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Correzioni, abbreviazioni e segni nel P.Herc. 831

Antonio PARISI

1. La crescente attenzione riservata allo studio e all’esame di cημεῖα nei papiri ercolanesi, nonché al sistema di correzioni e abbreviazioni adottate, ha mostrato come esso risulti sempre più funzionale alla comprensione delle modalità di scrittura e lettura nel mondo antico, dei meccanismi di realizzazione del rotolo librario, all’intelligenza di passaggi lacunosi e di difficile interpretazione.

Il carattere eterogeneo dei segni utilizzati e, soprattutto, la varietà funzionale che li contraddistingue, tuttavia, non consentono di ragionare all’interno di un sistema di catalogazione troppo rigido, al di là di riflessioni generali pronte a verificare «un modello astratto e a capirne il significato di base»1. Il presente contributo ha come obiettivo la disamina dei cημεῖα, del sistema di correzioni e abbreviazioni presente nel P.Herc. 831, per il quale sinora non è stato compiuto uno studio organico.

2. Il P.Herc. 831 fu svolto da C. Paderni, con l’assistenza di G. B. Malesci, a partire dal 25 novembre del 1805 e riposto il 1 febbraio del 18062; consta di sette pezzi distribuiti in sei cornici3. Di esso, attualmente, si conservano le porzioni superiori di 15 colonne, riprodotte in maniera diversa in due serie di disegni: la serie oxoniense (O, realizzata nel 1806 da C. Orazi e ora conservata nella Bodleian Library) è costituita da sei disegni4; la serie napoletana (N, realizzata a più riprese tra il 1811 e 1839 da G. B. Malesci e poi dal figlio Carlo e conservata presso la Officina dei Papiri, a Napoli) riproduce il testo di 19 colonne e due frammenti5. Grazie ai disegni, possiamo ricostruire un’ulteriore porzione di testo, dell’ estensione di quattro colonne, che fu donata a Luigi Napoleone, re di Olanda, e sembra dispersa6.

La prima edizione critica si deve a A. Körte, il quale la incluse, quale appendice, al volume Metrodori Epicurei Fragmenta apparso nel 18907. Questa edizione, condotta esclusivamente sulla scorta degli apografi napoletani e oxoniensi, è l’unica complessiva.

3. Nel suo studio sulle scritture ercolanesi, Gugliemo ha assegnato la scrittura del P.Herc. 831 al gruppo M, «tipologia grafica riferibile al I sec. a. C. articolata in dislocazioni cronologiche al suo interno.»8; «P.Herc. 831, data la presenza di elementi grafici recenziori, è da ritenere scritto più tardi, forse già alle soglie del I sec. d. C.»9 Tuttavia, lo studioso è poi ritornato sulla scrittura di P.Herc. 831 retrodatando l’esemplare alla metà o poco più oltre del I sec. a. C.10 Egli sottolinea come lo stile si presenti particolarmente vicino a quello del P.Herc. 100611; questo conserva frammenti dell’opera Alcune ricerche comuni sul modo di vita di Demetrio Lacone12. La scrittura è particolarmente elegante: mostra un certo gusto per le apicature delle aste delle lettere anche se non disprezza l’uso di legature e abbreviazioni13. Caratteristiche in tal senso sono la realizzazione di alpha ad occhiello e il tratteggio semi-corsivo di epsilon.

Tratto distintivo di questo copista è l’uso della abbreviazione κ- per la congiunzione καί, come mi è stato possibile osservare in sei casi14. L’uso delle abbreviazioni non è frequente nei papiri ercolanesi; Cavallo distingue abbreviazioni per troncamento in forma di sigla o con modalità più complesse, come avviene per le indicazioni sticometriche, monogrammi e simboli15. Una tipologia di abbreviazione molto simile a quella osservata per P.Herc. 831 compare anche in P.Herc. 19/698 V 11 e XXX A 516.

L’allineamento del margine destro della colonna è generalmente rispettato sebbene non si leggano segni riempitivi; tuttavia lo scriba, laddove necessario, tende a prolungare il tratto dell’ultima lettera verso destra per evitare una sillabazione troppo ardita17. Questo fenomeno non è costante; talvolta, infatti, la linea invade lo spazio intercolonnare apparentemente con la stessa motivazione18.

4. Nonostante l’eleganza della scrittura e una mise en page ariosa, con colonne che raggiungono gli 8 cm di larghezza pur conservando un numero di lettere per riga di poco superiore la media dei papiri ercolanesi, lo scriba commette un numero notevole di errori, in parte attribuibili ai meccanismi stessi della copia19. Lo scriba interviene correggendo le lettere scorrette, sostituendole con una sequenza diversa riscritta nello spazio sovralineare, con espunzioni di lettere o parole errate. Purtroppo non è sempre possibile indicare se gli interventi di correzione siano attribuibili allo scriba stesso, come credo si possa dire della maggioranza dei casi, o ad un intervento successivo del destinatario della copia o di un diorthotès20.

Le correzioni avvengono attraverso l’espunzione delle sequenze sbagliate tramite freghi più o meno marcati paralleli alla linea di scrittura. In un caso si registra l’espunzione di una sequenza di quattro lettere attraverso l’impiego di più tratti grossolani di inchiostro, che impediscono una chiara lettura delle lettere sottostanti21.

L’intervento dello scriba non si limita a espungere una sequenza inesatta. Egli inserisce nello spazio sovralineare singole lettere o intere parole che correggono e integrano il testo vergato. Ho riscontrato una sola volta il tentativo di correggere la lettera modificandone i tratti al fine di assimilarla a quella corretta22; tuttavia, il risultato non soddisfacente di questa operazione ha spinto lo scriba a espungere la lettera e a riscrivere quella corretta nell’interlinea. L’aggiunta di lettere supra lineam è funzionale anche a restituire singole lettere o sequenze di lettere omesse dallo scriba per dimenticanza o per errori di aplografia23.

In un solo caso, infine, si riscontra l’uso delle parentesi tonde per segnalare l’espunzione. Grazie all’attenzione dedicata a questo segno, trascurato dagli editori precedenti, ho eliminato le lettere comprese tra le parentesi e ne è risultato un testo molto più chiaro e con andamento più regolare24. Mi sembra plausibile credere che i due segni fossero già presenti nell’antigrafo del copista; la prima delle due parentesi, infatti, è vergata in modo chiaro e distinto mantenendo costante lo spazio tra le singole lettere.

L’uso delle parentesi tonde come segno di espunzione è ampiamente attestato nei papiri greco-egizi25; il termine tecnico, indicato dal Turner, è περιγράφειν. Questo segno è, tuttavia, ugualmente ben rappresentato nei rotoli carbonizzati di Ercolano con la medesima funzione. Esso ricorre tre volte nel P.Herc. 1497, circostanza questa che ha condotto A. Romano a ritenere questo metodo elemento distintivo dell’usus scribendi dello scriba di questo rotolo26. Si legge ancora nel P.Herc. 1669 per espungere due linee erroneamente riprodotte per un saut du même au même27. Le parentesi tonde sono utilizzate anche dal copista del P.Herc. 1021, come segnalano sia G. Cavallo sia T. Dorandi, che richiama l’attenzione sulla loro presenza anche in P.Herc. 24328. Un’ulteriore occorrenza si trova nel P.Herc. 19/698 col. XX A, dove si possono individuare «une sorte de parenthèse dans la marge droite au niveau des lignes 14 et 15, pour marquer la diplographie, ce qui confirme que le traité fut relu avec soin»29. I dati che ho riferito fanno pensare che l’uso delle parentesi tonde, al fine di espungere una sequenza di parole che occupava uno spazio più o meno ampio nell’economia della colonna, sia una pratica discretamente attestata nello scriptorium ercolanese.

Sebbene gli interventi correttivi siano notevoli, mi è stato possibile ugualmente individuare alcuni errori sfuggiti alla revisione del copista30. Medesima trascuratezza lo scriba riserva all’uso dell’assimilazione consonantica, applicata in modo disomogeneo e apparentemente casuale31.

5. Grande attenzione è, invece, riservata all’uso della punteggiatura, secondo un sistema ampiamente attestato nei papiri greco-egizi ed ercolanesi32. A seguito dell’analisi autoptica di tutti i testimoni di P.Herc. 831 ho potuto rilevare l’uso di almeno 39 segni di punteggiatura. Di questi il più ricorrente è lo spatium vacuum, con un’ampiezza variabile corrispondente ad una o più lettere33. Lo scriba si serve di uno spatium per indicare una pausa generalmente non troppo marcata nel testo, per isolare una proposizione all’interno di un periodo, per indicare il passaggio ad un concetto diverso34. Interessante mi sembra l’uso riscontrato a III 3-6, dove lo scriba pone tra due spatia una citazione dell’Ecuba di Euripide35. Lo stato di conservazione della colonna non consente di valutare la presenza di altri cημεῖα, che non sono tuttavia riportati dal disegnatore, nell’intercolumnio.

Altrove lo scriba introduce una citazione letterale vergando la prima lettera in un modulo più ampio36. Questo fenomeno, come possiamo osservare qui e in altri casi, comporta che lo scriba, per ristabilire l’allineamento sulla linea immaginaria inferiore, verga le lettere del nuovo periodo leggermente più in basso, rispetto al periodo precedente, permettendo al lettore di osservare lo stacco tra i due periodi.

Più interessante è il comportamento dello scriba a XVIII 3. In questo caso A. Körte, seguendo un’intuizione già del von Arnim, riconosce la citazione di «duo senarii poetae incerti (…) quorum alterum restituit de Arnim»37. In questa circostanza lo scriba appone, forse in un secondo momento, un trattino orizzontale leggermente incurvato nello spazio supra lineam ad indicare la conclusione della citazione. La perdita dell’originale di questa colonna non ci consente di stabilire se il segno, che potremmo considerare alla stregua di una ἄνω cτιγμή estesa allo spazio sovralineare, sia stato tracciato dallo scriba o da una seconda mano38.

A VI 8 il copista si serve di una paragraphos per indicare una massima epicurea, non attestata da altre fonti39. Il segno si presenta simile ad un trattino orizzontale, munito di un tratto obliquo discendente, simile alla paragraphos di quarto tipo secondo la suddivisione proposta da Del Mastro per il V libro della Poetica di Filodemo40.

La paragraphos ricorre in altre sette circostanze con valore di pausa più o meno forte41. In due casi si presenta accompagnata da un tratto obliquo o perpendicolare alla linea di scrittura. Per questi due esempi (VIII 3 e XII 4), mi sembra che al segno possa essere dato il valore del nostro punto e virgola; l’autore, infatti, in entrambi i casi, introduce un chiarimento del concetto espresso nelle linee precedenti.

Le altre tre paragraphoi si leggono tutte nella colonna IX, per il margine sinistro della quale possiamo riferirci al solo apografo oxoniense, dal momento che nel papiro oggi questa parte è perduta42. La presenza di un numero così alto di segni nella stessa colonna induce ad una più attenta riflessione dato che nel P.Herc. 831 compaiono generalmente in numero esiguo.

La col. IX introduce un’ampia sezione del testo (IX-XI) dedicata alla scienza astronomica e alla partizione delle sue diverse componenti o meglio alla pluralità degli approcci e dei saperi che gravitano intorno allo studio degli astri. In questo contesto la paragraphos sembra indicare proprio τῶν μερῶν [π]οικίλ[ην] (…) καταμ[έριcιν]43. L’autore sostiene, infatti, che gli astri si possano studiare in quanto tali (αὐτῶν ἄcτρων), per i fenomeni che da essi si producono (περὶ τῶν ἀπὸ τούτων), per quelli che si verificano per mezzo di essi o relativamente ad essi (περὶ τῶν διὰ ταῦτα ἢ περὶ ταῦτα), per quelli prodotti al loro interno (περὶ τῶν ἐν ἄcτροιc)44. Tale sibillina partizione è seguita da un elenco esemplificativo e chiarificatore di questi avvenimenti. Lo scriba, quindi, vuole distinguere ogni μέροc τῶν ἄcτρων apponendo una paragraphos o uno spatium, servendosi di essi come segni di attenzione piuttosto che di pausa.

Valore sicuramente pausante ha, infine, un tratto obliquo (/) leggibile a VIII 10 all’interno della linea. Un esempio molto simile si osserva anche in un frammento di Caritone di Afrodisia (P.Oxy VII 1019), per il quale E. Turner parlava di «oblique dash»45. R. Barbis Lupi ricorda l’uso di un tratto simile anche in P.Oxf. 4, 20, un testo documentario databile al 150/151 d. C. edito da E. P. Wegener, che intendeva il segno come indizio della conclusione dell’estratto di un processo46.

6. Non mi è stato possibile, invece, rintracciare esempi di segni sticometrici o indicazioni sul numero delle selides o dei kollemata47.

7. I dati riportati permettono di delineare un quadro abbastanza chiaro dell’attività dello scriba di P.Herc. 831. Mi sembra plausibile pensare, sulla scorta della datazione dell’esemplare, che il P.Herc. 831 sia testimone dell’allestimento di una nuova edizione dei testi demetriaci, di cui è attestazione anche il P.Herc. 1006. È probabile che i segni fossero già presenti nell’antigrafo, come mi sembra si possa dire con certezza delle parentesi tonde, e che lo scriba si sia limitato ad una copia meccanica. La tipologia di scrittura utilizzata, caratterizzata da un ductus morbido e dal modulo ampio, fanno pensare ad un prodotto librario di buona qualità, nonostante l’alto numero di errori e correzioni.

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1 Cf. Indelli (2005) 125; anche McNamee (1977) 130.

2 Cf. Blank/Longo Auricchio (2004) 143.

3 Per le loro misure, cf. Gigante (1979) 190, ora nella versione digitale e aggiornata Del Mastro (2005); Travaglione (2009) 140.

4 Cf. Blank/Longo Auricchio (2004) 134 e 137.

5 Cf. Blank/Longo Auricchio (2004) 149. G. B. Malesci provvide a disegnare il testo delle colonne 2-19 approssimativamente entro il 1811 in quanto i disegni recano il visto dell’accademico Pessetti, il quale fu allontanato dal suo incarico di revisore e interprete presso l’Officina nel 1811 da Mons. Rosini, perché a seguito del suo incarico di docenza presso l’Università di Napoli, il servizio prestato nell’Officina dei Papiri non poteva più definirsi assiduo; cf. Farese (1999) 82, n. 1 e 85, n. 17. Sulle ragioni dell’allontanamento dell’abate Pessetti e della sua collaborazione con Mons. Rosini, cf. Cerasuolo/Capasso/D’Ambrosio (1996) 52-54. Sull’attività di Bartolomeo Pessetti, cf. anche Castaldi (1840) 199.

6 Le vicende della donazione di due frammenti papiracei offerti al re di Olanda Luigi Napoleone sono state coerentemente ricostruite da J. Van Heel; cf. Van Heel (1989) 187-191. Il rinvenimento fortuito di questi frammenti presso il Rijksmuseum van Oudheden di Leiden ha, purtroppo, disatteso la possibilità di attribuire questi frammenti al P.Herc. 831. Per l’esame di questi frammenti e le possibilità di identificazione, cf. Dorandi (1995) passim. Di recente Del Mastro (2010a) 221 ha proposto di identificare nel primo frammento «la mano del primo scriba del P.Herc. 1050 [cf. Del Mastro (2010b)]. Posso ipotizzare che il secondo pezzo provenga dal P.Herc. 1199 dal momento che, sul cartoncino di supporto della porzione ancora conservata a Napoli, si legge: “Il pezzo che qui manca fu mandato a Luigi Napoleone.”»

7 Körte (1890) 571-597. Successivamente il P.Herc. 831 è stato oggetto di uno studio complessivo di Philippson (1943), che ne ricostrui la struttura contenutistica, proponendo l’attribuzione all’epicureo Demetrio Lacone. W. Schmid fu, invece, autore di due interventi critici volti all’interpretazione di alcuni passaggi lacunosi nelle coll. XI-XV; cf. Schmid (1955) e (1959). Di recente pubblicazione è anche l’intervento di Sanders (1999), il quale ha pubblicato per la prima volta il testo lacunoso della seconda colonna della seconda cornice (assente nell’ed. di Körte perché non compresa nel testo della Collectio) e ha migliorato in più punti l’intellegibilità delle coll. II, VII e XV del testo nonché dei frr. 1-2.

8 Cf. Cavallo (1983) 38.

9 Ibid. 54.

10 Cf. Cavallo (2005) 115. Per lo studioso la scrittura di P.Herc. 831 rappresenterebbe una forma evoluta dello stile di P.Lond. Lit. 134; utili confronti sono P.Oxy. IV 659 e P.Mil. Vogl. I 14. Alcune delle caratteristiche della scrittura del P.Herc. 831, tracciato morbido, apicature ornamentali, legami a laccio per la realizzazione di alpha, sono attribuite a scritture riferibili a tutto il primo secolo da Del Corso (2008) 239-243.

11 Cf. Cavallo (1983) 38.

12 Cf. Assante (2008) 110.

13 Per le scritture apicate, cf. Menci (1979) passim.

14 VIII 5; XII 4; XIII 7 (rimangono tracce della verticale della lettera e del pedice ornamentale conformi al tratteggio di un κ); XIV 9 (solo in N); XV 10; XVI 6 (della colonna possediamo soltanto l’apografo napoletano). Inoltre credo di poter restituire un’ulteriore attestazione di un καί abbreviato a X 11.

15 Cf. Cavallo (1983) 25. Già Gomperz (1980) 139 si soffermava sulla peculiarità di questo fenomeno; cf. anche Scott (1885) 26, n. 1.

16 Monet (1996) 31.

17 Lo scriba prolunga il tratto centrale di epsilon, l’obliqua destra di alpha, il tratto superiore di sigma. Alcuni esempi sono XI 4; XII 1; XIII 4-6; XIV 11; XV 7. Cf. Di Matteo (2007) 264.

18 Sulla divisione in sillabe, cf. Crönert (1903) 10-11.

19 Sulla larghezza delle colonne, cf. Cavallo (1983) 18: «Va notato che tale estensione in larghezza delle colonne è raramente in relazione al numero medio di lettere contenute nella riga (compreso tra 15-20 ca. nella più parte dei rotoli ercolanesi).» Sugli errori, cf. Rispoli (1988) 311. La Rispoli considera questi errori come prova evidente che i papiri non fossero copiati sotto dettatura ma da un antigrafo; la prassi e la tipologia di errori che si riscontrano, aplografia/dittografia, saut du même au même, ne sono efficace spia (cf. 312). Sulla ricorrenza e tipologia degli errori nei papiri ercolanesi e greco-egizi, cf. anche Barbis Lupis (1997) 57-58; Cavallo (1983) 25-26; Del Mastro (2004) 205.

20 Diversamente dai papiri greco-egizi, l’analisi della differenza del colore dell’inchiostro usato non è di particolare sostegno, poiché il processo di carbonizzazione puὸ rendere molto simili anche inchiostri diversi. Cf. Giuliano (2005) 138, n. 32; Fimiani (2009) 27.

21 X 3. Purtroppo non è più possibile riconoscere le lettere espunte dallo scriba; N riporta la sequenza τοκα, suggestivo sarebbe riconoscere la preposizione περί, che rappresenterebbe un nuovo errore di diplografia.

22 VII 4. Lo scriba ha vergato la sequenza ε]πιθυμιανοτε tuttavia ha tentato di correggere dapprima il ν in π realizzando il tratto superiore di π con il risultato di una lettera incompleta e poco chiara; pertanto ha riscritto il π in modulo ridotto nello spazio sovralineare. Il testo restituito è quindi ἐπιθυμίᾳ ποτέ.

23 Nel fr. 2, 3 lo scriba restituisce la sequenza ανερο[, N è testimone dell’aggiunta di λη supra lineam. L’autopsia del papiro mi ha permesso di migliorare la lettura e restituire la correzione αν.

24 X 7. L’autore sta descrivendo una partizione tematica della scienza astronomica secondo coppie antinomiche coordinate in una struttura sintattica chiara. In questa sequenza lo scriba copia erroneamente due volte il sostantivo κίνηcιc nella forma del genitivo κεινήcεωc, la prima delle quali corregge con l’impiego delle parentesi tonde.

25 Cf. Barbis (1988) 57: «In caso di errori meno estesi ma tuttavia comprendenti uno o più righi di scrittura vengono adoperate comunemente le parentesi»; Turner/Parsons (1987) 16.

26 Cf. Romano (2007) 98-100.

27 Cf. Di Matteo (2006) 74-75.

28 Cf. Cavallo (1983) 24; Dorandi (1982) 106, in particolare n. 21. L’autore ricorda, a tal riguardo, anche Henrichs (1983) 38, n. 3.

29 Cf. Monet (1996) 30.

30 VI 9.

31 A VI 6 leggiamo cυνcτάντοc mentre a VIII 11 il copista verga μὲν γάρ; così a III 1 ho potuto verificare la mia lettura cυνφρον|τι[ rispetto al tradito]ρρον. Si puὸ segnalare ugualmente la forma cυνποcίων a XIII 8.

32 Cf. Del Mastro (2008) passim.

33 Ho riscontrato la presenza di almeno 29 spatia vacua con valore di pausa. Non ho ovviamente preso in considerazione gli spazi bianchi in fine di linea, ad eccezione di VI 8 e VIII 3 dove gli spatia sono accompagnati da due paragraphoi con funzione di pausa forte. Allo stesso modo non ho conteggiato i casi troppo lacunosi o per i quali sono presenti evidenti problemi stratigrafici (cf. ex. gr. XII 13). Permangono, tuttavia, dubbi sull’utilizzo degli spatia corrispondenti alla misura di una lettera di piccolo modulo, presenti soprattutto a separazione di parole contigue, per i quali spesso si puὸ ipotizzare piuttosto la volontà dello scriba di realizzare una scrittura più ariosa.

34 Questo mi sembra il caso a X 4, dove lo scriba pone tra due spatia la sequenza εἰc πολλὰ νέμεται per evidenziarla rispetto al contesto.

35 Eur. Hec. 568-569. Il testo della citazione è di particolare rilievo perché presenta delle difformità rispetto alla tradizione medievale, che il Körte attribuiva alla memoria dell’anonimo autore. Cf. Körte (1890) 579: «Sed memoria eum defecit, ita ut omisso verbo πολλήν pro εὐcχήμων scriberet μήποτ’ ἀcχήμων». Sulla tradizione papiracea diretta dell’Ecuba, cf. Carrara (2005) 145-155. Mi sembra interessante sottolineare che anche la proposizione successiva si conclude con uno spatium, come se lo scriba volesse sottolinearne il valore esegetico.

36 Così II 3 con la citazione di Hipp. Progn. 2, 156; cf. Roselli (1988) 53-57; Gigante (1990) 1. Cf. anche VI 4 = fr. 492 Us. con la citazione di una massima del Maestro. In quest’ultimo caso la citazione è segnalata da una paragraphos.

37 Cf. Körte (1890) 590.

38 A proposito della perdita dell’originale, sono convinto della genuinità del tratto, pur potendo valutare esclusivamente l’apografo napoletano, perché G. B. Malesci si mostra particolarmente attento e scrupoloso nel riprodurre lo stato dell’esemplare anche per i segni e gli spatia. Sul segno, mi sembra probabile che lo scriba, o il destinatario della copia, sia in questo caso intervenuto in un secondo momento e, per motivi legati alla mancanza di spazio, abbia collocato il segno nello spazio supra lineam.

39 Cf. VI 4 = fr. 492 Us. L’autore si serve dell’autorità del Maestro per discutere la complessa problematica della paura della morte, motivo centrale dell’etica epicurea. Il passo in questione, unica fonte di questa massima, nella quale è possibile rintracciare una polemica anti-scettica (cf. Gigante [1981] 30-32), rappresenta un’ampia digressione nell’apparente continuità tematica dello scritto. Essa, tuttavia, rientra a pieno nel discorso sul meteorismos che l’autore rivolge al suo ignoto destinatario: il timore della morte, infatti, nasce anche esso da un’erronea interpretazione della realtà sensibile. Liberarsi della fobia della morte equivale quindi a liberarsi dal meteorismos. Un’anomalia tematica simile compare anche in P.Herc. 1013 (cf. Romeo [1979] 26-28), dove il De Falco ipotizzava la caduta di almeno una colonna tra la col. XVIII e la successiva, per motivare la presenza di una digressione sul timore della morte all’interno di uno scritto astronomico, dedicato alla difesa della teoria percettiva degli epicurei.

40 Cf. Del Mastro (2001a) 110.

41 Cf. Barbis Lupi (1994) 414. Questo segno ricorre nei papiri ercolanesi con funzione di pausa più o meno forte. La sua forma standard prevede un tratto parallelo alla linea di scrittura ed un’ampiezza che corrisponde alla prima lettera della linea in cui ricade la pausa. A questa prima forma, tuttavia, vanno associate alcune variabili grafiche, caratterizzate da diverse sfumature di impiego. A tal proposito fondamentale Del Mastro (2001a) 107-131; cf. anche Indelli (2005) 125; Scognamiglio (2005) 164-169; Fimiani (2009) 32-34. Delle sette occorrenze della paragraphos, per un solo caso non mi è possibile valutare la funzione perché si tratta di un piccolo sottoposto collocato nel margine sinistro della quarta colonna.

42 Del P.Herc. 831 possediamo, come si è detto, solo sei disegni oxoniensi, redatti, probabilmente, durante le operazioni di svolgimento del rotolo. Il papiro fu, infatti, ricollocato nell’Officina dei Papiri dopo la partenza di J. Hayter, che, come è noto, utilizzὸ tutti i disegni realizzati fino a quel momento a Palermo; cf. Longo Auricchio (1980) 159. Essi si rivelano assai preziosi perché conservano ampi frammenti, che risultano assenti già pochi anni dopo, quando furono redatti gli apografi napoletani.

43 P.Herc. 831 X 2.

44 P.Herc. 831 IX 2-6.

45 Cf. Turner/Parsons (1987), tav. 66. Il frammento di rotolo restituisce una porzione del secondo libro del romanzo Cherea e Calliroe databile al II/III sec. d. C. Per il contributo dei rinvenimenti papirologici allo studio del romanzo greco, cf. Bastianini/Casanova (2010). Sull’ «oblique dash», cf. Turner/Parsons (1987) 8: in riferimento all’uso della paragraphos aggiunge «in prose, either alone or in conjuction with a space or an oblique dash in the line it marks the end of a section».

46 Cf. P.Oxf., p. 19-24. Si tratta di una petizione indirizzata al prefetto Lucio Munazio Felice. Il documento, vergato sul recto del papiro (sul verso si legge la copia di una corrispondenza ufficiale) non è di facile intendimento, essendo caduta in lacuna la prima parte dello scritto. L’editore riconosce un segno obliquo, che definisce impropriamente paragraphos, la cui funzione non gli risulta evidente: «The meaning of the paragraphos in l. 20 is not clear. It may indicate that the copy of the records ends in this place.» Più recentemente, cf. Barbis Lupi (1994) 416, n. 28.

47 Alcune macchie presenti nel margine superiore della col. II mi avevano indotto a credere che si potesse trattare dell’indicazione del numero delle colonne o dei kollemata. Un nuovo esame del papiro mi lascia piuttosto credere che si tratti di piccole macchie legate alla carbonizzazione del supporto papiraceo. Sulla sticometria dei papiri ercolanesi ancora fondamentale è Bassi (1909) 321-363; cf. anche Del Mastro (2001b) e bibliografia ivi riportata.