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Papiri con edizioni commentate

Lucia VANNINI

Si propone qui una riconsiderazione di un piccolo gruppo di papiri con esegesi di testi letterari greci, che è stato individuato dagli studiosi con la definizione di « edizioni commentate »1. La presenza del testo letterario per intero, cui allude il termine « edizione », distingue queste opere dalla tipologia dei commentari (o hypomnemata). Pur presentando un’identica struttura contenutistica, costituita dall’alternanza di citazioni e commento, questi esemplari si differenziano per il procedimento seguito nella pratica dell’esegesi : anziché contenere una selezione di passi (« lemmi »), presentano un commento relativo a citazioni ampie che coprono consecutivamente il testo letterario, cosicché è presumibile che questo vi fosse riportato in modo completo.

Vorrei qui presentare sinteticamente le caratteristiche di questi testi, per valutare l’ipotesi che, al di là del tratto comune costituito dalla presenza dell’intera opera letteraria, ciascuno possieda una collocazione tipologica più precisa : alcuni esemplari possono forse essere considerati un unicum, mentre per altri si esamina anche la definizione di « commentari a lemmi continui ».

Come è noto, il primo testo ad essere stato individuato come un’« edizione commentata », in base a una proposta di Franco Montanari, è quello conservato dal gruppo dei P. Lille di età tolemaica che contiene il testo della Victoria Berenices di Callimaco (prima elegia del III libro degli Aitia)2. I frammenti provengono da un volumen la cui scrittura è databile alla prima metà del II sec. a. C.3 In questo esemplare una medesima mano libraria ha copiato il testo poetico, riportandolo secondo la suddivisione in versi, e vi ha intercalato alcune righe di commento, collocate in eisthesis pronunciata rispetto ai versi callimachei, e dunque immediatamente distinguibili.

Benché il testo callimacheo commentato non sia interamente noto, le caratteristiche dell’esegesi suggeriscono che le citazioni fossero tratte in modo consecutivo : come rileva Parsons (1977b) 5, il commento che segua una citazione di una certa ampiezza si riferisce esclusivamente alla parte finale del brano, dimodoché alcuni versi risultano del tutto privi di esegesi ; perché allora riportare anche passi che non sono presi in considerazione nel commento ? La prassi dello scriba riflette, plausibilmente, la decisione di riportare, nel complesso dei brani, il testo totale di Callimaco, interrompendo la copia dei versi solo laddove si avvertiva la necessità di un chiarimento ; esso veniva cosi introdotto nel luogo opportuno.

A un primo sguardo, il rilievo con cui il testo poetico è presentato distingue il papiro di Lille dagli altri esemplari che vengono in esame : unicamente qui l’opera letteraria è stata riportata mantenendo la suddivisione in versi, che lo scriba ha segnalato copiando ogni nuovo verso a capo rigo, dunque secondo la medesima modalità con cui si producevano gli esemplari delle opere letterarie ; contraddistinguono il solo P. Lille anche l’ekthesis particolarmente evidente (di tre lettere) con cui il testo poetico è collocato, e l’uso di riportare sempre a capo rigo l’incipit di ciascuna sezione, di versi o di commento. Questi accorgimenti consentivano, al lettore che lo desiderasse, la possibilità di fruire esclusivamente dell’opera letteraria, come risultava agevole anche a causa delle dimensioni contenute delle spiegazioni.

Negli altri papiri con esegesi che contengono il testo totale dell’opera scelta, il commento sembra invece assumere una rilevanza pari o addirittura maggiore rispetto alle citazioni. Uno di questi esemplari risale, come il Callimaco di Lille, all’età tolemaica : si tratta del P. Louvre inv. 7733v, che conserva sul verso un epigramma grifodico, dal titolo Un ’ostrica, seguito dal proprio commentario4. Il testo è riportato in una scrittura libraria informale dall’aspetto elegante, assegnabile alla seconda metà del II sec. a. C., dunque a un periodo di poco posteriore al P. Lille5. Verosimilmente, il frammento costituisce parte di un rotolo che conteneva una raccolta di testi analoghi, probabilmente della produzione di un medesimo poeta, ognuno seguito dal relativo commento6.

La singolarità del procedimento seguito nel P. Louvre consiste nell’avere riportato il testo esegetico interamente dopo la conclusione di quello letterario : ciὸ che segue l’epigramma è un vero e proprio hypomnema, dove sono appunto ripetuti in forma di lemma alcuni passi che non abbracciano l’intero testo poetico e sono selezionati anche indipendentemente dall’unità metrica del verso7. Il lettore poteva cosi usufruire di un commento ampio senza che cio gli impedisse di leggere in modo continuo il testo letterario, secondo una caratteristica che lo avvicina, in parte, al P. Lille callimacheo ; l’estensione e la profondità del commento suggeriscono perὸ che in questo esemplare l’interesse dell’autore fosse volto in uguale misura alla trasmissione del testo letterario e alla produzione di un commento autonomo.

La tipologia testuale conservata dal P. Louvre non corrisponde a nessuna delle attestazioni, e l’esemplare sembra percio qualificabile come un unicum. È possibile che la sua eccezionalità sia legata alle caratteristiche del testo letterario commentato, breve e per sua natura enigmatico, e pertanto strettamente dipendente dalla necessità di un’esegesi.

Troviamo poi annoverati fra le « edizioni commentate » due esemplari della prima età romana, entrambi copiati da mani informali : uno, databile alla prima metà del I sec. d. C., contiene brani commentati dei Theriaka di Nicandro8 ; l’altro, CLGP I.1.4 Aristoteles, della fine del I sec. d. C., conserva quattro pericopi del testo dei Topici, ognuna seguita da un commento di carattere parafrastico9.

I commenti a Nicandro e ad Aristotele presentano una caratteristica specifica, sulla quale vorrei soffermarmi, che li differenzia dalle tipologie testimoniate dal P. Lille callimacheo e dal P. Louvre : ogni sezione di commento contiene la spiegazione dell’intero testo che è riportato nella citazione, per cui l’opera letteraria risulta commentata nella sua totalità. Questi esemplari contengono quindi un’esegesi sistematica ; essa consiste principalmente in una semplice parafrasi, cui potevano occasionalmente aggiungersi altri elementi. Di conseguenza, il testo letterario prescelto si presenta qui suddiviso in citazioni ampie, in cui si possa seguire lo sviluppo di un pensiero, e non vi era motivo di isolarlo chiaramente dall’esegesi.

Difatti le due sezioni, di testo letterario e di commento, non sono individuabili a colpo d’occhio : l’ekthesis delle citazioni non è vistosa e l’incipit di ciascuna sezione è riportato di seguito al testo precedente, nella medesima linea di scrittura già parzialmente occupata ; la fine del lemma è, si, segnalata dall’introduzione di uno spazio bianco, ma questo segnale non è impiegato in modo univoco nel papiro di Nicandro, dove presenta anche la funzione di indicare la fine dell’esametro all’interno del lemma. Inoltre, il testo dei Theriaka non è copiato verso per verso (benché, come detto, all’interno della linea di scrittura la fine dell’esametro sia in qualche modo segnalata), cosicché l’ampiezza della colonna era stabilita sulla base del testo in prosa.

Si possono individuare ulteriori esemplari avvicinabili a quelli finora identificati ? Mentre la tipologia cui sono assegnabili il papiro di Nicandro e quello dei Topici sembra avere conosciuto una certa diffusione, e non si esclude che ulteriori esemplari possano essere cosi classificati, sembra che la tipologia attestata nel Callimaco di Lille non abbia avuto un seguito10. La tipologia delle « edizioni commentate » sembra pero essere continuata in età romana presentandosi in una forma mutata : si tratta di un esemplare del II sec. d. C., P. Berol. inv. 11521, che è stato pubblicato dal Wilamowitz nel 191211. Del testo, copiato in una libraria informale elegante, si conserva la parte superiore di una colonna di scrittura, nella quale è riconoscibile la citazione di un brano del I libro degli Aitia, relativo al Ritus Anaphaeus12. Questo frammento sembra testimoniare una fase successiva a quella rappresentata dal P. Lille, nella quale il testo letterario non è più immediatamente distinguibile ; esso sembra anche essere riportato in una suddivisione più sistematica.

Da una parte, lo scarso rilievo in cui è collocato il testo poetico dal punto di vista editoriale costituisce una differenza dal Callimaco di Lille : le citazioni sono contras-segnate unicamente da una breve ekthesis, limitata alla prima lettera (come è probabile dalla ricostruzione del testo poetico al r. 13, dove la lacuna iniziale è breve e l’integrazione è sicura). Una disposizione testuale di questo genere fa si che la lettura del testo letterario dovesse necessariamente avvenire unitamente a quella del commento.

Le caratteristiche dell’esegesi non sono individuabili con certezza : a causa della lacunosità del testo non è innanzitutto evidente se il testo contenesse citazioni consecutive, dal momento che si è conservato un solo passo di Callimaco ; né possiamo stabilire chiaramente cosa contenesse il commento : ad esempio, se l’esegesi riguardasse la citazione nella sua totalità, oppure se fosse limitata ad alcuni luoghi. Tuttavia, alcune caratteristiche constatabili nel frammento lasciano intravedere una ricostruzione del procedimento seguito dal commentatore : sembra che la spiegazione sia circoscritta esclusivamente ad alcuni vocaboli che ricorrono nella citazione, quantunque questa sia riportata per un tratto molto più ampio.

Vorrei pertanto sottoporre ora la traduzione della sezione maggiormente perspicua (dal r. 8), in cui si conservano la citazione e la parte iniziale del relativo commento. Il passo callimacheo è tratto dalla rhesis di Eeta rivolta ai Colchi dopo la fuga degli Argonauti.

« […] Popolo, Ioni, […] tutto è sovvertito, affrettatevi […] mi hanno messo nel sacco, affrettatevi […] il [legno ?] navale che liporta con tutto l’equipaggio […] mi sia testimone il Sole e il Fasi, re dei nostri [fiumi] »13. Ora ha chiamato tutti i Greci indistintamente « Ioni » a partire dagli Ateniesi ; questi infatti prima si chiamavano Ioni ; e quando Omero dice « Ioni dai lunghi pepli », intende gli Ateniesi ; in principio portavano infatti tuniche che giungevano sino ai piedi, allo stesso modo dei Persiani, dei Siri e dei Carcedonii. Lo narra Cleidemo nella Storia dell’Attica. (Riferendosi) a una parte, dunque, ha chiamato i Greci come « Ateniesi », nello stesso modo in cui Pindaro (dice) : « Atene, sostegno dell’Ellade ». E sono stati chiamati Ioni a partire da Ione di Xuto, di Eolo, di Elleno […].

Al rigo successivo (24), la spiegazione è riferita a un diverso argomento : invece di : « uccisero […] ».

La citazione riportata dal commentatore è composta esattamente da tre distici : si tratta dunque di un passo ampio, che è stato inoltre selezionato rispettando l’unità metrica del verso. Benché i versi siano copiati in un continuum, come fossero prosa, lo scriba ha comunque segnalato la loro scansione, mediante l’introduzione di un breve spazio bianco al termine del distico (come si constata al r. 11) : questo accorgimento, che non ricorre negli hypomnemata, è invece impiegato nel commentario a Nicandro, come abbiamo prima osservato.

La spiegazione è relativa al significato di « Greci » in genere, assunto dal vocabolo ’Ιήονεc in riferimento agli Argonauti nel contesto del passo callimacheo. Come abbiamo appena visto, è, questo, un vocabolo che ricorre all’inizio della citazione, dove compare proprio nel primo verso : il fatto che il commentatore non interrompa la scrittura della citazione in corrispondenza del vocabolo da spiegare risulterebbe anch’esso un procedimento insolito per un hypomnema, dove la parte di testo letterario che per un lungo tratto non è oggetto di esegesi viene di conseguenza omessa ; oppure, si sarebbe potuto suddividere ulteriormente la citazione, cosi da far seguire puntualmente ciascuna espressione dalla spiegazione relativa. La prassi seguita dallo scriba del P. Berol., cioè, appunto, quella di includere una selezione ampia, indipendentemente dalla presenza di un commento, sembra allora riflettere, verosimilmente, l’esigenza di fornire nell’insieme delle citazioni il testo letterario di Callimaco in modo completo.

Il testo degli Aitia, cosi suddiviso, non sembra perὸ anche essere commentato nella sua interezza : benché non possiamo sapere come proseguisse la sezione di esegesi conservata nella sua parte iniziale, il procedimento che si osserva anche soltanto in questo frammento sembra comunque indicativo di una determinata prassi generale seguita dal commentatore. Sin dall’incipit della spiegazione, egli si concentra su un determinato luogo della citazione, senza la precedente introduzione di una parafrasi relativa al senso dell’intero passo : è perciὸ probabile che la parafrasi, in quanto assente nella parte iniziale del commento, non comparisse affatto, e che quindi l’esegesi si appuntasse solo su uno o su alcuni luoghi dei brani callimachei14.

Ci si puὸ forse chiedere come mai in questo testo, come detto, lo scriba non interrompa la scrittura della citazione in corrispondenza del vocabolo scelto, come si sarebbe rivelato più funzionale. Poiché la selezione delle citazioni non risulta dettata dalla presenza di esegesi, è verosimile che lo scriba stesse riproducendo l’articolazione del contenuto dell’opera letteraria (forse riferendosi, in parte, ai segni di lettura che scandivano il testo nei rotoli degli Aitia) : si tratta, in ogni caso, di una suddivisione che è preesistente all’esegesi e ne è del tutto slegata. Tale criterio di selezione e l’ampiezza con cui i passi sono citati li rendevano comprensibili, nonostante la presenza di un commento esteso, anche senza che il lettore dovesse necessariamente rifarsi a una copia del testo di Callimaco, purché perὸ possedesse, naturalmente, già una certa familiarità con esso.

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1 Su questa definizione e sull’identificazione di esemplari assegnabili a questa tipologia, cf. Montanari (2007) 11-14 ; Montanari in CLGP I.1.4, 242-244 ; Messeri / Pintaudi (2002) 46-49 ; un accenno ricorre in Trojahn (2002) 218. Cf. anche CLGP I.1.4, 260, n. 3, per la distinzione dalla definizione di « commentari a lemmi continui » impiegata da alcuni studiosi.

2 P. Lille inv. 82, 76 + 79, 78b, 78a (MP3 207.3 ; LDAB 527) : ed. pr in Meillier (1976) ; ried. in Parsons (1977b). Cf. SH 254-258 e 260-263 ; D’Alessio (2007) 446-469. Riprod. anche in Turner / Parsons, GMAW2 75. Il primo impiego della definizione di « edizione commentata » ricorre in Montanari (1976) 147.

3 La datazione della scrittura dei P. Lille è discussa : mentre Parsons (1977b) 5 e Turner / Parsons, GMAW2 126 la collocano alla fine del III sec. a. C., Cavallo (1983) 53 e Cavallo / Maehler (2008) 10 e 84 (n° 49) propendono, credo giustamente, per la prima metà del secolo successivo.

4 P. Louvre inv. 7733v (MP3 1763.3 ; LDAB 7038) : ed. pr. in Lasserre (1975) ; ried. in Parsons (1977a). Cf. SH 983-984 ; Page (1981) 469-473 (n° 153). Ai frammenti noti è stato recentemente ricongiunto un frustulo inedito : cf. D’Alessio (1990). Il recto del frammento contiene parte di un testo in prosa identificabile con un trattato di ottica : per una sintesi sulla questione, cf. CPF I.1**, 192.

5 La datazione del P. Louvre è controversa : assegnato da Lasserre (975) 147 nell’ed. pr. alla seconda metà del II sec. a. C., credo correttamente, e da Parsons (1977a) 1 al II sec. a. C., è stato poi datato da Cavallo (1983) 52 e Cavallo / Maehler (2008) 140, n° 94 alla fine del I a. C. o all’inizio del secolo successivo. La scrittura sembra pero distinguersi da quella di fine età tolemaica per la presenza di un certo contrasto modulare e per l’uso di trattini di congiunzione ; puὸ essere accostata a quella, segnalata da Lasserre, di P. Merton 5, un documento databile fra il 149 e il 135 a. C. (cf. Seider, Pal. Gr. I, pl. VIII 13), e di UPZ I 25, che conserva una petizione degli anni 160-155 a. C.

6 L’appartenenza a una raccolta è sostenuta dagli studiosi, a mio avviso a ragione, a causa della presenza di una lacuna iniziale, seppure breve, di tre o quattro linee di scrittura, che precede il titolo dell’epigramma ; cf. Parsons (1977a) e Page (1981) 4693. È invece maggiormente incerta la presenza del nome dell’autore, e risulta pertanto difficile stabilire se la raccolta contenesse epigrammi di un medesimo poeta, il cui nome doveva ricorrere unicamente nel titolo relativo all’intera opera, oppure se si trattasse di un’antologia, in cui i diversi autori erano indicati nei singoli epigrammi ; sulla questione, cf. Page (1981) 469. Forse, si puὸ perὸ rilevare che difficilmente il nome del poeta poteva ricorrere nella linea di scrittura che precedeva il titolo del componimento (come ipotizza Page ; non mi sono note tuttavia attestazioni di questa prassi), né sembra esservi spazio nella medesima linea occupata dal titolo, dove il nome sarebbe stato probabilmente collocato in eisthesis, secondo l’uso che è impiegato nel titolo del commentario (I 8).

7 Nel loro complesso, i lemmi coprono poco più della metà del testo dell’epigramma : due interi versi (2, 3 = I 3, 4) non sono infatti oggetto di commento, e in una occorrenza è selezionato un breve periodo che occupa solo parzialmente un esametro (lemma in II 29).

8 P. Oxy. XIX 2221, cui si aggiunge il frustulo di P. Köln V 206 ; MP3 2410.1 ; LDAB 3073.

9 P. Fay. 3 ; MP3 165 ; LDAB 392.

10 Alla tipologia attestata dai papiri di Nicandro e di Aristotele, si puὸ forse aggiungere un altro esemplare di età romana : è un frammento di Berlino, P. Berol. inv. 11749, databile alla fine del II secolo, il cui testo è stato ripubblicato nel Corpus dei Papiri Filosofici, come CPF III 8. Come nel Nicandro e nell’Aristotele, il testo di riferimento (qui, il Politico di Platone) è suddiviso in ampie pericopi che ricorrono consecutivamente nel-l’opera letteraria, e il commento, assai lacunoso, sembra comunque richiamare il contenuto del dialogo in modo letterale, come evidenzia l’editore ; cf. CPF III, p. 224. L’unico altro testo avvicinabile al papiro di Lille, quanto a « impaginazione », è in effetti quello, segnalato da Parsons (1977a) 4, di un altro esemplare di epoca tolemaica, e cioè la parafrasi del II libro dell’Iliade conservata da PSI XII 1276, della fine del I sec. a. C., dove una medesima mano ha alternato la copia di un verso omerico e di un rigo di parafrasi, distinguendo quest’ultimo mediante la collocazione in eisthesis.

11 MP3 200 ; LDAB 473. Ed. pr : Wilamowitz-Möllendorff (1912) ; cf. anche Pfeiffer, fr. 9 ; Massimilla (1996) 79.

12 Fr. 7, 29-34 Pf. = P. Berol. 8-13 ; cf. D’Alessio (2007) 386-389.

13 Il testo poetico è riportato nella traduzione di D’Alessio (2007) 387 e 389.

14 Le espressioni commentate potevano forse essere ripetute in forma di lemma all’interno della spiegazione : nella sezione precedente, di cui si conserva la parte finale (1-7), è infatti citato il termine Κυταίου (3), che ricorre in Callimaco a pochi versi di distanza dall’ incipit della citazione successiva (25) ; in base al procedimento che abbiamo individuato, sembra plausibile che il vocabolo comparisse all’interno di una citazione più ampia, nella parte iniziale della sezione, ora in lacuna.