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«Segni» di malattia nelle lettere dei papiri

Isabella ANDORLINI

Gli storici dell’antichità continuano a scrutare la densità informativa delle lettere tramandate da papiri e da ostraca come una fonte inesauribile di notizie di ogni specie1. La curiosità per gli affari altrui, nitidamente raccontati o appena accennati nella corrispondenza privata, ha rinnovato un proliferare di studi su singoli aspetti di genere, di contenuto e di lingua2. Questa ricerca, rivolta ai « segni » di malattia che affiorano nelle lettere papiracee, tocca sia il campo pedestre della routine comunicativa sia il registro sofisticato delle conoscenze tecniche echeggiate nella trasposizione scritta del colloquio interpersonale. Tale prospettiva è tanto più stimolante poiché ogni lettera ristabilisce un legame diretto tra il lettore moderno e l’antico autore del messaggio, non importa se riconoscibile come l’esecutore materiale della scrittura3. Questo permette di entrare in rapporto col suo modo di percepire i fatti e di farsi un’idea – sia sul piano materiale e grafico sia sul piano della padronanza linguistica – del livello di acculturazione dell’autore o del suo « suggeritore » occasionale (un medico ? un operatore della salute ?). I casi di malattia propria e dei propri cari sono comunicati con pathos espressivo e con una fraseologia tecnica che indica tipologia, insorgenza, decorso ed esito del morbo. Nelle lettere che contemplano i problemi della salute, essendo le urgenze della comunicazione quasi sempre dettate da necessità pratiche, non mancano cenni alle ricadute psicologiche e socio-economiche nella vita quotidiana e lavorativa. Anche sotto il profilo dell’esegesi linguistica, le lettere sono informative dell’incidenza del frasario tecnico nella scrittura dei profani4. Poiché, però, l’intimità affiora con reticenza nella comunicazione, in quale misura i cenni delle lettere attestano patologie diffuse nella popolazione locale5 ? L’occorrenza di termini specifici è sufficiente a connotare la competenza linguistica dell’autore, ovvero a marcare lo scarto tra lingua comune e lingua tecnica nella forma scritta del colloquiare ? Quale risulta l’attendibilità di echi di carattere medico, e quali peculiarità lessicali sono imparentate con la lingua degli esperti dell’arte6 ?

La teoria dell’osservazione dei « segni », risalente agli scritti del Corpus Hippocraticum, ruota intorno ai termini οημεῖον « sintomo », l’indizio del manifestarsi patologico, cημαίνω, che esprime il « significare », ovvero il processo per cui il « sintomo manifesta la sua presenza », e cημειωτικόν, « la disciplina che riguarda l’osservazione dei sintomi »7. Poiché i manuali medici usavano l’interpretazione dei « segni » ai fini della terapia, è legittimo pensare che anche i dottori della chora egiziana, formatisi su quei testi, condividessero coi loro pazienti le definizioni dei sintomi morbosi8. Non dobbiamo stupirci se alcuni tecnicismi s’intrufolarono nella lingua degli scriventi acculturati della chora, rendendoli capaci di registrare per iscritto i nomi di malattie e il loro decorso.

L’analisi delle puntuali occorrenze di frasario medico in una lettera da Ossirinco testimonia la competenza linguistica di Ammonios, autore di P.Oxy. LXXIII 4959 (II d. C.). La malattia è il tema di una missiva ordinata, fatta copiare in una grafia elegante, quindi sottoposta a riscritture corsive autografe ed infine cancellata con una grosso chi. Alla cura formale con cui Ammonios informa i genitori che il fratello Theon, « colto da un grave ψυγμόc e da debilitazione fisica » (4-6 : ἐδήλου ὅτι ψυγμῶι ληφθεὶc ἐκ βάθουc καὶ ἐκλύcει τοῦ cώματοc [καὶ̣] ἐν ἀγωνίαι ποιήcαc πάνταc ἡμᾶc), si è prontamente ristabilito, corrisponde un lessico medico adeguato. Lo stato di ἔκλυcιc τοῦ cώματοc (solutio corporis), cioè la prostrazione del paziente (Hipp. Epid. 7, 1, 80 : ἔκλυcιc cώματοc δεινή), è un tecnicismo usato, tra l’altro, per attribuire le sudorazioni a spossatezza (Hipp. Prog. 6 : γίγνονται γὰρ οἱ [scil. οἱ ἱδρῶτεc] μὲν δι’ ἔκλυcιν cωμάτων). La malattia di Theon è definita ψυγμόc (un indizio di « freddo » corporeo, ma anche di « rigidità » nervosa)9 ; ha colpito « in profondità » (ἐκ βάθουc), come avviene per il calore febbrile in ps.-Gal. Intr. 13, 5 (XIV 729, 16 K. = 48, 12-13 P. : ἡ ἐκ βάθουc ἀναφερομένη θερμαcία). Lo scrivente aggiunge che, superato l’attacco, non resta traccia dell’evento (9-10 : μηδὲν… τοῦ c̣υ̣μβάντοc ἐγκατάλειμμα εἶναι)10. Il quadro pare rinviare, più che ad influenza acuta, ad una sincope, già adombrata dalla parola impegnativa ἔκλυcιc / solutio che è così associata alla cardiaca affectio nella definizione di ps.-Gal. Def. med. 265 (XIX 421, 1-3 K.) : διὰ ταύτην τοῦ τόνου τὴν ἔκλυcιν καρδιακὴν ἤτοι διάθεcιν ἢ cυγκοπὴν ἐκάλεcαν τò cυμβαῖνον11. Nello spazio di poche righe si affollano nuovi tecnicismi inerenti al decorso, come l’assoluto ἀνέλαβεν (7), « si è ripreso », familiare alla lingua medica (Hipp. Mul. 2, 118, 5 : ἢν μὴ δύνηται ἀναλαβεῖν) e ribadito da καὶ τέλεον ἀνεκτήcατο « e si è ristabilito perfettamente » (7-8), che trova confronto in ps.-Gal. Ther. 10 (XIV 248, 15 K. : θαυμαcίωc ἀνεκτήcατο), mentre è il medico ad aver recuperato il suo paziente in Gal. Meth. med. 10, 2 (X 677, 18 K.) : τελέωc ἀνεκτηcάμην. La guarigione è scandita da due tempi precisi nel ritmo del decorso : a) il recupero è immediato se cade entro il giorno d’inizio della malattia (7 : αὐτῆc ὥραc ; cf. Hipp. Epid. 5, 1, 7 : ταῦτα παθὼν ἐν τῇ ὥρῃ ἐδόκεεν ἂν ὑγιὴc γενέcθαι) ; e b) Theon è stato in grado di prendere un bagno entro la medesima giornata (8-9 : λούοαοθαι αὐτῆο ἐκ̣ε̣ίνηc τῆc ἡμέραc)12. Il bagno rientrava nel regime prescritto dai medici : un malato bloccato da un impiastro lamenta l’astensione dal bagno come una fastidiosa costrizione (PSI IV 297, 2-3 [V d. C.] : ἐκ τῆc ἀλουοίαc αίcθάνομαι).

I Indisposizione generica e malattia conclamata

L’indisposizione generica che interferisce nel quotidiano è spesso addotta per giustificare l’impossibilità dei soggetti a scrivere, viaggiare, assolvere incarichi.

a) ἀρρωοτία, ἀcθένεια, ἀcθενήc, ἀοθενέω configurano « infermità fisica » e « debolezza » quali ostacoli negli affari correnti13. In P.Col. III 10, 2-3 (257 a. C.), Mnesistratos informa Zenon di essere ammalato e in difficoltà (έ]γὼ εἰc μεγάλην δὲ ἀρρωcτίαν ἐνέπεcον καὶ εἰc ἀπο[ρίαν). In una lettera del banchiere Promethion trapela ansia per la lunga malattia di Zenon, di cui non è nota la tipologia (PSI IV 333, 1-3 [256 a. C.] : [c]υνέβη ἡμῖν ἀγωνιᾶcαι ἀκούοανταc ἐπὶ πλείονα {cε} χρόνον ἑλκ̣[υc]θῆναί cε ἐν ἀρρωοτίαι, ed. pr)14.

b) I termini νωθρεύω (-ομαι), νωθρόc e νωθρῶc, νωθρότηc e νωθρῶδηc sono comuni nella pratica quotidiana del greco d’Egitto per esprimere un male generico (PSI VI 717, 4-5 [II d. C.] : μνήc[θη]τι π̣ῶc cε νωθρευcάμενον ; SB XXII 15561, 4, [II d.C.] : καὶ ἐγὼ γὰρ ἐνωθρευόμην ; P.Tebt. II 422, 3 [III d. C.] : ἐπεὶ ἡ ἀδελφή c[ου νω]θρεύεται). La nozione di torpore è il sintomo che anticipa l’esplosione del male15. Herakleides, debilitato, ha rinunciato al viaggio (P.Freib. IV 56, 3-5 [II d. C.] : ἐπεὶ τῇ η̄ ἀπò cοῦ ἐνωθρευcάμην καὶ οὐκ ἰcχύω κατελθεῖν) ; Alexandros – che ha mancato un pranzo coi nomarchi – aggiunge il dettaglio originale del digiuno osservato e l’allusione al contestuale malanno dello schiavetto (P.Lond. II 144, 3-4 e 7-9 [II/III] : νωθρευcαμένου μου καὶ ἀcιτήcαντοc ἡμέραc δύο… καὶ τοῦ παιδαρίου μου ἀπò τοῦ Ἀρcινοίτου ἀcθενήcαντοc μέχρι cήμε[ρον).

c) Le parole « nosologiche » νόcοc, νοcέω, ἐπινόcωc ἔχειν e νοcηλόc denotano lo stato conclamato di malattia16. Una suggestiva concentrazione terminologica affolla il racconto di Demetrios : ἐκ τῆc καταλαβούcηc [αὐτὴν νόc]ου… εἰ μὴ ἐπινόcωc ἐcχήκει τò cωμάτιον… ἡνίκα ἐβαρεῖτο τῇ νόcῳ… e ἀνακαθεc̣θ̣εῖcα, νοcηλότερον δὲ ὅμωc τò cωμάτιον ἔχει (P.Oxy. VI 939, 5-6 ; 21 ; 23 ; 25-26 [IV d. C.]). Sia ἐπινόcωc sia νοcηλόc, di esclusivo uso medico, indicano la persona « malaticcia » (Hipp. Epid. 1, 2, 4 : καὶ οἱ πλεῖcτοι διῆγον ἐπινόcωc ; Epid. 6, 6, 8 : νοcηλότεροι δὲ, οἷcι τἀναντία « sono invece malaticci coloro che hanno caratteristiche contrarie »). Anche ἀνακαθίζειν è tecnico dello « stare a letto » (Hipp. Prog. 3 : ἀνακαθίζειν δὲ βούλεcθαι τòν νοcέοντα). Una donna informa Nepheros della sua degenza in P.Neph. 1, 11 (IV d. C.) : ἐγὼ γὰρ ἡ Ταπιὰμ’ ἐνόcηcα καὶ ἔτι ἀνάκειμαι « io, Tapiam’ mi sono ammalata e ancora mi trovo degente » ; un’altra donna è bloccata a letto (P.Oxy. VIII 1161, 8-10 [IV d. C.] : νοcοῦcα, δε̣[ιν]ῶc ἔχουοα, πάνυ μὴ δυναμένη ἀναοτῆναι ἐκ τῆc κοίτηο μου), forse per la stessa malattia, non precisata ma contagiosa, che aveva colpito altri membri della famiglia (καὶ γὰρ πρò τούτου τὰ παιδία ἡμῶν ἐνόcηcαν). Heraklas scrive a Diogenes (P.Oxy. LXXIII 4963, 2-4 [III/IV d. C.]) di essere incorso in una ricaduta (γ]ράφω cοι, ἄδελφε, τò μὲν πρῶτον τῇ νόcῳ χειμαζόμενοc17. δ[ευτέρα] ̀διccὴ́ δέ μοι ἐ̣γέ̣νετο ̀ἡ vόcoć « ti scrivo, fratello, in quanto sono tormentato dal male ; due volte mi ha colpito la malattia »). Uno scenario preoccupante emerge dalle competenti parole di Titianos, autore di PSI IV 299 (III d. C.), caduto ammalato (3-4 : κατεcχέθην νόcῳ) insieme ai familiari, com’è sottolineato dalla densità semantica di vόcoc / νοcέω : 4-5 e 9-10 νόcῳ / ἡ vόcoc / νοcῶν sono riferiti a Titianos ; νοcεῖ (10) riguarda il padre, mentre ἐνόcηαν (14) è relativo a madre e domestici18.

d) Un malessere generico è espresso da ἔχειν + avverbio (P.Oxy. VI 935, 15 [III d. C.] : εἶπον̣ [κακ]ῶc ἔχειν α̣[ὐ]τ[όν], oppure δε̣[ιv]ῶc ἔχουcα… ὅτι πάνυ δεινῶc ἔχω in P.Oxy. VIII 1161, 5 e 7-8 [IV d. C.]). Horion non puo far fronte agli impegni « per il sentirsi mezzo e mezzo » (P.Lips. I 108, 5-6 [II/III] : καὶ οὐκ ἠδυνήθην διὰ τò ἐμὲ μετρίωc ἔχοντα). Il senso si mantiene nella formula attenuativa di P.Strasb. I 73, 16 (III d. C.) : οὔπω κoμψῶc ἔcχoν « non sto ancora bene ». Interessante è la vivace disputa sullo star male reciproco esternata da Soeris ad Aline, in P.Brem. 64, 4-9 (113-120 d. C.) : πῶc γράφει μοι ὅτι ‘άcθενῶc ἔχω’19 ; [ὅτι] ἔλεγόν μοι ὅτι οὐκ ἀcθενεῖc καὶ εἰc τocαύτηv λύπην με βάλλειc ἐγὼ <γὰρ> ἰδοῦ τετράμηνoc ἀcθενῶ μου τὰ ὄμματα « come mai hai scritto “mi sento male” ? Mi han detto che non sei ammalata, eppure mi hai gettata in tanto dolore ; e invece, ecco, sono io malata agli occhi da quattro mesi ! »20

II Durata e gravita

La durata di un episodio morboso è indizio di ricaduta o di cronicità. Da « tredici mesi » è malata Kophaena, che usa variatio tra ἀθενέω e νocέω (BGU III 948, 5-6 e 9-10 [IV/V] : ἡ μήτηρ coυ Κοφαήνα ἀcθενεῖ, ἰδοῦ, δέκα τρεῖc μῆvεc… ἀκoύcαc ὅτι νocῶ). Sotas è allettato da « un mese » (P.Select. 19, 2-3 [III d. C.] : πρò ἑνòc μηνòc ἠcθένου<ν>. καὶ ἐγὼ μέχρι νῦν κ̣ατα̣κ̣λινήc εἰμι)21 ; Soeris lamenta da « quattro mesi » un problema agli occhi (P.Brem. 64, 8-9 cit. supra). In « sette giorni » giunge ad esito infausto la malattia biliosa di Sarmates (PSI III 211, 3-5 [V d. C.] : τῆc χολῆc νοcήcαντα ἑπτὰ ἡμερῶν).

La gravita del male è raramente scandita da attributi, tra cui δεινόc e μέγαc sono i più frequenti (PSI IV 299, 4 [III d. C.] : καὶ δεινὰ πέπονθα ; cf. P.Oxy. VIII 1161, 5, 7-8 : εἰc μεγάλην δὲ ἀρρωcτίαν ; P.Col. III 10, 2). Una νόcoc può apparire μεγάλη e δεινή, come in P.Lond. VI 1926, 11-12 (IV d. C.) : μεγάλῃ γὰρ νόcῳ περίκειμαι δυcπνoίαc δεινῆc (cf. P.Strasb. I 73, 11 : νόcῳ μεγάλῃ ; P.Oxy. Hels. 46, 17-18 : ψυγμοῦ μεγάλου) ; puo anche mettere in pericolo di vita (P.Cair. Zen. I 59034, 10 : καὶ κινδυνείῦcα̣ί̣ [με]22 ; P.Oxy. LV 3816, 9-10 [III/IV] : καὶ ἐγὼ ἠcθέ̣ν̣η̣cα πάνυ καὶ εἰc θάνατον).

Il militare Terenziano fu ammalato e derubato nella sua liburna. Da un’accorata lettera scritta al presunto « padre » Tiberiano trapela la notizia di una infermità prolungata che lo costringe ad essere assistito (P.Mich. VIII 477, 35-39 [II d. C.] : διὰ τò νωθρε[ύεc]θαί με, καλῶc οὖν [π]oιήcειc τὰ cὰ μετέ[ωρ]α ἐκπλέ[ξαι τ]αχέω[c] κα[ὶ] καταπλε[ῦ]cαι πρòc ἐμέ. ὁ γὰρ κα[ιρò]c ἄρτι ἄ[λλ]όυ ἐcτιν καὶ ἄν μ̣[ὲν] δ̣ια̣τ̣ρ̣αφῶ ὑπò ἄλλο̣[υ, ὡc] ἀκού<c>ειc π̣[αραγ]εινόμεν[οc] ἐπ[ὶ τῆc πόλεωc)23.

III « Segni » di malattie specifiche

Quando la malattia è segnata da indizi specifici chi scrive aggiunge utili dettagli tecnici.

a) Malattie cardiache (?). Cf. P.Oxy. LXXIII 4959, 4 (II d. C.) : ψυγμῶι ληφθείc ; P.Oxy. Hels. 46, 17-18 (I/II) : ψυγμοῦ μεγάλου, e supra n. 11.

b) Malattie respiratorie. Una dispnea è lamentata in P.Lond. VI 1926, 12 (IV d. C.) : δυcπνοίαc δεινῆc. L’attributo δεινόc può essere espressivo del dolore (Hipp. Epid. 5, 1, 71 : τρίτῃ δὲ γαcτρòc ὀδύνη δεινή) e del soffocamento da angina (Hipp. Prog. 23 : αἱ δὲ κυνάγχαι δεινόταται μέν εἰcι). La δύcπνοια era percepita come difetto meccanico della respirazione ; cf. PSI inv. 3054, IV, 9 = Andorlini (1995) 130 e ps.-Gal. Def. med. 262 (XIX 420, 6-7 K.) : ἢ δύcπνοια βλάβη τιc ἀναπνοῆc ἐcτιν.

c) Affezioni cutanee. Una erisipela ai piedi (conseguenza di un morbo pestilenziale ?) ha colpito lo scrivente di P.Strasb. I 73, 13-15 (III d. C.) : καὶ ἐγὼ αὐτòc μετὰ τὴν νόcον γίνομαι κατὰ τοῦ ποδόc μου ἐρυcίπελαν καὶ μέχρι δεῦρο οὔπω κομψῶc ἔcχον. L’erisipela è una infiammazione ulcerosa, dolorosa e maligna (cf. Cels. 5, 26, 31b : nam modo super inflammationem rubor ulcus ambit, isque cum dolore procedit (erysipelas Graeci nominant) ; modo ulcus nigrum est, quia caro eius corrupta est, idque uehementius etiam put<r>escendo intenditur). Poteva degenerare in ulcera (Gal. Meth. med. 14, 2 = X 949, 6-8 K. : αὕτη μὲν οὖν ἡ διάθεcιc ἐρυcίπελαc ὀνομαζέcθω, διττὴν δὲ ἔχον, ὡc εἴρηται, διαφοράν, ἤτοι χωρὶc ἑλκώcεωc, ἢ cὺν ταύτῃ γιγνόμενον), anche con complicanze febbrili (ps.-Gal. Def. med. 383 = XIX 441, 15-16 K.). L’erisipela è curata in PSI X 1180, A III, 13 (MP3 2421, I/II) e viene associata ad organi interni in un trattato medico su papiro dove il quadro è complicato da febbre e causo (P.Köln VIII 327, i, 26-28 ; MP3 2380.01 [II a. C.] : ὅμοιόν ἐcτιν [ἐρυcι]π̣έλατι τò περὶ <τò> ἧ[παρ γι]νόμενον).

d) Malattie oftalmiche. Numerosi sono i casi di oftalmie (P.Cair. Zen. IV 59642, 6 [III a. C.] : π]εποίηται ὀφθαλμίαν ; P.Cair. Zen. V 59846, 5 [III a. C.] : ἐδήλωcεν ὅτι ἑκάτερά cου ὀφθ[αλμ- (?) ; P.Oxy. XLII 3058, 5-6 [II d. C.] : ἔτυχέν μοι ὀφ̣θ̣α̣λ̣μιᾶcαι ; PSI VIII 889, 9 [VI/VII] : ὠφθαλμίαcα), talora evocate come un impedimento al viaggio (BGU XVI 2651, 8-10 [9 a. C.] : διὰ δὲ τὴν ὀφθαλμίαν παραπεπόδιcμαι τοῦ ἀναβῆναι πρòc cέ). Anche Soeris ne soffre da tempo (P.Brem. 64, 8-9 : ἀcθενῶ μου τὰ ὄμματα). Alcune patologie specifiche sono la lacrimazione che ha colpito Diogenes (SB XIV 11899, 29-30 [II d. C.] : διὰ τò Διογένην ἠcθενηκέναι [ἐκ ῥευματ]ι̣cμοῦ τὰ ὄμματα) e il leucoma (cf. P.Mich. VI 426, 21-22 : λευκώματου ἐκ τῆc κόρη[c] αὐτο[ῦ] διαφανέντοc), considerato curabile in P.Oxy. XXXI 2601, 32-34 (IV d. C. ; ἵνα θεραπευθῇ τ̣ὸ̣ λ̣ε̣υ̣κ̣ωμάτιον. ἐγὼ γὰρ εἶδον ἄλλουc θεραπευθέντ̣αc), ove ricorre quale hapax il diminutivo λευκωμάτιον. Si tratta di una cicatrice biancastra sulla pupilla, più grande e più spessa di un’ulcera comune ; cf. ps.-Gal. Intr. 16, 8 (XIV 775, 8-12 K. = p. 84, 11-14 P.) : λεύκωμα δὲ ταὐτòν μὲν τῇ καλουμένῃ οὐλῇ ἐcτι, διαφέρει δὲ τῷ ἐξ ἑλκώcεωc μεγάλην οὐλὴν μείζονα καὶ παχυτέραν ἐπιγίνεcθαι ἐπὶ τῆc ἴρεωc, ἣν καλοῦcι λεύκωμα. Eccezionale il tracoma che ha prostrato Titianos (PSI IV 299, 6 : τραχώματα ἔcχον), da identificare con le « granulazioni » responsabili di rugostità congiuntivale, un fenomeno oggi diagnosticato come infezione da Chlamydia trachomatis. È sorprendente la competenza con cui Titianos allude – forse soccorso dalla diagnosi del medico curante – al rischio di un intervento chirurgico (8 : ὡc καὶ ἐπὶ τομὴν ἥκειν μ[έ] μ[οι] ὀλίγου)24.

e) Mal di gola, tonsillite. La tonsillite ha messo in pericolo un conoscente dell’autore di O. Claud. II 222, 3-5 (138-161 d. C.) : καὶ πέμψον αὐτῷ φ]άρμακον ἐπικι<ν>δυ[νεύει διὰ] τῶν παριοθμίων. L’occorrenza del termine παρίοθμια in un catechismo sulle tonsille su papiro (PSI XV 1510, 3 [III d. C.] : ποῦ κεῖται τὰ [παρίοθμια ;) attesta la conoscenza diffusa di tale affezione, citata anche in una richiesta di incantesimo da copiare su un amuleto come formula di guarigione (P.Oxy XLII 3068, 1-2 [III d. C.] : τò πρòc παρίcθμια περίαμμα εἰc τò χρυcοῦν πέταλον).

f) Traumi, malattie agli arti. Di specifico interesse è il messaggio di Ptoleminus (P.Oxy. LV 3816, 4-12 [III/IV]) relativo a un tale Achilles isolato dalla malattia (καὶ διὰ τοῦτο οὐκ ἐδυνήθην λαλῆcαι αὐτῷ) e più volte operato ai piedi (Ἀχιλλεὺc πάνυ νοcεῖ κ̣α̣ὶ̣ ἐχειρίοθη ποcάκιc εἰc τοὺc πόδαc καὶ τὰ ἕωc ἄρτι νοcεῖ καὶ cχεδό̣ν̣ τι προοέτι). Da segnalare χειρίζω che esprime il « trattare chirurgicamente » : poteva alludere ad un intervento di riduzione di frattura (Hipp. Off. 3 : ὁ δὲ χειριζόμενοc ; Fract. 1 : οπουδὴ μὲν οὐ πολλὴ χεῖρα κατεαγυῖαν χειρίcαι, καὶ παντòc δὲ ἰητροῦ, ὡc ἔποc εἰπεῖν), oppure di resezione di tumefazioni alle estremità (cf. P.Strasb. I 73, 13-19 e ps.-Gal. Intr. 19, 12 [XIV 789, 1 K.] : καὶ οἱ cαρκοκηλικοὶ δὲ ὁμοίωc χειρίζονται). In una lettera dell’archivio di Dioscoro è riportato con competenza un episodio di emorragia, trauma cranico e fratture multiple (P.Cair. Masp. I 67077, 11-13 [VI d. C.] : καὶ ἐθεράπευcεν τò αἷμα c̣τ̣ε̣ί̣λ̣α̣[c], ἐ̣π̣[ειδ]ὴ γὰρ πλῆ̣[γμα] π̣ά̣[ν]υ̣ [πε]ρ̣ίκειται τῆ<ι> α[ὐτ]οῦ κεφαλῆ<ι>, καὶ τò ὅλον δὲ cῶμα αὐτοῦ κατακ̣έκλαcται).

Problemi di mobilità lamentano Dioskourides, che può « trascinarsi a stento » nel magazzino che gestisce (P.Oxy. XXXIV 2729, 31-33 [IV d. C.] : ἀργῶc κ̣ά̣θημαι μόνοc· εἰμὶ γὰρ εἰc τὴν ἀποθήκην ἡμῶν· οὐ δύναμαι γὰρ cαλευθῆναι τῆc ἀποθήκηc μου), e Titianos (PSI IV 299, 4 [III d. C.] : μὴ δύναcθαι μηδὲ cαλεύεcθαι) : cαλεύομαι esprime sia il « vacillare » di chi è impedito da fratture in Pallad. Sch. Hipp. Fract. (p. 72, 6-7 Irmer) : κέχρηται δὲ τούτοιc [i.e. cωλῆcιν, i sostegni per le fratture] κατὰ τοῦ κατάγματοc διὰ τò μηδὲ μόριον cαλεύεcθαι, sia la malformazione responsabile del camminare « claudicante » (Hipp. Artic. 56 : ὁμοίωc γὰρ cαλεύουcιν ἐν τῇ ὁδοιπορίῃ).

g) Malattia biliosa. La malattia biliosa che ha colpito fatalmente Sarmates è resa da νοοέω col genitivo (« ammalarsi di bile », in PSI III 211, 3-4 [V d. C.] : ὥcτε τòν Σ̣αρμάτην τòν τῆc χολῆc νοcήcαντα), un costrutto che sottintende un ὑπό, come nel linguaggio dei medici (ps.-Gal. Intr. 13, 12 [XIV 734, 9 K. = p. 52, 9-10 P.] : γίνεται δὲ ὑπò χολῆc μάλιcτα). La bile, insiema al flegma, era l’umore responsabile di ogni malattia presso i medici ippocratici (Hipp. Aff. 1 : νουcήματα τοῖcιν ἀνθρώποιcι γίνεται ἅπαντα ὑπò χολῆc καὶ φλέγματοc). Lo scrivente aggiunge, quasi riportando le frasi di un referto, che il decesso è avvenuto al settimo giorno di malattia. Il « ritmo settenario » presuppone un periodo critico di malattia compiuto al settimo giorno, ben noto alle diagnosi cliniche (Hipp. Int. 36 : ἢν μὴ ἐν τῇcιν ἑπτὰ ἡμέρῃcιν ὑγιὴc γένηται « se non si risana entro sette giorni » ; Int. 48 : κρίνεται δὲ ἡ νοῦcοc ἐν ἑπτὰ ἡμέρῃcιν, ἢν θανάcιμοc ἢ οὔ ; « in sette giorni la malattia giunge al punto critico, quello in cui si decide se il male è mortale, oppure no »)25.

h) Spasmi e nausea. Uno scrivente è stato colto da spasmi intestinali (P.Ber. Brash. 19 = SB XIV 11856, 14-15 [VI d. C.] : τυγχ]άνω κακούμενοc… ἀνακείμενοc τυγχάνω δυcεντερικὰ cπ[άcματα ? ] | [ ? ἀ]λγηδόναc). In una lettera tarda l’insolito cιαίνομαι, forse un’innovazione emergente dalla lingua comune, definisce un episodio di nausea (CPR V 25, 4-5 [VII/VIII] τὴν δὲ ὑγίειαν Θεοδοcίου γράψῃ μοι, ἐπειδῖὴ ἤκουcα ὡc cιαίνεται ; cf. P.Oxy. XVI 1849, 2 [VI/VII] : τò λάχανον cαπρόν ἐcτι καὶ cιαίνομε, lege -μαι). Il verbo non compare negli autori medici, ma negli Hippiatr. Paris. 659, 3 (II p. 81, 5 Oder-Hoppe) è sintomo di malattia cerebrale nel cavallo (cπαcμοὺc ὑπομένει καὶ cιαίνεται).

i) Malattia ambientale. Originale è la percezione di Nike dell’influsso patologico di aria malsana (P.Mert. II 82, 14-16 [II d. C.] : λίαν δὲ νωθρεύομα̣ι̣, πότερον δ̣[ι]ὰ̣ τòν ἀέρα οὐκ οἶδα. ἐὰν δὲ πάλιν ῥ[ώ]cω cὺν θεοῖc, γράψω coι « sto molto male, se a causa dell’aria del posto non saprei ; appena di nuovo in forze, vogliano gli dei, ti scriverò »). Il significato di ἀήρ oscilla tra « clima » e « aria ». Ippocrate connette « aria » e « malattia » in Aer. 6, 3 (= Jouanna, p. 198) : βαρυφώνουc τε εἰκòc εἶναι καὶ βραγχώδεαc διὰ τòν ἠέρα, ὅτι ἀκάθαρτοc ὡc ἐπὶ τò πουλὺ αὐτόθι γίγνεται καὶ νοτώδηc26.

IV Patologie complesse ed esiti infausti

In pochi casi il decorso risulta fatale. A volte si tratta di un timore, come quello per la sorte di un commilitone in O.Krok. I 76, 7 e 9 (ca. 117-125) : άγωνιῶμεν περὶ αὐτοῦ… λέγει γάρ ὁ Ἄφροc ὅτι ἀποθανεῖται27. Non è esplicita la malattia del piccolo Mimos (P.Strasb. I 73, 13 [III d. C.] : [κα]ὶ̣ ὁ̣ μικρòc Ṃῖμοc ἐτελεύτηcεν), mentre sappiamo che Sarmates è deceduto per malattia biliosa (supra, PSI III 211, 5). Un malanno preoccupa una madre fino a temere per la vita del figlioletto che « non mangia da 6 giorni » (PSI III 177, 4-10 [II/III] : τò δ̣[ὲ παι]δίον νοcεῖ· λεπτòν γέγον[εν· οὐκ ἔφαγε ς̄ ἡμέραc. δέδ̣[ια γάρ] μὴ ἀποθάνῃ cου μὴ ὄν[τοc έν]θάδε) : λεπτόε è tecnico del dimagrimento, un segno sfavorevole in soggetti ammalati (Hipp. Int. 1, 40 : πρὸc γὰρ τὴν νοῦcον οὐ ξυμφέρει λεπτὸν εἶναι). Esiti devastanti sono attribuiti ad epidemie locali (forse attacchi di peste ?), esplose in Egitto tra III e IV secolo d. C. In P.Oxy. LV 3817, ii, 11-15 (III/IV), una mortalità diffusa e contagiosa (ἀπέθανον τῷ καταετήματι. ἐάν γάρ τιc νοcήcῃ τῶν παρ’ ἡμῖν ὄντων ἐν τῇ κώμῃ, οὐκ ἐγείρονται) è definita κατάετημα (parola tecnica affine a κατάcταcιc « stagione del morbo » ; cf. Index Hippocraticus, s.v., e Hipp. Aer. 9, 2, p. 219, 8, 293 Jouanna). Al morbo epidemico alludono anche P.Oxy. XIV 1666, 21-22 (III d. C.) : ὅτι παρ’ ὑμῖν λοιμòc [ἐγ]ένετο ; SB XXIV 16282, 7 (= P.Lond. III 982 ; IV d. C.) : τῇ λοιμῷ διεφθάρημεν.

Questo excursus sommario dà conto, da un angolo visuale inedito, della densità di dettagli concreti che affollano la corripondenza privata nei papiri. La malattia non è quasi mai la faccenda principale di cui parlano le lettere, ma è una circostanza che muove la voce individuale a comunicare emotivamente il disagio quotidiano nel lavoro e nei rapporti interpersonali. Quando la salute è protagonista della comunicazione (e.g. P.Oxy. LXXIII 4959 ; PSI IV 299), l’autore del messaggio adegua il proprio registro espressivo, precisato dai tecnicismi del vocabolario medico, alla complessità richiesta caso per caso.

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Sudhoff, K. (1909), Ärztliches aus griechischen Papyrus-Urkunden (Leipzig).

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1 Notizie sulle patologie nell’Egitto greco-romano emergono da categorie documentali estranee alla presente ricerca, quali petizioni e denunce per danni fisici, referti di medici pubblici, elenchi o certificazioni di ammalati sul lavoro, un materiale già raccolto da Sudhoff (1909) e ampliato da Hirt Raj (2006). Sono escluse anche le formulae valetudinis, in quanto clichés privi di contenuti originali.

2 Per la copiosa letteratura rinvio a Bagnall / Cribiore (2006) ; Luiselli (2008) ; Kreuzsaler / Palme / Zdiarsky (2010) ; e per la medicina a Hanson (2010).

3 Sull’authorship delle lettere, cf. Parsons (1980) 4 ; Evans (2010) 51-52 ; Luiselli (2010) 73 (con n. 4).

4 Indagini parallele potrebbero interessare altri vocabolari tecnici di arti e mestieri infiltrati nel frasario delle lettere (di agricoltura, di abbigliamento e tessitura, dei materiali scrittori) ; cf. in generale Daris (1995) 73.

5 Scrive Parsons (1980) 9 : « The papyrus letters, then, are businesslike. They do not linger, and certain subjects are notably missing. » Le questioni di salute non sono tra i temi mancanti anche se, come nel caso degli affetti, risentono talora dei clichés (Parsons 11-12). Sono circa 60 le lettere utili a questa indagine (una più corposa lista di « Lettres privées à caractère médical avec bibliographie », di Antonio Ricciardetto, è consultabile nel sito del CEDOPAL : tuttavia nel no. 8116, per es., non c’è traccia di « attacco febbrile » [una febbre invece pare aver colpito Epagathus, corrispondente di Gemellus in P.Fay. 248 descr., ca. 100 d. C.], mentre il no. 8117 non è attribuibile ad una lettera). Lettere di recriminazioni da paziente a medico sono CPR XXV 1 = Stimmen aus der Wüstensand, Kat.-Nr. 16 (II/III) e PSI IV 297 (V d. C.). Su « salute e malattia » nelle lettere copte, cf. Förster WB, P.Harr. I 57 e p. 213-222.

6 Il colloquio professionale con i profani funzionava anche al livello dei praticanti di cure popolari e dei venditori di droghe. Sulle interferenze con la « low medicine », cf. Riddle (1993) 117-120.

7 Un’indagine nel Corp. Hipp. è condotta da Fausti (2008) 258-278.

8 Due operette anonime, tramandate nel corpus galenico e risalenti al I/II, o al II secolo d. C. (cf. Petit [2009] XLII-XLV), enfatizzano la semeiotica in funzione di diagnosi e terapia. Cf. ps.-Gal. Intr. 3 (XIV 678 Kühn = p. 5, 12-14 Petit) : φυειολογία, αἰτιολογία, cημείωcιc καὶ τέταρτον τò ὑπαγορεύειν αὐταῖc τὰ αἴτια τῆc θεραπείαc ; ibid. 7 (XIV 689 K. = 14, 15-16 P.) : cημείωcιc δὲ καὶ εἰc θεραπείαν μὲν ἀναγκαία, ἀλλ’ οὐκ ἔcτιν αὐτὴ ἡ θεραπεία. Aggiungi ps.-Gal. Def. med. 164 (XIX 394, 13-15 K.) e ibid. 165 (XIX 394, 16-17 K.) : cημεῖόν ἐcτι τοῦ μέλλοντοc cυμβήcεcθαι διάγνωcιc. La disciplina dei « segni » è contemplata da un manuale su papiro, « circa la semeiotica è opportuno procedere per indizi nel modo suddetto », PSI inv. 3054, vi, 37-40 (= Andorlini [1995] 80 e 142) : περ]ὶ μὲν οὖν | τοῦ cη[μει]ω̣τικοῦ μ[έρουc κατὰ τòν] προ|[ειρημ[ένο]ν τρόπο[ν έcτὶν] ὑποληπτέον.

9 Cf. Aet. 2, 3, 42 : τοὺc περὶ τὰ νευρώδη μόρια ψυγμούc. Un’associazione tra ἀcθενείαιc τε καὶ ψυγμοῖc καὶ ῥευμάτων ἐπιφοραῖc è registrata da Vett. Val. 4, 20, 10.

10 L’ἐγκατάλειμμα è metaforicamente lo « strascico » del male (cf. Paul. Aeg. 3, 77, 4 ; 6, 36, 1), oppure un residuo di materia da asportare dopo l’operazione, cf. ps.-Gal. Intr. 19, 13 (XIV 789, 4 K. = 97, 18-19 P.) ἀφαιρεῖν τὰ ἐγκαταλείμματα.

11 Le convergenze con la lingua medica letteraria sono ben analizzate nell’ed.pr La parola ψυγμόc, ambigua nell’uso medico (P.Oxy. LXXIII 4959, p. 158), richiama gli ippocratici ψῦγμα e ψῦζιc (Index Hippocraticus, s.v.). Ad una malattia da raffreddamento orienterebbero sia l’alternativa alla tosse fissata da ps.-Gal. Prog. 11 (XIX 562, 14 K. : ψυγμῷ ἢ βηχίοιc) sia il nesso causa-effetto istituito da Oribasio tra raffreddamento e febbre (Syn. Eust. 1, 19, 8 : καὶ τοῖc ἀπò ψυγμοῦ πυρέττουcιν, e col. viii, 24, 17). Un attacco simile ha colpito l’autore di P.Oxy. Hels. 46, 15-19 (I/II), che lamenta di aver a stento ripreso a scrivere : οὐ γὰρ ἠδυνήθην ἐπὶ τοῦ παρόντοc γράψαι οὐδενὶ… καὶ μόγιc ἠδυνήθη(ν) καὶ ταῦτα γράψαι β̣αcαν̣ιζ[ό]μεν̣ο̣c.

12 Era profilassi non fare il bagno dopo l’assunzione di farmaci ; cf. Gal. Antid. 2 (XIV 178, 11-12 K.) : ἕνεκεν προφυλακῆc ἐν ἐκείνῃ τῇ ἡμέρᾳ μήτε λούcαcθαι.

13 L’assenza ad una festa religiosa è giustificata dal vescovo Georgios in P.Ness. III 50, 2-3 (VII d. C.) : ἐπειδὴ ἀcθενῶ κ̣α̣ὶ̣ ο̣ὐ̣ δύναμαι ἐζελθεῖν εἰc τὴν ἑορτὴν τοῦ ἁγίου Cεργίου.

14 In base alla fotografia del papiro è possibile trascrivere ἑλκ̣υ̣cθῆναί (2) sussistendo tracce delle lettere centrali del verbo.

15 Cf. Index Hippocraticus, s.v. νωθρεύω e νωθρόc, i.e. torporem efficiens e ps.-Gal. Def. med. 196 (XIX 401, 3 K.) : νωθρόc ἐοτιν πυρετόc.

16 Un cenno alla malattia del figlio (fisica, o psicologica ?) è in P.Col. III 6, 4-5 e 7-9 (257 a. C.) : καὶ ε̣ὗρον αὐ̣τòν καὶ μάλ’ ἀγελοίωc δ[ι]ακείμενον… τῆc νόcου.

17 Il costrutto νόcῳ χειμάζεθαι echeggia usi letterari ; cf. Soph. Ichn. 267 : ἰcχὺc ἐν νόcῳ χειμάζεται ; Plat. Theaet. 170a : ὅταν ἐν cτρατείαιc ἢ νόcοιc ἢ ἐν θαλάττῃ χειμάζωνται.

18 Sul vocabolario della lettera, cf. Andorlini (2005).

19 Per un parallelo ad ἀcθενῶc ἔχειν nel frasario medico, cf. Orib. Coll. 2, 68, 3 : τὴν τοῦ cώματoc ἕζιν ἀcθενῶc ἔχoυcαν.

20 Dalle preoccupazioni di un tale Diskas e di una donna affezionata, di nome Teeus (P.Brem. 61 e P.Giss. 17 = P.Giss. Apoll. 13, 5-6, 113-114 vel 117-120 : ἠγωνίαcα, κύριε, οὐ μετρίωc, ἵνα ἀκoύcω ὅτι ἐνώθρευcαc), risulta che una malattia non precisata afflisse lo stratego Apollonios.

21 Da segnalare κατακλινήc termine tecnico condiviso dal formulario burocratico delle denunce di percosse in cui interferiva il vocabolario dei referti (SB X 10244, 5-6 : κατα[κλινῆ] εἶναι καὶ κινδυνεύειν τῷ ζῆν ; P.Ryl. II 124, 25-27 : ὥcτε αὐτὴν κατακλινῆ εἶναι ; P.Oxy. LI 3644, 21-23 : μέχρι τῆc cήμερον ἡμέραc κατακλινήc ἐcτιν). La posizione κατακλινήc (cf. Suda κ 579, 1 : κατακλινήc. ἐπὶ κλίνηc ἀνακείμενoc) coincide con lo stato allettato del paziente, come per la febbre prima del parto in Hipp. Epid. 3, 17, 2 (p. 260, 7-8 Jones) : ἐκ χρόνου δὲ πολλοῦ πρò τοῦ τόκου πυρετώδηc ἦν, κατακλινήc, ἀπócιτoc. Il verbo κατακλίνομαι è usato per posizionare il paziente in visita da Gal. Hipp. Prog. 2, 59 (XVIIIb 200, 16-17 K.).

22 Si tratta di Zoilos, sfuggito al male appellandosi a Serapide, in P.Cair. Zen. I 59034, 9-12 (= PSI IV 435 etc. ; ante 257 a. C.) : εἰc ἀ̣ρ̣ρ̣ω̣c̣[τ]ί̣α̣[ν] μ̣[ε πε]ρ̣ι̣έ̣β̣α̣λεν μεγάλην ὥcτε καὶ κινδυνεῦcα̣ί̣ [με].

23 In base alla fotografia del papiro è proponibile una diversa restituzione al r. 38 (che supera l’impegnativa associazione κάμ̣[ατο]c ἄρτι ἀ[γέλοι]όc) : ὁ γὰρ και̣[ρò]c ἄρτι ἄ[λλ]όc ἐcτιν καὶ ἂν μ̣[ὲν] δ̣ια̣τ̣ρ̣αφῶ « Infatti la situazione è cambiata in questo momento e mi trovo assistito da un’altra persona. »

24 Celso 6, 6, 26-28 parla di scarificazione con specillo delle alterazioni tracomatose : et asperato specillo et interdum scalpello eradunt.

25 Cf. Hipp. Carn. 19 (p. 162 Potter) : « I giorni in cui si producono le crisi (…) nelle malattie che raggiungono il secondo periodo sono sette (καὶ δευτεραῖαι ἐν μιᾷ ἑβδομάδι) ».

26 Cf. Hipp. Flat. 2 (p. 151 Jouanna) su aria e miasmi. Per la mortalità nelle truppe di Alessandro Severo sull’Eufrate, a causa di aria malsana, cf. Nutton (2005) 25, e già Nutton (2000) 65-66.

27 Cf. Hipp. Morb. 3, 1 : ὁκόcων δὲ ἡμερέων ἀποθανεῖται ; Art. 13 : ἀποθανεῖται ἐν ὀλίγῃcιν ἡμέρῃcι.