tratti essenziali del proemio esiodeo, ma che senza dubbio deriva dal testo di Esiodo, memorizzato da Luciano e da lui fatto oggetto di analisi e di riflessione. Non si tratta, certo, di una citazione fatta σαφῶς ϰαὶ προχείρως, « con esattezza e prontezza », come quella che Zeus vorrebbe che Hermes facesse dai poemi omerici in I. tr. 619, ma di un’allusione che però sottende una sicura conoscenza dell’opera e soprattutto una personale presa di posizione sul tema dell’ispirazione poetica.

Nell’ambito delle riflessioni sulla formazione del letterato, sparse in vari punti della sua vasta produzione, Luciano si pone infatti il problema dell’ispirazione come momento primario nella stesura di un’opera poetica, storica e retorica. La sua è la risposta razionalistica di un intellettuale formatosi alla scuola della Seconda Sofistica per il quale, anche se con la spregiudicatezza di uno spirito antitradizionalista e dissacratore, valgono solo i valori della cultura e dell’educazione legate allo sforzo personale, alle ampie letture, alla pratica con gli autori del passato20. Non è qui il caso di interrogarsi sulla strategia retorica di questa posizione e sul valore propagandistico che nei confronti del pubblico di lettori hanno le riflessioni sulla propria « cultural identity »21. L’idea dell’ispirazione, del poeta invasato e posseduto dalle Muse offre piuttosto a Luciano lo spunto per esercitare un umorismo colto, da intellettuale che si indirizza ad altri intellettuali. Luciano in realtà mette in discussione la forma e i contenuti del messaggio trasmesso al poeta, e nel caso specifico a Esiodo, dalle Muse attraverso l’ispirazione, perché l’ispirazione non può compensare l’ignoranza. Questo vale sia nel caso del maestro di retorica (Rh. Pr. 1-4), sia nel caso di chiunque non sviluppi le proprie doti naturali attraverso lo studio e l’esercizio (Hist. conscr. 35, 36). Colui che ottiene la materia della sua opera attraverso 1’intervento delle Muse è solo uno strumento passivo che gode di un dono elargitogli dalla divinità. Nel caso del letterato il consiglio di Luciano è quello di affidarsi ad una lettura sistematica e all’esercizio della memoria22, che deve essere selettiva e « deve cogliere i fiori più belli » (παρὰ γὰρ τούτων απαντα τὰ ϰάλλιστα ἀπανθισάμενος ἔσῃ τις ἐν λόγοις)23. La posizione programmatica che egli assume più volte nei confronti della necessità della cultura, dell’opportunità di letture a tappeto di tutta la letteratura precedente, insomma di una paideia approfondita e non superficiale che nasca dalla familiarità con la tradizione, non può essere vista, del resto, come un artifizio retorico o come un pretesto per sfoggiare un’erudizione più superficiale che profonda. Si tratta, piuttosto, di un’esigenza che si spiega, come sopra accennato, alla luce del rapporto tra autore e fruitore dell’opera letteraria.

La tecnica allusiva di Luciano presuppone, infatti, lettori pepaideumenoi in grado di cogliere i riferimenti e soprattutto gli spunti parodici che essi contengono ; una tecnica consapevolmente enunciata nella prefazione della Storia vera I in cui il lettore, come ha indicato A. Beltrametti24, viene coinvolto nella riflessione (θεωρία) e introdotto ai criteri compositivi seguiti dall’autore e da lui stesso esposti succintamente : il lettore sarà divertito non solo dalla stranezza dell’argomento o dalla piacevolezza dei propositi o dalle variopinte menzogne raccontate in maniera convincente e verisimile, ma anche dal fatto che « ciascuna delle cose narrate allude non senza vis comica (οὐϰ άϰωμῳδήτως) ad alcuni degli antichi poeti, storici e filosofi che hanno raccontato moite storie straordinarie e favole »25, facilmente riconoscibili dal lettore colto. Dunque allusioni a un testo/modello ben identificabile, anche se non citato direttamente, fatte con intento comico. Una forma di parodia, anche questa, che presuppone la notorietà dell’ipotesto, ma anche la confidenza che con esso ha colui che l’utilizza per fini umoristici.

Tornando al proemio esiodeo e alla ripresa che ne fa Luciano non solo in Adv. ind., ma anche negli altri passi sopra esaminati, un fatto emerge con sicurezza : lo scrittore, quando rievoca l’episodio dell’apparizione delle Muse sull’Elicona, attinge direttamente al testo esiodeo e non si avvale della mediazione di altri testi in cui l’incontro del poeta con le Muse viene rivissuto e riproposto con varianti più o meno significative. Nei secoli che separano l’epoca in cui visse e operò Esiodo da quella di Luciano, le voci di poeti che presentano la propria investitura artistica come momento privilegiato di contatto con le Muse non sono poche ; ma non sono poche, in particolare, quelle che si rifanno all’esperienza narrata da Esiodo come a un modello che può essere riproposto, rivisitato, o addirittura modificato. Se non possiamo essere certi che il racconto dell’iniziazione poetica di Archiloco, tramandatoci nell’iscrizione di Mnesiepes26, risalisse al poeta proprio nella forma in cui è esposto (Archiloco, da ragazzo, incontra di notte un gruppo di donne irridenti e scherzose, da lui poi identificate con le Muse, che gli donano una lira)27, possiamo, tuttavia, ricavare da esso una serie di elementi utili per un confronto con il racconto esiodeo. Come ha indicato B. Gentili28, nel riscontro con l’analogo episodio riferito da Esiodo sono più importanti le differenze delle somiglianze tra le due iniziazioni poetiche ; differenze che sono indicative dei due diversi tipi di poesia praticati da Archiloco e dal poeta beotico.

Ma è in epoca ellenistica e precisamente a partire da Callimaco che l’episodio dell’incontro con le Muse viene consapevolmente riproposto in una luce nuova e diventa per il poeta un pretesto per esporre il proprio programma e il proprio credo artistico29. Presentata nei termini di una « rêverie », l’investitura poetica si carica di significati allegor ici ; la scelta delle Muse acquista un valore funzionale. Nel proemio degli Aitia (fr. 2 Pf.) Callimaco, richiamando esplicitamente l’inizio della Teogonia, racconta un sogno che ha come sfondo il regno delle Muse e che vede come protagonisti da un lato il poeta ancora giovane, al quale spunta la prima barba (ἀρτιγένειος)30, e dall’altro le Muse stesse. Nella finzione onirica egli viene trasportato, durante il sonno, da Cirene sull’Elicona31, dove incontra le stesse Muse che erano apparse a Esiodo e che forniscono risposte alle sue domande. Il significato simbolico del sogno è stato individuato con chiarezza32 : Callimaco collega la sua arte a quella di Esiodo e implicitamente antepone la sua poesia, che ricerca la verità, alla poesia epica tradizionale contro la quale anche Esiodo, come abbiamo visto, prende posizione nel proemio della Teogonia. Verità che Callimaco persegue negli Aitia con la ricerca delle origini degli usi, delle feste, dei riti ecc.33 In questa costruzione allegorica il suo trasferimento da Cirene sull’Elicona ha una funzionalità precisa : l’assunzione del poeta, ancora in età giovanile, negli stessi luoghi che hanno visto l’attività di Esiodo prima pastore, poi poeta, stabilisce una linea di continuità, anche di ordine topografico, tra i due poeti prediletti dalle Muse. La precisione con la quale Callimaco definisce l’Elicona attraverso la localizzazione della fonte Ippocrene (v. 1 παρ’ ἴχνιον οξέος ἵππου) e l’insistenza sull’origine del nome della sorgente collegato con Pegaso, il cavallo di Bellerofonte (v. 1 e v. 4 ἐπὶ πτέρνης ὑδα[), nonché l’attribuzione all’ Elicona anche del parto poetico delle Opere e i giorni (v. 5 τεύχων ὡς ἑτέρω τις ἑῷ ϰαϰòν ἥπατι τεύχει), non solo della Teogonia (v. 3 μ]έν οἱ Χάεος γενεσ[), rivelano l’importanza che nella rappresentazione allegorica callimachea riveste il locus dell’iniziazione poetica.

L’artifizio del sogno per enunciare le proprie scelte poetiche, che viene utilizzato anche da altri poeti dopo Callimaco (si pensi a Eroda34 e tra i poeti latini soprattutto a Ennio35), è probabilmente invenzione di Callimaco. Più difficile pensare che egli abbia interpretato come un sogno la visione di Esiodo36, perché quest’ultimo, come la critica più recente ha sottolineato, non presenta la sua esperienza come frutto di un’apparizione onirica, ma nei termini reali di un’esperienza genuina. In tal senso la rivisitazione di Luciano del Proemio della Teogonia può essere di aiuto, confermando la tesi di quanti vedono nei versi esiodei il racconto di un incontro né sognato, né allegorico, ma realmente accaduto, o almeno vissuto in uno stato di vera e propria allucinazione37.

L’utilizzazione lucianea del proemio esiodeo non comporta modifiche sul piano narratologico. Il modello originario, anche se l’intento è parodico, è rispettato fedelmente. La teofania sull’Elicona ha avuto luogo, non è stata sognata ; Esiodo ha veduto le Muse da sveglio, appena comparsa l’alba, non durante il sonno (cf. Salt. 24 : « Esiodo, non per sentito dire da altri, ma avendo visto egli stesso, appena comparsa l’alba, le Muse danzare, ne tesse il più grande elogio »). Luciano in questo caso si rivela un lettore più fedele dei suoi predecessori.

____________

1 Cf. Schol. in Luc. Adv. ind., p. 151 Rabe. L’ipotesi, probabilmente fantasiosa, sembra derivare dall’affermazione finale di Luciano che l’ignorante collezionatore di libri non ne ha mai prestato uno a nessuno.

2 Per quanto riguarda le citazioni (ma anche le parafrasi e le allusioni) che Luciano fa di Esiodo cf. l’analisi di M. Pinto, « Presenza di Esiodo nelle opere di Luciano », Rendic. Ist. Lomb. 108, 1974, pp. 972-990, che, tuttavia, nel terzo gruppo in cui l’A. troppo meccanicamente divide tutto il materiale raccolto, cioè quello delle « parafrasi dei versi, o dei concetti con essi espressi, con o senza menzione del poeta » (p. 974), ignora il brano da noi preso in esame.

3 La stessa espressione è usata da Luciano in Sat. 6 per definire Esiodo e richiamare allusivamente le menzogne dell’epica.

4 Così si legge : « L’Elicona, dove si dice che le dee trascorrano il loro tempo, credo che tu non lo abbia mai sentito nominare e non prendevi parte alle nostre stesse conversazioni quando eravamo ragazzi : per te è empio anche soltanto fare il nome delle Muse » (3).

5 La lezione δρέϕασαι (Rzach e West) sembra preferibile rispetto a δρέϕασθαι (« mi ordinarono di cogliere »), difesa da ultimo da G. Lanata, Poeticapre-platonica, Firenze, 1963, p. 26 a cui si rinvia per la bibliografia in proposito. Agli argomenti portati da M.L. West, Hesiod. Theogony edited with Prolegomena and Commentary, Oxford, 1966, p. 165 a favore di δρέϕασαι riferito aile Muse, si puô forse aggiungere che Luciano in Hes. 1 afferma che Esiodo nei suoi versi dice di aver ricevuto l’alloro direttamente dalle Muse : ϰαὶ τοῦτο παρὰ Μουσῶν λαβεῖν μετὰ τῆς δάφνης.

6 La paternità lucianea dell’operetta è contestata e gli elementi a sfavore sembrano più numerosi di quelli a favore ; cf. Lucian with an english Translation VIII by M.D. MacLeod, Cambridge Mass.-London, 1979, p. 237. Di parere contrario A. Bauer, Lukians Δημοσθένους ἐγχώμιον, Paderborn, 1914.

7 Con poche parole Luciano parafrasa l’inizio della Teogonia, alludendo all’esperienza di Esiodo che sull’Elicona ha visto personalmente le Muse danzare, appena comparsa l’alba. La sua attenzione si concentra poi sulla danza delle Muse e la citazione fedele dei W. 3-4 « περὶ ϰρήνην ἰοειδέα πόσσ’ ἁπαλοῖσιν ὀρχεῦνται », più la parafrasi del v. 4 τοῦ πατρòς τòν βωμòν περιχορεύουσαι servono a nobilitare la pratica della danza da parte dei comuni mortali.

8 L’apostrofe delle Muse ai pastori in Theog. 26 « O pastori che vivete nei campi, triste oggetto di vituperio, voi che siete solo ventre ! », da alcuni critici interpretata come un vero insulto, sottolinea il carattere prodigioso del mutamento di Esiodo da pastore a poeta e la differenza tra l’attività tutta materiale dei pastori e quella spirituale delle Muse. Una differenza, quest’ultima, che emerge anche dal brano di Luciano.

9 L’espressione θεσπέσιον ᾠδήν in Luciano potrebbe ricalcare μ’ ἀοιδὴν θέαπιν di Esiodo (Theog. 31-32), come già aveva suggerito A. Rzach, Wien. St. 16, 1894, pp. 218 sg. che, nell’edizione esiodea, preferisce μ’ ἀοιδήν a μ’ αὐδήν di quasi tutti i Mss. West, op. cit., accetta invece μ’ αὐδήν e spiega la sua scelta a p. 165.

10 Bull. Inst. Class. St. 23, 1976, pp. 59-68.

11 Cf. F.W. Householder, Literary Quotation and Allusion in Lucian, New York, 1941.

12 Cf. J. Bompaire, Lucien écrivain. Imitation et création, Paris, 1958.

13 Cf. J.-P. Jones, Culture and Society in Lucian, Cambridge Mass.-London, 1986, p. 151.

14 Così, invece, suggerisce G. Anderson, art. cit., p. 67.

15 La stessa ironia verso Esiodo che si trova nell’opuscolo lucianeo affiora in un passo dell’orazione Su Omero e Socrate di Dione di Prusa in cui è rievocato il momento dell’ispirazione sull’Elicona e la consegna del ramo di alloro da parte delle Muse al pastore Esiodo (LV, 1). Ved. in proposito L. Pernot, « Lucien et Dion de Pruse », in Lucien de Samosate. Actes du colloque int. de Lyon organisé au Centre d’Etudes Romaines et Gallo-Romaines les 30 sept.-1er oct. 1993, éd. par A. Billault, Lyon, 1994, p. 111.

16 Sulle menzogne e gli inganni di Omero e dei poeti epici cf. Philops. 2 e ved. inoltre Bis. acc. 1 ; Electr. 3 ; Hist. conscr. 8 ; I. trag. 39 ; Sat. 6 ; VH I, 3 e sull’argomento cf. J. Bompaire, op. cit., pp. 127-128.

17 Art. cit., p. 978.

18 Sull’utilizzazione di Omero come fonte da parte di Luciano con particolare riferimento a La negromanzia o Menippo, cf. O. Bouquiaux-Simon, « Lucien citateur d’Homère », L’antiquité class. 24, 1960, pp. 5-17. Più in generale sull’uso di citazioni omeriche cf. O. Bouquiaux-Simon, Les lectures homériques de Lucien, Bruxelles, 1968. Sul rapporto tra Luciano e Omero e sull’adattamento che dei ed eroi omerici subiscono nella prosa lucianea pregevoli osservazioni sono fatte da R. Bracht Branham, Unruly Eloquence. Lucian and the Comedy of Traditions, Cambridge Mass.-London, 1989, pp. 140-150.

19 Una puntuale analisi dell’episodio relativo alla convocazione dell’assemblea degli dei, con particolare attenzione ai problemi della parodia, si trova in A. Camerotto, « Hermes ῥαϕῳδός (Luc. I. Tr. 6) », Quad. Urb., 52, 1996 (in corso di stampa).

20 Cf. Rh. Pr. 9 ; Hist. conscr. 8 ; Adv. ind. 4 ; Dem. Enc. 12 ; Hes. 7-9 ecc. Si rinvia in proposito al quadro delineato da B. Schouler, « Lucien entre technè et paideia », in Lucien de Samosate, cit., pp. 106 sgg.

21 Cf. in proposito R. Bracht Branham, op. cit., pp. 4-5.

22 Sul ruolo della memoria nell’assimilazione délia poesia del passato cf. ad esempio Nec. 1 e 3. Ved. anche Prom. 3 ove il verbo μέμνημαι commenta una citazione testuale proprio da Esiodo (Theog. 541).

23 Lex. 2 e inoltre cf. Demon. 4 ; Pseudol. 15. Per l’importanza della memoria anche nella pratica della pantomima cf. Salt. 36.

24 Cf. A. Beltrametti, « Mimesi parodica e parodia della mimesi » in Il meraviglioso e il verosimile. Tra antichità e Medioevo, a cura di D. Lanza e O. Longo, Firenze, 1989, pp. 211-213.

25 Cf. V.H. I, 2.

26 I.G. XII, 5, 1 nr. 445 = Archil. Test. 4 T.

27 Cf. C. Miralles-J. Pòrtulas, Archilochus and the iambic Poetry, Roma, 1983, pp. 74-75.

28 Cf. B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica. Da Omero al V Secolo, Roma-Bari, 19953, pp. 242-243.

29 Sulla popolarità di Esiodo in epoca ellenistica come « maestro di saggezza » ved. in questo volume A. Hurst, « La stèle de l’Hélicon », pp. 57-71.

30 Cf. Schol. Flor. ad fr. 2, 18, p. 11 Pf.

31 Nella testimonianza relativa al sogno contenuta in A.P. VII, 42, 5 il trasporto più genericamente avviene dalla Libia (ἐϰ Λιβύης) all’Elicona (εἰς Ἑλιϰῶνα).

32 Cf. G. Serrao, « La poetica del ‘nuovo stile’ : dalla mimesi aristotelica alla poetica della verità », in Storia e civiltà dei Greci, V, 9, Milano, 1977, pp. 228-229.

33 Per la ricerca della verità da parte di Callimaco nello specifico degli Aitia cf. R. Pretagostini, « La poesia ellenistica », in Da Omero agli Alessandrini a cura di F. Montanari, Roma, 1988, p. 299.

34 Nel mimo VIII, intitolato Il sogno, Eroda presenta, attraverso lo stratagemma narrativo di un sogno, la propria apologia (cf. in particolare vv. 69 sgg.) ; per un’interpretazione globale ved. R.M. Rosen, « Mixing of Genres and Literary Program in Herodas 8 », Harv. St. Class. Philol. 94, 1992, pp. 205-216 ; V.G. Lanzara, « Il sogno di Eroda » in G. Arrighetti e F. Montanari (edd.), La componente autobiografica nella poesia greca e latina : fra realtà e artificio letterario, Pisa, 1993, pp. 229-230 e da ultimo C.G. Brown, « The big sleep : Herodas 8. 5 », Zeitschr. Pap. Ep. 102, 1994, pp. 95-99.

35 Nel sogno simbolico narrato nei proemio degli Annales, invece delle Muse appare al poeta Omero stesso per annunciargli che la sua anima è trasmigrata in lui (cf. Liber I, frr. 2-3 Skutsch).

36 E’ pur vero che nell’antichità la visione di Esiodo è stata interpretata talvolta come un sogno ; per le testimonianze relative cf. M.L. West, op. cit., pp. 158-159.

37 Così anche B. Gentili, op. cit., pp. 124-125.