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Musica su papiro

La pratica della scrittura musicale nella tradizione papiracea

Alessandro BORIA1

I Documents of Ancient Greek Music (DAGM), a cura di M.L. West e E. Pöhlmann, costituiscono senza dubbio la raccolta di riferimento per lo studioso della musica greca2. Strumento indispensabile per una ricostruzione della storia musicale nel mondo greco e delle forme dello spettacolo in età ellenistica e imperiale, la raccolta rimane tuttavia ancora debole sul fronte dell’analisi papirologica3. I documenti presenti sono infatti studiati in quanto testimonianze musicali, talvolta decontestualizzate rispetto al dato materiale fornito proprio da quel supporto scrittorio che ne ha garantito la sopravvivenza nel tempo.

Il caso limite è dato dal modo in cui viene presentato il P.Berol. inv. 6870 (DAGM 17-18, 50-52), uno straordinario documento musicale di una certa consistenza che conserva 23 righi di testo provenienti da brani di natura diversa, posti in questa successione: un peana ad Apollo (1-12), un brano di musica strumentale (13-15), un testo di tragedia (1619), un secondo brano strumentale (20-22) seguito da un ultimo, isolato verso di tragedia (23). In base ad un’analisi congiunta del testo e della musica, gli studiosi del papiro sono giunti a ritenere che i brani, di diversa natura testuale e musicale, dovessero risalire a differenti periodi di composizione, e cioè alla tarda età classica per il pezzo di tragedia e per l’ultimo verso isolato, al periodo imperiale per gli altri brani conservati4. Conseguenza diretta di questo approccio è stato lo smembramento degli excerpta del P.Berl. inv. 6870 in due diverse sezioni dei DAGM (seconda sezione sui documenti di età ellenistica per il frammento tragico e quarta sezione sui frammenti d’età imperiale per gli altri brani), trascurando per altro i dati materiali del documento che fanno risalire la reale scrittura dei testi al tardo II sec. d. C.5

Riconsiderare i documenti musicali anche nel loro aspetto materiale, in quanto testimoni papiracei, permetterebbe a mio avviso la ricostruzione di fenomeni di più ampia portata, la ricostruzione cioè del contesto culturale-musicale che ha materialmente prodotto le testimonianze giunte fino a noi6. Le informazioni fornite da alcuni dati materiali sono molteplici e diversificate rispetto anche alla domanda con cui ci si avvicina al testimone. Degli interrogativi che mi sono posto nel mio studio, in questa sede ne propongo due: 1) Esistono copie non immediatamente destinate all’hic et nunc della performance, ma pensate per essere conservate e trasmesse nel tempo ? 2) Che competenze aveva un professionista della musica ?

Procediamo con ordine cercando di rispondere al primo quesito. Una tendenza negli studi recenti sui papiri musicali ha voluto vedere in alcune testimonianze su papiro i resti di quelli che sarebbero stati antichi copioni, spartiti, copie d’uso per attori-cantanti, citaredi professionisti o comunque specialisti nel campo7. Tuttavia, scritture di natura libraria impiegate in alcuni papiri o il ricorso a tecniche particolari nella mise en page dimostrano l’esistenza di esemplari non direttamente destinati alla scena: testimoni, piuttosto, che dovevano possedere un qualche interesse di studio.

Alcuni esempi: il P.Vindob. inv. G 2315 (DAGM 3), meglio conosciuto come il papiro dell’Oreste, è uno dei più antichi documenti di musica greca. E’ stato pubblicato per la prima volta sul finire del XIX sec. e da allora ha sempre suscitato l’interesse degli studiosi che hanno dedicato ad esso numerosi lavori8. Si tratta di un piccolo frammento proveniente da cartonnage che conserva sul recto la porzione centrale di sette righi di testo contenenti sette versi in dimetri docmiaci dall’antistrofe del primo stasimo dell’Oreste di Euripide (vv. 338-344). Le caratteristiche paleografiche del testo, una scrittura posata con modulo quadrato delle lettere e alternanza tra forme epigrafiche ed eleganti tratti incurvati, lo affiancano a testimoni letterari dello stesso periodo. Si tratta, infatti, di una delle scritture che Turner classifica come appartenente al gruppo C delle scritture librarie tolemaiche9. La veste formale con cui si presenta il testo dell’Oreste già di per sé evidenzierebbe una volontà libraria che in qualche modo voleva farne un esemplare per la conservazione.

Su quale fosse l’interesse per tale conservazione è possibile forse formulare alcune ipotesi: esse si fondano sul supporto di alcuni indizi interni al testimone e alla sua partitura musicale. A mio avviso, infatti, l’uso di una particolare scala melodica dal sapore « arcaico », nonché l’adozione di una serie di accorgimenti nella scrittura di alcuni segni musicali definiscono lo status eccezionale del P.Vindob. inv. G 2315 rispetto agli altri documenti musicali superstiti. I segni vocali Φ C Ρ Π Ι Ζ Ε in uso nella partitura melodica del P.Vindob. inv. G 2315 appartengono al τόνoc lidio enarmonico e cromatico, ad eccezione del Φ, variante diatonica della λιχαvòc ὑπάτων del τόνoc lidio10. Più che pensare a una melodia che oscilla tra tetracordi di genere diverso, sin dai primi studi sul papiro ci fu la tendenza ad associare la scala in uso nel papiro dell’Oreste con le antiche scale dorica e frigia riportate da Aristide Quintiliano nel suo celebre elenco di ἁρμονίαι in uso presso i più antichi (Arist. Quint. De Mus. 1, 9, p. 18-20 Winnington-Ingram), le stesse a cui si riferiva Platone nella Repubblica (399a) e che risultano costruite sulla stessa serie di note in uso nella partitura dell’Oreste11.

In un originale studio sulla musica greca, Stefan Hagel ha di recente evidenziato come, in conseguenza di espansioni interne al sistema dei segni di notazione musicale, il τόνoc lidio si fosse trovato in una posizione di centralità rispetto agli altri τόνοι12. Al pari della nostra scala di do maggiore, col tempo anche i segni del τόνoc lidio dovevano essere adoperati in contesti teorico-esemplificativi per notare esempi musicali, excerpta o anche scale di differenti tonalità, senza per altro indicare un’altezza assoluta dei suoni, quanto piuttosto un preciso rapporto intervallare tra gli stessi, eseguibile da qualsiasi strumento e da qualsiasi tessitura vocale13. Per usare le parole di Hagel, « such a custom would very probably have stood in a tradition that went back to the very earliest stages of the notation, when only the core of the Lydian key was in use. »14 E’ dunque lecito pensare che anche il P.Vindob. inv. G 2315 riporti un tipo di melodia dal sapore « arcaico », di cui si è cercato di riprodurre l’esatta successione intervallare tramite i segni del τόνoc lidio, sfruttando cioè un modo di notare la musica in uso presso la più antica pratica musicale e conservatosi in contesti teorico-didattici, come testimoniato dalla manualistica musicale d’età più tarda15.

E veniamo al secondo indizio: la scrittura dei segni. Come già osservato da molti, il P.Vindob. inv. G 2315 utilizza alcuni escamotage per evidenziare lo statuto particolare dei segni musicali rispetto alle lettere di testo. Il caso più evidente e conosciuto è quello della nota E, resa in formato maiuscolo ed epigrafico quando è usata come nota musicale, volutamente in contrasto con E del testo, generalmente realizzato con un tratto più arrotondato e meno angoloso16. Un altro caso particolare è dato dal segno strumentale ㇅ (sol3) che la tarda teoria musicale descrive come ζῆτα, ma che di fatto doveva essere originariamente una variante di N, iniziale della parola νήτη, che nella pratica musicale più antica indicava la nota più alta della scala riproducibile sullo strumento17. E’ stata la successiva pratica delle modulazioni a scale contigue tramite il « ponte » del tetracordo congiunto ad aver originato nuove scale le cui νήται furono contrassegnate da successive varianti della lettera N18. Chi ha realizzato il papiro dell’Oreste sembra aver avuto coscienza dell’origine della nota strumentale, realizzandola con un tratto mediano più verticalizzato e meno obliquo rispetto alla nota vocale Z (mi3).

Questi accorgimenti presenti nella scrittura musicale del papiro, unitamente ad una musica dal sapore « arcaico » e alla tipologia libraria della scrittura con cui è stato realizzato il testo musicato conferiscono una veste formale e attenta al P. Vindob. inv. G 2315, il cui excerptum euripideo doveva racchiudere un qualche interesse di studio per chi lo aveva realizzato, storico-musicale o più semplicemente antiquario, in virtù del quale si pensava di trasmettere e conservare il papiro al di là dei confini effimeri della performance.

Un altro caso interessante è dato da un esemplare del II sec. d. C. Si tratta del già citato P.Berol. inv. 6870 (DAGM 17-18, 50-52). Oltre alla palese natura antologica del testimone, ciò che colpisce è il gioco delle eistheseis dei frammenti strumentali rispetto a quelli vocali. E’ questo un principio di ordine nella visualizzazione che non puo non far pensare anche in questo caso alla volontà di realizzare un documento che fosse qualcosa di più di un semplice copione per una rappresentazione19. La natura stessa dei vari brani conservati spinge verso la medesima conclusione. Il peana iniziale doveva, infatti, rappresentare la sezione incipitaria di un testo cultuale probabilmente più lungo, ma comunque musicalmente compiuta, almeno per la parte conservata sul papiro (12). E’ probabile che anche gli altri pezzi, per quanto lacunosi nei finali, dovessero avere una compiutezza musicale, esattamente così come il peana iniziale.

Dunque è nella musica che va ricercato l’interesse per il quale sono stati assemblati testi e brani strumentali così distanti tra loro. Anche in questo caso, quale fosse questo interesse può essere solo frutto di ipotesi: suggerisco che la netta contrapposizione dei due brani vocali, e nello stile musicale e per tipologia e contenuto dei testi, presupponga un interesse di carattere storico-comparativo, nel confronto tra due pezzi di differente fattura stilistico-musicale. E’ noto peraltro che quello del confrontare, del creare opposizioni sia un approccio insito nel sistema culturale dei Greci; specialmente in ambito musicale si osserva infatti il continuo raffronto tra una musica « buona » e una « scomposta » (cf. Plat. Leg. 3, 700a-701b). Particolarmente interessante mi sembra un confronto in Ps.-Plut. De mus. 27 (1140d-e) tra una musica adatta ad onorare gli dei e ad educare i giovani e una θεατρικὴ μοῦcα: un confronto che sembra richiamare quello del P.Berol. inv. 687020.

Uno scopo palesemente didattico ha invece il P.Oxy. LIII 3705 (DAGM 56) risalente al III sec. d. C. Il papiro contiene il trimetro del verso 796 dalla Περικειρομένη di Menandro, ripetuto per tre volte, ogni volta con diversa notazione musicale supra lineam, diversamente organizzata rispetto al testo: ora con un solo segno su singola sillaba (rr. 1, 4), ora con doppi segni, congiunti da segno di legatura (rr. 2, 4). Proveniente dalla porzione centrale di un foglio originario, il frammento papiraceo è utilizzato transversa charta e realizzato in una scrittura informale, con asse leggermente inclinato a destra e con ductus veloce e sbrigativo. Le ipotesi sulla sua destinazione sono state molte, ma la natura informale del testimone e la tipologia del suo contenuto lasciano pensare ad una sorta di esercizio di tecnica vocale, probabilmente per scopi didattici21.

Ora, i tre papiri proposti come esempio rappresentano tre diverse tipologie di documenti musicali, con tre gradi diversi di formalità: da quella più ambiziosa e libraria del papiro viennese ad una più privata, ma pur sempre chiara nella disposizione dei testi, del papiro berlinese fino a quella più dimessa e meno formale del papiro di Menandro. Tutti le tre sono realizzati per uno scopo probabilmente altro rispetto a quello pragmatico della messinscena. L’utilizzo di scritture formali, alcune tecniche di impaginazione, la natura antologica o un carattere palesemente didattico farebbero in realtà pensare ad un uso che andasse al di là dell’estemporaneità della prassi concertistica e che fosse concepito per la conservazione del testo musicato, probabilmente per scopi di studio o più specificatamente didattici. In tal caso si tratterebbe evidentemente di un tipo di educazione molto tecnica, specialistica, legata alla trasmissione delle conoscenze in ambito di corporazioni di professionisti nel campo, cioè proprio quel tipo di educazione sconfessata dalla pedagogia aristotelica, secondo la quale l’educazione musicale non dovrebbe preparare i giovani ad un’attività professionistica, indegna di un uomo libero, ma semplicemente fornire gli strumenti per giudicare la bontà di una composizione musicale e saperne trarre godimento (Aristot. Pol. 8, 1340b20-1341b18)22.

Arriviamo al secondo interrogativo. Quali erano le competenze di questi specialisti ? Una risposta plausibile può essere suggerita da alcuni dati forniti dal modo in cui veniva realizzata nei papiri la notazione musicale23. Nella tabella sinottica sulla notazione vocale (Fig. 1, infra), ho cercato di riprodurre il più fedelmente possibile la realizzazione grafica dei segni in tutti i papiri superstiti, ordinati cronologicamente secondo le datazioni indicate dai primi editori (e sostanzialmente accolte nei DAGM)24. Uno sguardo complessivo alla disposizione, alla frequenza e al tracciato dei segni permette una serie di considerazioni sull’evoluzione del sistema stesso e su alcune sue caratteristiche interne. Mi soffermo in particolare su due tra i fenomeni direttamente osservabili: a) la distribuzione centrale dei segni rispetto alla tabella complessiva delle note vocali; b) la tendenza alla progressiva corsività del tracciato dei segni.

a) In un passo sulla voce umana (ἀνθρωπίνη φωνή), il trattato anonimo sulla musica pubblicato da Bellermann ci ricorda come questa sia naturalmente misurabile su tre ottave, ma che l’estensione realmente apprezzabile all’orecchio è quella centrale, corrispondente alla doppia ottava del τόνoc lidio (Anon. Bell. De mus. 94, p. 30 Najock). La distribuzione dei segni nella tabella complessiva dei suoni parrebbe confermare questa constatazione: i segni della notazione vocale da ᘰ a ℧’ ricoprono, infatti, poco più di tre ottave, all’incirca da mi1 a sol4. Per quanto è dato da osservare nei papiri superstiti, i segni tendono a concentrarsi, tuttavia, da ˥ a ℧ (all’incirca da mi2 a sol3), cioè all’interno della regione centrale della voce umana maschile, facilmente accessibile a qualsiasi tipo di vocalità. Fanno eccezione il papiro di Yale (DAGM 41), che al rigo 6 della prima colonna utilizza cinque note del registro basso, mai testimoniate altrove, e il brano di tragedia conservato nel P.Berol. inv. 6870 (DAGM 17) dove l’aggiunta degli apici d’innalzamento su tutti i segni trasporta l’intera melodia nella regione alta dei suoni, trascrivibile con le note della chiave di violino.

b) Nell’evoluzione diacronica della realizzazione grafica dei segni è osservabile una tendenza alla corsivizzazione del tracciato. Nel caso di molti segni musicali tratti dall’ alfabeto ionico si è passati da una forma epigrafica (A Ξ) ad una più corsiva (α ξ): nella scrittura dei segni ha, infatti, operato una tendenza generalizzata ad una realizzazione del tracciato progressivamente più velocizzata e disinvolta.

Si prenda il caso della scrittura della nota Z e la si confronti in due esemplari tra loro cronologicamente molto distanti: il papiro dell’Oreste del III sec. a. C. e l’inno cristiano del P.Oxy. XV 1786 del III/IV sec. d. C (DAGM 59). Col tempo la scrittura della nota Z si è andata stilizzando in una forma più corsiva e arrotondata. Casi simili si possono osservare per la nota , realizzata a volte nella forma di un veloce tratteggio sinusoidale, per il γάμμα ἀπεcτραμμένον, che tende ad essere realizzato in forma arrotondata, simile ad un piccolo uncino, o per quella nota che Alipio (Isag. 49, p. 368 Jan), descrive come ω τετράγωνον ℧ cioè un ω rovesciato di forma squadrata, realizzato spesso in un semplice tratto curvilineo rivolto verso l’alto. C’è un altro fenomeno che coinvolge direttamente la scrittura del rigo musicale e che non è immediatamente osservabile sulla tabella. Mi riferisco a quegli escamotage che vengono adoperati per distinguere le lettere alfabetiche usate come segni di notazione dalle omografe lettere del testo.

Un esempio è il già citato caso di E squadrato della notazione rispetto a ε più corsivo del testo. Il fenomeno è particolarmente evidente nel gruppo dei papiri viennesi, ma anche in alcuni testimoni di età più tarda, come in P.Oxy. XLIV 3162 (DAGM 55) e in parte anche in P.Oxy. XXV 2436 (DAGM 38), dove il segno oscilla tra una forma più posata e una più arrotondata e corsiveggiante25. In altri casi ε è invece realizzato in forma corsiva, con un tratteggio affine allo stile delle corsive coeve. E’ questo il caso di ε del P.Oxy. LXV 4464 (DAGM 48) realizzato tramite la giustapposizione di due tratti curvilinei, del tutto in linea con lo stile cancelleresco di età romana, ben rappresentato in molti esemplari dell’epoca (come P.Oxy. XLV 3243)26. Altri casi di distinguo tra il rigo musicale e quello di testo sembrano legati alla realizzazione più corsiva del tratteggio del primo rispetto al secondo.

La tendenza alla corsività di alcuni segni musicali si realizza, oltre che in diacronia, anche all’interno dello stesso papiro, nel contrasto cioè tra un rigo musicale (scritto in un tratto disinvolto e velocizzato) e il testo musicato realizzato in un scrittura più attenta e posata. Un caso evidente di questo tipo di contrasto è quello della lettera che nella notazione si trova spesso ad essere realizzata in un tempo con un veloce tratto sinusoidale, mentre nel testo conserva una maggiore cura, specialmente nella realizzazione del tratto superiore e inferiore della lettera. Il fenomeno è particolarmente osservabile nel primo brano vocale del P.Berol. inv. 6870 (DAGM 50) dove una buona frequenza del segno lascia confrontare il simbolo-nota con le omografe lettere del testo, evidenziando per altro un tracciato ben rappresentato in scritture quotidiane di esemplari coevi, la cui scrittura informale è realizzata con disinvoltura e velocità di ductus: è questo, ad esempio, il caso di ξ coincidente con un modo di scrivere in uso presso scritture informali ad Ossirinco, come dimostra l’equivalenza del tracciato della lettera nel famoso ordine di libri conservato in P.Oxy. XVIII 219227.

Il fenomeno è ancora più evidente in quei casi in cui la notazione supra lineam è stata aggiunta in un secondo momento rispetto al testo, il cui ampio interlineo suggerisce una mise en page evidentemente pensata in previsione della scrittura musicale. In questi testimoni il rigo musicale è realizzato con mano corsiva, esperta e sicura, a fronte invece di una scrittura del testo più posata e formale. Il P.Oxy. LXV 4463 (DAGM 47) ne è un esempio: la mano della notazione è esperta, l’inchiostro più chiaro, il ductus scorrevole, il calamo sottile, il modulo superiore a quello del testo.

Un caso particolare è invece il P.Oxy. XLIV 3162 (DAGM 55) che conserva sette righi di testo di natura giambo-trocaica: un esemplare scritto in una maiuscola posata, realizzata con un tratto spesso e un inchiostro scuro, con spaziatura tra le sillabe di testo che recano in alto a destra i segni di notazione vocale. A differenza di altri testimoni la notazione supra lineam è qui realizzata con ductus più posato: oltre a E è osservabile la forma angolata del segno Z o la cura nella realizzazione del tratto superiore e inferiore della nota .

Negli altri casi l’aggiunta della notazione viene sempre realizzata con un tratto veloce e disinvolto di forme coincidenti con scritture coeve di natura informale, scritture che il nostro musico doveva in qualche modo conoscere ed utilizzare. Ma con quale intenzione lo scrivente adotta un ductus corsivo ? Con la stessa intenzione con cui si annota un marginale o piuttosto con una volontà formale di distinguo tra il rigo di testo e quello musicale ? Il già citato P.Oxy. XLIV 3162 conserva un rigo musicale supra lineam di modulo pari a quello del testo, realizzato con una particolare cura soprattutto nel tracciato della E, squadrata ed epigrafica, in voluto contrasto con l’omografa lettera di testo. Al rigo 5, il rigo musicale consta della ripetizione del simbolo nota E, presente per ben sei volte, per tutta l’estensione del rigo conservato. Sulla quinta ripetizione è possibile osservare un ispessimento del tracciato, come se il calamo si fosse soffermato una seconda volta per rendere più chiara la forma squadrata del segno. E’ probabile che lo scriba, nella meccanicità della ripetizione di uno stesso segno, abbia avuto ad un certo momento la tendenza istintiva a realizzare il simbolo musicale diversamente da come lo aveva tracciato fino a quel punto, un istinto influenzato da un’abitudine diversa nel tracciato, più usuale e meno epigrafica, probabilmente coincidente con il tratto di ε del rigo di testo. Questo impuntarsi dello scriba sulla nota tradisce una volontà esplicita di distinguo tra due segni omografi, una volontà evidentemente soggiacente in tutta la scrittura del rigo musicale, dove il contrasto non avviene, come negli altri documenti musicali superstiti, tra una scrittura più formale e una più informale e corsiva, ma tra due diversi gradi di formalità, quello del testo, formale librario, e quello dalla tendenza più epigrafica ed arcaizzante del rigo musicale.

Il contrasto voluto tra testo e notazione osservabile in un esemplare di una certa formalità come il P.Oxy. XLIV 3162, un distinguo peraltro molto simile a quello presente nel gruppo dei papiri viennesi, farebbe pensare ad una volontà formale nel contrapporre la scrittura del testo e quella della musica. Anche quando la realizzazione dei segni è corsiva e disinvolta, è dunque probabile che questo avvenga per una precisa esigenza di distinguo soggiacente nella pratica generale della scrittura musicale. La realizzazione disinvolta del rigo musicale, spesso coincidente con forme di scrittura usuale di papiri coevi, e il consapevole utilizzo di alcuni accorgimenti atti a caratterizzare i segni della notazione rispetto a quelli di testo tradiscono un’alta competenza dello scriba, non solo come esperto conoscitore delle norme della scrittura musicale, ma anche come persona istruita e alfabetizzata, educata nelle più comuni pratiche di scrittura usuale.

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Fig. 1: tabella della paleografia dei segni vocali

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1 Il presente contributo è un estratto dalla tesi di dottorato che discuterò entro Giugno 2011 presso l’Università di Roma « Tor Vergata » con la supervisione della Prof.ssa M.R.Falivene.

2 Pohlmann / West (2001).

3 Cosi anche i precedenti studi e raccolte sui documenti musicali superstiti : Pöhlmann (1960), Pöhlmann (1970).

4 Schubart (1918) ; Thierfelder (1918) ; Abert (1919) ; Wagner (1922) ; Pöhlmann / West (2001) 58-59.

5 Il testo musicale di P.Berol. inv. 6870 è redatto sul verso di un documento militare latino, datato al 13 Agosto 156 d. C. (ChLAX 411).

6 Cf. le considerazioni che fa in proposito anche Pernigotti (2009).

7 Cf. le riflessioni a proposito del P.Yale inv. 4510 (DAGM 41) in Johnson (2000).

8 Per una buona bibliografia selezionata su P.Vind. G 2315, cf. Gammacurta (2006) 131-133.

9 Turner (1980) 29-30, n° 22 ; vedi anche Turner (1956) 95.

10 Per l’uso dei simboli di notazione nei τόνοι, cf. West (1992) 254-259 ; per un’introduzione generale al sistema dei τόνοι nella teoria musicale antica è ancora utile Comotti (1979) 84-96.

11 Cf. DAGM 15, Crusius (1893). Per un’analisi dettagliata sulla datazione e sulla fonte utilizzata da Aristide Quintiliano, cf. Barker GMW II 419, n.112 ; Hagel (2010) 390-393.

12 Hagel (2010) 9-38.

13 Hagel (2010) 336.

14 Ibid.

15 Oltre ad Aristide Quintiliano vanno infatti ricordati i celebri esercizi strumentali riportati dall’anonimo di Bellermann (Anon. Bell. 97-101, 104, p. 30-33 Najock = DAGM 32-37).

16 Gammacurta (2006) 133-134 ; vedi anche M.L West in P.Oxy. LXV 1998, p. 81.

17 La descrizione verbale dei segni di notazione si trova in Gaud. Isag. 23, p. 353 Jan ; Alyp. Isag. 4 p. 369 Jan ; Anon. Bell. 3,66 p. 19 Najock. Per un’interpretazione sul significato del gruppo dei segni strumentali del P.Vind. inv. G 2315 e quindi anche del segno ㇅, cf. Prauscello (2006) 138-143. Per la corrispondenza tra i segni di notazione greca e le moderne note musicali, cf. il repertorio dei segni in West (1992) 256, fig. 9.1. Ricordo che nei paesi di lingua romanza le abbreviazioni correnti per indicare l’esatta posizione, ad esempio, dei vari do sono : Do, do1, do2, do3 (do centrale del pianoforte), do4.

18 Il sistema dei segni musicali greci si organizza in una struttura triadica, particolarmente evidente nella successione dei segni strumentali. Se si osserva il repertorio dei segni in West (1992) 256, si può osservare come ad un simbolo base, corrispondente ad una nota naturale, seguano due segni ricavati da sue successive modifiche nella forma (tramite rotazione, inversione, decurtazione o aggiunta di tratti diacritici) e corrispondenti a due successivi innalzamenti della nota naturale, di ampiezza oscillante tra semitono o quarto di tono a seconda dei generi di tetracordo in cui la nota è impiegata. Rispetto a questo principio di successione dei segni, le varianti grafiche di N rappresentano un fenomeno diverso, in quanto non utilizzate per indicare alterazioni successive a partire da una nota naturale, ma per segnare note a distanza di un tono, utilizzate come estremità all’acuto di scale contigue. Cf. Hagel (2010) 20-25.

19 L’idea che il P.Berol. inv. 6870 fosse uno « Stück aus einem Handbuch der Musik » (Schubart 1919) fu anche dei primi editori e conflui nel catalogo di Pack, che ne indicò la provenienza da una « music lover’s library » : cf. Pack (1965), n° 2439, p. 129.

20 Le considerazioni fatte in questa sede su P.Berol. inv. 6870 sono frutto di uno studio analitico sul testimone che ho affrontato per la mia tesi di laurea, i cui risultati saranno oggetto di una prossima pubblicazione.

21 Cf. DAGM 184, n. 2.

22 Il tipo di educazione fornita in ambito specialistico è probabilmente adombrata in due iscrizioni, una proveniente da Teo (CIG 3088) e una da Magnesia sul Meandro (SIG 960) in cui si dà l’elenco dei vincitori di discipline che dovevano con ogni probabilità costituire il curriculum previsto da queste compagnie di artisti : si parla di competizioni sportive, esecuzioni strumentali e cantore, recitazione di commedie e tragedie e prove di scrittura, tra le quali una μελογραφίαc.

23 Per una bibliografia sullo studio della notazione musicale greca, cf. West (1992) 398.

24 Nella tabella il P.Berol. inv. 6870 è stato considerato come testimone unico e sono stati aggiunti due ulteriori testimoni, recentemente pubblicati e non presenti nella raccolta dei DAGM : il P.Vat. Gr. 7 e il P.Louvre E 10534. Cf. Martinelli / Pintaudi (2009) ; West (2007) ; Bélis (2004).

25 Nei papiri di Vienna il fenomeno è presente anche in P.Vindob. inv. 29825 f (DAGM 14) e P.Vindob. inv. 1494 (DAGM 16).

26 Cf. Cavallo (2005) 19.

27 Un’immagine del P.Berol. inv. 6879 si trova in West (1992) tav. 35.