Due nuovi teonimi orfici nel papiro di Derveni
La notizia d’Atenagora che « Orfeo per primo ritrovò i nomi degli dèi »1 sembra confermare il valore significante dei teonimi nel pensiero orfico, dove, accanto all’artificio etimologizzante, è palese l’uso dottrinario della designazione e, talvolta, la sua funzione metaforica.
Nell’onomasticon religioso orfico, il teonimo più celebre è, forse, quello di Mnemosyne, la dèa che nei testi su lamine d’oro presiede a quella vita il cui inizio non è segnato dalla nascita ma dalla morte del soma2. Private dell’immaginario tradizionale, il nome di Mnemosyne diventa segno d’una esperienza di memoria ehe consente all’iniziato di sottrarsi per sempre al ciclo delle rinascite.
Non meno significativa è la dèa Euphrone, restituita, quasi per caso, all’onomasticon orfico dal papiro di Derveni3. L’espressione Οὐρανὸς Εὐφρονίδης del verso orfico, citato e commentato alla colonna X del papiro, attesta l’esistenza di una genealogia mitica che deriva da Euphrone.
E probabilmente allo stesso ordine cosmologico fa riferimento anche il fr. 57 DK di Eraclito4, dove l’uso di εὐφρόνη al posto di νύξ appare per lo meno singolare5 :
διδάσκαλος δὲ πλείστων Ήσιόδος ·τοῦτον ἐπίστανται πλεῖστα
εἰδέναι, ὅστις ἡμέρην ϰαὶ εὐφρόνην οὐϰ ἐγίνωσϰεν ·ἔστι γὰρ ἕν.
La designazione di notte come εὐφρόνη non si spiega come una semplice metafora poetica, ma segnala un interessante mutamento del campo semantico della notte6, finora inspiegabilmente trascurato.
Il termine compare per la prima volta in Esiodo7 e, tra i prosatori più antichi, in Erodoto8 e Ippocrate9. Ricorre una volta in Pindaro10 ed è ampiamente attestato nei Tragici11.
Si è creduto d’individuare nel frammento eracliteo una critica al passo della Teogonia in cui Esiodo, parlando della discendenza da Chaos, dice che Notte ed Erebo, unendosi, generano Etere e Giorno12. Di qui l’ipotesi di una polemica contro l’idea esiodea di filiazione di Giorno da Notte, e un’ulteriore affermazione di coincidentia oppositorum13. Ma in tal modo si trascura il dato più problematico della polemica eraclitea che risulta dall’uso di εὐφρόνη al posto di νύξ.
L’idea di una Notte dotata di φρόνησις14, non può corrispondere alla Notte esiodea, intesa come divinità dell’informe, del disordine, distinta e contrapposta a Gaia dall’ampio seno che porta su di sé la stellata volta celeste15. La denominazione attestata in Eraclito rinvia a una potenza positiva il cui ruolo s’esplica in un cosmo ordinato e regolare.
Parlando di filiazione da Chaos e escludendo qualsiasi rapporto tra la generazione di Chaos e quella di Terra e di Cielo stellato, Esiodo ha consegnato la Notte all’oscura sfera dell’esistenza rivolta alla morte : Nyx rappresenta 1’esplicazione di Chaos, ma non ne modifica la natura ; in unione con Erebo genera le divinità della luce, potenze intemporali, distinte da Helios Selene Eós, i periodi astronomici determinati dalla regolarità del movimento degli astri, che trovano posto nella genealogia che si forma da Terra e Cielo16.
All’interno della genealogia esiodea di due sfere polarmente distinte, quella dell’amorfo e quella della forma, che s’oppongono senza mescolarsi e costituiscono la totale unità del cosmo, i contrari d’una coppia non sono solo tra loro indissolubilmente separati, ma sono, soprattutto, condizionati dalla loro opposizione. Pertanto la critica eraclitea, sintetizzata nella formula ἔστι γὰρ ἕν, non polemizza contro la coppia esiodea notte-giorno, di cui in ogni caso l’un termine non può esistere senza l’altro, ma contesta il modello cosmogonico che è alla base del pensiero esiodeo.
L’uso del termine εὐφρόνη nelle Opere è pertinente al suo valore semantico : riferita al cosmo del contadino, la notte presuppone ordine, intelligenza del tempo e dei moment ! ; utilizzazione di tutte le durate, da quelle che appaiono inerti a quelle immediatamente fruibili :
μακραΐ γάρ έπίρροθοι εΰφρόναι είσίν.
Esiodo désigna con εύφρόναι le lunghe notti invernali, la cui durata non è giocata solo sull’antitesi notte-giorno, ma è intesa come parte integrante dell’ordinamento del cosmo.
Un’importanza nuova attribuita alla Notte s’afferma nelle teogonie orfiche17, in cui ciô ehe viene sacralizzato è la Notte ehe presiede all’ordine del Cielo. E anche se nelle fonti orfiche ehe l’attestano, la dèa della Notte è sempre chiamata Nyx18, essa ha ben poco in comune con l’omonima figura divina che nella Teogonia presiede alla discendenza da Chaos.
Nyx è dèa primordiale19 : inserita nella successione dei regni divini inerenti allo stesso movimento cosmogonico, s’esplica come intelligenza ordinatrice del cosmo20. Solo con la scoperta del papiro di Derveni è stato possibile individuare, come ho già detto, la traccia significativa di un teonimo diverso designante la Notte, e stabilire l’equivalenza Euphrone-Nyx nell’ordine mitico espresso nelle teogonie orfiche.
Alla linea 6 della col. X del papiro si legge il verso orfico :
Οὐρανòς Εὐφρονίδης, ὃς πρώτιστος βασίλευσεν.
Il matronimico Εὐφρονίδης, attributo di Οὐρανός21, conferma l’esistenza di una genealogia mitica Euphrone > Ouranos che corrisponde alla successione, ampiamente attestata nel pensiero orfico, Nyx > Ouranos22. L’esistenza del nome proprio è presupposto dalla formazione stessa del termine, perché la forma εὐφρόνη > εὔφρων è del tipo che s’osserva solo nell’onomastica23.
Il testo di Derveni restituisce il teonimo all’onomasticon religioso orfico attraverso l’uso del matronimico. La forma Εὐφρόνη, finora attestata solo corne nome comune, designa la divinità femminile, madre di Ouranos, altrimenti nota nelle fonti orfiche come Nyx, confermandone l’appartenenza alla sfera religiosa24.
L’individuazione nel pensiero orfico di un vocabolario intellettuale che convive o addirittura precede quello mitico può trovare conferma nel v. 10 nella laminetta di Hipponion in cui al posto del più noto e comune Γῆς si legge 1’insolito Βαρέας25.
L’ipotesi, poi, che la concezione della Notte in Eraclito si sia formata su un’intuizione teologica diversa da quella esiodea, fa luce su un altro frammento eracliteo (fr. 16 DK) :
τὸ μὴ δῦνόν ποτε τις λάθοι ;
Il frammento è citato da Clemente Alessandrino26, il quale interpreta la locuzione τὸ μὴ δῦνον come riferimento alla luce divina alla quale nessuno può sfuggire, condizionando fortemente 1’esegesi dei commentatori moderni27.
Nel testo di Derveni alla col. VII, a proposito della profezia della Notte, il commentatore, usando argomentazioni di vasta risonanza speculativa, insiste sul concetto di profondità e impenetrabilità della Notte, sottolineando che « la profondità della Notte non tramonta come la luce, ma rimanendo in se stessa, il raggio la raggiunge » :
[τ]ῇς Nͅυϰτός .ἐξ ᾀ[δύτοι]ο δ’αὐτὴν [λέγει] χρῆσᾳι
γνώμην ποιού̣[με]νος ἄδυτͅον εͅ[ἶ]ναι τὸ βάθος
τῆς νυϰτός· οὐ γ[ὰρ] δύνει ὥ[σ]περͅ τͅὸ φῶς ἀλλά νιν
ἐν τῶι αὐτῶι μέ[νο]νͅ αὐγὴ ϰᾳτᾳ[λ]αμμάνει.
Ε’ possibile stabilire un confronto significativo tra la nozione di impenetrabilità insita nell’affermazione τὸ βάθος τῆς Νυϰτὸς οὐ δύνει e l’indeterminatezza della locuzione eraclitea τὸ μὴ δῦνον. Se, come ha mostrato Heidegger28 analizzando il fr. 16 DK, la nozione di occultamento può convertirsi in quella di presenza per cui τὸ μὴ δῦνον = τὸ ἀεὶ φύον, l’espressione eraclitea si integra con quanto è espresso nel papiro.
L’idea della Notte che non tramonta oppone al concetto privativo di Notte che emerge dalla Teogonia una nozione di Notte come realtà essenziale di fronte alla quale nessuno può celarsi, perché tutto vi è compreso. Anche se Helios, illuminando la Notte, ne coglie l’aspetto emerico29, la reciprocità con la Notte è solo apparente. Il momento del φαίνεσθαι non modifica la realtà notturna, rende solo manifesto quanto in essa è invisible30. E — come dice Eraclito —
Ἁρμονίη ἀφανὴς φανερῆς ϰρείττων31
2- Nel poema teogonico orfico che è alla base del commentario di Derveni, ricostruito exempli gratia da West32, subito dopo il verso relativo a Nyx si legge il verso citato e discusso alla colonna VIII del papiro33 :
ὠς ἄ[ρξαι ϰα]τὰ ϰαλὸν ἔδος νιφόεντος Ὀλύμπου34.
Se l’integrazione ἄρξαι proposta da West è esatta, come potrebbe confermare il confronto con 1’espressione θέσφατον ἀρχήν della colonna IV 4 o 1’epiteto ἀρχὀς, riferito a Zeus, della colonna XV 10, il verso rinvierebbe all’arche di Zeus, evento mitico centrale delle teogonie orfiche e parte fondante del discorso teologico35.
L’esegesi allegorica proposta nel papiro stabilisce 1’equazione, di particolare interesse speculativo, tra Olimpo e tempo, forzando la citazione all’interno di una riflessione apparentemente estranea al contesto teogonico ma — come per la precedente colonna — concentrata sulla fase cosmogonica iniziale in cui anche 1’avvento di Zeus è incluso :
ϰαὶ .[…]. · τὸ δ’έχόμε̣[νον ἔπ]ος ὦδ’ ἔχει·
2 ὡς α[….·ϰα]τἀ ϰαλόν ἕδ̣ος νιφόεντος Ὀλύμπου.
Ὄλυμπ[ος ϰαὶ χ]ρόνος τὸ αὐτόν· οἱ δὲ δοϰοῦντες
4 Ὄλυμπ̣[ογ ϰαὶ ο]ὐρανὸν [τ]αὐτό εἶναι έξαμαρ-
τάν[ουσι]ν̣, [οὐ γ]ινώσκον[τε]ς ὄτι οὐρανόν οὐχ οἷον τ̣ε̣
6 μαϰ[ρό]τ̣ερον ἢ εὐρύτε[ρο]ν εἶναι, χρόνον δἐ μαϰρὸν
εἴ τις [ὀνομ]άζο[ι] ο̣ὐ̣ϰ̣ ἄ̣[ν ἐξα]μαρτάνοι· ὸ δὲ ὄπου μὲν
8 οὐρανὸν θέ̣[λοι λέγειν, τὴμ] προσθήκην εὐρὺν
ἐποε̣ῖτο, ὄπου̣ [δὲ Ὄλυμπον, τοὐ]ν̣α̣ν̣τίον, εὐρὺμ μέν
10 οὐδέποτε, μα̣[ϰρὸν δἑ· νιφόεντα] δὲ φήσας εἷνα̣ι
τῆι [δ]υνάμει ε[ ±15 ]ι νιφετώδειׅ [ ]
12 [….] νιφετω[ ±15 ] ,ονε̣ [ ]
[….] αμ[
Tale momento cosmogonico è indagato, nel pensiero orfico, attraverso una molteplicità di nomi divini : Nyx, Chronos, Protogonos, Zeus.
Se la Notte ehe « profetizza dal penetrale » nella colonna VII induce il commentatore a una riflessione sulla realtà impenetrabile della Notte, sul suo primordiale essere dappertutto36, l’identificazione proposta alla colonna VIII tra Olimpo e tempo risulta da una riflessione che, partendo dall’avvento di Zeus sull’Olimpo, si concentra sullo stesso momento cosmogonico originario. Per altro, è interessante osservare che attraverso l’uso dell’aggettivo νιφόεις — attributo di Olimpo — si può giungere all’ipotesi, suggestiva sul piano teogonico, di un legame tra Olimpo e νεφέλη37.
L’equivalenza suggerita nel papiro, problematizza, di fatto, la riflessione cosmologica sull’Olimpo38. Nell’esegesi omerica, fondamentalmente duplice, l’Olimpo appartiene ai luoghi « celesti » ed è sinonimo di cielo oppure, secondo l’interpretazione che sarà per eccellenza aristarchea, è un monte della Macedonia idoneo a indicare la sede degli dèi, perché è il luogo più alto che i Greci conoscono39.
Nel papiro l’equazione Olimpo-tempo è fondata sulla pertinenza della qualificazione μαϰρός al tempo : l’aggettivo manca nel verso, ma è ampiamente attestato come epiteto di Olimpo40. Nell’esegesi omerica, μαϰρός è essenziale per la distinzione tra Olimpo « alto monte » e Olimpo « vasto cielo ». Ma nel papiro l’affermazione che l’Olimpo non si possa identificare con il cielo risulta non solo dal fatto che il cielo è εὐρύς e il tempo è μαϰρός, ma anche dall’impossibilità di riferire al cielo gradi di comparazione relativi all’estensione (il cielo non può essere né εὐρύτερος, né μαϰρότερος).
Tale argomentazione si inserisce, probabilmente, in un tipo di speculazione cosmologica che designa ὄλυμπος e οὐρανός come parti distinte del cielo41, ma l’identificazione con χρόνος sposta la riflessione all’interno di un pensiero teologico in cui il tempo occupa un ruolo dominante42. Nelle cosmogonie orfiche rapsodiche, Chronos è la divinità necessitante all’iniziale meccanismo cosmogonico : il dio che più di qualsiasi altro è adatto a mostrare l’origine del mondo e insieme il suo universale principio permeante43. Secondo Damascio, Chronos è la divinità primordiale da cui tutte le altre prendono origine e con Etere e Chaos forma la prima triade ; da Tempo, modellato o generato nell’Etere, si produce l’uovo cosmico, donde balza all’esistenza lo splendente dio alato Phanes, detto anche Protogonos, Metis, Eros, Erichepeo44.
Anche la tradizione teogonica secondo Ieronimo e Ellanico presenta corne primo generatore, associato a Ananke e Adrasteia, Chronos ἀγήραος, Tempo senza vecchiaia45, che presiede all’atto cosmogonico della nascita dell’universo.
L’assenza di qualsiasi accenno a Chronos negli ἔπη citati nel papiro46 non costituisce un ostacolo all’equazione Olimpo-tempo, perché l’autore di Derveni raggruppa i versi non secondo un criterio di coerenza narrativa, ma seconde una logica tendente alla comprensione di un momento cosmologico preciso, quelle che precede la separazione tra Cielo e Terra. Il riconoscimento del ruolo cosmogonico di Chronos nel papiro di Derveni potrebbe confermare l’ipotesi che l’intuizione del Tempo corne dio originario si sia affermata in Grecia anteriormente alle tardive attestazioni neoplatoniche47.
Enigmatica rimane tuttavia l’argomentazione allegorica relativa all’aggettivo νιφόεις48, discusso nell’ultima parte della colonna, purtroppo quasi illegible. Μαϰρός e νιφόεις appartengono agli epiteti relativi all’Olimpo monte, ma sono utilizzati nel papiro per giustificare 1’equazione Olimpo-tempo. Se l’assorbimento di μαϰρός nella categoria « temporale » è ben argomentata nella prima parte quasi integra della colonna, per νιφόεις — come ho già detto — manca ogni sostegno di argomentazione che aiuti a coglierne il senso. Si può tuttavia notare che nel lessico omerico il gruppo semantico a cui appartengono νιφόεις, νιφάς, νιφετός, νείφω è associato a Zeus49 e interagisce con la sfera concettuale di νέφος, νεφέλη50. Nei contesti in cui sono presenti, i due gruppi di termini sono legati da uno stretto rapporto di causa e effetto : l’azione del nevicare è attribuita a Zeus e il fenomeno del « cadere della neve » è sottoposto alla presenza della nebbia o delle nubi.
Se si tien conto di questa rete di rapporti e di corrispondenze semantiche, si chiarisce, forse, il senso forte dell’aggettivo νιφόεις avvertito dal commentatore di Derveni. Inoltre è significative che nel lessico omerico un altro termine designi la neve, χιών51. Esso indica la neve nel suo spargersi al suolo, a differenza di νιφάς che designa la neve che cade, il fiocco di neve. E’ possibile che nell’immaginario religioso 1’Όλυμπος νιφόεις non si presentasse come Olimpo « nevoso », coperto di neve, ma piuttosto come Olimpo « nebbioso », perché avvolto da fitti fiocchi di neve52. L’idea del nevicare esplica infatti, una funzione di occultamento e di impenetrabilità simile a quella che νέφος e νεφέλη esercitano sugli dèi per sottrarli alla vista degli uomini. E in questo senso neve, nebbia, nube possono essere veicolo di una medesima funzione, tanto più che a livello cosmologico, l’occultamento è pertinente a realtà mitiche originarie, tra cui anche Chronos può essere incluso.
Il valore assegnato all’aggettivo nel papiro è confermato in un passo dell’Iliade (V 750-751) dove — attraverso il legame Olimpo/nebbia — si intuisce l’immagine di un Olimpo « nebbioso ». Né meno significativa è la descrizione famosa dell’Olimpo nell’Odissea53, in cui la formula a noi più familiare dell’Olimpo « nevoso » sembra addirittura contraddetta : οὔτε χιὼν ἐπιπίλναται.
Anche se i lessici moderni escludono ogni possibile nesso etimologico tra le due famiglie semantiche, quella di νέφος e quella di νιφάς, perché derivano da radici diverse54, il legame documentato nell’uso è opportunamente segnalato nell’ E.M. 601,48 : ἀπὸ τοῦ νέφος, νέφω ϰαὶ νείφω ⸱σημαίνει τὸ χιονίζω, e conferma lο slittamento semantico neve/nebbia nella coscienza linguistica dei Greci.
A queste significative attestazioni nel lessico omerico (nella cui tradizione il verso si inserisce), deve aggiungersi la funzione cosmogonica attribuita a νεφέλη in un passo del de principiis di Damascio, che riferisce elementi dottrinari di una « teologia orfica abituale » :
« La seconda triade la costituiscono o l’uovo creato e quello che porta in sé il dio, o la tunica splendente, oppure la nuvola, perché da questi balza fuori Phanes »55.
Uovo, tunica, nuvola sono i principi originari della seconda triade ed esplicano evidentemente la stessa funzione di involucro e/o di occultamento. Tuttavia, mentre è noto il ruolo cosmogonico dell’uovo56 e lo sviluppo metaforico del χιτών57, si è finora sottovalutata ogni pregnanza religiosa e metaforica di νεφέλη come elemento della teologia orfica.
Il termine è presente nel lessico religioso arcaico : si pensi all’epiteto νεφεληγερέτα riferito a Zeus, o alla dèa Νεφέλη, madre di Frisso e Elle, nominata da Esiodo58. Né meno significativa è la divinizzazione di Νεφέλαι nell’omonima commedia di Aristofane. E’ nota la conoscenza che Aristofane aveva del pensiero orfico, e della teogonia orfica in particolare, se — nonostante 1’intento parodico — è chiaramente riconoscibile negli Uccelli59 la versione più antica di quella che West definisce la Teogonia di Protogonos60. Ad una medesima ispirazione è, forse, riconducibile anche la scena delle Nuvole in cui Socrate esegue un rito iniziatico (orfico ?) e innalza un Inno a Aer, Etere e Nuvole61. Le Nuvole, σεμναὶ θεαί62, πολυτίμητοι63, affiancate ad elementi primordiali noti al pensiero teogonico orfico64, appaiono come divinità alternative rispetto agli dèi tradizionali, che poco prima Socrate ha definito οὐϰ νόμισμα65. L’immagine delle Nuvole che « siedono sulle sacre nevose vette d’Olimpo »66 ripropone il nesso, che qui si sta analizzando, tra νεφέλη e ὄλυμπος lasciando trapelare la probabile più antica codificazione linguistica o addirittura la ripresa della metafora orfica attestata in Damascio.
L’ipotesi del legame tra νιφόεις e νεφέλη, il valore dottrinario che a quest’ultima attribuisce Damascio, possono concorrere a ricostruire l’argomentazione perduta nella colonna VIII. D’altra parte l’equazione Olimpo-tempo potrebbe confermare, alla luce dei riferimenti semantici messi in evidenza, l’esistenza di un ruolo cosmogonico di νεφέλη nel quadro delle teogonie orfiche, in età ben più antica di quanto non lasci supporre il commento di Derveni. Tanto più che alla colonna IX 4 del papiro di Derveni si legge : ὁς Αἰθέρα ἔχθορε πρῶτος, cui fa eco, nel passo di Damascio, ἐϰ τούτων ἔϰθρώσϰει ὁ Φάνης.
Tuttavia idea che νεφέλη esplichi una funzione di teonimo significante nel lessico orfico arcaico ha bisogno di ulteriori conferme. Ciò non ostante le corrispondenze segnalate danno l’avvio al recupero d’una metafora antica. E il passaggio dalla metafora al teonimo è breve.
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1 OF 57 Kern. I frammenti orfici sono citati secondo 1’ordine di Kern (1963).
2 Su Mnemosyne cf. Pugliese Carratelli (1974), 117-119 ; Colli (1977), 39-40.
3 Il papiro fu trovato nel 1960 a Derveni tra i resti della pira funeraria di un sepolcro della seconda metà del IV sec. Dopo varie edizioni parziali, nel 1982 comparve in « ZPE » 47 un’edizione anonima e non autorizzata. A questa edizione provvisoria faccio, necessariamente, riferimento per la citazione del papiro.
4 Cf. Burkert (1983), 37-42.
5 Il termine è attestato in Eraclito frr. 26, 67, 99 DK.
6 L’esame più approfondito del termine si trova in Troxler (1964), 13-19.
7 Hes., Op. 560.
8 Erodoto usa il termine per indicare la notte in cui si teme un avvenimento importante : VII 12,1 ; 56,1 ; 188,2 ; VIII 6,2 ; 12,1 ; 14,2 ; IX 37,3 ; 39,1.
9 Hipp., Mul. 11. La parola s’incontra come determinazione temporale nella descrizione d’un esperimento.
10 Il passo pindarico è particolarmente interessante : Pi., Nem. VII 1,6. Il termine εὐφρόνη è associato a φάος.
11 Per i brani dei Tragici è di particolare interesse religioso : Aesch., Agam. 261 ss., 279 dove, forse, è un tentativo di personificazione di εὐφρόνη.
12 Hes., Th. 123-125. Ippolito (Ref. IX 10,2), che cita il frammento, sottolinea l’affinità della relazione giorno-notte con le antitesi luce-tenebra, buono-cattivo, insistendo sul valore polemico, antiesiodeo, del frammento. Per evidenziare la critica al passo di Th. 123, Ippolito aggiunge ἀλλὰ ἕν ϰαὶ τὸ αὐτό, individuando un’idea di identità tra il giorno e la notte, estranea a Eraclito.
13 Cf. Kirk (1962), 156 ; Marcovich (1978), 159 il quale sostiene il riferimento a Th. 123-124, ma rigetta quello a Th. 748 ss. come era state suggerito da Nestle (1908), 534 ; Diano-Serra (1980), 174 concordano con gli altri interpreti, osservando che giorno e notte sono due opposti che coincidono e come tali non possono essere anteriori l’uno all’altro, con riferimento anche al fr. 26 DK. Al contrario, Bollack-Wismann (1972), 198 osservano che il frammento eracliteo non è un’invettiva e che Esiodo non ignora l’unità dei diversi, ma disconosce la diversità dell’uno. Anche Kahn (1979), 109 parla di un paradosso solo apparente e sostiene che per Eraclito giorno e notte sono aspetti complementari d’una singola unità.
14 Per il campo semantico di φρόνησις come intelligenza pratica, simile a μήτις cf. Detienne (1978), 102-103. Nel PDerv col. XIV è riferito che Orfeo chiama Moira la φρόνησις.
15 Hes., Th. 126-127.
16 Cf. Philipsson (1949), 51.
17 Cf. Kirk-Raven-Schofield (1983), 17 ss. ; Ramnoux (1959).
18 Arist., Met. 1091 b 4 ; Procl., in Pl. Tim.prooem. (III 168, 17-25 Diehl).
19 Arist., Met. 1071 b 26-28 ; Eud., fr. 150 Wehrli ; Cris., fr. 636 SVF ; ecc.
20 Procl. in Pl. Tim.prooem.
21 L’espressione era nota da un’iscrizione preveniente dalla Bitinia, cf. Kaibel (1965), n. 1029, 6. Per la datazione al I sec.d. C. cf. Videman (1969), n. 325 ; (1970), 82. Interessante il rinvio a contesto orfico per l’epiteto εὐφρονίδης dell’Inno a Iside in Dunand (1973), 110-111.
22 Colli (1977) 4 B39 ; 4 B39b ; 4B71. La prima attestazione della personificazione di Nyx è Hom., Il. XIV 258.
23 Chantraine (1968), s.v. εὐφρόνη.
24 Troxler (1964), 13 osserva che l’uso dei tragici e dei prosatori ionici più antichi conferma che il termine appartiene a una sfera linguistica di tipo elevato. Il termine ricorre anche nell’OH 9,8 Quandt.
25 Seguo la lettura di Pugliese Carratelli (1974), 112.
26 Clem. Alex., Paedag. II 99,5.
27 Cf. Marcovich (1978), 302.
28 Heidegger (1976), 176 ss.
29 Her., fr. 99 DK.
30 Colli (1977), 4 Β71.
31 Her., fr. 54 DK. Per l’uso di φανερός con accezione negativa cf. fr. 56 DK.
32 West (1983), 114-115.
33 West (1983), 114.
34 Un verso quasi identico è nell’Inno omerico e Eracle, 7 : νῡν δ’ ἤδη ϰατὰ ϰαλόν έ’δος νιφόεντος Ὀλύμπου.
35 per l’uso di arche nel commentario cf. PDerv col. XI 78. Per l’importanza di arche nel pensiero orfico : Pi., O/.II 59 ; fr. 137 Snell.
36 Cf. la mia nota, le cui conclusioni sono riprese in queste pagine, Euphrone : una divinità orfica ? « PdP » XL (1985), 419-425.
37 Ripropongo l’argomento di una mia nota, Nephele : una metafora orfica arcaica, « PdP » XLIV (1989), 29-36.
38 Recenti contributi a PDerv col. VIII in Funghi (1983), 11-19 ; Burkert (1986), 4.
39 Su Olimpo, cf. RE XVIII (1939), 258-323.
40 Il. I 402, II 48 ; V 3, 398 ; VII 199, 410 ; XV 21, 79, 193 ; XVIII 142 ; XXIV 468, 694 ; Od. X 307 ; XV 43 ; XX 73 ; XXIV 351. L’Olimpo è citato in OF 85 Kern : ὅν τε Φάνετα πρωτόγονον μάϰαρες ϰαλέον ϰατὰ μαϰρὸν ’Όλυμπον ed è sottinteso in OF 89 : (Phanes) ἔϰτισεν ἀθανάτοις δόμον ἄφθιτον.
41 Cf. Parm. fr. 11 DK ; Phil. test. 16 DK. Cf. Funghi (1983), 17-19.
42 Pher., fr. 1 DK è la fonte più antica della personificazione di Chronos. Cf. Colli (1978), 78 il quale sottolinea l’importanza della testimonianza ferecidea (274) relativa alla grande divinità orfica chiamata Chronos, su cui più volte interviene : Colli (1977), 40-41, 389, 416, 422. Per Brisson (1985), 37-55 la presenza di Chronos in Ferecide è dubbia e la personificazione di Chronos è tardiva e influenzata dal Mitriacismo. Chronos è personificato anche in Pindaro, Οl. II 17 ; Οl. X 55 ; frr. 33, 159 Snell.
43 Colli (1977), 37.
44 OF 54, 65, 70 Kern. Sull’orfismo e Damascio, cf. Brisson, in questo volume.
45 OF 54 Kern. Nelle teogonie rapsodiche Chronos è detto ἀγήραος (OF 66 Kern), ma anche μέγας (OF 70 Kern), ἀφθιτόμητις (OF 66 Kern).
46 Forse un accenno in PDerv col. IX 4 Αἰθέρα. Cf. OF 2 Kern : Αἰθέρι πρωτόγονο[ς. Etere è anche nella triade cosmogonica di Damascio : OF 60 Kern.
47 Cf. Mazzarino (1983), 46.
48 L’aggettivo è epiteto di Olimpo in Il. XVIII 616. Nei poemi omerici è sempre riferito a montagne : Il. XIII 754 ; XX 385 ; Od. XIX 338.
49 Il. X 7 ; XII 279-280 ; XIX 357.
50 Il. XII 156-158 ; XV 170.
51 Il termine indica la coltre di neve : Il. X 7, 437 ; XII 278 ; XXII 152 ; Od. VI 44 ; XIV 476 ; XIX 205. In Il. X 7 χιών e νιφετόν sono attestati nello stesso brano ; in Il. XII 278 è usato il sintagma νιφάδες χιόνος : in Od. XIV 476 χιών è associato alla brina (πάχνη).
52 Il termine νιφάς si trova sempre in dipendenza di verbi di movimento : Il. XII 156 ; 278 ; XV 170 ; XIX 357. E’ in similitudine con ἔπεα in Il. III 222.
53 Od. VI 44.
54 Cf. Boisacq (1938) ; Chantraine (1968) ; Frisk (1973), s.v.
55 OF 60 Kern (= Dam., de princ. 123).
56 OF 1, 54, 56, 57, 60 Kern.
57 OF 192 Kern ; OH 19, 16 Quandt. Sullo sviluppo della metafora orfica cf. Gigante (1988), 11 ss.
58 Hes., fr. 68 M.-W.
59 OF 1 Kern (= Arist., Av. 693-702).
60 West (1983), 68 ss. Cf. le acute riflessioni di G. Scalera McClintock (1988), 139-149.
61 Arist., Nub. 252-266.
62 Arist., Nub. 265, 291. L’agg. σεμνός è riferito a Metis/Phanes in OF 65 Kern.
63 Arist., Nub. 238.
64 Le Nuvole sono associate a Chaos in Arist., Nub. 424. Il dio ha un ruolo importante nel pensiero orfico : OF 1, 24, 28, 29, 55, 56, 60, 66, 76, 79, 107, 359 Kern. Interessante anche la personificazione di ’Ομίχλη : Arist., Nub. 814. Cf. OF 262 Kern.
65 Arist., Nub. 248.
66 Arist., Nub. 270.