Scrivere e leggere l’Alessandra di Licofrone
Dopo l’edizione in due volumi (1881-1908) dell’Alessandra a cura di E. Scheer, la critica testuale e lo studio della trasmissione dell’opera hanno ricevuto un più vivo interesse nel 2008 con l’edizione critica di A. Hurst per Les Belles Lettres. Prima di Scheer, già nel 1830 L. Bachmann aveva pubblicato parte degli scholia vetera e anche l’edizione teubneriana di G. Kinkel del 1880 era accompagnata in appendice dalle testimonianze scoliografiche tradite dal codice Marcianus gr. 476 (XI sec.). L’edizione di Hurst, traguardo di un’ampia indagine sull’opera licofronea condotta da anni da parte dello studioso, nasce da una nuova collazione degli esemplari manoscritti e beneficia della testimonianza dei papiri. L’ideazione di questo studio è sollecitata dalla valutazione di un’evidente predilezione degli studi licofronei a favore delle due più dibattute questioni sull’opera : la problematica del genere letterario e la datazione dell’opera.
La mia ricerca mira ad offrire una lettura più globale dei testimoni papiracei dell’Alessandra, per evidenziare alcune specificità della trasmissione del testo nell’Antichità. La singolarità e la difficoltà esegetica dell’Alessandra hanno attirato per secoli i lettori ad inoltrarsi nei suoi insidiosi enigmi. Come osserva Hurst, l’Alessandra avrà richiesto lettori « très particuliers » e avrà preteso dai suoi copisti « une attention vigilante »1 : la difficoltà del linguaggio licofroneo ha generato per sua natura la stesura di commenti o di parafrasi che permettessero di accedere al testo. A questa attività risalgono gli scolii antichi da attribuirsi in parte a Teone, citati da Stefano di Bisanzio, in parte a un certo Sestio di epoca ignota2.
I papiri oggetto di questa indagine sono : P.Oxy. LXIV 4429 (I d.C.), P.Münch. II 39 inv. 156 (I/II d.C.), P.Oxy. XVII 2094 + P.Oxy. XLIX 3445 (II d.C.), P.Oxy. XLIX 3446 (II d.C.), P.Oxy. LXIV 4428 (III d.C.), PSI VI 724 (III d.C.). L’interesse per questi testimoni non si esaurisce nella ricognizione della qualità del testo tradito dai codici manoscritti, dall’esame di queste testimonianze papiracee, infatti, deriva un utile contributo allo studio dell’attività erudita sul testo licofroneo. In particolare, le annotazioni in margine, le correzioni, i segni diacritici, le notazioni di accento, l’interpretamentum del papiro PSI VI 724 costituiscono una preziosa testimonianza degli interessi esegetici antichi. In questo studio propongo alcuni esempi, estratti da un più ampio lavoro confluito nella mia tesi di dottorato, utili, a mio avviso, a valutare il lavoro svolto da chi ha vergato questi testimoni3.
P.Oxy. LXIV 4428, un testimone della prima metà del III secolo d.C., tramanda i versi 151-166 e 182-197 dell’Alessandra. Del rotolo di papiro e della sua superficie scrittoria si sono conservate alcune sezioni di due colonne. Il tracciato delle lettere è piuttosto ampio, le loro dimensioni sono poco regolari e le proporzioni variano frequentemente. Nel papiro ritroviamo in alcuni casi l’indicazione dell’accento : acuto ai versi 152, 185, 189, circonflesso ai versi 184-185. Al v. 152, oltre all’accento acuto, è segnata con evidenza anche la quantità lunga (Εννα]ίā πότε) e ai versi 155 e 165 è presente un segno di fine di verso. Al verso 186 vi è un intervento sovralineare per segnalare un’omissione, tale aggiunta può essere attribuita alla stessa mano dello scriba che ha curato la scrittura dei versi, potrebbe trattarsi di un’autocorrezione. Inoltre, sono presenti alcune glosse marginali sul lato destro, accanto alla prima colonna ; la mano sembrerebbe simile a quella di colui che ha copiato il testo. Gli esempi che seguono testimoniano tre annotazioni molto simili sia per la brevità sia per la finalità esegetica. Esse sono poste nel margine destro in corrispondenza dei versi 153, 157, 161 per chiarire l’identità delle divinità (Demetra, Poseidone) o dei personaggi mitologici (Enomao, Mirtilo) celati nel γρῖφοс.
Col. I, Alex. 153 : Ἕρκυνν’ Ἐρινὺс θουρία Ξιφηφό[ροс] η δημη
L’abbreviazione per il nome della dea (Δημήτηρ) costituirebbe una glossa simile a quelle che si rintracciano più avanti lungo il margine destro della colonna. Al verso 153 dell’Alessandra l’enumerazione di epiteti rinvia alla mitografia di Demetra, come richiesto dall’espressione oracolare. Un altro esempio è attestato nel margine destro in corrispondenza del v. 157 :
Col. I, Alex. 157 : φυγόντα Ναυμέδοντοс ἁρπα]κτήριον του[Ποсειδῶνοс
Il verso evoca l’episodio della rinascita di Pelope, il riferimento è al « desiderio rapinoso » (πόθον ... ἁρπακτήριον) del dio Poseidone, sedotto dalla sua giovinezza. Anche negli scoli al v. 157 si pone l’attenzione sull’ambiguità dell’identificazione dell’epiteto : Ναυμέδοντοс : (…) τὸν δὲ ‹Πέλοπα› ἔсτειλεν ὁ Ζεὺс ἀπὸ τῆс Λυδίαс. τὸ δὲ Ἐρεχθεὺс τινὲс μὲν ἐπὶ τοῦ Ποсειδῶνοс ἄλλοι δὲ ἐπὶ Διὸс ἤκουсαν.
Col. I, Alex. 161 : γαμβροκτόνον ῥαίсοντα πενθεροφθό]ροιс το οινο
Anche in questo caso, la nota svela l’identità del personaggio cui si allude nella sequenza narrativa. L’uomo celato nell’ingegnosa designazione licofronea (γαμβροκτόνοс) è Enomao, alla cui corte combatte Pelope per conquistare Ippodamia.
Col. I, Alex. v. 162 : βουλαῖс ἀνάγνοιс, ἅс ὁ Καδμίλοс γόνοс] μυρτι
In questi versi si allude al mito di Mirtilo, figlio di Ermes, che per ammazzare Enomao tradisce quest’ultimo perché ingannato da Pelope, che a sua volta lo tradirà. L’annotatore, come nelle precedenti glosse, pone in margine il nome del personaggio celato nella perifrasi del v. 162 : ὁ Καδμίλοс γόνοс. Il contributo del papiro P.Oxy. LXIV 4428 non si esaurisce nella testimonianza delle annotazioni in margine, ma esso acquista un maggiore valore se si considera ad esempio la lezione tradita al v. 154.
Col. I, Alex. 154 : ἄсαρκα μιсτύλαс’ ἐτύμβευсεν] φάρωι
In questa sezione narrativa, Licofrone narra del macabro banchetto in cui le carni di Pelope furono imbandite agli dèi. Solo Demetra, furente per il rapimento della propria figlia, non si accorse di nulla e ne mangiò una spalla4. Il poeta insiste nella descrizione della triturazione della cartilagine : una volta afferrata e spolpata con i denti (154-155), la dea la seppelli nella sua gola che ne divenne allora il sepolcro. In questo punto del testo i manoscritti tramandano ἐτύμβευсεν τάφῳ, il papiro riporta invece φάρῳ. Gli editori accolgono già φάρῳ (forma rara e abbreviata per φάρυγξ) perchè testimoniato dalla tradizione indiretta5. Il testo tradito dai codici manoscritti sarebbe una banalizzazione nel più consueto τυμβεύειν τάφῳ6. Il papiro, dunque, conferma una lezione che appare più consona al linguaggio licofroneo e alle sue infinite potenzialità espressive.
Per una più chiara comprensione degli interessi antichi sul testo licofroneo, è interessante il riferimento alla testimonianza di P.Oxy. XLIX 3446. Si tratta di un papiro datato al II sec. d.C., quanto ci è rimasto sembra costituire la sezione intermedia di una colonna, il frammento testimonia le parti finali di dodici versi (1239-1250) dell’Alessandra. La scrittura è piuttosto piccola, spigolosa e poco curata, l’osservazione dà l’idea di un’esecuzione frettolosa. Nel papiro, dove l’annotazione degli accenti è occasionale e vi è un solo probabile segno di elisione (1246), si conservano due annotazioni nell’interlineo e una in margine (1245-1248). L’analisi delle caratteristiche paleografiche delle annotazioni presenti fa pensare che esse siano state vergate dalla stessa mano che ha copiato il testo dell’Alessandra, ma probabilmente in un secondo momento.
εναθην[αιс
Alex. 1246 : Μυсῶν ἄνακτοс οὗ] ποτ’ Oἰκoυpòc δόρυ
La scrittura dell’annotazione interlineare, in corrispondenza dell’epiteto presente al v. 1246 (Μυcῶν ἄνακτoc), è molto frettolosa7 : la direzione del tracciato delle lettere tende ad inclinarsi progressivamente verso destra e verso la linea superiore. Rispetto alla testimonianza di P.Oxy. LXIV 4428, l’annotazione interlineare sembrerebbe di carattere più erudito : la stessa mano che ha vergato il testo segnala « sbrigativamente » l’origine ateniese di un epiteto di Dioniso e l’interesse svelerebbe un’accurata conoscenza del testo8. Procedendo nella lettura di questo testimone, l’attenzione si sofferma sulla nota posta in margine in corrispondenza del v. 1248 dell’Alessandra, molto simile a quelle tradite in P.Oxy. LXIV 4428 :
Alex. 1248 : Τάρχων τε καὶ Tυpcηνό]с, αἴθωνεc λύκοι [T]ηλεφoс
Le lettere sono molto danneggiate ; il primo editore del papiro legge con certezza ε, φ, ο, с. In realtà non sembrano esserci difficoltà nel riconoscere anche il tratto orizzontale dell’eta e il seguente tratto verticale ; ancora più evidente appare l’identificazione della lettera lambda : di cui riconosciamo i due tratti obliqui inferiori congiunti al centro, non si conserva invece la sezione superiore della lettera. L’annotazione chiarisce l’identità del padre di Tarcone e di Tirreno, i due figli di Telefo, re della Misia : qui Licofrone allude al mito di Telefo, che si impigliò nei viticci e si ferì quando stava per uccidere Achille. Al di là del carattere più o meno erudito delle annotazioni, la loro brevità e il fatto che siano state vergate dalla medesima mano del testo sembrano dirci che lo scrivente si annotasse quanto fosse necessario alla soluzione della parola « enigmatica », fornendo indizi aggiuntivi alla propria comprensione del γpῖφoс. L’analisi paleografica di P.Oxy. XLIX 3446 sembra confermare questa interpretazione : una scrittura rapida e poco impegnativa per la redazione di una copia di studio personale.
Altrove, la presenza di correzioni e di note in margine sembra testimoniare l’intervento di una seconda mano sul testo. Il papiro P.Oxy LXIV 4429, datato alla fine del I sec. d.C., di cui si conservano due frammenti, probabilmente quanto rimane di una stessa colonna, tramanda i versi 588-591 e 595-603 dell’Alessandra. La scrittura appare abbastanza curata, le dimensioni delle lettere sono uniformi, talora con apici ornamentali inclinati a destra (ι, π, φ). La presenza di numerosi accenti (595, 596, 599, 600, 601 e 603), annotazioni di quantità (600 e 602) e altri segni di punteggiatura sono la traccia del lavoro di una mano erudita. Un punto di particolare interesse del papiro è proposto di seguito :
Fr. 2, Alex. 599 : φερ]ώνυ[μο]ν νηс[ε]ίδα νάссονται πρό[υ]μου
ν
ωι
θεα]ατρομόρφωι πρὸс κλῑ́τει γεωλόφ [ον]
Il papiro conserva in linea una lezione differente da quella tradita dai codici manoscritti. Questa lezione è però cancellata da una seconda mano e nell’interlineo sono conservate due correzioni : la prima concorda con quella confluita nella tradizione medievale (γεωλόφῳ), la seconda (γεωλόφων) modificherebbe la sintassi del verso. Il poeta si sofferma sulla morfologia del luogo abitato dai compagni di Diomede dopo la loro metamorfosi, un pendio di un’altura simile a un teatro (600 : θεατρομόρφῳ πρὸс κλίτει γεωλόφῳ) : i due aggettivi, posti a sinistra e a destra di πρὸс κλίτει, creano un’iconica condensazione nominale. Le correzioni sovralineari sembrano doversi attribuire entrambe a una o più mani, le lettere infatti sono caratterizzate da tratti più simili al corsivo molto dissimili da quelli testimoniati dal resto del testo papiraceo.
Un altro papiro, P.Oxy. XVII 2094, conserva una lezione interlineare che ha attirato l’interesse degli editori e, più in generale, degli studiosi dell’Alessandra. Si tratta di un papiro del II secolo d.C., che consta di cinque frammenti distribuiti su tre colonne. Il testo tradito dai primi quattro frammenti è piuttosto esiguo, molto più ampio, invece, quello presente nel fr. 5. Il primo frammento sembra costituire la sommità di una colonna e i margini sono piuttosto lacunosi. I fr. 2, 3 e 4 rappresentano la parte inferiore di una colonna gravemente danneggiata. Il fr. 5 è più esteso e si presenta in un buono stato a parte la sezione inferiore della colonna (1359-1379), in cui si conservano solo le parti finali dei versi. In totale esso tramanda 35 versi (586-592, 924-939 e 1345-1379). I fr. 2, 3 e 4 presentano una scrittura uniforme e la mano sembra di media taglia, nel fr. 5, invece, essa appare più piccola e con evidenti propensioni alla forma corsiva. Nel papiro sono annotati spiriti e accenti, è segnata la quantità delle vocali. Al v. 1348 ricorre un esempio di διαсτολή. In realtà proprio questi segni di interpunzione potrebbero essere frutto di un intervento successivo sul testo, una seconda mano che sembra essere testimoniata anche dalla scrittura sovralineare al v. 935 :
̣ευνων.
Alex. 935 : сτεργοξυν]αί[μ]ων εἵνεκε[ν] νυμφ[ε]υμάτων
In questo verso i codici manoscritti tramandano concordemente сτεργοξυνεύνων, ma il papiro attesta questa lezione come sovralineare e in linea tramanda invece сτεργοξυναίμων. I due puntini di inchiostro alle estremità delle lettere poste nell’interlineo segnalerebbero la variante rispetto alla lectio tradita in linea. Le lettere conservate nello spazio interlineare sono chiaramente leggibili, al di sotto delle lettere ny e omega della lezione sovralineare si individua un tratto sottile di inchiostro più scuro, discendente sulla linea di scrittura sottostante : sembrerebbe un segno di rinvio alla lezione sovralineare, posto accanto all’annotazione di accento acuto sul dittongo αι. Il verso rinvia all’episodio narrato estesamente da Apollodoro (2, 4, 6) del falso giuramento di Panopeo, di cui troviamo conferma già in Omero (Il. 30, 665). L’efficacia del riferimento mitico è evidente nella sapiente costruzione sintattica del verso : la successione dei nessi sintattici e in particolare dei due genitivi.
Lo studioso G. Giangrande, che ha dedicato un articolo molto interessante alla testimonianza papiracea di questo verso 935, ricorre al sussidio degli scolii e delle due parafrasi proprio per evidenziare questa problematica interpretativa9 : lo scoliasta intende i versi 934-935, e in particolare il nesso сτεργοξυνεύνων νυμφευμάτων, come riferimento o al desiderio di nozze di Cometo con Κέφαλοс o, diversamente, a quell’unione che Anfitrione desiderava celebrare con Alcmena ; l’antiquior paraphrasis lascia intendere una duplice possibilità interpretativa del verso 935 (сτερχθέντων νυμφευμάτων τῆс Κομαιθοῦс ἣ τῆс Ἀλκμήνηс διχῶс γὰρ νοητέον). La recentior paraphrasis, invece, interpreta in maniera univoca il riferimento alle nozze del verso 935, ossia crede che Licofrone faccia riferimento senza dubbio all’unione tra Alcmena e Anfitrione (χάριν τῶν сτερχθέντων τῶν γάμων Ἀλκμηνηο καὶ, Ἀμφιτρύωνοс). Certamente non è privo di interesse il fatto che entrambe le lezioni siano hapax ; dunque, сτεργοξυνεύνων, la lezione dei codici attestata anche nel papiro come sovralineare, potrebbe documentare o una variante copiata da un altro antigrafo o, diversamente, una glossa che sarebbe confluita poi nel testo sostituendo la forma сτεργοξυναίμων. Tuttavia, la natura della lezione, un hapax, e la posizione interlineare sembrerebbero indicare più avvedutamente l’ipotesi di un’altera lectio, che testimonierebbe in tal caso un ramo della tradizione seguito in questo punto anche dal testo dei manoscritti.
In merito all’attestazione di correzioni interlineari, la testimonianza del papiro P.Oxy. XLIX 3445 appare degna di interesse. Si tratta di un papiro datato al II sec. d.C., identificato come ulteriore frammento del medesimo volumen cui appartenne anche P.Oxy. XVII 2094 ; esso tramanda i versi 747-756, 764-769 e 850-853 dell’ Alessandra. In tutto esso consta di tre frammenti distribuiti su due colonne. La mano dello scriba del testo è di media taglia, il tracciato delle lettere è abbastanza regolare. Al v. 754 è segnato l’apostrofo e al v. 766 è segnata l’elisione ; ci sono alcune notazioni di accento (acuto e circonflesso) e qualche indicazione di quantità. Al verso 750 una mano diversa da quella del copista del testo annota una variante ortografica nell’interlineo : la forma κειρύλου è infatti quella attica per la dorica κηρύλου, testimoniata in linea e dai codici manoscritti10.
Oltre agli « interventi di lettura » esemplificati fin qui, in tutti i papiri, con frequenza differente di testimone in testimone, sono presenti notazioni di accento e segni diacritici11. Ho analizzato l’impiego di queste notazioni e ho rilevato che esse sono poste soprattutto laddove risultasse necessario richiamare l’attenzione su particolarità linguistiche che da un lato avrebbero potuto ingannare la lettura, e quindi inficiare la comprensione del testo, dall’altro richiedevano una segnalazione particolare proprio perché voci ricercate : anche questo dato confermerebbe una lettura attenta e un’interpretazione puntuale del verso licofroneo. Le indicazioni di accento e di spirito sono piuttosto regolari su vocaboli di particolare ricercatezza, ad esempio al verso 1110 (сτύποс per distinguerlo da сτύππη) del papiro P.Münch. II 39 inv. 15612 ; o al verso 1111 del medesimo papiro l’annotazione di spirito su !ὄρευс sembra finalizzata a distinguere il termine dal più comune ὀρεινόс ; così al verso seguente (1122) su ἀλθαίνων è segnato l’accento acuto perché voce rara di uso ellenistico13. Troviamo un impiego simile anche in P.Oxy XVII 2094 : 1354 (ενδάυει) ; 1356 (αφ αιμάτων) ; 1373 (θροεῖν). Questi ultimi esempi sono significativi anche perché riguardano termini variamente traditi dai codici manoscritti14. Dunque, la notazione dell’accento o dello spirito sembra segnalare la ricercatezza o la rarità nell’impiego di un vocabolo laddove, o anche nel caso in cui la tradizione medievale o gli scolii all’Alessandra mostrano confusione o particolare interesse esegetico.
A queste esemplificazioni del contributo dei papiri licofronei, si aggiunge lo studio della testimonianza del papiro PSI VI 724, un hypomnema che offre molti risultati sia per la costituzione del testo sia per lo studio dell’esegesi antica sull’Alessandra15. Questo papiro, datato alla prima metà del III sec. d.C., consta di un solo frammento (4,5 x 11 cm) di rotolo di papiro, in cui si conservano 31 linee di scrittura di una colonna mutila su tutti e quattro i lati, delle linee 1–3 non si conserva quasi nulla. L’inchiostro è piuttosto omogeneo e la scrittura è una maiuscola informale con caratteri propri delle corsive documentarie e con tracciato inclinato a destra ; le dimensioni delle lettere sono uniformi e i tratti sono piuttosto sottili.
Come testimoniano i lemmata del papiro, l’interesse esegetico di questo hypomnema è rivolto ai versi 743-748 dell’Alessandra. Siamo nell’Odissea licofronea (648-819), nucleo centrale della profezia, in cui Cassandra profetizza, con compiaciuta ironia, la sciagurata sorte di Odisseo. I versi in questione profetizzano la sventura presso Cariddi e il naufragio dell’imbarcazione dell’eroe, evocato qui con l’immagine di « un gabbiano » (741 : καύηξ) che sarà colpito e incendiato dal fulmine, e per non essere risucchiato dai gorghi rimarrà inchiodato al ramo di un fico (741 : ἐρινεοῦ πpoсκαθήμενοс κλάδῳ)16. Alle linee 7-8 il commentatore evidenzia lo scopo di questa presa e cita i versi Od. 12, 432-433, in cui si narra questo episodio presso lo scoglio di Scilla e della terribile Cariddi. Come nell’hypomnema papiraceo, anche le due parafrasi edite da Scheer rivolgono l’attenzione allo stratagemma di Odisseo : è verosimile che l’eroe si sia potuto salvare da Cariddi aggrappandosi ad un ramo di fico. La recentior paraphrasis, in particolare, esplicita così il senso del verso 742 : ὅπωс αὐτὸν μὴ καταπίῃ ἐν τοῖс ῥεύμαсιν ὁ κλύδων « perché nelle correnti non lo inghiotta l’onda ». Nell’ antiquior paraphrasis, la spiegazione è simile alla precedente : ὅπωс αὐτὸν μὴ καταπίῃ ἐν τοῖс ὕδαсιν ὁ τάραχοс. L’espressione ἐν ῥόχθοιс κλύδων è dunque parafrasata con il termine ὁ τάραχοс17.
Proseguendo nella lettura del frammento, alla linea 13 risulta incerta la trascrizione delle prime lettere del testo tradito :
] ִ λαροс ιсωс οτι εν θαλαс-
Prima del lambda si individua solo la base di una lettera, ma il tratto, caratterizzato da un tracciato molto spesso, non è sufficiente all’identificazione. Le seguenti cinque lettere sono mutile nella loro sezione superiore a causa della frattura di sinistra del frammento che in questo punto danneggia la sommità della linea di scrittura. Nei tratti conservati di queste lettere, Vitelli identificava prudentemente un omicron e uno iota (λάροι), ma scartava con sicurezza l’ipotesi che potesse trattarsi di un omicron seguito da un sigma. Tuttavia, osservando il papiro in questo punto, i tratti conservati farebbero propendere proprio per un omicron seguito dal sigma : diversamente il tratto curvilineo finale, alla base della lettera, non sarebbe atteso nel tracciato di uno iota. Ipotizzando dunque la lettura del termine λάροс, esso glosserebbe il più ricercato καύηξ, presente nel corrispondente verso dell’Alessandra18. Questa glossa è attestata anche negli scolii al verso 741, in cui si legge : καύηξ ὁ λάροс διὰ τὸ ἀδηφάγον (fr. 88) [...] ἡ ἁπὸ τοῦ καῦ καῦ λέγειν19.
Alle linee 15-17 sono citati i versi 744-46 dell’Alessandra e alle linee 16-17 del commento a questi versi trova spazio l’approfondimento di un’originale variazione licofronea : Cassandra menziona l’unione di Odisseo con Calipso di cui l’eroe gode come una « breve pausa » (744 : βαιόν) nel suo lungo errare20. In riferimento al tempo trascorso presso la dea, lo scoliaste impiega il verbo ἐποίηсεν, che si ritrova anche negli scolii tzetziani al verso 744 : βαιὸν δὲ καίτοι πολὺν χρόνον ἐποίηсε μετὰ Καλυψοῦс21. L’aggettivo сχέτλιοс, che compare nell’hypomnema alla linea 18, è probabilmente riferito a Odisseo, che invece sostò « con sofferenza » presso la ninfa per lungo tempo. L’annotazione segnalerebbe l’ἀπορία, chiarendo la reale durata della sua permanenza : la ninfa innamorata avrebbe percepito assai breve l’unione con l’eroe, per Odisseo, sfiancato già dalla guerra e desideroso di rientrare a casa, gli anni presso Ogigia erano invece interminabili e ben più lunghi delle fragorose giornate sotto le porte Scee.
Alla linea 24 del papiro si conserva ἐπὶ сχεδίαν ; la zattera richiama l’attenzione del commentatore. Licofrone descrive quest’imbarcazione prima con un hapax e immediatamente dopo con un termine prosastico22 ; entrambi davvero sono efficaci da un lato a rendere la derisione dell’eroe da parte di Cassandra e dall’altro a presagire l’uragano che seguirà : ἀναυλόχητον αὐτοκάβδαλον « non costruita in un cantiere navale » e « fatta senz’arte ». La testimonianza del papiro in questo punto del testo è davvero preziosa, perchè E. Scheer correggeva il tradito ἀναυλόχητον in ἀναυτόχητον « (sc. βᾶριν) non guidata da marinai ». La correzione di Scheer, accettata anche da Kinkel e da Ciaceri, era dedotta dal commento di Tzetzes : ὑπὸ ναυτῶν οὐχ ὠχεῖτο23.
In questi versi Cassandra intende deridere l’eroe omerico e, dunque, prende in giro la sua creazione, costruita « fuori da un cantiere », senz’arte e con i chiodi messi a caso. Il coraggio di Odisseo è qui ben espresso da quel ταλάссει (hapax morphologicum)24. Seppur identifica una qualità propria di questo eroe (Alex. 746), questo in realtà è da interpretarsi in maniera contestuale, in relazione all’audace impresa descritta in questi versi : questa l’intenzionalità ironica di Licofrone per bocca di Cassandra, che il commentatore pone in evidenza e glossa (26) con un verbo che non si conserva ma che Vitelli integrava con καρτερήсει « sopporterà, resisterà », a sottolineare la proverbiale τλημοсύνη dell’eroe.
Quanto si conserva nella sezione inferiore del frammento di questo hypomnema costituisce un commentarium ai versi 747-748 dell’Alessandra : αὐτοργότευκτον βᾶριν, εἰс μέсην τρόπιν | εἰκαία γόμφοιс προсτεταργανωμένην. Il primo vocabolo del verso 747 (αὐτοργότευκτον) è un sapiente hapax, che nell’attributo « fatta da sé » riferito all’imbarcazione si rifà ai due aggettivi precedenti (745 : ἀναυλόχητον, αὐτοκάβδαλον), aggiungendo un’ulteriore tonalità all’ironia di Cassandra (βᾶριν)25 ; con l’espressione εἰκαία γόμφοιс προсτεταργανωμένην la profetessa insiste sull’immagine di questa imbarcazione « connessa alla buona »26. L’esegeta si sofferma sull’hapax e glossa il participio προсτεταργανωμένην con сυντεταργανωμένην ; quest’ultimo è attestato nell’Alessandra al verso 1101 (ἐν ἀμφιβλήсτρῳ сυντεταργανωμένοс) come attributo di Agamennone di cui in quei versi si narrava la tragica morte, inerme e « stretto » dai lacci come un pesce in una rete27. Anche nella penultima linea di scrittura del frammento papiraceo lo scoliaste rivolge la propria attenzione all’imbarcazione improvvisata frettolosamente da Odisseo. Per la decifrazione della testimonianza del papiro, in questo punto piuttosto incerta, è utile il ricorso all’antiquior paraphrasis.
30 [ ]. .δ. . . .сκεύαсτον сχε-
Essa infatti, in riferimento al v. 747, annota così : αὐτοκαταсκεύαсτον, τὴν ἀφ’ ἐαυτοῦ γεγονυῖαν ναῦν, πλοῖον εἰс μέсην τὴν τρόπιν28. Fino al primo sigma di καταсκεύαсτον i tratti di inchiostro sono molto sbiaditi e indistinti ; Vitelli, infatti, trascriveva solo -сκευαсτον. Si può dunque credere che il commento continuasse a rivolgere la propria attenzione alla qualità dell’imbarcazione che Odisseo aveva preparato da sé in poco tempo e con scarsa perizia.
Il panorama che tracciamo attraverso la considerazione di questi documenti ci permette di cogliere nella sua variabilità un interesse sul testo che appare abbastanza chiaro : la lingua, o ancor meglio, il linguaggio licofroneo e la necessità di una più acuta attenzione alla mitografia celata dietro il γρῖφοс erano alla base dello studio antico e della più generale diffusione culturale dell’opera. Questi frammenti papiracei sembrano recare tracce di una revisione e i segni spesso potrebbero comprovare una collazione con un secondo esemplare.
Inoltre, lo studio del papiro PSI VI 724, chiarisce che l’interesse principale dell’ hypomnema risiede nel tentativo di evidenziare la ricercatezza delle scelte lessicali licofronee, talora glossando « Licofrone con Licofrone » e sottolineando allo stesso tempo, con il sussidio di Omero, variazioni di particolare interesse. L’έξηγητήc appare intento a giustificare e a scoprire intenzioni nascoste e bellezze o rarità del linguaggio di Licofrone, lo proverebbero sia la spiegazione fornita per έρινεοῦ κλάδῳ sia l’interrogativo che pone sul βαιόν del verso 744 e, infine, l’attenzione rivolta agli hapax che individua nei versi da commentare (l’hapax morphologicum ταλάссει [26] ; προсτεταργανωμένην [29]). Lo scoliaste discute di vocaboli rari, propone glosse esplicative e supporta il proprio commento con citazioni da Omero, mostrando erudizione e intelligenza del testo. Quest’ultimo dato è senza dubbio interessante anche in relazione a quanto sottolinea Hurst, per il quale il frequente ricorso all’Alessandra negli estesi commentari all’Iliade e all’ Odissea di Eustazio di Tessalonica conforterebbe l’ipotesi che l’opera fosse stata a lungo « un texte d’école » e che « l’érudit qui explique Homère ne peut pas avoir l’air d’ignorer Lycophron »29.
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Annotazioni e marginalia
La tabella mette in risalto la varietà delle note di lettura : le une volte ad esplicare il contenuto del testo le altre intese a facilitare una corretta intelligenza dell’insidiosa lingua licofronea
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1 Hurst/Kolde (2008) xlii.
2 Cf. Scheer (1958) xxiv ; EM 434, 15 ; Steph. Byz. s.v. Αἵνεια ; Σ ad 1042.
3 Marandino (2009/2010).
4 Sul fatto che Demetra avesse compiuto quest’atto di cannibalismo perchè distratta dal proprio dolore e dalla rabbia per il rapimento della figlia, cf. ΣAlex. 153.
5 EM 788, 32-33 e ΣΑlex. 153 ; l’antiquior paraphrasis spiega così : (scil. Demetra) κατέφαγε τῷ φάρυγγι.
6 Cf. Aristoph. Th. 885 ; Soph. Aj. 1063 ; Eur. Hel. 1245.
7 Per l’annotazione, si tratta di una glossa, probabilmente in riferimento a Dioniso chiamato « Custode » (Oίκoυpόc) ad Atene ΣAlex. 1246 ; cf. RE XVII ii 2174, s.v. « Oikuros (2) » ; Aristoph. Lys. 759.
8 Sul confronto fra le annotazioni marginali presenti nei due papiri, cf. McNamee (2007) 296.
9 Cf. Giangrande (1998) 385-387 ; Criscuolo (1970) 76 ; Spatafora (1995) 195-96.
10 Il termine designa l’uccello di mare, identificato con l’alcione ; cf. Aristot. HA 593b1-2 ; Clearch. 73 ; Ael. NA 5, 48 ; Aristoph. Av. 300.
11 L’accentazione è segnata laddove lo scriba, principale o secondario, selezionasse gli accenti che aiutassero il lettore a distinguere tra items lessicali simili ; l’uso dell’accento grave è molto frequente con parole particolarmente ricercate, esso veniva posto per segnalare la successiva sillaba tonica. Cf. Mazzucchi (1979) 145–167.
12 Sullo stesso vocabolo è annotata anche la quantità breve sulla lettera hypsilon.
13 Nic. Ther. 496 ; 587 ; Al. 112.
14 ἀφ’ αἱμάτων Π : ἀφ’ αἵματοс codd. ; θροεῖν ΠABCD : θρηνεῖν EM (supra ἣ θροεῖν καὶ, λέγειν) ; sulle annotazioni di accento in P.Münch. II 39 inv. 156, cf. Carlini (1986).
15 Cf. PSI VI, p. 161-162 ; Vitelli (1922) 141-142.
16 Per lo stesso episodio, nell’Odissea (12, 433) l’eroe è associato ad una nottola ; il confronto con questo verso è presente nell’hypomnema alle linee 10-11.
17 Cf. Schade (1999) 146.
18 Cf. Od. 15, 479 ; Callim. fr. 167 Pf ; Euphor. fr. 130 Powell ; Hesych. s.v. καύαξ ̇ λάροс.
19 Cf. EM 493, 48.
20 Per l’uso avverbiale, cf. Hes. Op. 418 ; Soph. Tr 44 e 335 ; OC 1653. Cf. Schade (1999) 148, n. 287 soprattutto per l’occorrenza in Eur. Rh. 974.
21 Gli scolii al v. 744 sottolineano l’incertezza dell’esegesi del passo.
22 Cf. Aristot. Rhet. 1415b38.
23 Cf. ΣAlex. 745.
24 Cf. Ciani (1975) 308, s.v. τλάω.
25 Cf. Alex. 691 ; Hdt. 2, 41, 4 ; 69, 1 ; 96, 5 ; 179.
26 Per l’impiego di βᾶριν, cf. nota precedente ; Schade (1999) 152, n. 298 ; ΣAlex. 747. Il termine προсτεταργανωμένην è composto sulla base di ταργανόομαι, usato da Platone comico (fr. 205 K.-A.) per il vino che inacidisce.
27 Cf. EM 753, 52.
28 Cf. Neapolitanus gr. II. D.4 (XIII sec.), Σ ad 747.
29 Cf. Hurst/Kolde (2008) liii, n. 2.