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L’Elicona nella cultura tespiese intorno al III sec. a. C. : la stele di Euthy[kl]es

Alina VENERI

La stele di Tespie, della fine del III sec. a. C., raffigurante l’Elicona (Atene Mus. Naz. n. inv. 1455) come risulta dall’iscrizione (IG VII, 4240) posta al di sotto dell’immagine, è stata già oggetto di studio sia dal punto di vista iconografico che epigrafico1. Lo scopo di questa ricerca è quindi completare e integrare le indagini precedenti, approfondendone taluni aspetti rimasti ancora marginali, in modo da inquadrare meglio questo originale monumento nell’ambiente che l’ha prodotto.

Diversi elementi contribuiscono a rendere singolare e interessante la stele e principalmente l’iconografia dell’Elicona e la collocazione del monte in ambito beotico e panellenico ; il fatto che la montagna sia personificata e pronunci un’esortazione in forma oracolare ; infine il contenuto stesso dell’oracolo che invita gli uomini a seguire i precetti di Esiodo se vogliono raccogliere abbondanti frutti dalla terra.

Il primo punto, cioè la rappresentazione dell’Elicona, per essere valutato correttamente va inquadrato nel più ampio tema delle raffigurazioni di montagne sia nelle fonti letterarie che in quelle figurative. Su questo argomento l’unico studio specifico rimane quello compiuto da A. Gerber2 nel secolo scorso, poco prima che venisse scoperta la stele di Tespie e il papiro con i frammenti più cospicui di Corinna3. Le osservazioni di Gerber circa la rarità di personificazioni di monti nell’arte e nella letteratura antica4 sono valide ancor oggi, nonostante le due successive scoperte, anzi si può dire che queste eccezioni contribuiscano a confermarne il carattere straordinario.

Il monte personificato e protagonista di una scena o di una narrazione è quindi abbastanza raro. Ancora più notevole è perciò il fatto che proprio 1’Elicona sia rappresentato come personaggio di primo piano, sempre in ambito beotico, oltre che nel rilievo qui esaminato, anche nell’altra opera sconosciuta a Gerber perché pubblicata solo nel 1907, il Papiro di Berlino con i frammenti della Contesa tra Citerone ed Elicona di Corinna (PMG 654, col. I)5.

Non è questo il luogo per analizzare nei particolari il carme, che, tra l’altro, si presenta mutilo e lacunoso. Mi limiterô ad alcune osservazioni sulle singolarità dei mito in esso narrato, che possono essere significative per illustrare la stele qui esaminata. E’ stato già notato che Corinna, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe sulla base della tradizione più nota6, assegna la vittoria al Citerone ; è tanto più significativo quindi il fatto che, almeno nello stato attuale del frammento, secondo la lettura di Page la figura più cospicua e impressionante sia proprio quella dell’Elicona, che, pur personificato, mantiene un comportamento non improprio ad una montagna. Egli è umanizzato nel suo furore per la sconfitta subita, ma nel modo di reagire manifesta anche la sua natura petrigna ; afferra una roccia e la getta giù facendola in mille pezzi :

[—]

ὁ δὲ λο]ύπησι ϰά[θ]εκτος

χαλεπ]ῆσιν Fελι[ϰ]ὼν έ-

……] λιττάδα [π]έτραν

……]ϰεν δ’ ὄ[ρο]ς‧ ὐϰτρῶς

……]ων οὑϕ[ό]θεν εἴρι-

34 σέ νιν ἐ]μ μου[ρι]άδεσσι λάυς

[—]

(PMG 654, col. I, vv. 29-34)

La nuova lettura dell’ultima strofe proposta da J. Ebert7

[ὁ δὲ λο]ύπησι ϰά[θ]εκτος

30 [χαλεπ]ῆσιυ Fελ[ιϰ]ὼν ἔ-

[στιχ’ ἐπὶ] λιττάδα̣ [π]έτραν‧

[παρέFι]ϰεν δ’ ὄ[ρο]ς‧ ὐϰτρῶς

[δὲ βοά]ων οὑϕ[ό]θεν εἴρι | σε

[Fὲ σοὺ]μ μου[ρι]ά̣δεσσι λάυς.

cogliendo il momento in cui Elicona disperato si precipita da una roccia e si muta in pietra, mette in evidenza invece la metamorfosi del personaggio da essere umano in monte, come nel mito eziologico parallelo di Niobe (cf. supra, n. 4).

Entrambe le integrazioni8 comunque costituiscono un precedente interessante per il rilievo qui analizzato : è importante il fatto che l’elemento umano non sia estraneo all’iconografia deU’Elicona neanche nella tradizione letteraria precedente.

Forse non a caso anche nel rilievo qui esaminato il monte è rappresentato nel suo aspetto umano solo sino al petto. Il fatto che la roccia nasconda apparentemente la parte inferiore del corpo potrebbe in realtà significare, come per altri esseri bimorfi (Centauri, Sileni, Sirene, ecc.), l’ineliminabile presenza dell’altra natura, in questo caso la pietra, che viene a costituire l’altra metà del corpo dell’Elicona9.

Esiste quindi una corrispondenza precisa tra l’immagine del monte fornitaci da Corinna e quella raffigurata nella stele10 ; se ne deve dedurre che nella formazione dell’iconografia non può non aver avuto un peso determinante il patrimonio culturale della Beozia, regione in cui i monti sono sede di miti notissimi e importanti.

E questo è vero non solo per l’Elicona, ma anche per la montagna rivale, il Citerone, che, se nel frammento di Corinna riporta la vittoria, anche nel repertorio mitico tradizionale della Beozia gioca un ruolo di primo piano11.

Tuttavia, nonostante l’importanza che i monti in genere — oltre all’Elicona e al Citerone — avevano nella tradizione mitica beotica, sembra giustificata la definizione di « world-famed » data da P. Vivante12 all’Elicona.

Molta della sua rinomanza panellenica indubbiamente è dovuta a Esiodo che ne ha esaltato le Muse figlie di Mnemosine, identificandole con le più famose Muse Olimpie figlie di Zeus13. Tuttavia, come ho già osservato altrove14, la stessa associazione tra Zeus e le Muse, quale è ripetutamente sottolineata da Esiodo (Theog. 1 ; 11 : 25 ; 29 ; 36-45 ; 47-49 ; 51-57 ; 70-76 ; 104 ecc.). non può far pensare ad una sostituzione di Zeus a Posidone nel dominio sull’Elicona15.

Di fatto il processo di identificazione tra le Muse Eliconie e quelle Olimpiche messo in atto da Esiodo, ottenuto lo scopo di celebrare le dee dell’Elicona, non annulla le tradizioni locali legate al monte stesso (nomi e numero delle Muse, loro provenienza, ecc.) che conservano la loro vitalità almeno fino all’epoca di Pausania (9, 29, 2-4).

E’ proprio l’attenta valutazione delle tradizioni locali che ci permette di interpretare correttamente il fatto che, nella stele di Tespie, l’Elicona, pariando in forma umana, definisca oracolo (χρησμός) quanto si accinge a dire. Ciò è ritenuto singolare da Peek16, ma in realtà appare assolutamente conforme al patrimonio culturale e religioso della Beozia. Non solo infatti la regione nel suo complesso era ritenuta dagli antichi luogo pieno di oracoli (Plut. De def. orac. 5, 411 f sgg.)17, ma possiamo anche rintracciare diverse testimonianze che documentano, per alcuni luoghi e personaggi della mantica greca, un’origine o un collegamento con la Beozia, che spesso si è poi affievolito o perduto18.

Il caso più interessante ai fini del presente studio è però quello della più antica Sibilla che profetò a Delfi : una tradizione riferita da Plutarco (De Pyth. orac. 9, 398 c) asserisce che essa proveniva dall’ Elicona, dove era stata allevata dalla Muse19. Questo particolare si aggiunge ad altri riguardanti il conflitto tra Posidone e Apollo per il possesso di Delfi (Strab. 8, 6, 14 ; Plut. Quaest. conv. 9, 6, 741 a ; Paus. 10, 5, 6, ecc.), da cui risulta non solo che Posidone a Pito era riconosciuto corne il più antico dio oracolare del luogo (Paus. 10, 24, 4), ma, attraverso nessi genealogici, si era trovato più volte in contrasto con Apollo, anche in territorio beotico20. Ad esempio nel lungo frammento di Corinna suile Asopidi (PMG 654, col. III, 32-41) è descritta la lotta tra Apollo, rappresentato dal profeta Euonimo, e il figlio di Posidone, Irieo, per il possesso dell’oracolo di Ptoio, che alla fine rimarrà in mano ai discendenti di Irieo21. Anche presso l’Elicona la gara poetica tra Lino, nipote di Posidone, ed Apollo, si concluse con l’uccisione del poeta mortale da parte del dio che non tollerava rivali. A Lino sull’Elicona è riservato un ἐναγισμός che precede sempre il sacrificio alle Muse (Paus. 9, 29, 6) ; la sua tomba sarebbe invece collocata a Tebe, secondo quanto dicono i suoi abitanti (Paus. 9, 29, 8-9).

Dai dati qui raccolti risulta non solo che la Beozia era terra di molti e antichi oracoli, ma che la loro fama, attraverso divinità come Posidone22 o personaggi mitici come la Sibilla, era grande anche fuori dei confini della regione, tanto che Apollo — concepito in età classica come principale, se non unico, depositario di virtù mantiche — dovette fare i conti con queste tradizioni estranee e precedenti per affermare la sua supremazia, lottando, come nel caso di Delfi e di Ptoio, oppure cercando un compromesso, come nel caso della Sibilla e delle Muse dell’Elicona, che entrano a far parte del suo entourage (Hes. Theog. 94-95)23. Non a caso, tra l’altro, Plutarco ricorda come nutrici della Sibilla di Delfi le Muse dell’Elicona : poesia e mantica sono, fin dall’età più antica, strettamente legate (cf. Plut. De Pyth. orac. 17, 402 d), tanto che appare difficile distinguere 1’una dall’ altra24.

Quanto al contenuto dei χρησμός dato dall’Elicona, 1’esortazione a seguire i precetti di Esiodo induce all’ipotesi che il dedicante facesse parte di un’associazione posta sotto il patrocinio, non genericamente delle Muse dell’Elicona o di Tespie25, ma proprio delle Muse Esiodee26. L’esistenza di questo sodalizio è effettivamente documentata a Tespie verso la fine del III sec. a. C. da un ὅρος di un terreno sacro, ora perduto, che recava incisa un’epigrafe (IG VII, 1785) redatta in dialetto beotico27.

E’ probabile che i membri di questa associazione si prefiggessero come scopo non solo di onorare la memoria di Esiodo, ma anche lο studio, la conservazione e la diffusione delle sue opere. Forse un’eco di tale tradizione filologica si può ancora cogliere, a distanza di quasi quattro secoli, nelle parole di Pausania (9, 31, 4), secondo cui i Beoti che al tempo del suo viaggio abitavano presso 1’Elicona avevano opinioni diverse da quelle comuni circa le opere attribuite ad Esiodo. Al poeta di Ascra essi assegnavano infatti solo le Opere, a partire dal v. 1128 Non va sottovalutato neppure, per quanto abbiamo già visto circa l’importanza della mantica in Beozia, che, sempre secondo Pausania (9, 31, 5), gli stessi abitanti dell’Elicona ritenessero che Esiodo avesse imparato Parte divinatoria dagli Acarnani : egli sarebbe stato così compiutamente il poeta-indovino tipico dell’età arcaica. Anzi, a confermare questa caratterizzazione di Esiodo in ambiente eliconio ci sarebbe un poema epico a lui attribuito, dal titolo Mantica (Μαντιϰά), che Pausania afferma di aver letto lui stesso, e alcune interpretazioni di prodigi (Paus. ibid.), opere probabilmente poco note al di fuori dell’area beotica. E’ comunque significativo che, sempre in età imperiale, Luciano nel suo Dialogo con Esiodo, esercitasse la sua caustica ironia nei confronti del poeta di Ascra proprio beffeggiandone la presunta capacità di predire il futuro. Questa convergenza nel sottolineare il carattere di poeta/indovino di Esiodo da parte di due autori di età imperiale pressoché contemporanei, fa pensare che alla valorizzazione di tale aspetto non fosse estranea Pattività del sodalizio patrocinato dalle Muse Esiodee, di cui si è parlato sopra (p. 80). Tale attività, iniziatasi in età ellenistica e proseguita per tutto il periodo imperiale, potrebbe aver determinato l’affermarsi della fortuna di Esiodo come poeta esperto di arti divinatorie anche al di fuori dell’ambito beotico, come documenta l’operetta di Luciano, la cui insistenza nel ridicolizzare proprio questa presunta capacità del poeta risulterebbe altrimenti incomprensibile. Al di fuori della Beozia infatti Esiodo è soprattutto il poeta che propone, secondo le parole di G. Arrighetti, « un’interpretazione sistematica rispettivamente del mondo fisico e di quello divino, della realtà etnografica e infine del mondo etico dell’uomo »29, come già aveva intuito Erodoto (2, 53). Solo Proclo inoltre, nel suo commento ad Op. 828, attribuisce ad Esiodo una Interpretazione del volo degli uccelli (Ὀρνιθομαντεία) di cui nulla ci è pervenuto. Queste notizie probabilmente non rispecchiano solo antiche tradizioni, ma anche quanto intorno ad esse aveva costruito la speculazione erudita durante tutta l’età ellenistica e imperiale30. E’ interessante constatare come la venerazione per il massimo poeta locale assumesse presso l’Elicona anche un aspetto storico-esegetico, convalidato dalla conservazione di un esemplare molto antico delle Opere scritto su piombo (Paus. 9, 31, 4).

Il rapporto tra mantica ed Esiodo è stato recentemente oggetto di uno studio di J.A. Fernandez Delgado31, che evidenzia lo stretto legame tra poesia oracolare e le Opere e i giorni esiodei. L’autore però, forse condizionato dalla teoria già vista sopra (p. 79) del progressivo inglobamento della mantica beotica da parte di Delfi, sembra propenso a supporre un’influenza diretta del santuario pitico nel poema esiodeo. Anche per il rapporto tra Delfi ed Esiodo si deve pero essere verificato il fenomeno già visto a proposito dell’assorbimento progressivo delle manifestazioni oracolari beotiche da parte del santuario apollineo via via sempre più potente. Sembra perciò più vicina alla realtà 1’ipotesi che sia stata la mantica deifica ad appropriarsi di alcuni moduli linguistici, stilistici e tematici caratteristici dell’ambiente beotico espresso dall’opera dei poeta di Ascra.

Il riferimento a Esiodo nell’iscrizione da me esaminata è motivato anche da un altro elemento più contingente : 1’esortazione a seguire i precetti del poeta infatti non è generica, ma finalizzata al conseguimento dell’εὐνομία e del buon raccolto (vv. 6-7). Forse una delucidazione sul senso di questi due versi potrebbe offrirla un frammento degli Excerpta di Eraclide Lembo (tratti dalle Costituzioni aristoteliche) dedicato alla politeia di Tespie. Esso rivela quale era, almeno tra il IV e il II sec. a. C.32, la situazione socioeconomica dei Tespiesi e il loro atteggiamento più comune nei confronti dell’agricoltura. Così si afferma nel fr. 76 Dilts : « Presso i cittadini di Tespie era considerato vergognoso imparare un mestiere e occuparsi di agricoltura. Per questa ragione la maggior parte dei Tespiesi era povera e aveva molti debiti verso i Tebani che erano economi. »33

Se la situazione in passato era giunta al punto di comportare la dipendenza economica (forse aggravata anche dai contrasti politici)34 di Tespie nei confronti di Tebe, è naturale che si facesse sentire a un certo momento una corrente critica nei confronti della tendenza, da parte dei proprietari, a delegare i lavori dei campi a schiavi e braccianti, tendenza sanzionata dalla costituzione della polis (come documenta Eraclide), benché tanto rovinosa per l’economia cittadina.

La stele che esaminiamo potrebbe perciò rappresentare uno dei tentativi di modificare il pregiudizio contro l’agricoltura sancito dalla legge, che aveva condotto al collasso le finanze di Tespie. Ad avvalorare quest’ipotesi si potrebbe aggiungere anche il fatto che l’oracolo non dice genericamente : « chi seguirà i consigli di Esiodo avrà buon raccolto », ma specifica distinguendo « buona legge e terra ricca di frutti ». Le due parole εὐνομία e χώρα nel testo stanno una accanto all’altra quasi a formare una sorta di endiadi, come se l’Elicona dicesse : « Gli uomini che obbediscono a Esiodo avranno una legislazione buona (quindi non come quella precedente che si era dimostrata deleteria) che consentirà di raccogliere frutti abbondanti dalla terra. »

Se questa supposizione è fondata, Euthy[kl]es, dedicante della stele, avrebbe fatto ricorso a tutti i mezzi offertigli dalla tradizione mitica e poetica epicorica per convincere i Tespiesi. Il consiglio di occuparsi dei lavori dei campi personalmente non sarebbe dato infatti come idea nuova e autonoma, ma come precetto del maggiore poeta locale. Di fatto in Beozia Esiodo godeva già da lungo tempo della fama di poeta che esorta allo zelo nel lavoro. Ben nota è la citazione che Pindaro stesso, nell’Istmica 6, 66-68, fa di Op. 412 « μελέτη δέ τοι ἔργον ὀφέλλει » (« la solerzia favorisce l’opera tua » trad. it. G. Arrighetti), con « μελέταν / ἔργοις ὀπάζων ».

Tuttavia in questo passo di Pindaro ἔργον ha un significato più generico ; nella stele di Euthy[kl]es, invece, lo stesso riferimento alla « terra abbondante di frutti » riprende il senso primario della massima di Esiodo, che nella sua interezza è la seguente :

Non rimandare mai nulla a domani, o a dopodomani

perché chi fugge il lavoro non empie il granaio,

né chi lo rimanda ; la solerzia favorisce l’opera tua

410 μηδ’ άναβάλλεσθαι ἔς τ’ αὔριον ἔς τε ἔνηφιν‧

οὗ γὰρ έτωσιοεργòς ἀνὴρ πίμπλησι ϰαλιὴν

οὐδ’ ἀναβαλλόμενος‧ μελέτη δέ τοι ἔργον ὀφέλλει‧

(Ορ. 410-412, trad. it. G. Arrighetti)

Il riferimento a Esiodo dell’iscrizione di Euthy[kl]es rappresenta quindi un ritorno al senso letterale delle Opere e i giorni. E’ stato infatti dimostrato da I. Perysinakis non solo che il termine πλοῦτος, per Esiodo, indica un’abbondanza di cereali35, ma anche che un lavoro agricolo ben ordinato è il mezzo principale per ottenere tale ricchezza36. Ma nonostante le apparenze, non sembra che il mondo antico abbia particolarmente incoraggiato il lavoro dei campi fatto personalmente dai liberi proprietari del suolo : Welles37 ha provato come rimanga una voce relativamente isolata in Grecia la posizione di Esiodo che, nel fratello Perse, incita ogni cittadino a occuparsi personalmente delle sue proprietà fondiarie.

Si può pensare perciò che tale atteggiamento radicale sia un altro segno della profonda influenza sul poeta dell’ambiente beotico, afflitto nell’VIII/VII sec. a. C. da una delle sue ricorrenti crisi agrarie38.

Ma tu ricorda i miei consigli :

lavora Perse, stirpe divina, perché Fame

ti odî e t’ami l’augusta Demetra dalla bella corona,

e di ciò che occorre per vivere t’empia il granaio.

Fame sempre è compagna dell’uomo pigro ;

e uomini e dèi hanno in odio chi, inoperoso,

vive ai fuchi senz’arma somigliante nell’indole,

i quali la fatica dell’api consumano in ozio,

mangiando ; a te sia caro occuparti di opere adatte

perché del cibo nella sua stagione raccolto ti si empia il granaio.

Grazie al lavoro gli uomini hanno grandi armenti e son ricchi,

e lavorando sarai molto più caro agli dèi

e anche agli uomini, perché i pigri hanno in odio.

Il lavoro non è vergogna ; è l’ozio vergogna ;

se tu lavori presto ti invidierà chi è senza lavoro.

Distogli dai beni degli altri l’animo sconsiderato

e al lavoro rivolgiti, pensa ai mezzi per vivere, così come io ti consiglio.

Non è una buona vergogna quella che accompagna l’uomo indigente,

la vergogna che gli uomini molto danneggia o aiuta ;

alla miseria si aggiunge vergogna, alla fortuna l’audacia.

(Hes. Op. 298-319 ; trad. di G. Arrighetti)39

A queste parole allude, senza dubbio, l’espressione ὑποθήϰαις Ἡσιόδοιο del v. 6 ; per aggiungere forza persuasiva alla sua esortazione il compositore dell’epigramma gli ha voluto dare forma di oracolo, pronunciato dallo stesso Elicona, il monte divino (θεῖον v. 8) in oui Esiodo ebbe il privilegio di ricevere l’investitura di poeta dalle stesse Muse (Theog. 22-34). In questo modo il dedicante, per dare più autorità a quanto vuole dire, avrebbe affidato il suo messaggio di scottante attualità al poeta e al monte più venerati nella città di Tespie.

La tradizione epigrafica sembra confermare che il periodo tra la fine del III e il II sec. a. C. fu per la Beozia caratterizzato da ricorrenti carestie. Alcuni decreti, tra cui quello di Oropo della fine del III sec. a. C. (IG VII, 4262), quello di Chorsiai della prima metà dei II sec.40 e quello di Acraiphia della seconda metà del II sec. (IG VII, 4132) insistono sulla σιτοδεία ο σπανοσιτία che si sarebbero ripetute frequentemente nel territorio beotico tra il III et il II secolo a. C.

Questo fatto, insieme con la capillare organizzazione, proprio a Tespie, delle magistrature preposte all’approvvigionamento, è stato accuratamente analizzato da P. Roesch nel suo studio sulla città beotica41. Egli ricorda inoltre come a Tespie i magistrati incaricati dei rifornimenti di grano fossero organizzati in tre distinte categorie : due sitonai e un tesoriere col compito di comperare grano coi fondi provenienti da donazioni regali (Filetero di Pergamo, Tolomeo Filopatore, ecc.) ; due altri sitonai e un tesoriere destinati a occuparsi degli acquisti utilizzando fondi « sacri » ; infine tre sitopolai preposti esclusivamente alla rivendita di grano alla popolazione.

E’ difficile stabilire un preciso rapporto cronologico tra la stele dell’Elicona e 1’istituzione di queste magistrature ; poiché però Roesch data al II secolo a. C. la maggior parte delle iscrizioni concernenti i rifornimenti (p. 224), sembra possibile avanzare l’ipotesi di una relazione causale tra la « buona legge » invocata nell’epigrafe di Euthy[kl]es della fine del III sec. a. C. e l’affermarsi, proprio a Tespie, di una struttura amministrativa altamente specializzata, volta a porre rimedio ai guasti prodotti da un’antica legislazione rivelatasi deleteria per la comunità cittadina.

Sempre Roesch sottolinea come la magistratura dei sitopolai non sia conosciuta altrove in Beozia.

Lo studio della stele può così fornire un contributo per comprendere alcuni aspetti economici e sociali della storia locale ad essa contemporanea, nelle poche righe che furono probabilmente composte dallo stesso Euthy[kl]es. Che egli fosse poeta è verosimile e documentato dalla corona d’alloro, incisa nella parte inferiore della stele, da lui offerta alle Muse forse in ringraziamento della vittoria nei locali agoni « stephanitai »42.

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1 Bibliografia in O. Palagia, « Helikon I », LIMC IV, 1, Eros-Herakles, Zürich-München, 1988, p. 573, cui si deve aggiungere W. Peek, « Hesiod und der Helikon », Philologus 121, 1977, pp. 173-175.

2 « Naturpersonification in Poesie und Kunst der Alten », Jahrbüch. f. class. Philol. Supplb. 13, 1884, pp. 239-318 ; in particolare cf. la sezione VI « Berge », pp. 300-317.

3 U.v. Wilamowitz-Moellendorff, « XIV, Korinna », Berliner Klassikertexte V, 2, Berlin, 1907, pp. 19-55, Nr. 284, Tafel VII.

4 Art. cit. a n. 2, p. 301. Alle rappresentazioni antropomorfiche di monti menzionate da Gerber aggiungerei un aspetto del mito di Niobe, benché la sua interpretazione non sia univoca. Già in Omero infatti (Il. 24, 602-617) la distinzione tra l’eroina e il monte lidio del Sipilo, sul quale si compi la sua trasformazione in pietra, è ardua : Niobe appare, nel presente della guerra di Troia, come eternamente dolente « λίθος περ ἐοῦσα » (v. 617). L’entità della sua metamorfosi, dapprima enunciata vagamente (νῦν δέ που έν πέτρῃσιν, ἐν οὔρεσιν οἰοπόλοισιν, ν. 614), sembra comunque che venga limitata a una roccia, facente parte del Sipilo (ἐν Σιπύλῳ v. 615), nella quale si ravvisava una figura femminile. Il processo di identificazione di Niobe con il monte lidio si accentua nei testi posteriori ; in Sofocle e soprattutto in Pausania l’aition mitico fu utilizzato per spiegare una particolarità fisica : le aeque che sgorgano dal Sipilo specialmente d’estate (Paus. 8, 2, 7) vengono infatti considerate lacrime dell’inconsolabile eroina che « piange eternamente » (Soph. Electra 150). In questo mito un altro elemento che collega Niobe con il monte è costituito dal fatto che anche i testimoni della terribile vendetta dei Letoidi sonon trasformati in pietre da Zeus (Il. 24, 610-611). Tuttavia anche se accettiamo l’interpretazione lata dell’identificazione di Niobe col Sipilo, si tratterebbe pur sempre di una progressiva assimilazione di un essere mitico originariamente autonomo con un monte, o comunque di un mito eziologico, piuttosto che di una vera e propria personificazione della montagna.

Si potrebbe aggiungere un altro esempio di rappresentazione antropomorfa di monti — in questo caso nell’arte figurativa — che è citato da C. Robert (Archaeologische Hermeneutik, Berlin, 1919, p. 55, fig. 42 = trad. it. Napoli, 1976, pp. 124-125 e fig. 42) : si tratta del Caucaso, presente nel rilievo pergameno della liberazione di Prometeo (cf. A. Milchhöfer, Die Befreiung des Prometheus. Ein Fund aus Pergamon, Berlin, 1882), che è poi all’origine di numerose repliche in sarcofagi romani. Tuttavia anche questa raffigurazione in cui il monte è rappresentato come un essere umano semidisteso su una roccia con una cornucopia nella sinistra, himation che avvolge la parte inferiore del corpo e capelli alquanto scomposti, si può piuttosto far rientrare nella categoria delle figure simboliche che servono ad inquadrare, nel contesto narrativo della scena principale, il luogo, e talora gli stati d’animo, che il mito suscita nello spettatore.

Altri esempi letterari di quest’uso delle personificazioni sono frequenti nelle descrizioni di Filostrato. In 1, 14 il Citerone è rappresentato piangente τὰ μιϰρòν ὕστερον ἐν αὐτῷ ἄχη (per Penteo e Atteone) ; in 1, 26 invece l’Olimpo è dipinto come un uomo sorridente per la gioia della nascita di Ermes ; ancora in 2, 4 le cime dei monti sono raffigurate come donne in lutto per la morte di Ippolito.

5 E’ noto che il mito della Contesa è diffuso anche fuori della Beozia ; secondo Demetrio Falereo (FGrHist 228 F 32 Jacoby) il primo poeta a narrarlo fu infatti Automede di Micene, maestro di Demodoco, cf. D.L. Page, Corinna, London, 1953 (1963), pp. 21 sg. e da ultimo G. Burzacchini, « Corinna e i Plateesi. In margine al certame di Elicona e Citerone », Eikasmos 1, 1990, p. 31, con ampia bibliografia.

6 Cf. Page, Corinna, cit., p. 21 ; P. Vivante, « Korinna’s Singing Mountains », Proceed. of the Second International Conference on Boiotian Antiqui fies, McGill University, Montréal, 2-4.11.1973, Teiresias suppl. 2,1979, p. 83. Per l’interpretazione della scelta « anomala » di Corinna data da Burzacchini (art. cit. a n. 5, pp. 34 sg.), cf. infra, n. 11.

7 « Zu Korinnas Gedicht vom Wettstreit zwischen Helikon und Kithairon », Zeitschr. f Papyr. u. Epigr. 30, 1978, pp. 5-12.

8 Ampio commento sulle varie interpretazioni di questo testo in G. Burzacchini, « Corinniana », Eikasmos 2, 1991, pp. 64 sgg.

9 Per quanto riguarda i tratti del volto, la tipologia dell’Elicona ricalca quella del Ciclope hellenistico, benché l’esecuzione sia piuttosto stilizzata (cf. per es. il Polifemo del rilievo di Villa Albani a Roma, P.E. Arias, s.v. « Polifemo », Enc. Arte Antica VI, Roma, 1965, pp. 276-279). Quanto al triangolo che la montagna personificata ha sulla fonte (se originale e non casuale) si tratterebbe del « terzo occhio » che si riscontra soprattutto nell’iconografia del Ciclope in età ellenistica (P.E. Arias, s.v., « Ciclopi », Enc. Arte Antica II, Roma, 1959, pp. 592-593), ma è documentato anche in uno xoanon arcaico di Zeus (cf. Paus. 2, 24, 3-4 e il commento di D. Musti e M. Torelli nell’edizione di Pausania, Guida della Grecia II. La Corinzia e l’Argolide a cura di D. Musti, Milano, 1986, p. 293). Più che una stranezza (cosi P. Jamot, « Stèle votive trouvée dans l’hiéron des Muses », Bull. Corresp. Hell. 14, 1890, p. 550), fuori luogo in una figura che non sia un Ciclope, o semplicemente « a one-eyed person » (A. Schachter, Cuits of Boiotia 2. Herakles to Poseidon, London, 1986, p. 160), tale caratteristica dovrebbe piuttosto costituire l’elemento iconografico che contraddistingue esseri dotati di facoltà divinatorie, come sono appunto i Ciclopi, rappresentati sia monocoli che triocoli. (Sull’individuazione di un rapporto tra unicità e molteplicità dell’occhio e capacità mantiche cf. G. Camassa, L’occhio e il metallo. Un mitologema greco a Roma ?, Genova, 1983, pp. 31 sgg.)

10 Il fatto che la stele sia della fine del III sec. a. C. non può ovviamente costituire una conferma per la datazione ellenistica di Corinna. La cronologia alta della tradizione antica ha ora ricevito il sostegno di dati nuovi, cf. Palumbo Stracca, « Corinna e il suo pubblico », Scritti in onore di B. Gentili, vol. II, a cura di R. Pretagostini, Roma 1993, pp. 403-412, con bibliografia.

11 Il fatto che Corinna assegni la vittoria al Citerone, piuttosto che al molto più celebre Elicona, potrebbe essere dovuto a un’occasione festiva o alla necessità di compiacere un pubblico o un committente plateese, cf. Burzacchini, « Corinna e i Plateesi », cit. a n. 5, p. 35. Tuttavia i Grandi Daidala in onore di Era venivano celebrati sul Citerone non solo dagli abitanti di Platea, ma anche da quelli di Coronea, Tespie, Tanagra, Cheronea, Orcomeno, Lebadeia e Tebe (Paus. 9, 3, 6, cf. A. Schachter, Cuits of Boiotia. 1. Acheloos to Hera, London, 1981, pp. 245-250) ; la stessa dea era inoltre invocata come Κιθαιρωνία a Tespie (Clem. Alex. Protr. 3, 46, 3) e a Tebe (schol. Eur. Phoen. 24). Moite avrebbero potuto essere quindi per Corinna le occasioni di celebrare il monte rivale dell’Elicona.

Secondo M. Rocchi (« Kithairon et les fêtes des Daidala », Dial. hist. anc. 15/2, 1989, pp. 312-313) invece, il motivo per cui Elicona, favorito delle Muse, non vince, si ricollega piuttosto al fatto che la contesa tra i due esseri mitici termina con la morte o la metamorfosi di entrambi, quindi senza alcuna influenza di elementi epicorici. Va però ricordato che ad Eleutere presso il Citerone esisteva un culto di Mnemosine, considerata da Esiodo madre delle Muse (Theog. 53-63) ; secondo M.L. West (Hesiod, Theogony, Oxford, 1966, p. 174) non è improbabile che esistesse colà, già al tempo di Esiodo, una « scuola di poeti » forse rivale di quella connessa con l’Elicona.

12 Art. cit. a n. 6, p. 84.

13 Cf. E. Pascal, « Muses Olympiennes et Muses Héliconiennes dans la Théogonie d’Hésiode », Actes du troisième Congrès International sur la Béotie Antique / Proceedings of the Third International Conference on Boiotian Antiquities (Montreal-Quebec 31.10.1979-4.11.1979), ed. J.-M. Fossey-H. Giroux, Amsterdam, 1985, pp. 111-117 ; Schachter, Cuits 2, cit. a n. 9, p. 153 sg. ; v. anche O. Vox, « Esiodo fra Beozia e Pieria », Belfagor 35, 1980, pp. 321-325 e R. Pretagostini, « L’incontro con le Muse sull’Elicona in Esodio e in Callimaco : modificazioni di un modello », Lexis 13, 1995, pp. 157-172.

14 « Posidone e l’Elicona : alcune osservazioni sull’antichità e la continuità di una tradizione mitica beotica », Essays in the Topography, History and Culture of Boiotia, Teiresias Supp. 3, ed. by A. Schachter, Montreal, 1990, pp. 129-134. Per ulteriori testimonianze del rapporto privilegiato, specialmente in età arcaica, tra Posidone e la Beozia cf. infra, p. 78, n. 19.

15 Così Peek, art. cit. an. 1, p. 175.

16 Art. cit. a n. 1, p. 175 : « Noch merkwürdiger und jedenfalls für uns ganz singülar, dass dieser wüste Geselle auch Orakel gibt. » Al contrario, una conferma delle facoltà divinatorie attribuite all’Elicona potrebbe essere il triangolo che la figura del rilievo ha sulla fronte, cf. supra, n. 9.

17 Cf. il commento di R. Flacelière, « Plutarque et les oracles béotiennes (De defectu oraculorum, ch. 5 : Moralia 412 AB) », Bull. Corresp. Hell. 70, 1946, pp. 199-207.

18 Ad esempio Erodoto ricorda un χρησμολόγος, Anticare di Eleone in Beozia (5, 43) che interpretava gli oracoli di Laio, quindi appartenenti all’antica tradizione mantica della regione. Anche Bacide, uno dei più celebri χρησμολόγοι dell’antichità (cf. Herodt. 8, 20 ; 77 ; 96 ; 9, 43), è considerato beota da Pausania (10, 12, 11).

19 Plutarco (ibid.) conosce anche un’altra tradizione (forse più nota e riferita anche da Paus. 10, 12, 1) secondo cui la prima Sibilla che ebbe sede a Delfi era figlia di Zeus e Lamia, figlia a sua volta di Posidone, ed era originaria di Maliea. In questo caso il legame che si vuole evidenziare è quello tra la Tessaglia e Delfi piuttosto che tra Delfi e la Beozia ; tuttavia anche in questo caso esiste una relazione tra il luogo classico della mantica apollinea e la Beozia attraverso la genealogia della Sibilla che risale anche a Posidone. Per i rapporti, spesso conflittuali, tra le Sibille e Apollo cf. il commento di G. Lozza in Plutarco, Dialoghi delfici — Il tramonto degli oracoli. L’E di Delfi. Gli oracoli della Pizia, introd. a cura di D. Del Corno, Milano, 1983, pp. 246-247, n 37.

20 Forse non a caso nell’ Inno omerico ad Apollo il dio, prima di insediarsi definitivamente a Delfi, fa sosta, nella ricerca di un sito per fondare il suo oracolo, in varie città beotiche, senza fermarvisi ; tra queste sono notevoli due luoghi sacri a Posidone : Onchesto, da dove Apollo si allontana senza contrasto violento (vv. 229-239) e Telfusa (vv. 245-276), dove deve combattere contro la Ninfa locale per affermare la propria supremazia (vv. 375-387). Per il culto di Posidone ad Onchesto e Telfusa cf. Schachter, Cuits 2, cit. a n. 9, pp. 207-224.

21 Cf. Page, Corinna, cit. a n. 5, p. 25 ; un’ampia trattazione sul santuario di Apollo Ptoio, con bibliografia, in Schachter, Cuits 1, cit. a n. 11, pp. 52-73.

22 Sul rapporto tra Posidone e mantica, cf. A. Veneri, « Posidone e l’Elicona », cit. a n. 14, p. 132, n. 10.

23 L’associazione tra Apollo e Muse Eliconie avviene attraverso l’identificazione di queste ultime con le Muse Olimpiche, che già in Omero erano considerate appartenenti al corteggio apollineo (Il. 1, 602-604).

24 Che nel periodo più antico poeta e indovino venissero identificati è cosa ben nota, cf. E.R. Dodds, The Greeks and the Irrational, Berkeley-Los Angeles, 1951 = trad. it., Firenze, 1959 (1973), p. 114, n. 2. Altrettanto noto è che per tutta l’età antica gli oracoli furono redatti in forma poetica, cioè in esametri. Sul rapporto tra composizione poetica e oracoli cf. L.E. Rossi, « Gli oracoli come documento di improvvisazione », I poemi epici rapsodici non omerici e la tradizione orale. Atti del Convegno di Venezia 1977 a cura di C. Brillante, M. Cantilena e C.O. Pavese, Padova, 1981, pp. 203-230 (con discussione). Cf. infra, n. 31.

25 La più antica testimonianza dello speciale rapporto delle Muse con Tespie è quella di Corinna (PMG 674), in cui la città è chiamata μουσοφίλητε (cf. Page, Corinna, cit. a n. 8, p. 38).

26 Così anche Schachter, Cults 2, cit. a n. 9, pp. 160-161.

27 Per il testo e commento del horos cf. da ultimo P. Roesch, Etudes Béotiennes, Paris, 1982, nr. 7, pp. 127 ; 164-166. L’estrema specializzazione del culto delle Muse a Tespie è documentata anche da altre due iscrizioni ellenistiche (IG VII, 1788 e 1789) che attestano l’esistenza di un sodalizio musaico denominato τοὶ Φιλετηρεῖες in onore del fondatore del regno di Pergamo, cf. Roesch, op. cit., pp. 126-127, nr. 6.

28 Secondo B.A. van Groningen (« Les trois Muses de l’Hélicon », Antiquité class. 17, 1948, pp. 292-296) il motivo di questa esclusione sarebbe proprio l’esaltazione delle Muse Pierie presente nella Teogonia e all’inizio delle Opere (cf. da ultimo anche Vox, art. cit. an. 13, p. 323). Credo tuttavia che non si possa esprimere un giudizio definitivo in tal senso, dato lo stato frammentario delle altre due opere ripudiate dai Beoti, le Grandi Eoie e i Precetti di Chirone. Cf. infra, n. 30.

29 Introduzione a Esiodo, Teogonia, Milano, 1984, p. 11.

30 Recentemente R. Lamberton (« Plutarch, Hesiod, and the Mouseia of Thespiai », Illinois Class. Stud. 13/2, 1988, pp. 491-504) ha avanzato l’ipotesi che diversi passi di Esiodo, e specialmente quelli più autobiografici e legati aU’ambiente beotico, fossero stati interpolati in epoca ellenistica proprio dall’istituzione che si era impadronita del poeta e della sua opera, cioè i Mouseia, patrocinati dagli abitanti di Tespie. Tale ipotesi, benché troppo estremistica, tuttavia pone significativamente l’accento sul clima di grande attenzione creatosi attorno ad Esiodo in Beozia a partire dal IV sec. a. C., clima di cui il rilievo oggetto del mio studio è uno degli esempi.

31 Los oráculos y Hesíodo. Poesía oral mántica y gnómica griegas, Cáceres, 1986.

32 Non sappiamo quanto, in questi Excerpta, risalga ad Aristotele e quanto sia stato rielaborato da Eraclide (cf. P. Salmon, Etude sur la Confédération béotienne (447/6-386). Son organisation et son administration, Bruxelles, 1978, p. 54). Per la datazione di quest’ultimo al II sec. a. C. cf. Heraclidis Lembi Excerpta Politiarum, Edited and Translated by M.R. Dilts, Durham, 1971, p. 8.

33 ‹Θεσπιέων :› 76. παρὰ Θεσπιεῦσιν αἰσχρòν ἧν τέχνην μαθεῖν ϰαὶ

περὶ γεωργίαν δεατρίβειν. ϰαὶ διὰ τοῦτο πένητες οἱ πλείους ἧσαν ϰαὶ

Θηβαίοις οὗσι φειδωλοῖς πολλὰ ὤφειλον.

34 Tespie fu fin dal V sec. a. C. una delle più accanite rivali di Tebe, cf. J. Buckler, The Theban Hegemony 371-362 BC, Cambridge Mass.-London, 1980, pp. 20 sgg. Cf. anche Diod. 15, 27, 4 ; 33, 5-6 ; 46, 6 ; 17, 13, 5.

35 Cf. anche P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque. Histoire des mots, tome III, Paris, 1974, p. 918.

36 I. Perysinakis, « Hesiod’s Treatment of Wealth », Μῆις I, 1, 1986, pp. 99, 118.

37 C.B. Welles, « Hesiod’s Attitude toward Labor », Creek Rom. Byz. Stud. 8, 1967, pp. 9-11.

38 Cf. l’analisi sociopolitica che ne fa M. Detienne, Crise agraire et attitude religieuse chez Hésiode, Bruxelles-Berchem, 1963, pp. 15-27.

39 ἀλλὰ σύ γ’ ἡμετέρης μεμνημένος αἰὲν ἐφετμῆς

ἐργάζεο Πέρση, δῖον γένος, ὄφρα σε Λιμός

300 ἐχθαίρῃ), φιλέῃ] δέ σ’ ἐυστέφανος Δημήτηρ

αἰδοίη, βιότου δὲ τεὴν πιμπλῆσι ϰαλιήν‧

Λιμòς γάρ τοι πάμπαν ἀεργῷ σύμφορος ἀνδρί.

τῷ δὲ θεοὶ νεμεσῶσι ϰαὶ ἀνέρες, ὅς ϰεν ἀεργός

ζώῃ, ϰηφήνεσσι ϰοθούροις εἴϰελος ὀργήν,

305 οἵ τε μελισσάων ϰάματον τρύχουσιν ἀεργοί

ἔσθοντες‧ σοὶ δ’ ἔργα φίλ’ ἔστω μέτρια ϰοσμεῖν,

ὥς ϰέ τοι ὡραίου βιότου πλήθωσι ϰαλιαί.

ἐξ ἔργων δ’ ἄνδρες πολύμηλοί τ’ ἀφνειοί τε‧

ϰαί τ’ ἐργαζόμενος πολὺ φίλτερος ἀθανάτοισιν.

310 {ἔσσεαι ἠδὲ βροτοῖς‧ μάλα γὰρ στυγέουσιν ἀεργούς.}

ἔργον δ’ οὐδὲν ὄνειδος, ἀεργίη δέ τ’ ὄνειδος‧

εἰ δέ ϰεν ἐργάζῃ, τάχα σε ζηλώσει ἀεργός

πλουτέοντα‧ πλούτῳ δ’ ἀρετὴ ϰαὶ ϰῦδος ὀπηδεῖ‧

δαίμονι δ’ οἷος ἔῃσθα, τò ἐργάζεσθαι ἄμεινον,

315 εἴ ϰεν ἀπ’ ἀλλοτρίων ϰτεάνων ἀεσίφρονα θυμόν

εἰς ἔργον τρέϕας μελετᾷς βίου, ὥς σε ϰελεύω.

αἰδὼς δ’ οὐχ ἀγαθὴ ϰεχρημένον ἄνδρα ϰομίζειν,

αἰδώς, ἥ τ’ ἄνδρας μέγα σίνεται ὴδ’ ὀνίνησιν‧

αἰδώς τοι πρòς ἀνολβίῃ, θάρσος δὲ πρòς ὄλβῳ.

40 Cf. A. Gaheis, « Das Proxeniedekret des Kapon », Wien. Stud. 23, 1902, p. 281.

41 P. Roesch, Thespies et la Confédération béotienne, Paris, 1965, pp. 220-224.

42 Cf. Schachter, Cults 2, cit. a n. 9, pp. 147-179.