Book Title

I codici papiracei di Tucidide

Aspetti bibliologici e paleografici

Natascia PELLÉ

I codici tucididei finora pubblicati sono 13, di cui 6 pergamenacei e 7 papiracei1; coprono nel complesso un arco cronologico che comincia nel II/III sec. d. C. con due codici su papiro (P.Berol. inv. 13236 e P.Oxy. LXI 4105 + PLaur inv. 269/D), e finisce nel VI sec. d. C. con un esemplare in pergamena (BKT 9, 193 = P.Berol. inv. 21287). Nei secoli III-V le due tipologie coesistono, essendo rappresentate dallo stesso numero di esemplari (cinque i papiracei e cinque i pergamenacei), poi Tucidide continua ad essere trascritto e letto ancora per almeno un secolo, ma soltanto su pergamena. Il codice su papiro più recente è databile al IV/V sec. d. C.

Il presente contributo, che si colloca nel quadro più vasto di uno studio di tutti i papiri di Tucidide, da me condotto nell’àmbito del Corpus dei Papiri Storici Greci e Latini, si propone di enucleare alcuni aspetti della circolazione e della fruizione del testo tucidideo che il formato del codice papiraceo rende particolarmente evidenti.

Gli esemplari su papiro mostrano caratteristiche bibliologiche per lo più omogenee, che li caratterizzano nel complesso come prodotti di qualità medio-alta, verosimilmente destinati, nella maggior parte dei casi, a circolare in ambienti di studio. Non mancano esemplari dall’allestimento accurato ma privi di elementi che possano giustificare un tentativo di classificazione. Qui di séguito si fornisce una descrizione paleografica e bibliologia dei codici papiracei, con particolare attenzione per quelle peculiarità che consentono di proporre una possibile classificazione tipologica.

P.Berol. inv. 13236 (MP3 1516; LDAB 4073) è, con P.Oxy. LXI 4105 + P.Laur. inv. III/269 D, il più antico codice papiraceo tucidideo, essendo entrambi databili su base paleografica al II/III sec. d. C. Il codice berlinese è costituito da tre frammenti, che restituiscono parti di Thuc. 2 distribuite in quattro pagine consecutive, di cui 1 e 4 rappresentano il recto, mentre 2 e 3 costituiscono il verso. Ciascuna pagina conteneva due colonne di testo. Le dimensioni ricostruite per il codice dal Salonius, che per primo lo studio, sono 17 x 32 cm2. Le colonne, di circa 60 linee ciascuna con una media di 20-24 lettere per linea, sono larghe 6,5 cm ca. ed alte 25 cm ca., mentre i margini superiore ed inferiore, parzialmente conservati, misurano 3,5 cm ca. ciascuno.

La punteggiatura è costituita da numerose ano stigmai ed una kato stigme, generalmente associate ad una paragraphos semplice all’inizio della linea. Paragraphoi e stigmai, comunque, vengono anche utilizzate indipendentemente le une dalle altre: in tali casi le stigmai segnano pause meno intense e le paragraphoi attraggono l’attenzione su particolarità grafiche o su abbreviazioni contenute nella linea che sottendono. Gli accenti acuti, circonflessi e gravi compaiono frequentemente, così come gli spiriti, che assumono la forma di un punto (usato sia per lo spirito aspro sia per il dolce) oppure, per lo spirito aspro, sono delineati secondo la forma più arcaica (form 2 di Turner)3. Pochi e talora corretti dallo scriba sono gli errori di iotacismo. Nei margini laterali si legge una serie di scholia della stessa mano che ha delineato il testo principale. Si tratta per lo più di spiegazioni di vocaboli che potevano risultare insoliti o di non immediata comprensione, ma in qualche caso anche di varianti al testo4. La scrittura, tracciata con un calamo a punta tonda e spessa, ha asse diritto, è posata e sicura, sostanzialmente bilineare e dominata da forme tondeggianti.

Le caratteristiche fin qui enucleate fanno pensare ad una copia da studioso, soprattutto per la cura riservata agli aspetti grafici, l’aggiunta dei marginalia ed il fatto che questi ultimi siano evidentemente della stessa mano del testo principale. Non pare inverosimile pensare ad un esemplare circolante in una scuola di retorica.

P.Oxy. LXI 4105 + P.Laur. inv. III/269 D (MP3 1527.11; LDAB 4093) è un gruppo di tre frammenti di papiro provenienti da un medesimo codice oblungo del II/III sec. d. C., che restituisce parti dei libri 5, 6, 7 delle Historiae tucididee, con dimensioni, ricostruite da M. W. Haslam (P.Oxy. LXI, p. 67), di 15 x 24 cm. Il testo è disposto in due colonne larghe 5,5/6,0 cm ca., alte 19 cm ca., separate da un intercolumnio di 1,8 cm ca. e comprendenti ciascuna 40 linee di scrittura, con un interlinea di 0,5 cm ca. Sulla base di tali dati pare difficile non supporre che il codice abbia contenuto non l’intera opera di Tucidide, come era consuetudine, bensi solo una parte di essa, testimoniando così, come ha ben sottolineato Cavallo, l’esistenza in epoca antica di «soluzioni librarie intermedie tra la trasmissione in rotoli e quella in un unico codice»5. Va notata, inoltre, la presenza di due kolleseis, una per ogni frammento oxoniense, le quali dimostrano il fatto che il codice fu ricavato a partire da un rotolo preventivamente assemblato.

Interessante è il sistema di interpunzione, costituito da dikola per indicare pause forti e da ano e mese stigmai per indicare pause meno intense. Non compaiono spiriti o accenti, ma in due casi è utilizzata l’apostrophe per segnalare un’elisione ed in un caso il trema con funzione inorganica.

La scrittura è una maiuscola libraria di modulo medio, inseribile nel solco dello stile severo, con asse inclinato a destra, lieve contrasto modulare, netta prevalenza di forme spigolose.

Non si puὸ stabilire la destinazione del codice, ma la scrittura chiara e posata, l’assenza di marginalia ed abbreviazioni e l’allestimento accurato possono forse indurre a non escludere che si sia trattato da un esemplare da biblioteca.

P.Oxy. XLIX 3450 + P. Montserrat inv. 10 + P.Gen. inv. 257 + P.Köln VII 304 (inv. 740) + P.Oxy. LVII 3885 + P.Ryl. III 548 (= MP3 1509.3; LDAB 4105) costituiscono un gruppo di frammenti con parti di Thuc. 1 e 2: P.Oxy. XLIX 3450 + P. Montserrat inv. 10 appartengono ad un quaderno, che conserva parti del libro 1 delle Historiae, P.Gen. inv. 257 + P.Köln VII 304 (inv. 740) + P.Oxy. LVII 3885 + P.Ryl. III 548 ad uno successivo, che restituisce passi del secondo libro, compreso l’inizio. Quest’ultimo quaderno, di cui si conservano due pagine consecutive, mostra che i fogli del codice erano numerati alla sommità da una mano diversa da quella che ha delineato il testo: essa ha aggiunto nel margine superiore delle pagine del secondo quaderno i nrr. 39 e 40. Le dimensioni originarie del codice, secondo la ricostruzione dell’ed. pr. A. Bülow-Jacobsen, sono 34 x 16-18 cm6. Il testo vi si sviluppa su due colonne larghe 5,7 cm ca. ed alte 27,5 cm ca., con un numero medio di linee pari a 55 (una di 54 linee di scrittura e l’altra con 56 linee) con uno spazio interlineare di 0,8 cm ca. La larghezza della colonna, che si mantiene sostanzialmente costante nei frammenti dell’uno e dell’altro quaderno, diminuisce sensibilmente in P.Oxy. LVII 3885, il foglio centrale del secondo quaderno, che non inverosimilmente sarà stato tagliato meno largo rispetto agli altri.

Il testo trascritto mostra un allestimento articolato, con un sistema di punteggiatura essenziale, ma intelligentemente dislocato: paragraphos semplice + stigme (ano o mese stigme) segnano nella stragrande maggioranza dei casi il susseguirsi dei paragrafi così come stabiliti nella tradizione manoscritta medievale. Nei pochi casi in cui cio non accade, la paragraphos indica comunque una pausa logica e non è associata ad alcun vacuum. La variante della paragraphos a forcella non indica in alcun caso il passaggio da un paragrafo a quello successivo. Compaiono spiriti, accenti, forse un apostrofo, tutti ben collocati. Si riscontrano frequentemente l’abbreviazione di ny mediante un trattino che sovrasta la lettera precedente; in un caso l’abbreviazione di καί e spesso in fine di linea forme abbreviate di tipo grammaticale (P.Oxy. LVII 3885, Fr. A 32 verso e Fr. A 11, 12, 25, 28 recto). Tali peculiarità fanno pensare ad una copia circolante in una cerchia di grammatici e perciὸ in qualche modo destinata ad un’attività di studio. Nello stesso senso vanno le poche correzioni apposte da una seconda mano, tra le quali basti ricordare quella molto mutila in P.Oxy. XLIX 3450 Fr. A 44 verso.

La scrittura è una libraria chiara ma non elegante maturata nel solco dello stile severo, che alterna forme spigolose (alpha, sigma, phi, ypsilon) e tondeggianti (epsilon, my, rho, omega) e sembra tracciata da una mano esperta e relativamente veloce, che imprime all’asse solo una leggera inclinazione a sinistra.

Notevole è l’interesse del codice anche sul piano materiale: P.Gen. inv. 257 rivela infatti un intervento di restauro teso a riparare l’area centrale del bifoglio con sovrapposizione di una brachetta di papiro alla zona logora e con riscrittura sul frammento di papiro vergine del testo caduto. Inoltre in P.Oxy. XLIX 3450 la presenza di una kollesis abbastanza rozza rivela il metodo di fabbricazione del codice, che, come per P.Oxy. LXI 4105, sarà stato senz’altro ricavato dal taglio di un rotolo.

Ultimo aspetto da sottolineare è il fatto che con ogni probabilità il nostro codice, come per P.Oxy. LXI 4105 appena esaminato, ha contenuto solo una parte delle Historiae. Infatti in base alle dimensioni di fogli, colonne e linee di scrittura della parte superstite se esso avesse contenuto tutto Tucidide, avrebbe dovuto avere all’incirca 215 fogli, lunghezza di cui mancano attestazioni nel III sec. d. C.7

P.Vindob. inv. G 29247 è un codice papiraceo di ampio formato del III sec. d. C., costituito da 19 frammenti assemblati insieme con sottili ponti di nastro adesivo inerte, che restituisce un commentario al primo libro delle Historiae, scritto su due colonne. Attualmente esso si presenta come un foglio (31 x 25 cm ca.) molto mutilo sia nella parte centrale sia nei margini. Della prima colonna rimangono parti di 45 linee di scrittura, della seconda si conservano parti di 31 linee, molto sbiadite nella parte sinistra e inferiore da due scure macchie di umidità sui bordi destri inferiore e laterale. Il margine laterale si è conservato a sinistra per 1,2 cm ca., il margine inferiore per 3 cm ca.

Le colonne dovevano essere larghe 15 cm ca., con uno spazio intercolonnare di 0,4 cm ca. ed un interlinea regolare, che misura 0,35 cm ca. Le linee di scrittura, che contengono un numero di lettere compreso tra 60 e 75 hanno un andamento sostanzialmente orizzontale, con qualche lieve innalzamento verso la parte finale, che spesso è chiusa da lettere allungate per esigenze di rapidità. L’incolonnamento a destra non è rispettato, mentre lo è a sinistra, com’è dimostrato da col. II.

La scrittura è una maiuscola libraria anch’essa inseribile nel solco del così detto stile severo. Ha modulo medio-piccolo, asse inclinato a destra e si caratterizza anche in questo caso per l’alternanza di forme tondeggianti e morbide (alpha, rho, omega) e tracciati spigolosi (kappa, ny, ypsilon). Il ductus è corsiveggiante, con una notevole presenza di legature soprattutto tra epsilon e iota. Pare delineata da una mano esperta e rapida.

Non compaiono spiriti ed accenti o segni d’interpunzione. Alcune correzioni sono state apportate verosimilmente dalla medesima mano. Ricorre molto frequentemente la paragraphos a forcella, che segnala ciascuna linea commentata. Il commentario è ricco ed erudito, contenendo citazioni dei Prooemia di Elio Aristide, dell’ In Midiam di Demostene e forse di Omero.

PLG Carlini 5 (= P. Bodmer XXVII; MP3 1527.2; LDAB 4120) è un codice miscellaneo del III/IV sec. d. C., che conserva l’inizio del libro 6 delle Historiae (paragrafi 1, 1-2, 6) nei fogli 5-6, dei testi biblici nei fogli 1-3 (Susanna e Daniele, entrambi nella versione di Teodozione) e una serie di massime moraleggianti nel foglio 4. Ogni foglio misurava 15,5 x 18 cm, come testimoniano due fogli integri del fascicolo precedente quello tucidideo8. Lo specchio di scrittura calcolato dall’ed. pr. misura 10,5 x 11,8 cm ca. Il testo è disposto in una sola colonna di 16 (fogli 5 recto e verso e 6 verso) e 17 (foglio 6 recto) linee, con margine superiore di 3,2 cm ca., margine inferiore di 3 cm ca. e margine laterale interno di 1,5 cm ca.

La mano del testo principale ha inserito mesai stigmai per evidenziare pause sintattiche più o meno intense e per isolare alcune incidentali (f. 5 verso, 8). Nella maggior parte dei casi la perdita dell’inizio della linea di scrittura rende impossibile stabilire se esse fossero associate a paragraphoi. In un solo caso (f. 6 recto, 13) l’attacco della linea che reca una mese stigme è conservato, ma non è sotteso da alcuna paragraphos. Alla medesima mano si devono anche i frequenti accenti circonflessi e le apostrophai, utilizzate per separare lettere uguali consecutive (sia nell’àmbito della medesima parola sia in parole diverse), nonché l’espunzione dell’espressione ripetuta per errore τηc νηcου9. Numerosi sono i casi di iotacismo, dei quali solo uno è stato corretto da una seconda mano (f. 5 recto, 2), e le corruttele di varia natura, dovute alla distrazione dello scriba o già presenti nel modello da cui egli copiava10.

La scrittura è una maiuscola sicura e veloce, delineata da una mano esperta e verosimilmente familiare con le scritture «di ispirazione cancelleresca»11: vi si notano infatti un ductus più o meno posato, asse diritto, tracciato morbido, prolungamento artificioso di alcune aste, presenza non sistematica di legature.

Le caratteristiche bibliologiche e paleografiche non consentono di ipotizzare una destinazione del codice, ma la natura miscellanea e la coesistenza di testi sacri e testi profani nel medesimo esemplare orientano ad escludere che si sia trattato di una copia da biblioteca.

Il nostro papiro contribuisce notevolmente a chiarire la storia della circolazione del testo tucidideo nell’antichità ed i rapporti dello stesso testo antico con la tradizione manoscritta medievale: esso infatti, come già sottolineava opportunamente Carlini (1975) 36, converge spesso sia in errore sia nella giusta lezione con un gruppo di codici medievali (H2, Va2, Pl3) che la critica ha molto studiato, insieme con i MSS Ot3 ed Nf2, poiché il consenso dei cinque testimoni medievali consente di ricostruire il perduto ξ. A quest’ ultimo manoscritto risulta affine il P. Bodmer XXVII, che attesta la circolazione, per lo meno in aree periferiche dell’Egitto del III/IV secolo, di quel ramo della tradizione tucididea durante l’antichità post-ellenistica, colmando così un vuoto paventato da alcuni studiosi – per questo particolare ramo – tra P.Hamb. II 163 (MP3 1504), datato dal Cavallo alla metà del III sec. a. C., ed i codici di epoca medievale12.

Va assegnato al IV/V sec. d. C. il P.Laur. inv. 273/A (MP3 1509.41; LDAB 7629), un piccolo frammento di codice (5,2 x 4,2 cm ca.) che restituisce frammenti dei capitoli 126 e 129 del libro 1 delle Historiae. Si tratta di un codice a due colonne, dalle dimensioni così ricostruite da R. Pintaudi, che lo ha pubblicato: 21/22 x 25 cm ca., con specchio di pagina di 18 x 18 cm ca., colonne larghe 8 cm ca. ed alte 18 cm ca. con un intercolumnio di 2 cm ca. e margine inferiore conservato per 2 cm ca. in fr. A e per 2,5 cm ca. in fr. B13. Quanto ai segni di punteggiatura, si conserva una sola ano stigme. Mancano spiriti ed accenti; si nota un trema su ypsilon ma la lacuna che segue la lettera non consente di stabilirne la funzione.

La scrittura è una libraria semiposata con forte inclinazione a destra, spigolosa, classificabile come esempio di stile severo. Le dimensioni estremamente esigue impediscono di avanzare ipotesi circa la destinazione del codice.

P.Strasb. inv. G 66 a (MP3 1521.3) è un frammento di codice del IV/V sec. d. C., le cui dimensioni sono ricostruite da J.-L. Fournet in 20 x 28 cm per 150 pagine numerate nel margine superiore da una mano diversa rispetto a quella del testo principale14. Esso restituisce una piccola parte dei paragrafi 42 e 43 del libro 3 delle Historiae. Il testo è distribuito in due colonne per pagina, ciascuna larga 7 cm ca. e lunga 24 cm ca., con 24 lettere per linea.

La punteggiatura è dovuta alla prima mano, che ha segnato le pause logiche con ano stigmai accompagnate da paragraphoi all’inizio della linea di testo in cui sono collocate. In un caso paragraphos + ano stigme segnano il passaggio da un paragrafo a quello successivo (verso II 2), in un altro solo la paragraphos si conserva, mentre la stigme è integrata, molto probabilmente a ragione. Non compaiono accenti e spiriti, fatta eccezione per uno spirito aspro, probabilmente inserito per evitare la confusione tra due parole di identica grafia ma di diverso significato (recto I 9). La scrittura è una libraria spigolosa, ad asse inclinato a destra, posata e sostanzialmente bilineare, caratterizzata da lieve chiaroscuro e leggero contrasto modulare. L’eleganza della scrittura ed il rapporto tra spazio scritto e spazio non scritto sono indice del pregio del codice, che sarà stato verosimilmente destinato ad una biblioteca15.

Sintetizzando le osservazioni fatte finora, si puὸ cercare di fissare pochi ma significativi punti relativi alla circolazione del testo tucidideo su codice di papiro:

– Per Tucidide risulta valida la tesi di Turner, secondo la quale i codici su papiro in cui il testo era disposto su due colonne (cinque dei sette esaminati) erano copie di buona qualità16.

– Sembrano essere esistiti codici su papiro [esemplificati da P.Oxy. XLIX 3450 + P. Montserrat inv. 10 + P.Gen. inv. 257 + P.Köln VII 304 (inv. 740) + P.Oxy. LVII 3885 + P.Ryl. III 548 (= MP3 1509.3; LDAB 4105) e P.Oxy. LXI 4105 + P.Laur. inv. III/269 D (MP3 1527.11; LDAB 4093)], che contenevano alcuni libri delle Historiae ma non l’intera opera: soluzioni intermedie tra il singolo libro trascritto in un rotolo e l’opera completa, tradizionalmente affidata ad un unico codice.

– Il fatto che tre codici rechino tracce evidenti di circolazione in ambienti di studio, che uno di essi (P.Vindob. inv. G 29247) sia un commentario a Tucidide con citazioni di retori, che un altro sia evidentemente da collocare in un milieu grammaticale (P.Oxy. XLIX 3450 + P. Montserrat inv. 10 + P.Gen. inv. 257 + P.Ryl. III 548 + P.Oxy. LVII 3885) è diretta espressione del favore di cui lo storico ateniese godette nell’Egitto di epoca romana e bizantina non solo e non tanto come storiografo ma soprattutto come modello di lingua e di stile, cui grammatici ed oratori avrebbero sempre guardato. La tipologia dei codici, alti, con colonne lunghe e strette, tipica dei codici contenenti opere retoriche, ne è una conferma.

Nello stesso senso vanno anche i dati relativi ai codici su pergamena, dei quali almeno la metà è costituita da esemplari in cui è evidente e prioritario sugli altri aspetti l’interesse per lingua e stile dell’opera di Tucidide: si pensi a P.Oxy. XIII 1621 (MP3 1513; LDAB 4111), della metà del IV sec. d. C. e contenente una raccolta di discorsi tratti dalle Historiae; P.Rain. inv. 200 (MP3 1534; LDAB 4114), del V/VI sec., che restituisce una parte di Historiae 8, 91-92 dotata di scholia e P.Ant. I 25 (MP3 1533; LDAB 4106) del III sec. d. C., che reca interessanti marginalia.

Bibliographia

Bülow-Jacobsen, A. (1975), «A Third-Century Codex of Thucydides», BICS 22, 65-83.

Canfora, L. (1974), Conservazione e perdita dei classici (Padova).

Carlini, A. (1975), «Il papiro di Tucidide della Biblioteca Bodmeriana», MH 32, 33-40.

Cavallo, G. (1986/2002), «Conservazione e perdita dei testi greci: fattori materiali, sociali, culturali», in Giardina, A. (ed.), Società romana e impero tardoantico IV. Tradizione dei classici, trasformazioni della cultura (Roma/Bari) 83-172 [ristampa in Cavallo, G., Dalla parte del libro (Roma 2002); la paginazione segue questa ristampa].

Cavallo, G. (2008), La scrittura greca e latina dei papiri. Una introduzione (Pisa/Roma).

Fournet, J.-L. (2002), «Un papyrus strasbourgeois inédit de Thucydide III 42, 1; 43, 3-4», Ktema 27, 65-70.

Kleinlogel, A. (1965), Geschichte des Thukydidestextes im Mittelalter (Berlin).

McNamee, K. (2007), Annotations in Greek and Latin Texts from Egypt (Am. Stud. Pap. 45, Chippenham).

Pintaudi, R. (1997), «Frammenti di codici tucididei», Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata, n.s. 51, 23-25.

Salonius, A.H. (1927), «Ein Thukydides Papyrus», Societas Scientiarum Fennica, Commentationes Humanarum Litterarum II.2, 1-16.

Turner, E.G. (1977), The Typology of the Early Codex (Philadelphia).

Turner, E.G./Parsons, P.J. (1987), Greek Manuscripts of the Ancient World (2nd ed., BICS Suppl. 46, London).

____________

1 Cf. <http://promethee.philo.ulg.ac.be/cedopal/getPackCombi.asp>.

2 Cf. Salonius (1927) 1.

3 Cf. Turner (1987) 11.

4 A proposito dei marginalia, cf. McNamee (2007) 444-447.

5 Cf. Cavallo (1986/2002) 123. Sulla tendenza a trascrivere in un codice gruppi di cinque libri di un’opera storica unitaria circolante in più volumina, cf. Canfora (1974) 25-28.

6 Cf. Bülow-Jacobsen (1975) 65-83.

7 Cf. Cavallo (1986/2002) 123.

8 Cf. Carlini (1975) 34.

9 Ibid.

10 Cf. Carlini (1975) 35.

11 Cf. Cavallo (2008) 85.

12 Su questo vuoto, cf. in particolare Kleinlogel (1965) 37-38.

13 Cf. Pintaudi (1997) 23-25.

14 Cf. Fournet (2002) 65-70.

15 Ibid. 67.

16 Cf. Turner (1977) 35-37.