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La metempsicosi tra Orfeo e Pitagora

Giovanni CASADIO

0. Introduzione

« La métempsycose, ou la réincarnation, est invraisemblable et même dépourvue de sens. » Così sentenziava quindici anni fa Raymond Ruyer1, il profeta della « Gnosi di Princeton », che fra tutte le nuove religioni di stampo neo-gnostico è forse quella più affine all’antico pitagorismo2. Una dichiarazione di questo genere sarebbe parsa certamente assurda a un neoplatonico o, più in generale, a un qualsiasi intellettuale del III, del IV o del V secolo d.C., se è vero, come ci avverte il vescovo Nemesio di Emesa3, che tutti i Greci che all’epoca professavano l’immortalità dell’anima ϰοινῇ… τὴν μετενσωμάτωσιν δογματίζουσι, « fanno un dogma della reincarnazione ». La fede che si era insinuata nell’intelletto geometrico del primo rivoluzionatore della meccanica celeste, il pitagorico Filolao di Taranto, lascia freddi e distaccati se non sprezzanti i moderni seguaci di Newton. È questo un sintomo del fatto che uno scienziato moderno, per quanto « gnostico », ha sempre qualche scrupolo a lasciarsi guidare dall’esprit de finesse nelle regioni dove 1’esprit de géométrie non può seguirlo ?

Lasciamo aperta tale questione e retrocediamo all’epoca di Pitagora, la II metà del VI secolo a.C. È l’epoca — su questo tutti sono d’accordo — in cui si manifestano per la prima volta in Grecia le tracce di una credenza nella trasmigrazione delle anime. Ma quando si tratta di decidere a quale personaggio o a quale movimento tocchi l’onore di avere introdotto per primo tale ideología in Grecia, le opinioni divergono fortemente e gli studiosi scendono nell’arengo a battersi chi per il mitico Orfeo, chi per il favoloso Pitagora. Festugière (1936, 70), uno studioso che non ama le mezze misure, si pronuncia perentoriamente : « À la métensomatôse… aucun texte sûrement orphique ne fait allusion. Au contraire, cette doctrine est enseignée par Pythagore… » Wilamowitz (1932, 185), per il quale notoriamente una comunità religiosa orfica sembra non essere mai esistita, si pone a stento il problema e presenta invece una soluzione a priori che è conforme alla sua forma mentis saldamente idealistica e incline al culto dell’eroe : « Nur ein Denker von wahRR Bedeutung konnte der Seele, die bei den Ioniern zu der den Körper während des Lebens beherrschen den Kraft im Menschen geworden war, die Unvergänglichkeit zuerkennen und die Seele, weil sie dann anfanglos war, durch viele Körper wandern lassen : Pythagoras der Samier ». La forza d’urto esercitata dall’ultima parola del maestro ottuagenario fu tale che negli unici due lavori di un certo respiro dedicati alla dottrina della metempsicosi in Grecia (due dissertazioni che presentano i pregi e i difetti tipici di tal genere di pubblicazioni) gli Orfici finirono relegati nell’ultimo paragrafo dell’ultimo capitolo4 o addirittura in una breve Appendix dal carattere meramente polemico5. E d’altra parte uno studioso di ben altra esperienza come Solmsen (1982, 491), in un saggio ove schizza con brio simpatetico le traiettorie della metempsicosi da Crotone ad Alessandria, ha limitato il suo contributo a una nota, in cui semplicemente esterna il suo agnosticismo riguardo alla « specific contribution » degli Orfici alla dottrina in oggetto. Nella discussione che segue noi ci proponiamo di sfatare questo dogma della insondabilità delle dottrine orfiche sull’anima, più vicini in questo alla classica dottrina di Rohde che alla posizione di tanti autorevoli studiosi che lo hanno seguito.

Prima di abbordare l’analisi storico-filologica della documentazione sarà opportuno introdurre qualche riflessione d’ordine terminologico. A differenza di altri importanti concetti storico-religiosi, la nozione di metempsicosi non pone problemi di definizione. Dalla Grecia (dove ha raggiunto le realizzazioni più sofisticate nelle metafisiche di Origene e di Plotino) all’India (dove è radicata nella fede praticata dal popolo non meno che nei più sottili sistemi Samkhya) per metempsicosi si intende univocamente il passaggio (definito convenzionalmente migrazione o trasmigrazione) di un’anima da un corpo a un altro : passaggio che dà luogo a una sequenza o flusso o ruota (in greco kyklos, in sanscrito samsara, in ebraico gilgul) di nascita e di morte. Già vari studiosi hanno cercato di stabilire quali siano (nella visione greca) i pRRequisiti essenziali perché si possa oggettivare una credenza nella trasmigrazione delle anime e di fissare dei confini rispetto a fenomeni affini ma non coincidenti che riguardano del pari le funzioni e i destini delle anime (quali l’estasi e il volo dell’anima, la metamorfosi, la concezione dell’anima-doppio che — si pensi al mito del tizzone di Meleagro — può raggiungere forme vicine al nagualismo)6. Alla conclusione della nostra inchiesta noi ci prefiggiamo soprattutto di tracciare una tipologia delle manifestazioni della metempsicosi almeno nella sua accezione orfica. Per ora ci limiteremo a qualche considerazione d’ordine storico-semantico riguardo alle denominazioni greche di questo fenomeno7.

Allo stato attuale della documentazione sembra che fino al termine dell’epoca classica i Greci non abbiano sentito il bisogno di coniare un termine astratto per definire la trasmigrazione delle anime. Il poeta Pindaro e il non meno lirico Empedocle ricorrono alle più svariate circonlocuzioni, dalle allusioni velate alle descrizioni molto chiare come quella — fortemente concreta e fortemente antisomatica — contenuta nel verbo peristellein, « rivestire » (« di una estranea tunica di carni ») in fr. 31 B 126 D-K. Erodoto e Platone utilizzano giri di parole che richiamano in maniera più o meno esplicita il passaggio fisico di un’anima dall’uno all’altro corpo. Lo storico preferisce avvalersi di un verbo estremamente concreto come eisdynein o eisdyesthai, precisando che l’oggetto in cui « penetrare » è un corpo (soma) o un essere vivente (zoon) (v. infra, l.B.l). Il filosofo ricorre di preferenza all’espressione assai evocatrice palin gignesthai (v. infra, l.B.2.3.4 e passim). Nella tradizione platonica il termine prevalente sarà dunque palingenesia, che sembra anche quello attestato più anticamente. Dopo Varrone (g. pop. rom., fr. 4, Peter = Aug. civ. d. XXII, 28 : ma qui si tratta propriamente di palingenesia nel senso di « resurrezione » della stessa anima nello stesso corpo) incontriamo questo termine in senso classicamente platonico soprattutto in Plutarco (v. Is.Os. 33, p. 364 f e infra, 1.B.5).

L’espressione metempsychosis compare per la prima volta in Diodoro (X,6,l) ed è anche la prima volta (un po’ tardi dunque) che il nome di Pitagora è inequivocabilmente associato col dogma della metempsicosi. L’etimologia di questo termine ha dato luogo a una serie di equivoci. A partire dall’osservazione casuale di un neoplatonico del VI secolo (che è stata forse male interpretata) si è venuta formando una certa idea, che è stata accreditata dagli interventi di alcuni autorevoli specialisti. Secondo Olimpiodoro (in Phd., p. 54 Norvin = p. 135 Westerink) il termine metempsychosis non sarebbe corretto « perché non abbiamo molte anime che ‘informano’ un corpo, bensì un’anima che riveste diversi corpi ». Stettner (1934, 4), convinto che tale termine alludesse all’inserzione di qualcosa nell’anima, almanaccò le spiegazioni più incredibili. Kerényi (1950, 24) formulò in termini inequivocabili quello che era ed è tuttora il pensiero dei più : « M. bedeutet ja die Wiedergeburt in einer neuen Seele », ma non si comprende in quale mondo religioso avesse rintracciato tale arcana credenza. L’oculato von Fritz (1957, 89, n. 1), levando alte proteste contro l’insana tendenza di certuni a reinventare la teologia greca, si mostrò invece assai disposto a riformulare le leggi che regolano la formazione dei nomi in greco antico. A suo dire, i Greci dell’età ellenistica che coniarono il termine metempsychosis « had no longer the fine feeling for the rules of word formation in their own language that is characteristic of Homer » (le malformazioni linguistiche sarebbero tipiche delle epoche in cui si verifica un incremento del pensiero astratto !). Non è il caso di addurre altre « perle ». Basti dire che metempsychosis non deriva direttamente da psyche e soprattutto non designa l’inserimento di alcunché nell’anima. M. si è formato a partire dal verbo empsychoo, « animare » (che è a sua volta collegato, attraverso empsychos e psyche al verbo psycho, « soffiare »), cui è stato aggiunto il preverbio meta (lat. trans) denotante non solo il cambiamento ma anche la successione o ripetizione e il suffissale -sis denotante l’azione astratta : un processo che non trasgredisce in nulla le leggi della linguistica greca. Il significato originario (corrispondente poi a quello storicamente consolidato) di m. è dunque quello evidente di « réinsufflation d’une âme (dans un nouveau corps) »8. Non si tratta di una precisazione che interessa solo la storia della lingua. Anche per la storia della cultura è importante rilevare che la cosiddetta « trasmigrazione delle anime » (ted. Seelenwanderung) è stata storicamente e originariamente concepita come una reinsufflazione delle anime, come un « soffiar dentro », un « inalare » lo spirito vitale, altrimenti definito, con un termine semanticamente affine anche a partire dall’etimo, pneuma.

Il termine metensomatosis, che tanto piace ad Olimpiodoro e agli attuali puristi, è in realtà un conio tardo (non sembra attestato che nel II sec.d.C., con Celso e Clemente Alessandrino) : esso traduce propriamente il concetto di « reincorporazione » più che quello di « reincarnazione ». L’uso di tale termine, che è prediletto da Plotino e dai suoi seguaci, ma soprattutto da Origene e dai Padri della tradizione origeniana — più platonisti dello stesso Platone —, tradisce la presenza di preoccupazioni antisomatiche, in chiave gnostico-encratita.

1. Analisi delle fonti

A. Testimonia di epoca classica relativi a Orfeo, in cui è fatto implicito accenno alla metempsicosi

A.l. La tematica orfica del soma-sema e del soma-phroura attestata in tre luoghi di Platone e in un luogo di Filolao (= fr. 7 e 8 Kern)

I due frammenti 7 e 8 Kern sono in realtà testimonianze che riproducono con estrema chiarezza la lettera e lo spirito della dottrina cardine dell’Orfismo9. Filolao e Platone dichiarano dunque che « gli antichi teologi e indovini », appartenenti « alla cerchia di Orfeo » hanno uno hieros logos mistico, dal quale risulta che la psyche (la quale, per i Greci del V sec. è ad un tempo la forza vitale e l’essenza spirituale dell’uomo) è straniera al soma, del quale è ospite coatta e coartata. Il corpo, in altre parole, è come un recinto, una gabbia, una prigione, una tomba (metafore che esprimono con gradazione diversa lo stesso concetto) che circonda e opprime l’anima, la quale, per esprimere la sua vera realtà, deve sciogliersi dalle catene corporee e assurgere a quel genere di vita cui allude Euripide (Hipp. 191) con la formula τοῦ ζῆν φίλτερον ἄλλο. A questo punto si pone un problema. In una Weltanschauung di questo tipo, che prevede una punizione dell’anima, in qualche modo colpevole, con la sepoltura o l’incarceramento nel corpo, è concepibile che l’anima non debba subire anche una catena di reincorporazioni e di conseguenza un ciclo di rinascite ? È possibile che un’anima riesca a « pagare » (ektinein) tutti i suoi « debiti ? (τὰ ὀφειλόμενα) durante una sola vita, con una sola incarnazione ? E inoltre, la pena che l’anima deve scontare (δίϰην διδόναι) è in relazione solo con una caduta primordiale o non anche con colpe più attuali commesse durante una precedente incarnazione10 ? Si tratta di interrogativi ineludibili, ai quali una minoranza di studiosi tra i più avvertiti11 ha dato l’unica risposta coerente col complesso della documentazione : per gli Orfici l’anima affronta un ciclo di rinascite, ritornando dopo la morte in un altro corpo, per subire un processo di purificazione12.

Una tale visione fortemente negativa del soma è attestata almeno un secolo prima dei grandi dialoghi di Platone e proprio in riferimento a personaggi denominati orphikoi. Se con J. Vinogradov (v. infra in questa stessa opera) si legge nella tavoletta di Olbia 3 recto pseudos prima di aletheia e soma prima di psyche, ai nostri occhi si presenta un quadro convincente della mentalità di questa comunità orfica della I metà del V secolo a.C. Per gli Orfici di Olbia il corpo sembra identificarsi con la « menzogna », cioè un ingannevole velo di maya, mentre l’anima si presenta come « verità », cioè realtà ultima. Non so se questo basti per dimostrare che gli Orfici di Olbia credevano alla rinascita delle anime13. In ogni caso il singolare diagramma tracciato nella tavoletta riflette una visione del rapporto tra l’anima e il corpo che è già nettamente dualistica e antisomatica. E la presenza costante di Dioniso nelle tavolette (in un contesto che appare quello di una comunità di misti più che di un collegio filosofico di seguaci di Eraclito) sembra dimostrare che il mythos prevale ancora sul logos, che il tutto è calato nelle forme di un culto religioso.

A.2. Il fr. 27 Kern, dal de anima di Aristotele

Aristotele leggeva nei « cosiddetti canti orfici » un logos che egli riferisce quasi testualmente. « L’anima — dice — penetra dall’universo negli esseri quando respirano, portata dai venti ». Temistio, nel commento a questo luogo di Aristotele (p. 35, 17, Heinze), precisa che « gli esseri viventi ricevono l’anima alla prima respirazione ». Questa è chiaramente una concezione di empsychosis : secondo gli Orfici l’anima è soffiata dentro (empsychousthai) il corpo di ogni essere vivente col primo respiro all’atto della nascita. Essa dunque preesiste al corpo e gode di un’esistenza autonoma da esso. Si può dedurre da questo frammento anche una concezione di metempsychosis ? Non necessariamente14. Perché si dia una migrazione dell’anima da corpo a corpo bisogna immaginare che l’anima, uscita dal corpo di un defunto o dall’Ade dove ha subito una prima purificazione, si attardi negli inframondi dell’universo, per entrare infine, sospinta dai venti, in un soma « corrispondente al di lei grado di raffinamento »15 ed ivi subire un’ulteriore catarsi. E’ proprio l’abbinamento dalla test. A 2 con la test. A 1 che ci dà la quasi certezza che gli Orfici credevano al dogma della metempsicosi. Se il corpo è per l’anima uno strumento di timoria e kolasis, una sola ensomatosis certamente non basta per garantire l’espiazione dei molti peccati di cui l’anima ha subito il giogo. I venti diventano in questo modo strumenti di una legge cosmica (v. test. B 4), inalando con impeto irresistibile le anime recalcitranti nei più diversi somata.

Dal commento di Filopono a questo luogo (p. 186, 24, Hayduck) apprendiamo che lo stesso Aristotele, nei libri « Intorno alla filosofia » (fr. 7, Rose = Ross) attribuiva i poemi esametrici di Orfeo ad Onomacrito (test. 188, Kern)16. Il floruit del famoso cresmologo ateniese si colloca verso il 527 (inizio della tirannia dei Pisistratidi). Abbiamo dunque un termine ante quem per datare la « scoperta dell’anima » e delle sue vicende da parte dei circoli orfici ateniesi. Nella stessa época, un’analoga « scoperta » si verificava in Magna Grecia per iniziativa di Pitagora di Samo.

Strettamente collegata con la vicenda delle anime è la prassi dell’astensione dagli empsycha (test. 213, 90 e 212 Kern, dovute ad Euripide, Aristofane e Platone), il cosiddetto bios orphikos. Che Euripide e Platone alludano al regime vegetariano degli Orfici usando costantemente frasi del tipo « cibarsi di apsycha », « astenersi da empsycha » non sembra un fatto casuale. Le anime, come abbiamo visto, entrano in tutti gli esseri viventi (zoa) e chi è vivente è « dotato di anima » (empsychos). Per non cadere nel cannibalismo è lecito cibarsi solo di apsycha, di esseri cioè « senz’anima » e « senza vita ». Sappiamo da altre fonti (Diod.X,6,l) che « Pitagora », secondo i Pitagorici del I sec.a.C, avrebbe introdotto il divieto del consumo delle carni, collegandolo espressamente col dogma delle migrazioni delle anime πάντων τῶν ζῴων… μετὰ θάνατον εἰς ἕτερα ζῷα. Sembra pertanto indiscutibile che anche gli Orfici stabilissero un collegamento tra le vicende della loro anima, soggetta alle più diverse incorporazioni per restaurare la propria perduta purezza, e la loro dieta che era lo strumento essenziale per tenere l’anima al riparo dalle intemperanze di un corpo riottoso. La pratica vegetariana in sé e per sé non è necessariamente collegata alla concezione dell’anima trasmigrante, sia in un contesto di religiosità etnica, sia nel caso di una fede con motivazioni personali di tipo filosofico17. Quando perὸ vegetarianismo e metempsicosi sono attestate parallelamente nello stesso ambito religioso, come nel caso dell’orfismo e del pitagorismo, risulta difficile interpretare la prassi ascetica come un fenomeno a sé stante, distinto dalla visione generale del mondo18.

B. Testimonia relativi alla metempsicosi in cui Orfeo o gli orphika sono implicitamente richiamati

B.1. Erodoto, II, 48-49.81.123

Nel cap. 123 del II libro delle Storie di Erodoto la dottrina della metempsicosi è documentata per la prima volta in Grecia da parte di un testimone esterno (e non da un adepto, come nel caso di Empedocle e — con diversa tensione — di Pindaro). Dunque, questa notizia è di importanza fondamentale e dovrebbe risolvere ogni interrogativo sulle origini, se non si interrompesse nel momento decisivo. « Gli Egiziani dicono che Demetra e Dioniso dominano sugli Inferi. E furono essi i primi ad affermare che l’anima dell’uomo è immortale e che, al perire del corpo, penetra (esdyesthai) in un altro degli esseri che nascon via via. E quando li abbia passati tutti, terrestri, marini e volatili, di nuovo penetra (esdynein) nel corpo di un uomo ; e questa peripezia per essa si compie in tremila anni. Ci furono dei Greci che seguirono questa dottrina, affermandola come loro propria, alcuni prima (proteron), altri dopo (hysteron). So i loro nomi, ma… non li scrivo ». Il fatto che Erodoto incorra in notevoli equivoci19 nei riguardi dell’escatologia egiziana non ci concerne in questa sede : gli egittologi si sono da tempo pronunciati al riguardo20. Quello che vorremmo sapere, e che Erodoto ci invidia, è chi sono per lui gli « antichi » e i « recenti » assertori greci della metempsicosi. Si è tradizionalmente propensi a credere che con οἱ μὲν πρότερον egli alluda a Pitagora (o Ferecide) e ai suoi primi seguaci e con οἱ δὲ ὕστερον a Empedocle21. Ma se si collega la testimonianza sulla metempsicosi con quella sul tabu della lana22, nel cap. 81, si intravede abbastanza chiaramente qual è il pensiero di Erodoto : i primi sono i « cosiddetti Orfici », i secondi i « Pitagorici »23. Questa interpretazione24 trova una inaspettata conferma se si presta l’attenzione che merita al contesto di cap. 123. Erodoto fa precedere il logos sui destini dell’anima da una notizia concernente la sovranità di Demetra (Iside) e di Dioniso (Osiride) negli Inferi. Sembra dunque che la questione dell’immortalità e della migrazione dell’anima sia direttamente collegata al culto di queste due divinità catactonie. Naturalmente, se questo vale per l’Egitto, ciò vale ancora per di più per la Grecia. Quando parla di Osiride, Erodoto pensa inevitabilmente a Dioniso ; ed è probabile che egli abbia introdotto un tema di escatologia greca proprio perché questa è strettamente collegata al culto di questo dio25. Orbene, lo stesso Erodoto, nel cap. 49, afferma che a introdurre in Grecia dall’Egitto il culto di Dioniso fu Melampo, ma che in seguito esso fu teologicamente interpretato da personaggi che egli denomina οἱ ἐπιγενόμενοι τούτῳ σοφισταί. Melampo è figura dionisiaca e apollinea a un tempo, esattamente come Orfeo. Erodoto non sembra nutrire molta simpatia per quest’ultimo. Sappiamo invece da Diodoro (= test. 96 Kern) e da Plutarco, cit. da Teodoreto (= test. 103 Kern), che secondo un’altra tradizione fu il tracio Orfeo a operare il sincretismo tra Osiride-Iside e Dioniso-Demetra, sul piano, precisamente, delle dottrine escatologiche. Da tutto questo accavallarsi di tradizioni un dato emerge sicuro : i sophistai, cioé i teologi greci che elaborarono le teorie sull’anima, sono personaggi « orfici »26, cioé catarti coinvolti nel movimento religioso provocato dalla dialettica di Dioniso e di Apollo, sia che essi si richiamino direttamente alla tradizione che faceva capo all’eroe Orfeo, sia che preferiscano considerare come loro capostipite Melampo, eroe più genuinamente greco, anzi peloponnesiaco.

B.2. Platone, Men. 81 ab

Il Menone non è dialogo di facile datazione. Non sembra comunque che si possa risalire a prima del 387, data del primo viaggio di Platone in Italia e Sicilia, proprio perché l’introduzione di terni come l’immortalità e la reincarnazione dell’anima, nonché di discussioni matematiche, sembra far presupporre il contatto con le comunità pitagoriche27. Quaranta, cinquant’anni dopo la prima menzione di Erodoto, abbiamo dunque un’altra precisa descrizione ab extra dell’alterna vicenda delle anime migranti. Socrate esordisce così : « Io ho sentito dire da uomini e da donne sapienti nelle cose divine, … sacerdoti e sacerdotesse, quelli a cui stava a cuore saper rendere ragione del proprio ministero (e quelle stesse cose dice anche Pindaro e molti altri poeti, i poeti divini), … che l’anima umana è immortale, e che ora essa ha un suo compimento — il che si dice morire —, ora rinasce (palin gignesthai), ma che mai essa va distrutta. Per questo motivo, bisogna vivere la vita il più santamente possibile. »

Dopo le testimonianze che si sono esaminate (in particolare A1) non dovrebbero sussistere molti dubbi sul fatto che gli operatori religiosi cui Platone fa qui riferimento sono assimilabili agli Orphikoi che praticano i Bioi e considerano il corpo prigione dell’anima28. Solo un partito preso può indurre il solito Long (1948), 68-69 a sostenere che si tratta di « members of Pythagorean societies », puntando sul fatto che queste ultime ammettevano la partecipazione di donne (ma certamente in quanto filosofe, non in quanto sacerdotesse). E’ un fatto che Platone ricorda una sola volta Pitagora, in resp. X, 600 a, e come « maestro di vita » (ἡγεμὼν παιδείας), non come ideologo dell’anima. Invece, è evidente che in questo luogo il filosofo fa riferimento a un mondo dominato da preoccupazioni esclusivamente religiose, e precisamente da quell’ossessione per il mantenersi santi e puri (hosioi) che è típicamente orfica. Il fatto poi che egli adduca come referente mitico-poetico il celebre frammento di treno pindarico (133 Snell-Maehler) col cenno all’espiazione (poina) dovuta a Persefone ci riconduce di nuovo in un ambito di sophia mistica, non senza una probabile allusione alla vicenda titanica e dionisiaca dell’anima29. Se tutto ciò non bastasse, è lo stesso Platone che nell’opera della vecchiaia (Leg. IX, 870 de) chiarisce senza possibilità di equivoco quai è il suo pensiero sulle origini della teoria catartico-palingenetica dell’anima : si tratta di un dogma di fede, di uno hieros logos presentato da ferventi professionisti del sacro ἐν ταῖς τελεταῖς30.

B.3. Platone, Phaed. 70 cd ( = fr. 6 Kern)

Nel dialogo della maturità, Platone definisce la metempsicosi in questo modo : « Esistono colà [cioè negli Inferi] anime giuntevi di qui, e di là nuovamente ritornano qui e si rigenerano da morte che erano. Dunque i vivi si rigenerano (palin gignesthai) dai morti ». Fonte di questa dottrina è, secondo Socrate, un palaios logos. Inutile fare l’elenco dei passi del Fedone in cui Socrate ricorre a questa espressione tecnica : in tutti i casi è implícitamente o esplicitamente accennato a dottrine di pertinenza orfica. O. Kern ha inserito questo testo nella serie dei fragmenta veteriora in virtù della testimonianza di Olimpiodoro (« orfico e pitagorico »). Ma è il contenuto stesso (identico a quello di B.2)31 che giustifica di per sé tale inserimento.

B.4. Platone, Phaedr. 248 cd, ktl. (= fr 20 Kern)

Se c’è un dialogo di Platone che può disputare al Fedone la palma dell’orfismo (anche se Orfeo non è mai citato), questo è il Fedro. Nei capp. 28-29 l’ideologia orfica appare in prima linea. Quando l’anima, in conseguenza di un qualche « incidente » (syntychia), si appesantisce e perde le ali, cade sulla terra e ivi è sottoposta a una serie laboriosa di reincarnazioni32. Orbene, il processo migratorio delle anime è sottoposto al controllo inesorabile della « legge di Adrasteia » (analogamente, nel X della Repubblica la direzione suprema è nelle mani di Ananke). Adrasteia, personificazione, più che della « Necessità » (= Ananke), della « Ineluttabilità », è un’ipostasi della Nemesi divina, a cui nessuno può sfuggire. Prima di diventare la proverbiale punitrice di ogni paventata hybris dell’umanità nei confronti degli dei (Aesch. Prom. 936 ; Pl. Resp. 451 a ; Dem. XXV, 37), Adrasteia fu probabilmente una divinità con un ruolo cospicuo nelle rapsodie orfiche, dove interviene sia come entità cosmogonica (fr. 54 Kern), sia come paredra di Zeus, probabilmente in compagnia di Dike (fr. 23 Kern)33. Questo è certamente un piccolo indizio ; ma, di nuovo, è il tenore stesso di questo hieros logos (congruente con A 1, B 2, B 3) che ci autorizza a versarlo nel dossier orfico.

B.5. Plutarco, de esu car. I, 7, 996 W. (= fr. 210 Kern, p. 231)

Plutarco è un esponente oltremodo genuino della tradizione platonica e anche un fedele interprete della tradizione orfica, alla quale sembra legato da un rapporto ben più profondo di quello che intercorre di solito tra un erudito e i suoi materiali. In effetti, la sua opera, non diversamente da quella di Platone, diventa spesso, anche nei luoghi più impensati34, cassa di risonanza della tematica orficobacchica. Verso la fine del primo dei due trattati ove espone i motivi che dovrebbero distogliere l’umanità dall’uso delle carni animali, Plutarco introduce, con una certa esitazione dovuta forse allo scrupolo religioso35, una giustificazione di base (ἀρχὴ τοῦ δόγματος) di tipo mistico, che egli definisce « grande e misteriosa e, come dice Platone, incredibile per uomini deinoi e dagli intelletti mortali ». La dottrina addotta è quella del corpo-prigione, strettamente collegata a quella della metempsicosi, ed egli l’illustra citando alcuni versi di Empedocle (non in D-K, dove dovrebbe stare un rimando almeno nella sez. A), purtroppo caduti dai manoscritti ma il cui tenore è facilmente immaginabile. Le colpe per le quali le anime scontano la pena (δίϰην τίνειν) con l’ensomatosis o incorporazione sono l’assassinio, la sarcofagia e l’allelofagia : fin qui Empedocle. A questo punto Plutarco manifesta la sua natura di teologo orfico-platonico e/o storico delle religioni avant la lettre. L’antropologia di Empedocle — egli pensa — non è nata ex nihilo. « In realtà, questa dottrina sembra anche più antica (palaioteros). Infatti, gli incidenti leggendari relativi allo smembramento di Dioniso, le violenze oltraggiose dei Titani e le loro punizioni e le folgorazioni dopo il pasto cannibalesco, tutto questo è un mito che nel suo recondito significato ha a che fare con la palingenesia [cioè con il ciclo delle rinascite punitive]. Invero, quel che di irrazionale, di disordinato e violento, di non divino bensì demoniaco che è in noi, gli antichi [di nuovo palaios !] lo chiamarono ‘i Titani’, con riferimento a quegli esseri che sono puniti e scontano la pena… »36 Il cannibalismo dei Titani37, antenati dell’umanità, è dunque la colpa antecedente che fonda nel mito il dogma orfico dell’incarcerazione dell’anima nel corpo e del conseguente ciclo di reincarnazioni38. Se si esamina la testimonianza di Plutarco senza preconcetti e alla luce delle precedenti testimonianze, difficilmente si potrà continuare a sostenere che il collegamento tra mito dionisiaco e dogma orfico è opera dei neoplatonici, mentre resta inverificata l’ipotesi (più volte affacciata) che esso risalga a una tradizione interna all’Accademia (Senocrate) piuttosto che alla genuina spiritualità orfica.

B.6. Plutarco, cons. ux. 10, p. 611 de W

Nella lettera consolatoria alla moglie per la morte della figlia Timossena, Plutarco presenta gli argomenti tradizionalmente addotti per abbellire la condizione dei defunti nell’aldilà. Verso la fine, trattandosi di materia teologica di alta rilevanza, egli rintuzza il nichilismo degli Epicurei, adducendo « il logos avito e i symbola mistici pertinenti agli orgiasmoi dionisiaci, la fede nei quali ci unisce ». In che cosa consiste questa fede mistica e tradizionale ? Nel credere che l’anima è « immortale ma soffre come un uccello in gabbia ». Sopravvenuta la morte (cioè la fuoriuscita dalla gabbia-prigione), l’animauccello, ormai assuefatta e quasi affezionata per lunga convivenza alla sua antica gabbia corporea, « giunto il momento, quasi balzando, rientra in un corpo e non cessa né rinuncia ad immischiarsi con le passioni e le vicende di questo mondo attraversando une serie di rinascite ». Plutarco, di nuovo, dimostra di conoscere assai bene lo hieros logos che è alla base della fede (arche) e della speranza (telos) mistica. E si rivela anche, lui non meno della consorte39, come un adepto di quei misteri orfico-dionisiaci dei quali più di un interprete si è studiato di negare la realtà40. Inutile rilevare il ruolo essenziale della metempsicosi anche in questa occasione, una metempsicosi ancora una volta collegata alla concezione del corpo come prigione41.

C. Documenti di culto funerario in cui è attestata la metempsicosi secondo i modi di una religiosità misteriosofica coincidente con la dottrina orfica

C.l. Laminetta d’oro da Turi del IV-III sec.a.C. (fr. 32c Kern = A 1 Zuntz = 4 A 65 Colli)

Che nella laminetta più lunga e meglio conservata delle tre provenienti dal « Timpone piccolo » sia fatto espresso accenno al dogma della metempsicosi nessuno l’ha mai dubitato. In effetti, la frase « volai via dal cerchio che dà affanno e pesante dolore », con l’uso del termine tecnico kyklos42, non lascia aperta la strada ad altre interpretazioni : la vita dell’anima sulla terra è concepita come una dolorosa catena di reincarnazioni. Il problema semmai, da sempre, è stato quello di decidere a quale mondo religioso siano da ascrivere queste laminette : se a quello eleusino43, se a quello pitagorico44, o se sia invece il caso di continuare a parlare di laminette orfiche (od orficopitagoriche). Essendo ormai quest’ultima l’opinione comunemente accettata45, non staremo a valutare la serie di argomenti (schiaccianti) che inducono a classificare le laminette di Turi della serie A come orfiche o, più precisamente, orfico-bacchiche (senza escludere che gli stessi Pitagorici abbiano condiviso in tutto o in parte le dottrine escatologiche che vi sono attestate)46. Vorremmo solo richiamare l’attenzione su un dato che non è stato finora sufficientemente valorizzato. La metafora dell’anima-uccello che s’invola dalla gabbia corporea è usata da Plutarco (cf. B 6) in un contesto che è inequivocabilmente orfico-dionisiaco — nonché in una serie di testi ispirati a un ethos analogo47 — prima di divenire un cliché retorico della seriore letteratura misticheggiante. Orbene, nel verso cit. della laminetta di Turi, per esprimere l’idea dell’involarsi dell’anima liberata si usa proprio il verbo exiptesthai (o ekpetesthai), che litteralmente esprime proprio lo spiccare il volo che è proprio degli uccelli. Ecco dunque un filo che lega — sul piano del simbolismo e del linguaggio religioso — un testo « anonimo » (Turi) a un altro (Plutarco) che « anonimo » non è48.

C.2. Epigrafe su stele funeraria da Panticapeo (I sec.a./d.C.)

Verso la fine del sec.I a.C. (o forse d.C)49, un certo Ecateo, cittadino di Panticapeo, colonia di Mileto in Crimea (non lontano dunque da Olbia, altra colonia di Mileto), fu sepolto con una stele in cui una semplice scultura era accompagnata da un’iscrizione funebre benaugurante costituita da due distici elegiaci. L’interpretazione dei primi due versi dell’epitaffio ha dato luogo a un istruttivo dibattito tra due dei massimi interpreti della storia culturale dell’antichità50 e sembra tuttora aperta. Del tutto esplicito ci sembra invece il senso dell’ultimo verso : « (sappi che tu più rapidamente) sei sfuggito alla ruota (kyklos) delle penose calamità. » Nonostante le obbiezioni sollevata da Nock (1940), 506-507, non pare che kyklos possa essere interpretato altrimenti che come « ruota delle nascite », nascite che sono appunto concepite come pesanti calamita (kamatoi)51. Proprio come nalla formula strettamente analoga usata nella laminetta di Turi, la vita è sentita come un male che ritorna con ciclica ossessione52.

La presenza di un adepto della spiritualità orfica nel regno bosforano dei Mitridati, in un epoca in cui così scarse sono le tracce di un qualsivoglia culto collegato al nome di Orfeo (c’é un buco cronologico tra le ultime testimonianze di epoca ellenistica [test. 205, 206, 207, 208 Kern] e la prima d’epoca imperiale [test. 209 Kern]), può certo paRRe sorprendente53. Comunque, sia che si tratti di una vera e propria attestazione di fede iniziatica, sia che siamo semplicemente in presenza di una traccia di « greek popular morality », forse influenzata dalla rinascita coeva della filosofia pitagorica, l’epitaffio di Panticapeo testimonia di una visione del mondo che può essere definita « orfica » in senso largo.

D. Frammenti delle rapsodie attribuite ad Orfeo dai neoplatonici, in cui la metempsicosi è esplicitamente attestata

Con le testimonianze di questo gruppo giungiamo finalmente a quello che può essere definito l’orfismo in senso stretto. Ma nonostante tutti i tentativi, anche recenti e assai raffinati54, gli hieroi logoi in 24 rapsodie non possono essere datati con sufficiente certezza : una data probabile deve oscillare tra il I sec.a.C e il II sec.d.C. Esistono dunque fondati motivi per dubitare che tutto quanto si trova negli orphika citati dai neoplatonici del III, del IV, del V, del VI sec. d.C. corrisponda all’orfismo classico del VI-IV sec.a.C. I frammenti in cui la metempsicosi è documentata senza possibilità di dubbio sono tutti citati da Proclo, che scrive nel V sec. (salvo uno, che risale a Simplicio e dunque al VI sec.). Non intendendo scrivere un trattato sulla metensomatosi come era sentita dai neoplatonici e in particolare da Proclo55, ci limiteremo a dare la traduzione dei tratti pertinenti, aggiungendo nelle note la bibliografía relativa.

D.1. Fr. 222 Kern

Proclo, dopo aver citato i versi in cui Orfeo descrive il premio dei giusti nell’Elisio e le pene degli empi nel Tartaro, osserva che Orfeo ha anticipato la dottrina di Platone riguardo all’oltretomba, « come anche i regolamenti della metempsicosi »56.

D.2. Fr. 223 Kern = 4 B 64 Colli

Proclo cita alcuni versi di Orfeo che dimostrano come il destino delle anime degli animali morti (che restano nell’aria finché il vento non Ie insuffli nel corpo di un altro essere vivente) è diverso da quello delle anime degli uomini che dopo la morte sono condotte nell’Ade per essere purifícate e punite. Dunque, per Orfeo come per Platone, esistono anche animali le cui anime non sono di origine umana57.

D.3. Fr. 224 Kern = 4 B 65 Colli

Nel passo di Proclo che precede i due frammenti riassunti in D.1 e D.2 sono finalmente citati i versi di Orfeo che descrivono le procedure della migrazione dell’anima nei diversi corpi, « secondo i cicli cosmici (periodoi) ». Dopo avere citato tre versi in cui si dà conto implicitamente della « migrazione (metoikisis) a partire da corpi umani verso altri corpi umani », il filosofo aggiunge sei versi di Orfeo quanto mai espliciti : « Poiché l’anima degli uomini, secondo cicli di tempo, passa con vicenda alterna negli animali, dall’uno all’altro, talora diviene un cavallo, talora une pecora, ecc. »58.

D.4. Fr. 229 Kern = 4 B 66 Colli

La « salvezza unica » dell’anima, secondo Platone, consiste nell’uscita dal « ciclo della genesis ». E’ la stessa salvezza a cui anelano, secondo Orfeo, gli iniziati di Dioniso e di Core : « desistere dal ciclo e prendere fiato dalla miseria »59.

D.5. Fr. 230 Kern

Leggermente variato nella forma, ma identico nella sostanza, lo stesso verso è citato un secolo dopo da Simplicio, come paradigma mitico della « ruota (trochos) dell’eimarmene e della genesis, in cui il demiurgo ci ha imprigionati »59.

D.6. Fr. 231 Kern

Diversamente dal mito platonico di Er, secondo Orfeo, le anime devono attendere 300 anni prima di uscire dai luoghi sotterranei di punizione per « ritornare nel mondo della genesis »60.

Non c’è nulla in queste testimonianze o in questi frammenti che possa contraddire l’immagine della trasmigrazione delle anime quale ci è nota attraverso i materiali raccolti nelle sezioni A, B e C. Naturalmente ciò non prova nulla riguardo alla date di questi orphika. Si può dunque, sulle tracce di Wilamowitz, cercare in essi echi e contaminazioni di Pitagora, Empedocle, Platone e Aristotele. Ma si può anche, seguendo la strada aperta da Rohde (e seguita soprattutto da Kern e da Ziegler), immaginare che essi, o piuttosto il prototipo da cui essi dipendono, abbiano offerto il modello e l’impulso alle grandiose fantasie di Empedocle, di Pindaro e dello stesso Platone.

2. Questioni sull’origine e la tipologia della metempsicosi di carattere orfico

La teoria della metempsicosi, specialmente nella versione che comporta il passaggio dell’elemento vitale dell’uomo in corpi animali o addirittura vegetali, è stata spesso — se non sempre — sentita come un corpo estraneo inseritosi quasi abusivamente nella cultura greca. Per spiegare l’insorgere di questa visione, che rischia di ridimensionare notevolmente l’antropocentrismo caratteristico dell’ethos ellenico, si è fatto ricorso all’ipotesi maldestra dell’importazione. L’Egitto, ove è diffusa l’idea del passaggio, ovvero della metamorfosi, di certe anime in certi animali a morte avvenuta, è apparso agli occhi di Erodoto (v. 1 B 1) il luogo ideale per collocarvi l’origine dell’idea di metempsicosi ; ma in realtà la visione egiziana della vita post mortem è notevolmente aliena dall’ospitare tale concezione61. Rohde (18982), 464-467, riconobbe nella Tracia il probabile luogo di origine di questa credenza, associata « al culto di Dioniso » : ma dai passi di Erodoto (IV, 95) e di Euripide (Hec. 1266-1269) addotti non si può inferire che i Traci professassero la migrazione delle anime in epoca anteriore alle prime attestazioni greche62. Nessun dubbio invece sul fatto che la metempsicosi è attestata in India fin dall’inizio del VI secolo (ma non prima) : nelle Upanishad, nel Giainismo, nel Buddismo (il floruit di Buddha coincide con quello di Pitagora e di Onomacrito). Un certo numero di studiosi è dunque ancora propenso a credere che la metempsicosi sia arrivata in Grecia dall’India, direttamente o attraverso l’Iran63. Ma a parte le notevoli diversità tipologiche tra la concezione greca e quella indiana64 e le incertezze sugli eventuali contatti tra la valle dell’Indo e l’Egeo nel VI sec. a.C.65, qualora si accetti l’idea che la fede nella metempsicosi si sia venuta formando progressivamente nell’ambito della religiosità apollineodionisiaca e non sia stata introdotta ex abrupto dal versatile Pitagora, viene meno la necessità di cercare radici lontane per l’insorgere di un fenomeno che in Grecia trovava già una humus ideale (vero è che la distanza della gnosi upanishadica dal politeismo vedico non è inferiore a quella che intercorre tra il politeismo omerico-esiodeo e la misteriosofia orfica)66. Se un influsso si deve cercare, l’unico che sembra documentato in una certa misura dalle stesse fonti greche è quello dello sciamanesimo originario delle steppe centroasiatiche : ma in questo ambiente non troviamo un’ideologia della migrazione delle anime pienamente articolata, bensì quello che sembra esserne il presupposto storico-psicologico fondamentale : l’idea dell’escursione dell’anima durante l’esperienza onirica o visionaria67.

Una concezione delle vicende dell’anima come quella che ci è testimoniata per la prima volta nella Grecia del VI secolo presuppone infatti l’esistenza di tre dogmi fondamentali concernenti il rapporto tra le anime e i corpi : 1) l’anima preesiste e sopravvive al corpos ; 2) l’anima può assentarsi dal corpo ; 3) l’anima rappresenta l’elemento personale, l’Io di ogni individuo, « der als Träger seiner Lebenskraft, seines Empfindens und seines Bewusstseins vom Körper unabängig zu denken ist »68. Queste tre caratteristiche dell’anima sembrano presenti in Grecia a partire dal VI secolo : per l’epoca precedente il campo resta aperto alle ipotesi69. La credenza nella preesistenza e immortalità dell’anima non comporta necessariamente la credenza in successive rinascite. Per la preistoria della metempsicosi essenziale è il punto due, in quanto il viaggio estatico dell’anima è esplicitamente documentate nelle leggende di Aristea di Proconneso e di Ermotimo di Clazomene70. Altri fenomeni e altre concezioni possono essere correlati all’origine dell’idea del metangismos (« travaso » : altro termine tecnico per metempsicosi) dell’anima in vari corpi71, ma nessuna di queste eventuali Vorstufen può essere collegata con una certa sicurezza a fatti greci storicamente accertabili. Infine, il fatto che la psyche, nonostante i non incoraggianti precedenti omerici, si sia sicuramente affermata come il centro delle funzioni vitali dell’individuo è certo da mettere in rapporto con il diffondersi della dottrina (risalente ai naturalisti ionici : da Anassimene a Diogene di Apollonia) che vede nell’aer (del quale la psyche è consustanziale : 13 B 2 D-K) la fonte della vita negli esseri animati e nel cosmo72.

Ma la metempsicosi, almeno nella sua manifestazione greca e « orfica », non ha nulla di automatico, non consiste in un semplice e anodino « travaso » dell’essenza vitale attraverso più recipienti corporei. Non si tratta, per l’anima, di fare una crociera, scegliendo a piacere i luoghi dove fare scalo. La metensomatosis, in Grecia, ha una precisa funzione etico-religiosa, quella di punire, e quindi di purgare e infine di liberare l’anima, di origine divina, ma menomata da una colpa antecedente alla sua prima incorporazione e poi contaminata dalla molteplici prevaricazioni commesse durante le successive reincarnazioni73. « What is new in transmigration is the moral view that reincarnation expiates some original sin and that the individual soul persists, bearing its load of inalienable responsibility, through a round of lives, till, purified by suffering, it escapes for ever. »74 Come osserva ancora il geniale maestro della Scuola di Cambridge, in questa forma di metempsicosi sono impliciti « both the axiom of Monism and the axiom of Dualism ». Infatti, tutte le anime vengono da una sola fonte divina e circolano in sequenza continua attraverso tutte le forme della natura. Il ritorno alla casa celeste è il ritorno all’Unità primitiva. Ma la realtà naturale entro cui si realizzano le manifestazioni individuali della vita è un coacervo conflittuale di male e di bene. Di qui la tendenza al dualismo, a riconoscere la realtà non solo dell’Uno, da cui la psyche trae origine, ma anche del mondo dell’eimarmene e della genesis o, in altre parole, dell’individuazione75.

Hermès, Orphée et Eurydice (relief de terre-cuite d’Olbia). Cf. p. 14, n. 2.

Hermès, Orphée et Eurydice (relief de terre-cuite d’Olbia). Cf. p. 14, n. 2.

Krater München 3297, détail (Staatliche Antikensammlungen und Glyptothek) Cf. p. 32.

Amphora aus Altamura, Tarent (d’après Trendall-Cambitoglou, The red-figured Vases of Apulia, vol. II pl. 284, 1). Cf. p. 39.

Amphora Sammlung Perrone, Bari (deux détails, d’après Trendall-Cambitoglou, vol. II, pl. 190). Cf. p. 42.

Amphora Museo Nazionale, Bari, Inv. 873. Cf. pp. 42-43.

Krater Antikenmuseum Basel und Sammlung Ludwig, S 35. Cf. pp. 42-43.

Amphora Privatbesitz. Cf. pp. 47-50.

Antoine Bourdelle, L’Eloquence (Musée d’Art et d’Histoire, Genève). Cf. p. 61.

Athènes, Ecole polytechnique. Cf. p. 62.

Hydrie Antikenmuseum, Basel. Cf. p. 62.

Hydrie Otago Museum, Dunedin. Cf. pp. 62-63.

Kylix, Cambridge. Cf. pp. 62-63.

Tablettes en os d’Olbia :

a) Tablette N° 1 (recto)

b) Tablette N° 2 (recto)

c) Tablette N° 2 (tergo)

d) Tablette N° 3 (recto) Cf. pp. 77-85.

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A.1

ΡLAΤ. Phaed. 62.b :

ὁ μὲν οὖν ἐν άπορρήτοις λεγόμενος περὶ αὐτῶν λόγος, ὡς ἔν τινι φρουρᾷ ἐσμεν οἱ ἄνθρωποι καὶ οὐ δεῖ δὴ ἑαυτὸν ἑκ ταύτης λύειν ούδ᾿ ἁποδιδράσκειν, μέγας τέ τίς μοι φαίνεται καὶ οὐ ῥᾴδιος διιδεῖν. Schol. p. 379 Bekk. : ἑντεῦθεν τὸ πρῶτον πρόβλημα τὸ μὴ δεῖν ἐξάγειν ἑαυτόν, οὐ ἐπιχείρημα μυθικὸν ἐξ ᾿Ορφέως ληφΟέν.

PLAT. Crat. 400.c :

καὶ γὰρ σῆμὰ τινὲς φασιν αὐτὸ εἶναι τῆς ψυχῆς, ὡς τεθαμμένης ἐν τῷ νῦν παρόντι· καὶ διότι αὖ τούτῳ σημαίνει ἃ ἂν σημαίνῃ ή ψυχή, καὶ ταύτῃ “σῆμα” ὀρθῶς καλεῖσΟαι. δοκοῦσι μέντοι μοι μάλιστα ΟέσΟαι οἱ ἀμφὶ ᾿Ορφέα τοῦτο τὸ ὄνομα, ὡς δίκην διδούσης τῆς ψυχῆς ὦν δὴ ἕνεκα δίδωσιν, τοῦτον δὲ περίβολον ἔχειν, ἴνα σῴζηται, δεσμωτηρίου εἰκόνα· εἶναι οὖν τής ψυχῆς τοῦτο, ὥσπερ αὐτὸ ονομάζεται, ἕως ἃν ἐκτείσῃ τὰ ὀφειλόμενα, τὸ “σῶμα,” καὶ οὐδὲν δεῖν παράγειν οὐδ ἔν γράμμα.

Ab Orphicis Pythagorcos sententiam σῶμα - σῆμα mutuatos esse testatur Philolai fr. 14 D.-K. :

μαρτυρέονται δὲ καὶ oἰ παλαιοὶ θεολόγοι τε καὶ μάντιες, ὡς διά τινας τιμωρίας ἁ ψυχὰ τῶι σώματι συνέζευκται καὶ καθάπερ ἐν σάματι τούτωι τέθαπται.

cf. PLAT. Gorg. 493.a :

ἤδη γάρ του ἔγωγε καὶ ἤκουσα τῶν σοφῶν ὡς νῦν ἡμεῖς τέθναμεν καὶ τὸ μὲν σῶμά ἐστιν ἡμῖν σῆμα…

cf. anche IAMBL. Protrept. VIII 134 K, p. 47, 21 Pistelli :

τίς ἃν οὖν εἰς ταῦτα βλέπων οἴοιτο ευδαίμων εἶναι καὶ μακάριος, οἳ πρῶτον εὑθὺς φύσει συνέσταμεν, καθάπερ φασιν οἰ τὰς τελετὰς λέγοντες, ὥσπερ ἃν ἐπὶ τιμωρίᾳ πάντες ; τοῦτο γὰρ Οείως οἰ ἁρχαιότεροι λέγουσι τὸ φάναι διδόναι τὴν ψυχὴν τιμωρίαν καὶ ζῆν ἡμᾶς ἐπὶ κολάσει μεγάλων τινῶν ἁμαρτημάτων.

A.2

ARISTT De anima A5. 410b 19 :

φαίνεται γὰρ εἶναί τινα μόνιμα τῶν ζῴων κατὰ τόπον· καίτοι δοκεῖ γε ταύτην μόνην τῶν κινήσεων κινεῖν ἡ ψυχὴ τὸ ζῷον ὁμοίως δὲ καὶ ὅσοι τὸν νοῦν καὶ τὸ αἰσθητικὸν ἑκ τῶν στοιχείων ποιοῦσιν. φαίνεται γὰρ τά τε φυτὰ ζῆν οὐ μετέχοντα φορᾶς οὐδ αίσθήσεως, καὶ τῶν ζῴων τὰ πολλὰ διάνοιαν οὑκ ἔχειν. εἰ δέ τις καὶ ταῦτα παραχωρήσετε καὶ θείη τὸν νοῦν μέρος τι τῆς ψυχῆς, ὁμοίως δὲ καὶ τὸ αισθητικόν, οὑδ ἃν οὓτω λέγοιεν καθόλου περὶ πάσης ψυχῆς οὐδὲ περὶ ὃλης οὐδεμιᾶς. τοῦτο δὲ πέπονθε καὶ ὁ ἐν τοῖς ᾿Ορφικοῖς καλουμένοις ἓπεσι λόγος· φησὶ γὰρ τὴν ψυχὴν ἐκ τοῦ ὅλου εἰσιέναι ἀναπνεόντων, φερομένην ὑπὸ τῶν ἁνέμων.

Ad hunc locum PHILOPON. 186, 24 Hayd. :

λεγομένοις εἶπεν, ἐπιδὴ μὴ δοκεῖ ᾿Ορφέρως εἶναι τὰ ἔπη. ὡς καὶ αὐτὸς ἐν τοῖς Περὶ φιλοσοφίας (fr. 7 Rose3) λέγει· αὐτοῦ μὲν γὰρ εἲσι τὰ δόγματα, ταῦτα δέ φασιν ᾿Ονομάκριτον ἐν ἔπεσι κατατεῖναι (test. nr. 183). λέγει οὖν ἐκεῖ ὅτι ή ψυχὴ ὑπὸ τῶν ανέμων έκ τού παντός φερομένη άναπνεἶται ὑπὸ τῶν ζώιων. ὥστε καὶ οὖτος ό λόγος οὐ περὶ πάσης ψυχῆς λέγει· οὐ γὰρ πάντα ἀναπνεῖ τὰ ἕμψυχα· οὕκουν τὰ ἕντομα οὐδὲ τὰ φυτά. φασὶ δὲ ἁντίττεσθαι τὰ ἕπη φιὰ μὲν τῆς ἀναπνοῆς τὴν ἐπιτηδειότητα τοῦ δεξομένου τὴν ψυχὴν σώματος. διότι ἡ ἀναπνοὴ (πνοὴ R) καταψύχουσα τὸ ἕμφυτον θερμὸν εἒς συμμετρίαν ἅγει, τοὺς δ’ ἀνέμους φασὶ δυνάμεις τινὰς σημαίνειν δι᾿ ὦν κατάγεται ἡ ψυχὴ εἲς τὴν γένεσιν ἐκ τῆς ὁλικῆς ἐνεργείας, ἢν ἐνεργεῖ τοῦ μερικοῦ σώματος τούτου καὶ τῆς γενέσεως ἀπηλλαγμένη. Cf 202, 1 Hayd. εἲπὼν οὖν ἐν τοῖς ἐπάνω καὶ τὰ φυτὰ ἔμψυχα εἶναι. ἑν οἶς ἔλεγεν ὅτι διαιρούμενα τὴν αὐτὴν κατ’ εἶδος ἔχει ψυχήν, καὶ ἔτι ἔνθα ἐνεκάλει τοῖς ᾿Ορφικοῖς ἔπεσι λέγουσι τὴν ψυχὴν ἐκ τοῦ ὅλου φερομένην ἀναπνεῖν ἠμᾶς. et in eundem Aristotelis locum Themistium 35, 17 Heinze : τοῦτο δὲ πέπονθε καὶ ὁ λόγος ὁ λεγόμενος ἐν τοῖς καλουμένοις ᾿Ορφέως ἔπεσι· φησὶ γὰρ τῆς ψυχῆς μεταλαμβάνειν τὰ ζῶια παρὰ τὴν πρώτην ἀναπνοήν.

B. 1

HERODOT. II 48-49 :

῞Ηδη ὦν δοκέει μοι Μελάμπους ὁ ᾿ΑμυΟέωνος τῆς Ουσίης ταύτης οὑκ εἶναι ἁδαὴς ἁλλ᾿ ἕμπειρος. ῎Έλλησι γὰρ δὴ Μελάμπους ἐστὶ ὁ ἑξηγησάμενος τοῦ Διονύσου τό τε οῦνομα καὶ τὴν θυσίην καὶ τὴν πομπὴν τοῦ φαλλοῦ. Ατρεκέως μὲν οὑ πάντα συλλαβὼν τὸν λόγον ἕφηνε, ἁλλ οί ἐπιγενόμενοι τούτῳ σοφισταὶ μεζόνως ἐξέφηναν τὸν δ ὦν φαλλὸν τὸν τῷ Διονύσῳ πεμπόμενον Μελάμπους ἐστι ὁ κατηγησάμενος, καὶ ἀπὸ τούτου μαΟόντες ποιεῦσι τὰ ποιεῦσι ῞Ελληνες. ᾿Εγὼ μέν νύν φημι Μελάμποδα γενόμενον ἄνδρα σοφὸν μαντικήν τε ἑωυτῷ συστῆσαι καὶ πυθόμενον ἀπ’ Αἰγύπτου ἄλλα τε πολλὰ ἐσηγήσασθαι ῞Ελλησι καὶ τὰ περὶ τὸν Διόνυσον, ὁλίγα αὐτῶν παραλλάξαντα. Οὐ γὰρ δὴ συμπεσεῖν γε φήσω τά τε ἐν Αἰγύπτῳ ποιεύμενα τῷ θεῷ καὶ τὰ ἐν τοῖσι ῞Ελλησι· ὁμότροπα γὰρ ἅν ἦν τοῖσι ῞Ελλησι καὶ οὐ νεωστὶ ἐσηγμένα. Οὐ μὲν οὐδὲ φήσω ὅκως Αἰγύπτιοι παρ᾿ ῞Ελλήνων ἔλαβον ῆ τοῦτο ῆ ἄλλο κού τι νόμαιον. Πυθέσθαι δέ μοι δοκέει μάλιστα Μελάμπους τὰ περὶ τὸν Διόνυσον παρὰ Κάδμου τε τοῦ Τυρίου καὶ τῶν σὺν αὑτῷ ἑκ Φοινίκης ἀπικομένων ἐς τὴν νῦν Βοιωτίην καλεομένην χώρην.

II 81 :

᾿Ενδεδύκασι δὲ κιθῶνας λινέους περὶ τὰ σκέλεα θυσανωτούς. τοὺς καλέουσι καλασίρις· ἐπὶ τούτοισι δὲ εἰρίνεα εἵματα λευκὰ ἐπαναβληδὸν φορέουσι. Οὐ μέντοι ἔς γε τὰ ἱρὰ ἐσφέρεται εἰρίνεα οὐδὲ συγκαταθάπτεταί σφι· οὐ γὰρ ὅσιον. ᾿Ομολογέουσι δὲ ταῦτα τοῖσι ῾Ορφικοῖσι καλεομένοισι καὶ Βακχικοῖσι, ἐοῦσι δὲ αἰγυπτίοισι, καὶ τοῖσι ΠυΟαγορείοισι· οὐδὲ γὰρ τούτων τῶν ὀργίων μετέχοντα ὅσιόν ἐστι ἐν εἰρινέοισι εἵμασι θαφθῆναι. ᾿Εστι δὲ περὶ αὐτῶν ἱρὸς λόγος λεγόμενος.

II 123 :

Τοῖσι μέν νυν ὑπ’ Αἰγυπτίων λεγομένοισι χράσθω ὅτεῳ τὰ τοιαῦτα πιθανά ἐστι· ἐμοὶ δὲ παρά πάντα τὸν λόγον ὐπόκειται ὅτι τὰ λεγόμενα ὑπ’ ἑκάστων ἀκοῇ γράφω. ῾Αρχηγετεύειν δὲ τῶν κάτω Αἰγύπτιοι λέγουσι Δήμητρα καὶ Διόνυσον. Πρῶτοι δὲ καὶ τόνδε τὸν λόγον Αιγύπτιοί εἰσι οἱ εἰπόντες, ὠς ἀνθρώπου ψυχὴ ἀθάνατός ἐστι, τοῦ σώματος δὲ καταφθίνοντος ὲς ἅλλο ζῷον αἱεὶ γινόμενον ἑσδύεται· ἑπεὰν δὲ πάντα περιέλθῃ τὰ χερσαῖα καὶ τὰ θαλάσσια καὶ τὰ πετεινά, αὖτις ἐς ἀνθρώπου σῶμα γινόμενον έσδύνειν· τὴν περιήλυσιν δὲ αὐτῇ γίνεσθαι ἐν τρισχιλίοισι ἕτεσι. Τούτῳ τῷ λόγῳ εἰσὶ οἳ ῾Ελλήνων ἐχρήσαντο, οἱ μὲν πρότερον, οἱ δὲ ὕστερον, ὠς ἰδίῳ ἑωυτῶν ἑόντι· τῶν ἑγὼ εἰδὼς τὰ οὐνόματα οὐ γράφω.

B. 2

PLAT. Men. 81a-b :

ΣΩ. ῎Εγωγε· ἀκήκοα γὰρ ἀνδρῶν τε καὶ γυναικῶν σοφῶν περὶ τὰ θεῖα πράγματα.

ΜΕΝ. Τίνα λόγον λεγόντων ;

ΣΩ. ᾿Αληθῆ, ἕμοιγε δοκεῖν, καὶ καλόν.

ΜΕΝ. Τίνα τοῦτον, καὶ τίνες οἱ λέγοντες ;

ΣΩ. Οί μὲν λέγοντές εἰσι τῶν ἱερέων τε καὶ τῶν ἰερειῶν ὅσοις μεμέληκε περὶ ὦν μεταχειρίζονται λόγον οἵοις τ’ εἶναι διδόναι· λέγει δὲ καὶ Πίνδαρος καὶ ἄλλοι πολλοὶ τῶν ποιητῶν ὅσοι θεῖοι εἰσιν. ἃ δὲ λέγουσιν, ταυτί ἐστιν· άλλὰ σκόπει εἴ σοι δοκοῦσιν ἀληθῆ λέγειν. φασὶ γὰρ τὴν ψυχὴν τοῦ ἁνθρώπου εἶναι ἀθάνατον, καὶ τοτὲ μὲν τελευτᾶνὃ δὴ ἀποθνῄσκειν καλοῦσιτοτὲ δὲ πάλιν γίγνεσθαι, ἀπόλλυσθαι δ’ οὐδέποτε· δεῖν δὴ διὰ ταῦτα ώς ὁσιώτατα διαβιῶναι τὸν βίον· οἶιν γὰρ ἃν·

Φερσεφόνα ποινὰν παλαιοῦ πένθεος

δέξεται, εἰς τὸν ὕπερθεν ἅλιον κείνων ἐνάτῳ ἔτεϊ

ἀνδιδοῖ ψυχὰς πάλιν,

ἑκ τᾶν βασιλῆες ἀγαυοὶ

καὶ σθένει κραιπνοὶ σοφίᾳ τε μέγιστοι

ἄνδρες αὔξοντ᾿· ἐς δὲ τὸν λοιπὸν χρόνον ἥρωες ἁγνοι

πρὸς ἀνθρώπων καλεῦνται.

Β.3

PLAT. Phaed. 70. c-d :

Σκεψώμεθα δὲ αὐτὸ τῇδέ πῃ, εἴτ’ ἄρα ἐν Αἵδου εἰσὶν αἰ ψυχαὶ τελευτησάντων τῶν ἀνθρώπων εἴτε καὶ οὔ. παλαιὸς μὲν οὖν ἔστι τις λόγος οὖ μεμνήμεθα, ὡς εἰσὶν ἐνθένδε ἀφικόμεναι ἐκεῖ, καὶ πάλιν γε δεῦρο ἀφικνοῦνται καὶ γίγνονται ἐκ τῶν τεθνεώτων· καὶ εἰ τοῦθ' οὕτως ἔχει, πάλιν γίγνεσθαι ἐκ τῶν ἀποθανόντων τοὺς ζῶντας, ἄλλο τι ἢ εἶεν ἂν αἱ ψυχαὶ ἡμῶν ἐκεῖ ; οὑ γὰρ ἄν που πάλιν ἐγίγνοντο μὴ οὖσαι, καὶ τοῦτο ἱκανὸν τεκμήριον τοῦ ταῦτ᾿ εἶναι, εἰ τῷ ὄντι φανερὸν γίγνοιτο ὅτι οὐδαμόθεν ἄλλοθεν γίγνονται οἱ ζῶντες ἢ ἐκ τῶν τεθνεώτων· εἰ δὲ μη ἔστι τοῦτο, ἄλλου ἄν του δέοι λόγου.

B. 4

PLAT. Phaedr. 248 c-d :

θεσμός τε ᾿Αδραστείας ὄδε. ἥτις ἃν ψυχὴ θεῷ συνοπαδὸς γενομένη κατίδῃ τι τῶν ἁληθῶν, μέχρι τε τῆς ἑτέρας περιόδου εἶναι ἀπήμονα, κἂν ἀεὶ τοῦτο δύνηται ποιεἶν, ἁεὶ ἁβλαβῆ εἶναι· ὅταν δὲ ἀδυνατήσασα ἑπισπέσθαι μὴ ἴδῃ, καί τινι συντυχίᾳ χρησαμένη λήθης τε καὶ κακίας πλησθεῖσα βαρυνθῇ, βαρυνθεῖσα δὲ πτερορρυήσῃ τε καὶ ἐπὶ τὴν γῆν πέσῃ, τότε νόμος ταύτην μὴ φυτεῦσαι εἰς μηδεμίαν Οήρειον φύσιν ἐν τῇ πρώτῃ γενέσει, ἁλλὰ τὴν μὲν πλεῖστα ἰδοῦσαν εἰς γονὴν ἀνδρὸς γενησομένου φιλοσόφου ἢ φιλοκάλου ἢ μουσικοῦ τινος καὶ ἑρωτικοῦ, τὴν δὲ δευτέραν εἰς βασιλέως ἐννόμου ἢ πολεμικοῦ καὶ ἀρχικοῦ, τρίτην εἰς πολιτικοῦ ἤ τινος οἰκονομικοῦ ἢ χρηματιστικοῦ, τετάρτην εἰς φιλοπόνου ἢ γυμναστικοῦ ἢ περὶ σώματος ἵασίν τινος ἐσομένου, πέμπτην μαντικὸν βίον ἤ τινα τελεστικὸν ἕξουσαν· ἕκτῃ ποιητικὸς ἢ τῶν περὶ μίμησίν τις ἄλλος ἀρμόσει, ἑβδομῃ δημιουργικὸς ἢ γεωργικός, ὀγδόῃ σοφιστικὸς ἢ δημοκοπικός, ἐνάτῃ τυραννικός.

PLAT. Res Ρubl. V 451 a :

προσκυνῶ δὲ ᾿Αδράστειαν, ὦ Γλαὺκων, χάριν οὖ μέλλω λέγειν.

Β.5

PLUT. De esu carn. 996 W. :

ἐμνήσθην δὲ τρίτην ἡμέραν δια λεγόμενος τὸ τοῦ Ξενοκράτους (fr. 99 Η.), καὶ ὅτι ᾿Αθηναῖοι τῷ ζῶντα τὸν κριὸν ἐκδείραντι δίκην ἐπέθηκαν· οὑκ ἕστι δ’, οἶμαι, χείρων ὁ ζῶντα βασανίζων τοῦ παραιρουμένου τὸ ζῆν καὶ φονεύοντας, ἁλλὰ μᾶλλον, ὠς ἕοικε, τῶν παρὰ συνήθειαν ἢ τῶν παρὰ φύσιν αἰσθανόμεθα. καὶ ταῦτα μὲν ἑκεῖ κοινότερον ἔλεγον· τὴν δὲ μεγάλην καὶ μυστηριώδη καὶ ἄπιστον ἀνδράσι δεινοῖς, ᾖ φησιν ὁ Πλάτων (Phaedr. 245c),καὶ θνητὰ φρονοῦσιν ἀρχὴν τοῦ δόγματος ὀκνῶ μὲν ἔτι τῷ λόγῳ κινεῖν, ὥσπερ ναῦν ἐν χειμῶνι ναύκληρος ἢ μηχανὴν αἴρειν ποιητικὸς ἀνὴρ ἐν θεάτρῳ σκηνῆς περιφερομένης. οὐ χεῖρον δ’ ἵσως καὶ προανακρούσασθαι καὶ προαναφωνῆσαι τὰ τοῦ ᾿Εμπεδοκλέους· ἀλληγορεῖ γὰρ ἐνταῦθα τὰς ψυχάς, ὅτι φόνων καὶ βρώσεως σαρκῶν καὶ ἀλληλοφαγίας δίκην τίνουσαι σώμασι θνητοῖς ἐνδέδενται. καίτοι δοκεῖ παλαιότερος οὖτος ὁ λόγος εἶναι· τὰ γὰρ δὴ περὶ τὸν Διόνυσον μεμυθευμένα πάθη τοῦ διαμελισμοῦ καὶ τὰ Τιτάνων ἐπ αὑτὸν τολμὴματα γευσαμένων τε τοῦ φόνου κολάσεις τε τούτων καὶ κεραυνώσεις, ῄνιγμένος ἐστὶ μῦθος εἰς τὴν παλιγγενεσίαν· τὸ γὰρ ἐν ἠμῖν ἄλογον καὶ ἄτακτον καὶ βίαιον οὐ θεῖον ἀλλὰ δαιμονικὸν οἰ παλαιοὶ Τιτᾶνας ὠνόμασαν, καὶ τοῦτ ἔστι κολαζομένους καὶ δίκην τίνοντας.

B.6

PLUT. Cons. ux. 10, 611 W. :

Καὶ μὴν α τῶν ἄλλων ἁκούεις, οἳ πείθουσι πολλοὺς λέγοντες ὡς οὐδὲν οὑδαμῇ τῷ διαλυθέντι κακὸν οὐδὲ λυπηρόν ἐστιν, οἶδ’ ὅτι κωλύει σε πιστεύειν ὁ πατριος λόγος καὶ τὰ μυστικὰ σύμβολα τῶν περὶ τὸν Διόνυσον ὁργιασμῶν, ἅ σύνισμεν ἁλλήλοις οἱ κοινωνοῦντες. ώς οὖν ἅφθαρτον οὖσαν τὴν ψυχὴν διανοοῦ ταὐτὸ ταῖς ἁλισκομέναις ὄρνισι πάσχειν· ἅν μὲν γὰρ πολὺν ἐντραφῇ τῷ σώματι χρόνον καὶ γένηται τῷ βίῳ τούτῳ τιθασὸς ὑπὸ πραγμάτων πολλῶν καὶ μακρᾶς συνήθειας, αὖθις καταιρουσα πάλιν ἑνδύεται καὶ οὑκ ἀνίησιν οὐδὲ λήγει τοῖς ἐνταῦθα συμπλεκομένη πάθεσι καὶ τύχαις διὰ τῶν γενέσεων.

C.1

Laminetta d’oro da Turi (fr. 32 c Kern) :

ἔρχομαι ἐκ κοθαρ(ῶ)‹ν› κοθαρά. χθονί‹ων› βαlσίλεια,

Εὐκλῆς Εὐβο‹υ›λεύς τε καὶ ἀθάνατοι θεοὶ ἄλλοι·

καὶ γὰρ ἐγὼν | ὐμῶν γένος ὄλβιον εὔχομαι | εἶμεν.

ἀλ‹λ›ά με Μο‹ῖ›ρ{α} ἐδάμασ‹σ›ε | καὶ ἀθάνατοι θεοὶ ἄλλοι

˗ ˘ ˘ ˗ ˘ ˘ ˗ ˘ καὶ ἀσ|στεροβλῆτα κεραυνόν.

κύκλο‹υ› | δ’ ἐξέπταν βαρυπενθέος ἀργα|λέοιο,

ἱμερτο‹ῦ› δ' ἀπέβαν στεφά|νο‹υ› ποσὶ καρπαλίμοισι,

Δεσποί|νας δ{ὲ} ὑπὸ κόλπον ἔδυν χθονί|ας βασιλείας·

ἱμερτο‹ῦ› δ' ἀπέβαν | στεφά|νο‹υ› ποσὶ καρπαλίμοι|σι.

"ὄλβιε καὶ μακαριστέ, θεὸς δ’ ἔ|σηι ἀντὶ βροτοῖο".

ἔριφος ἐς γάλ’ ἔπετον.

C.2

Epigrafe funeraria da Panticapeo :

οὐ λόγον ἀλλα βίον σοφίης ἐτυπώσαο δόξαν,

αὐτοδαὴς ἱερῶν γινόμενος κριμάτων,

εὔδων, οὖν, ῾Εκαταῖε, μεσόχρονος, ἴσθ’ ὄτι θᾶσσον

κύκλον ἀνιηρῶν ἐξέφυγες καμάτων.

D.1

Procl. in Plat Rempubl. II 340, 11 Kr. ἐπεὶ xaὶ τὰ ἄλλa παρ’ ᾿Ορφέως (sc. δ Πλάτων) ἐμυθολόγηοεν λαβών, oἶov ὅτι ἐν τῶι ᾿Αχέροντι καθαίρονται xaὶ τυγχάνουαιν εὐμοιρίας τινός"

oἳ μέν ϰ’ εὐαγέωοιν ὐπ᾿ αὐγὰς ἠελίοιο,

αὖτις ἀποφθίμενοι μαλαχώτερον οἶτον ἔχουσιν

ἐν ϰαλῶι λειμῶνι βαθύρροον ἀμφ’ ᾿Αχέροντα,

xaὶ ὅτι κολάζονται ἐν τῶι Ταρτάρωι

οἱ δ᾿ ἄδιϰα1 ῥέξαντες ὑπ’ αἀγὰς ἠελίοιο

ὑβριοταὶ2 ϰατάγονται ὑπὸ πλάϰα Κωϰντοτο3

Τάρταρον ἐς ϰρυοέντα.

διὰ γὰρ τούτων σαφῶς τὰς Πλατωνιϰὰς διατάξεις περὶ τῶν ὑπὸ γῆς λήξεων φαίνεται παραλαβών, ὥσπερ xaὶ τὰς περὶ τῶν μετεμψυχώσεων. εὶ δὲ ταῦτα ἑπόμενος ᾿Ορφετ όιατάττει Πλάτων, ἆρ’ οὐ γελοτόν ἐστιν — ἀφίημι γὰρ θεμιτὸν λέγειν — τὸν τῶν τοιοίτων ἡγεμόνα δογμάτων, οἱς ἡ Πλάτωνος φιλοσοφία

διαφέρει τῶν ἄλλων ἁπαοῶν, εὶς ἄλογα ζῶια ϰατάγειν ϰαὶ ϰύϰνόυ ψυχὴν ποιεῖν (X 620 a test. nr. 139) ; οὖ xaὶ τὴν περὶ τῶν θείων ὑφήγησιν αὐτὸς ἐν Τιμαίωι (40 e) πιστὴν εἶναί φησιν ϰαίπερ ἄνευ τε εἰϰότων λόγων4 xaὶ ἀποδείξεων λεγο|341 Κr.μένην, ὡς δι’ ἐνθεααμὸν εἰδότος μάλιοτα τὰ τῶν θεῶν πατέρων ὄντων, εἴ τις6 ἔστιν τῆς θεογονίας τοῖς ῞Ελλησιν πατήρ, ἣν αὐτὸς παραδοῦναι προθέμενος ἐπὶ τοὺς παραδόντας πρώτους ἀνάγει6 τὴν περὶ αὐτῆς ἀλήθειαν.

D.2

Procl. in Plat. Rempubl. II 339, 17 Kr. ὅτι δὲ xaὶ ἰδία· τῶν ἀλόγων τίς ἐστιν φύχωσις, ἀλλ’ οὐϰ ἀπὸ μόνων τῶν ἀνθρωπίνων φυχῶν, δηλοῖ λέγων ὁ ᾿Ορφεύς·

αἱ μὲν δὴ θηρῶν τε xaὶ οὶωνῶν πτεροέντων

ψυχαὶ ὅτ᾿ ἀίξωοι,1 λίπηι δέ μιν2 ἱερὸς αἰών,

τῶν οὔ τις ψυχὴν παράγει3 δόμον εἰς ᾿Αΐδαο,

ἀλλ’ αὐτοῦ πεπότηται4τώσιον, εἰς ὅ ϰεν αὐτὴν5

5 ἄλλο6 ἀφαρπάζηι μίγδην ἀνέμοιο πνοῆισιν·

ὁππότε δ’ ἄνθρωπος προλίπηι φάος ἠελίοιο,

ψυχὰς ἀθανάτας ϰατάγει Κυλλήνιος ῾Ερμῆς

γαἰης ἐς ϰευθμῶνα πελώριον·

| 340 Kr. δἰ ὦν μὲν ἀνθρωπίνας ψυγὰς βούλεται χωρεῖν εἰς τὸν ὑποχθόνιον τόπον ϰαθάρσεως ἕνεχα ϰαὶ ϰολάσεως ϰαὶ εἰς τὰ δεσμωτήρια τῆς τείσεως, τὰς δἐ τῶν ἀλόγων αὐτοῦ περὶ τὸν ἀέρα πωτᾶσθαι,7 μέχρις ἂν εἰς ἄλλα σώματα πάλιν ἐνόεθῶσιν. εἰ δ᾿'ἦσαν ϰαὶ αἱ τῶν ἀλόγων ψυχώσεις ἀπὸ ψυχῶν ἀνθρωπίνων μόνων, πάσας ἔδει φάναι τὸν ῾Ερμῆν εὶς ῞Αιδου χατάγειν ἢ ϰαθαρθησομένας ἢ ϰολασθησομένας· ὥσπερ ϰαὶ Πλάτων (Gorg. 523 b) ποιεῖ ϰαὶ τὰς ἐϰ τῶν ἀλόγων, ἀνθρωπίνας δἐ οὔσας ψυχὰς εἰς τὸν ὑπὸ γῆς τόπον ἀπάγων ϰαὶ πάλιν ἐϰεῖθεν στέλλων εἰς ἄλλας βίων αἱρέσεις, ἃ δὴ πρότερον ἐπεδείξαμεν.

D.3

Procl. in Plat. Rempubl. II 338, 10 Kr.

ταῦτα ϰαὶ τῆς ᾿Ορφιϰῆς ἡμᾶς ἐχδιδασχούσης θεολογίας. ἢ οὐχὶ ϰαὶ ᾿Ο. τὰ τοιαῦτα σαφῶς παραδίδωσιν, ὅταν μετἀ τὴν τῶν Τιτάνων μυθιϰὴν δίϰην ϰαὶ τὴν ἐξ ἐχείνων γένεσιν τῶν θνητῶν τούτων ζώιων λέγηι1 πρῶτον μέν, ὅτι τοὐς βίους ἀμείβουσιν αἱ ψυγαὶ ϰατὰ δή τινας περιόδους ϰαὶ εἰσδύονται ἄλλαι εἰς ἄλλα σώματα πολλάϰις ἀνθρώπων

οἱ δ᾿ αὐτοὶ πατέρες τε ϰαὶ υἱέες ἐν μεγάροισιν

εὔϰοσμοί τ᾿ ἄλογοι ϰαὶ μητέρες ἠδὲ θύγατρες2

γίνοντ᾿3 ἀλλήλων μεταμειβομένηισι γενέθλαις.

ἐν γὰρ τούτοις τὴν ἀπ᾿ ἀνθρωπίνων σωμάτων εἱς ἀνθρώπινα μετοίϰισιν4 αὐτῶν παραδίδωσιν. . . . . .| 339, 1 Kr. ἔπειθ᾿ ὅτι ϰαὶ εἰς τὰ ἄλλα ζῶια μετάβασίς ἐστι τῶν ψυχῶν τῶν ἀνθρωπίνων,5 ϰαὶ τοῦτο διαρρήδην ᾿Ο. ἀναδιδάσϰει,6 ὁπηνίϰα ἂv διορίζηται·

b οὕνεϰ’ ἀμειβομένη ψυχὴ ϰατὰ ϰύϰλα χρόνοιο7

ἀνθρώπων8 ζώιοισι μετέρχεται ἄλλοθεν ἄλλοις·

ἄλλοτε μέν θ’ Σππος, τότε9 γίνεται – ∪ ∪ – ͞∪10

ἄλλοτε δὲ πρόβατον, τότε δ’ ὄρνεον αἰνὸν ἰδέσθαι,

5 ἄλλοτε δ’ αὖ ϰύνεόν τε δέμας φωνή τε βαρεῖα,

ϰαὶ ψυχρῶν ὀφίων ἕρπει γένος ἐν χθονὶ ὁίηι.

Olympiodor. in Plat. Phaedon. 70 c p. 58, 8 Norv. ϰαὶ ὅτι τὸ ζῶν ϰαὶ τὸ τεθνεὸς ἐξ ἀλλήλων, ϰατασϰευάζει ἡ λέξις ἐϰ τῆς μαρτυρίας τῶν παλαιῶν ποιητῶν, ἀπὸ ᾿Ορφέως, φημί, λέγοντος·

a οἱ δ᾿ αὐτοὶ πατέρες τε ϰαὶ υἱέες ἐν μεγάροισιν

ἠδ’11 ἄλοχοι σεμναὶ ϰεδναί τε θύγατρες.

πανταχοῦ γὰρ ὁ Πλάτων παρωιδεῖ τὰ ᾿Ορφέως. οὕτω γοῦν ϰαὶ ἀνωτέρω ἔλεγεν· ὁ μὲν οὖν ἐν ἀπορρήτοις περί αὐτῶν λεγόμενος, ϰαὶ πάλιν fr. 235.

D.4

Procl. in Plat. Tim. 42 c. d (ΠΙ 297, 3 Diehl) τὴν οὖν πρώτην ἕξιν ϰατὰ τὴν αχέσιν ἀφετσα τὴν πρὸς πᾶσαν τὴν γένεσιν ϰαὶ τὸ ἄλογον τὸ ποιοῦν αὐτὴν γενεσιουργόν, λόγωι μὲν ϰρατοῦσα τὸ ἄλογον, νοῦν δὲ χορηγοῦσα τῆι δόξηι, πᾶσαν δὲ τὴν ψυχὴν εὶς τὴν εὐδαίμονα περιάγουσα ζονὴν ἀπὸ τῆς περὶ τὴν γένεσιν πλάνης, ἦς ϰαὶ οί παρ’ ᾿Ορφεῖ τῶι Διονύσωι xaὶ τῆι Κόρηι τελούμενοι τυχεῖν εὔχονται·

ϰύχλου τ᾿ ἂv λήξαι xaὶ ἀναπνεύσαι ϰαϰότητος.

Praecedunt III 296, 7 verba : μία σωτηρία τῆς ψυχῆς αὕτη παρὰ τοῦ δημιουργοῦ προτείνεται τοῦ ϰύϰλου τῆς γενέσεως ἀπαλλάττουσα xaὶ τῆς πολλῆς πλάνης xaὶ τῆς ἀνηνύτου ζωῆς, ἡ πρὸς τὸ νοερὸν εὶδος τῆς ψυχῆς ἀναδρομὴ xaὶ ἡ φυγὴ χάντων τῶν ἐϰ τῆς γενέσεως ἡμτν προσπεφυϰότων.

D.5

Simplic. in Aristotel. De caelo II 1, 284 a 14 (377, 12 Heib.) ἐνδεθῆναι δὲ ὑπὸ τοῦ τὸ ϰατ᾿ ἀξίαν πᾶοιν ἀφορίζοντος δημιουργοῦ δεοῦ ἐv τῶι τῆς εἱμαρμένης τε xaὶ γενέσεως τροχῶι, οὖπερ ἀδύνατον ἀπαλλαγῆναι ϰατὰ τὸν ᾿Ορφέα μὴ τοὺς δεοὺς ἐχείνους ἱλεωσάμενον

οἶς ἐπέταξεν

ὁ Ζεὺς

ϰύϰλου τ’ ἀλλῆξαι1 ϰαὶ ἀναψῦξαι2 ϰαϰότητος

τὰς ἀνθρωπίνας ψυχάς.

D.6

Proel. in Plat. Rempubl. II 173, 12 Kr. xaὶ ὑ μὲν Πλάτων δiὰ τοιαύτας αὶτίας ἀπoδίδωσι τὴν χιλιάδα ταῖς ὑπὸ τῶι Πλούτωνι ψυχαῖς, δ δὲ ᾿διὰ τριaxoσίωv αὐτὰς ἐτῶν ἀπὸ τῶν τὸπων ἄγει τῶν ὑπὸ γῆς xaὶ τῶν ἐϰεῖ διχαιωτηρίων αὖδις εὶς γένεσιν, σύνδημα ϰaὶ οὖτος ποιούμενος τὰς τρεῖς ἑϰατοντάδας τῆς τελείας περιόδον τῶν ἀνθρωπίνων ψυχῶν1 ϰαθαιρομένων, ἐφ᾿ οἶς ἐβίωσαν ἐπιστρεφόμεναι τὴν γένεσιν.

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1 La gnose de Princeton, Paris, 1974, 19772, 383.

2 « Notre Gnose est bien avant tout de l’astronomie-cosmologie », ib., 17.

3 Nat. hom., II, 50, p. 115, Matth. = p. 34 Morani.

4 Dopo gli Oracoli caldei ! Stettner (1934), 86-88 ; ivi esplicito il richiamo a Wilamowitz, che il dotto principiante segue in maniera automática.

5 Long (1948), 89-92. Ivi l’A., ribadendo il suo debito a Wilamowitz (1932) e soprattutto al suo mentore Linforth (1941), non fa che intrecciare pleonastiche e aprioristiche variazioni sul tema « There is absolutely no early evidence connecting the doctrine of m. with the name of Orpheus ». Stesso appiattimento sul dogma wilamowitziano, congiunto a una personale idiosincrasia per il fenomeno orfico in Zuntz (1971), 337, n. 5. La maggiore esperienza della letteratura orfica non salva Alderink (1981), 83-84 da una analoga conclusione, che contraddice la sua stessa visione generale dell’orfismo (come è stato rilevato indipendentemente da Mansfeld, 1985, 438 e da Casadio, 1987, 389).

6 Cf. Stettner (1934), 2 e passim e Long (1948), 2-4. Entrambi si basano sull’analisi di Schomerus e insistono soprattutto sul fatto che l’anima migrante deve portare con sé l’elemento personale, la personalità caratteristica dell’individuo abitato in precedenza.

7 Utile, anche se non esente da errori e imprecisioni, lo Stellenverzeichnis di Stettner (1934), 5-6.

8 P. Chantraine, DELG, Paris, 1980, s.v. psyche, 1295. Ha visto giusto solo in parte Ch. Lefèvre, s.v. metempsychose, in Catholicisme. Hier, aujourd’hui, demain, Paris, 1982, 35 : « ‘re-animation’ ou ‘changement d’âme’, sans évoquer spécialement l’idée que l’âme change de corps ».

9 Pace Wilamowitz (1931-1932), Linforth (1941) e Dodds (1951), il cui intervento prestigioso ha creato una catena di equivoci e di false sicurezze sulle quali ancora si adagia lo sprovveduto Long (1948), 73-75. Oltre all’ingiustamente trascurato Adams (1908), 96-98, e alla dotta ed elaborata trattazione di Valgiglio (1966), 126-130, si veda invece Casadio (1987), 389-391 : ivi una nuova interpretazione del tormentalo passo del Cratilo e ulteriore bibl. La candidatura di Filolao come assertore della dottrina del soma-sema ci sembra difficilmente proponibile, se si tiene presente che al Pitagorico di Crotone-Taranto si attribuiva, oltre alla concezione dell’anima come harmonia dei costituenti fisici del corpo (44 a 23 D-K : ingiustificati i dubbi di Gottschalk, 1971, 192-193), anche una sentenza di questo tenore : diligitur corpus ab anima, quia sine eo non potest uti sensibus (44 B 22 D-K : ingiustamente classificato come « unechtes », cf. invece Μ. Timpanaro Cardini, Pitagorici II, Firenze, 1962, 246-247). Per quanto ci si arrampichi sugli specchi non si riuscirà mai a far dire a Filolao che è un sepolcro (sema) l’involucro corporeo (soma) di cui l’anima si compiace (fondamentale al riguardo Burkert, 1972, 246-249).

10 Cf. Bluck (1958), 156-164, secondo il quale la caduta descritta nei miti del Fedro e del Fedone « is not meant to be an original fall, but one which is due to bad training in a previous incarnation » (158).

11 Cf. Rathmann (1933), 64-66 ; Bickerman (1938-1939), 236 ; Maddalena (1954), 319 ; Wisniewski (1961), 90 ; Nilsson (19673), 694 (basandosi sul confronto con Pindaro) e, da una prospettiva di storia comparata delle religioni, Werblowski (1987), 23 : « Once the soul is considered a distinct spiritual entity, temporarily imprisoned in a body, transmigration becomes an obvious possibility. »

12 E’ sintomatico che la stessa iunctura (διδόναι δίϰην) ricorra nel più antico documento della filosofía occidentale, il framm. 12 B 1 D-K, di Anassimandro. Da F. Nietzsche a H. Diels, fino a Bianchi (1966), 120 = 180, si è creduto che la colpa (adikia), di cui è parola nella seconda parte del frammento, fosse da intendersi in senso mistico-orfico. Ma tale interpretazione non sembra sostenibile (Ch.H. Kahn, Anaximander and the Origins of Greek Cosmology, New York, 1960, 194 ; A. Maddalena, Ionici, Firenze, 1963, 95-100). A fortiori, cade la proposta di Wisniewski (1961), 88-89 di vedere nel processo descritto da Anassimandro « une étape de la palingénesie », in rapporto con la supposta influenza esercitata dall’orfismo sul filosofo di Mileto (cf. anche Bacigalupo, 1965, 285, n. 9).

13 West (1982), 18-19, ipotizza acutamente che anche nella tavoletta 1 recto si possa intravedere un’allusione alla metempsicosi (sequenza bios/thanatos/bios ; linea a zigzag, interpretabile come « symbol of the principle of cyclical alternation »), cf. Seaford (1986), 14-17.

14 Cf. Adams (1908), 99 (panspermismus) ; Stettner (1934), 10-11 ; Boyancé (1936), 84-86 (concezione dell’anima-soffio : nota un’analogia con la teoria pitagorica attestata da Diog. Laert. VIII, 30, che a noi non sembra stringente ; cf. invece Heraclit. 22 A 16, p. 148, 10 D-K6) ; Aiderink (1981), 56-59 (interpretazione dettagliata ma non priva di equivoci).

15 Rohde (18982), 453, n. 3. Sulla stessa linea Pearson (1921), 432 ; Guthrie (1950), 324 ; Dodds (1951), 192, n. 1 ; Maddalena (1954), 342, n. 58 (fa notare la divergenza dalla dottrina pitagorica attestata dallo stesso Arist. in De An. I, 3,407 b 21) ; Turcan (1959), 35 ; Wisniewski (1961), 90 ; Nilsson (19673), 692, n. 2 (« nicht unbedingt ») ; Burkert (1972), 126.

16 Non c’è motivo di rifiutare ad Aristotele la paternità di tale attribuzione (nonostante Wilamowitz, Guthrie, Linforth, ripresi da Μ. Untersteiner, in Aristotele, Della filosofía, Roma, 1963, 116-119, e, da ultimo, West, 1983, 250, n. 43). Se Aristotele considerava gli orphika degli apocrifi, doveva anche avere un’idea sull’autore. Giusta rivalutazione di Onomacrito in Cameron (1942), 458-459.

17 Cf. Tsekourakis (1987), passim ; e, più in generale, Werblowski (1987), 23.

18 Cf. Pearson (1921), 432 ; Tsekourakis (1987), 370-371 (« the connection of these two doctrines must go back to Pythagoras himself »), 379 ; evasivo Haussleiter (1935), 87. Le acute considerazioni di Sabbatucci (1965), 73-83, sul vegetarianismo orfico sono condivisibili solo in parte.

19 Forse relativi : v. Fimmen (1914), 518-523.

20 V. da ultimo A.B. Lloyd, Herodotus. Book II : Commentary, 99-182, Leiden, 1988, 59-60 (bibl. non esauriente).

21 Cf. Pearson (1921), 432 ; Long (1948), 22 ; Μ. Timpanaro Cardini, Pitagorici I, Firenze, 1958, 21-22. Prudenti Burkert (1972), 126, n. 38 e Seaford (1986), 11-12.

22 Il collegamento può e deve essere fatto, perché il tabu della lana è in rapporto con l’evitazione degli empsycha, a sua volta collegata con la dottrina della migrazione delle anime, v. Tsekourakis (1987), 370.

23 Contro Burkert (1972), 127-128 (dopo la scoperta di Olbia cade l’argomento principale : « the ancient testimonia speak of orphika, not Orphikoi ») e contro quanto noi stessi avevamo un tempo sostenuto (SMSR, 1983, 128-129, n. 8), riteniamo (con Wilamowitz, 1931-1932, II, 187, n. 1 ; Rathmann, 1933, 52-53 ; Linforth, 1941, 38-50 ; Long, 1984, 24 ; Maddalena, 1954, 328 ; Timpanaro Cardini, loc. cit.) che la versione lunga dei codici della famiglia romana con i dativi neutri sia insostenibile. Che Erodoto affermi una concordanza di Egizi con Orfici e insieme una derivazione dei secondi dai primi ci sembra, tra l’altro, una goffaggine assurda. A meno che, come fa Zuntz (1971), 337, n. 5, non si eliminino sia gli Orfici che gli orphika, falsando il testo.

24 Adottata tra gli altri da Rathmann (1933), 55 ; Maddalena (1954), 346-347 (« iniziatori di misteri », con esclusione dei Pitagorici e di Empedocle) ; Pugliese Carratelli (1983), 73-74.

25 Cf. Burkert (1972), 126, n. 37 : « Demeter and Dionysus in close connection point to southern Italy. »

26 Cosi già Rathmann (1933), 51, 55, 58. Feyerabend (1984), 20, n. 16, preferisce parlare di « Pythagoreer ». La sostanza non cambia di molto, perché, almeno nella Magna Grecia, le due tradizioni sono inesorabilmente intricate, ma non si capisce perché il nome « Orfici » continui a fare paura.

27 Cf. W.K.C. Guthrie, A History of Greek Philosophy, IV, Cambridge, 175, 236.

28 Così Rathmann (1933), 66-67, che giustamente rileva come « hoc modo haec testimonia allata quasi inter se adiuvent ». Cf. Lagrange (1937), 170-171 ; Maddalena (1954), 319, n. 12 ; Nilsson (19673), 692 ; Feyerabend (1984), 17 : « bacchisch », ma anche « orphisch…, was m.E. auf das gleiche hinausläuft » ; Seaford (1986), 12 : « mysteries ».

29 Contro la critica demolitrice di Linforth, Cameron (1942), 458 ha opportunamente ribadito il nesso tra vicenda ciclica dell’anima e titanika e dionysiaka in chiave orfica (cf. Guthrie, 1955, 11 ; McGibbon, 1964, 7-8 ; Finkelberg, 1986, 326 ; Seaford, 1986, 7-8).

30 Ha visto giusto, come al solito, Burkert (1977), 444-447. Senza menzionare questo passo, Feyerabend (1984), 18, n. 60, rileva una certa ambivalenza di Platone « gegenüber den ‘orphischen’ Bakchika ».

31 Come fu giá visto da Nilsson (19673), 692.

32 Tra le innumerevoli analisi : Long (1948), 78-89 ; Guthrie (1955), 10-12 ; Bluck (1958) (dettagliata ma non convincente) ; Turcan (1959), 36-37 (« Platon substitue au contenu théosophique de l’imagerie orphique une interprétation intellectuelle et morale ») ; Turner (1980), 348, n. 18.

33 Maggiori dettagli nei fr. 105, 152, 162 citati dai Neoplatonici ; cf. J. Adam, The Republic of Plato, I, Cambridge, 1902, 278 ; Rathmann (1933), 76, n. 32 (ivi ulteriore letteratura).

34 Per es. Alex. 2 (= test. 206 Kern) ; Caes. 9 (non in Kern) : su cui v. Linforth (1941), 244-245 e da ultimo l’importante R. Turcan, Bona dea et la « Mère ineffable » de Dionysos, in Hommages à Henri Le Bonniec. Res Sacrae (Coll. Latomus, 201), Bruxelles, 1988, 428-440.

35 Non ci convince il Plutarco razionalista e scettico riguardo a l’orfismo, al pitagorismo e alla metempsicosi presentato da Tsekourakis (1987), 380-382 e passim ; cf. invece Linforth (1941), 337 : « solemn and impressive authority for the prohibition against eating flesh ». Probabilmente Plutarco (come altri Platonici) era dubbioso riguardo alla reincarnazione in animali (cf. Stettner, 1934, 92).

36 Evidente esegesi di Pl. Leg. III, 701 bc (= fr. 9 Kern).

37 A cui Plutarco allude anche in De E ap. Delph. 9, p. 389 a, e in De Is.Os. 35, p. 364 f (sempre in connessione con la palingenesia : cf. J.G. Griffiths, Plutarch’s de Iside et Osiride, Cardiff, 1970, 72) ; nonché in Galb. I, 6.

38 A noi il discorso di Plutarco sembra estremamente chiaro, se non addirittura prolisso. Le perplessià (« Plutarch’s procedure in the argument is curious ») e le indebite inferenze (Plutarco avrebbe unito due tradizioni di sua iniziativa !) di Linforth (1941), 336-337, nascono dal fatto che egli (per il noto pregiudizio antiorfico) pretende che Plutarco ragioni e presentí gli argomenti in una maniera che non è la sua ma quella del cartesiano Linforth. Le anime di Empedocle sono colpevoli di cannibalismo e subiscono come punizione un ciclo di reincarnazioni. I Titani sono del pari colpevoli di cannibalismo e ciò dà parimenti origine alla palingenesia. D’altra parte, i Titani sono in noi. Era il caso di precisare che gli uomini nascono dai Titani ? Il mythos è enigmenos, e tale deve restare, almeno in misura minima. Cf. anche Cameron (1942), 457 (la migliore confutazione di Linforth) ; Sabbatucci (1965), 73-74, n. 23 (fraintende Empedocle) ; Bianchi (1966), 118 = 178 ; Id. (1974), 132-134 = 190-192 ; Seaford (1986), 5-6 ; Tsekourakis (1987), 381.

39 Il fatto che la moglie fosse consenziente in questa fede dimostra che non si tratta di « religione dei filosofi ». Cf. Turcan (1959), 38.

40 Dionisiaca e orfica. Nessuno nega l’esistenza di misteri dionisiaci o di credenze orfiche.

41 La dottrina della consolatio sfugge a Stettner (1934), 56-63 e 92, nella rassegna dedicata alla metempsicosi in Plutarco. Prigioniero com’è del dogma wilamowitziano (cf. p. 87), egli resta fermo alle ascendenze stoico-platoniche.

42 Esauriente documentazione in Zuntz (1971), 320-322 (cf. Seaford, 1986, 7 e 24) : tre esempi, due orfici e uno pitagorico. Da richiamare anche Pl. Phaed., 72 b ϰύϰλῳ περιιόντα (in riferimento alla ruota delle nascite) : cf. J. Burnet, Plato’s Phaedo, Oxford, 1911, 50 (« Orphic »). Altri pensa a una metafora presa dal linguaggio delle corse.

43 Punto di vista difeso da Picard (1961).

44 Opinione accanitamente sostenuta (e per tutte le laminette) da Zuntz (1971), 337-338, 393 e passim.

45 Particolarmente dopo la scoperta della laminetta di Ipponio con la menzione dei bakchoi. Decisiva conferma nelle laminette di Pellina con la menzione del Bakchios (Tsantsanoglou-Paràssoglou, 1987, 9-11) : ma cf. Seaford (1986), 9 e R. Merkelbach, ZPE 76 (1989), 15-16 (collegamento con Pindaro, fr. 133, S-M)

46 Ma senza neanche dimenticare che la cremazione, attestata almeno nel Timpone Grande di Turi, era contraria alle direttive di Pitagora : Iambl. V. Pyth., 154 (cf. Zuntz, 1971, 337, n. 6).

47 Tra cui la catabasi « orfica » del papiro di Bologna : cf. Turcan (1956), 141 ; Id. (1959), 37-38 e passim ; Violante (1984), 319 (nega la reincarnazione).

48 Si è creduto (v. in particolare Pugliese Carratelli, 1983, 73-75 ; Feyerabend, 1984, 5 ; Guarducci, 1985, 394 ; Burkert, 1987, 87 e 161, n. 130) di individuare un riferimento alla dottrina della trasmigrazione anche nella serie di laminette B, per la presenza di Mnemosyne, dea della memoria (delle esperienze passate in altre vite ?). In mancanza di prove più valide è meglio lasciare (con Burkert, 1977, 437 e 444) la questione aperta.

49 Per la datazione v. Nock (1940), 503.

50 Bickerman (1938-1939), 234-238, individua la presenza di « dogmi » (krimata) appartenenti a una religione che richiede purità morale e si apprende attraverso un’iniziazione scritturale, non sacramentale. Nock (1940), 505-511 pensa piuttosto a una gnomica popolare : « Hecateus is not an initiate, but a ‘modest philosopher’, who by native wit has found the right, nay the consecrated way of making decisions » (krimata).

51 Come fu già rilevato da Bickerman (1938-1939), 236.

52 Pertinente l’ossevazione di Zuntz (1971), 321 : (la metafora della ruota) « was applied, as a descriptive predicate, to human life with its changes and suffering, but its use as synonym for life presupposes more than the consciousness of life’s instability ; it has, in addition, a terminological ring which implies some particular doctrine ».

53 Pro, Bickerman (1938-1939), 238-239 ; contra, Nock (1940), 507.

54 I sec.a.C. ? Cf. West (1983), 229. 246-251. 261.

55 Proclo ammetteva la migrazione dell’anima umana negli animali « ungern » e secondo particolari modalità ; escludeva la migrazione nelle piante : Stettner (1934), 80-81.

56 Rathmann (1933), 71 ; Turcan (1956), 142.

57 Rathmann (1933), 72 ; Stettner (1934), 87-88 ; Turcan (1959), 34-35 ; Zuntz (1971), 337, n. 5.

58 Pearson (1921), 432 ; Rathmann (1933), 72. 104 e 106 ; Stettner (1934), 88 ; Linforth (1941), 326 ; Long (1948), 50 ; West (1983), 99 e 246.

59 Pearson (1921), 432 ; Rathmann (1933), 72 e 106 ; Stettner (1934), 9 e 88 ; Bacigalupo (1965), 277 ; Zuntz (1971), 321 ; West (1983), 173.

60 Stettner (1934), 88 ; Skutsch (1959), 152.

61 Una certa rivalutazione della teoria erodotea in Fimmen (1914), 518-523 (con accentuazione del ruolo di Pitagora) ; per Stettner (1934), 9 e Long (1948), 5-6 il folklore egiziano avrebbe semplicemente fornito un « Anknüpfungpunkt » che Erodoto avrebbe sviluppato con deduzioni arbitrarie.

62 Cf. Long (1948), 7-8.

63 Rathmann (1933), 140 e n. 14 (direttamente dall’Iran, secondo R. Reitzenstein) ; Wilson (1958), 60, n. 180 (« via Persia and Asia Minor ») ; Von Fritz (1968), 8-9 (influsso brahmanico in Persia : ma l’A. non ha le idee chiare al riguardo) ; Burkert (1972), 133.

64 Rilevate indipendentemente da Adam (1908), 107 e da Zuntz (1971), 393.

65 Cf. Fimmen (1914), 514 ; Long (1948), 9-10 ; Dodds (1951), 169, n. 4 ; Nilsson (19673), 695 e n. 6 ; Werblowski (1987), 23.

66 Optano per la possibilità di sviluppi indipendenti paralleli Rohde (18982), 465 ; Pearson (1921), 432 ; Long (1948), 10-12.

67 Cf. Dodds (1951), 194, n. 1 ; Burkert (1972), 163 ; Id. (1977), 446 ; Dihle (1982), 10 e n. 10. Contra, Bremmer (1983), 24-53 : ma cf. M.L. West, CR, 1985, 56-58.

68 Dihle (1982), 9.

69 Cf. Long (1948), 2-4 ; Furley (1956) ; Dihle (1982) ; Bremmer (1983).

70 Cf. n. 67 e Bremmer (1983), 71, n. 5.

71 Cf. Fimmen (1914), 518 (« Tierverwandlung ») ; Rohde (18982), 465 e Pearson (1921), 432 (« the limited supply of souls necessitates the reappearance of the same soul in various earthly bodies ») ; Dodds (1951), 179 (passaggio dell’anima di uno sciamano defunto nel corpo di un altro sciamano) ; Nilsson (19673), 695 (passaggio dell’anima di un defunto in un animale ; « rinascita » dell’anima di un avo in un nipote cui è dato lo stesso nome) ; Bacigalupo (1965), 272. 277 e Bremmer (1983), 63-64 e 80 (teriomorfismo dell’anima) ; Werblowski (1987), 21-22 (visione ciclica del1’esistenza, ecc.).

72 Cf. Furley (1956), 10 e 15-16.

73 Cf. McGibbon (1964), 10 e Werblowski (1987), 23, che parla di tre presupposti soggiacenti all’ « Orphic-Platonic-Neoplatonic System ». Secondo Stettner (1934), 7-19 (cf. Burkert, 1977, 447) esisterebbe in Grecia una metempsicosi pitagorica (anteriore a quella orfico-platonica) « ohne moralischen Einschlag », nella quale lo scopo non è « die Erlösung aus dem Kyklos, sondern einfach die Beseelung der Welt ». Di essa sembrano perdute le tracce e, in ogni caso, « metempsychosis is pointless if the ethical consequences it involves are not developed » (Finkelberg, 1986, 326, n. 19). Couliano (1984), 49-50, osserva che la metensomatosi « présuppose un conception pessimiste de la vie terrestre » e implica quasi necessariamente « une doctrine du corps comme prison de l’âme ». D’altra parte, sono da condividere le cautele di Burkert (1972), 134-135, contro la tendenza a coartare la fluidità di una antica Weltanschauung entro gli schemi di una tipologia elaborata razionalisticamente.

74 Cornford (1922), 141 = 103. Cf. Stettner (1934), 26 e 89.

75 La realtà di quest’ultima, beninteso, è ortológicamente inferiore alla realtà dell’Uno.