Per un corpus dei papiri bilingui dell’Eneide di Virgilio
Sono noti dieci testimoni di interesse papirologico che recano porzioni del testo dell’ Eneide di Virgilio accompagnato da anonime traduzioni letterali in greco. Tutti i frammenti sono di norma riconducibili a codici papiracei o pergamenacei che presentano il testo del poema scomposto in lemmi e affiancato dalla resa greca, il tutto disposto su due o quattro colonne per pagina. Queste compilazioni, diffuse nella pars Orientis dell’Impero romano tra i IV e VI secoli, erano destinate a ellenofoni interessati all’apprendimento del latino, l’uso del quale fu, se non imposto, almeno incoraggiato dalle riforme dioclezianee come lingua dell’amministrazione civile e militare su tutto il suolo dello stato. Il dominio del greco, usuale in Oriente a partire dall’età ellenistica, fu tuttavia messo solo parzialmente in discussione1.
Per quanto è dato ricostruire dai frammenti superstiti, le edizioni bilingui dell’Eneide offrivano il testo integrale dei primi tre libri, presentando del quarto e del quinto solo una scelta di lemmi. Se si ammette che l’uso del glossario, da parte del lettore, fosse di regola parallelo a quello di una normale edizione latina del poema, è verosimile ritenere che una traduzione integrale di tutti i libri non fosse necessaria al discente che, procedendo con la lettura, doveva acquisire familiarità sempre maggiore con la lingua latina, fino a poter fare a meno della versione greca2. In tutti i casi, tali traduzioni erano di valore molto modesto ed erano basate su un numero limitato di corrispondenze attestate nella coeva tradizione glossografica3 ; esse non aspiravano a eguagliare il livello letterario dell’opera originale ed è pressoché inammissibile ritenere che fossero fruibili, persino per un lettore ellenofono, come testi continui indipendenti dal modello latino, a causa delle asprezze grammaticali e sintattiche prodotte dalla resa letterale4.
La storia editoriale dei glossari virgiliani ha inizio nel 1911, quando Arthur Hunt pubblica P. Oxy. VIII 1099, frammento pergamenaceo recante lemmi scelti tra la fine del quarto e l’inizio del quinto libro dell’Eneide. A cura di Medea Norsa, nel 1925, apparve PSI VII 756, frammento di foglio papiraceo testimone di lemmi scelti tratti dal secondo libro del poema virgiliano5. In questa edizione, Norsa ebbe il merito di evidenziare il rapporto esistente tra glossari virgiliani e glossari bilingui di tradizione medievale, servendosi per la prima volta del pregevole indice del Corpus glossariorum Latinorum di Goetz (CGL VI-VII) per l’interpretazione e la ricostruzione del testo del papiro : acquisizione metodologica che, rivelandosi efficace sul piano empirico, è stata poi confermata nella sua validità dagli studi più recenti6. Già nel 1922, due ulteriori frammenti erano stati segnalati e descritti, ma non editi, da Elias Avery Lowe : si tratta di P. Vindob. L 24 e del ms. L 120 sup. della Biblioteca Ambrosiana di Milano7. Quest’ultimo, un codice membranaceo palinsesto acquistato nel 1910, reca nella scriptio inferior molti testi eterogenei, fra i quali si trovano ampi frammenti bilingui relativi al primo libro dell’Eneide. Nel 1927 il prefetto Giovanni Galbiati diede una trascrizione diplomatica del glossario accompagnata da un’edizione che, dissimulando l’impaginazione a due colonne e la scomposizione in lemmi dei versi virgiliani, riportava questi ultimi alla loro forma originaria ; la traduzione, abusivamente ridisposta in coerenza col nuovo assetto del modello, assumeva in modo equivoco la forma di un improbabile testo poetico in metro libero8. Nel 1928 apparve il P. Med. I 1, nella serie dei Papiri milanesi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, edito da Aristide Calderini9. Il frustulo milanese, proveniente dal mercato antiquario egiziano, attirὸ l’attenzione di Colin Roberts, che lo riconobbe come un pezzo separatosi da uno dei tre fogli di codice papiraceo acquistati fra il 1917 e il 1920 dalla John Rylands Library di Manchester. Il cospicuo testo dei tre frammenti mancuniani unito a quello di P. Med. I 1, tutto relativo al primo libro dell’Eneide, fu pubblicato da Roberts nel 1938 come P. Ryl. III 478. Nel 1939 apparve, a cura di Octave Guéraud e Pierre Jouguet, P. Fouad 5, un foglio quasi integro di codice papiraceo che doveva contenere un glossario integrale almeno del terzo libro dell’Eneide10. Nel 1950 Roger Rémondon diede alle stampe uno studio su due fogli di codice papiraceo allora in possesso del Museo Egizio del Cairo, ora trasferiti alla Biblioteca di Alessandria d’Egitto, ovvero P. Cair. 8564411. Rémondon scopri che i due frammenti del Cairo, pertinenti al primo libro del poema virgiliano, provenivano dallo stesso manoscritto cui appartennero P. Ryl. III 478 + P. Med. I 1. Ancora nel 1950, fu pubblicato da Lionel Casson ed Ernest Hettich P. Colt II 1, rinvenuto nello scavo della cittadella palestinese di Nessana (oggi in Israele) e conservato presso la Morgan Library di New York12. Questo papiro, fino a oggi il glossario virgiliano più esteso (1025 righe di testo nell’editio princeps), è costituito da frammenti di fogli di codice papiraceo, pertinenti al primo, secondo e quarto libro dell’Eneide. Nel 1964, quarantadue anni dopo la segnalazione di Lowe, Mario Geymonat riscoprì e pubblicὸ P. Vindob. L 24, un esiguo frammento di codice pergamenaceo recante lemmi scelti del quinto libro dell’Eneide13.
Si concluse, cosi, una prima fase cinquantennale della storia editoriale dei glossari virgiliani : una « fase della scoperta », caratterizzata da una frequente pubblicazione di testimoni, ma anche dallo scarso interesse, manifestato dagli editori, per la definizione di un metodo di analisi condiviso ed efficace, che portasse frutti anche nel campo dell’indagine filologica, oltreché storica, paleografica e codicologica, di questi materiali. Mi riferisco in particolare alla fondamentale indicazione di Norsa circa il rapporto fra glossari virgiliani e glossari bilingui di tradizione medievale : sottovalutato o del tutto ignorato, il procedimento comparativo da lei suggerito non fu preso in considerazione, quale strumento per un attendibile risanamento di luoghi lacunosi dei papiri, se non da Casson e Hettich. Tutti gli altri editori scelsero di limitare i propri confronti ai soli glossari virgiliani o di introdurre nei testi integrazioni arbitrarie che si rivelano errate e fuorvianti14.
A Herwig Maehler, che pubblicὸ nel 1979 il P. 21138 del Museo Egizio di Berlino, va giustamente riconosciuto il merito di aver posto rimedio a questo stato di incertezza ; egli infatti, recuperando il procedimento di Medea Norsa, dimostrὸ in via definitiva la validità di un metodo comparativo esteso anche ai glossari medievali, suggerendone un’applicazione sistematica come mezzo per ottenere i migliori risultati nella ricostruzione storica e filologica dei testi15. Walter Cockle, che nel 1983 pubblicὸ P. Oxy. L 3553, frammento membranaceo di un glossario integrale almeno del primo libro dell’Eneide, si attenne all’ esempio di Maehler ; e così ho fatto io stesso, nel 2009, curando l’edizione dell’ultimo glossario virgiliano identificato, P. Vindob. L 62, pertinente al secondo libro del poema16.
Nel secondo cinquantennio di storia degli studi sui manoscritti bilingui virgiliani, le pubblicazioni di nuovi papiri si sono notevolmente rarefatte ; si è aperta, tuttavia, una fase di più approfondita riflessione sui testimoni già noti. È stata così avviata un’opera di revisione delle prime edizioni, che ha condotto a una migliore comprensione dei testi e al graduale adeguamento dei criteri d’interpretazione alle nuove e più raffinate acquisizioni metodologiche. Sono state così approntate nuove edizioni : di P. Med. I 117 ; di P. Cair. 8564418 ; di P. Vindob. L 24 e del palinsesto dell’Ambrosiana L 120 sup.19 Io stesso ho prodotto una revisione di P. Ryl. III 478 nel 2007 e, nel 2009, dei P. Oxy. VIII 1099 e L 355320 ; nel medesimo anno, Maria Chiara Scappaticcio ha effettuato un’ulteriore rilettura del palinsesto milanese, restituendo importanza ai numerosi segni diacritici rilevabili sul testo manoscritto, prima trascurati dagli editori21.
Oggi, trascorso un secolo dalla pubblicazione del primo testimone bilingue dell’Eneide, gli studiosi interessati a questi materiali hanno due opportunità : reperire i testi di tutte le singole edizioni e riedizioni, ancora molto eterogenee riguardo ai criteri di presentazione, o affidarsi al Corpus Papyrorum Latinarum di Robert Cavenaile. Quest’ultimo, in effetti, costituisce il solo tentativo finora compiuto di raccogliere in un’unica pubblicazione i testi dei glossari virgiliani, peraltro privi di commento. L’opera, uscita fra 1956 e 1958, fu allora meritoria, ma si mostra oggi lacunosa e obsoleta, poiché omette i tre testimoni ultimamente scoperti e introduce nei testi numerosi e insidiosi errori tipografici, spesso non riconoscibili se non tramite collazione. Aspetto, quest’ultimo, di particolare rilevanza, poiché il repertorio di Cavenaile ha goduto di sicura fortuna : si intuisce infatti da inequivocabili indizi che taluni studiosi, occupandosi di glossari virgiliani, hanno preferito consultare il CPL piuttosto che riferirsi alle edizioni originali dei singoli testi, distribuite nelle sedi più disparate. Quale esempio significativo di questo modo di operare si veda Aen. 2, 535 nell’edizione paraviana di Mario Geymonat22 : a fronte della lezione vulgata exclamat, accolta nel testo, l’editore riporta in apparato, attribuendola a PSI VII 756 (129), la variante exclamabat ; quest’ultima, tuttavia, si ritrova solo nel CPL e costituisce evidentemente un errore tipografico, visto che il papiro, e così l’edizione di Norsa, hanno exclamat23.
Riflettendo su tutto questo e proseguendo gli studi già iniziati anni or sono, ho avviato la composizione di un corpus dei papiri bilingui dell’Eneide, rigorosamente fondato sulla revisione autoptica di tutti i manoscritti originali24 ; inoltre, intendo dare di ciascuno di essi una presentazione uniforme e metodologicamente coerente. Per stabilire la serie dei testimoni all’interno del corpus, sono propenso a scartare un ordinamento rigidamente basato sulla successione testuale dei luoghi virgiliani conservati, poiché, così facendo, si distoglierebbe implicitamente l’attenzione dalle peculiarità del singolo manufatto ; inoltre, per disporre con questo criterio papiri che presentano in parallelo la stessa porzione dell’Eneide sarebbero necessarie scelte arbitrarie o l’elaborazione di ulteriori e complicati criteri distintivi per stabilire una priorità. A ciὸ si aggiunge l’impossibilità d’individuare un testo di riferimento : privilegiando il modello latino, infatti, si diminuirebbe l’importanza delle traduzioni, che costituiscono la particolarità di questi manoscritti ; d’altronde, non sembra opportuno conferire centralità neppure alle traduzioni stesse, che non rimandano a una medesima vulgata, ma costituiscono compilazioni diverse l’una dall’altra e non possono perciὸ servire, poste in sequenza secondo il dettato virgiliano, alla ricostruzione di un testo unitario originariamente continuo, del quale dare un’edizione complessiva. Propongo quindi di disporre i testimoni, in primo luogo, secondo le tipologie grafiche da essi rappresentate, criterio che permette anche di tracciare un iter cronologico dal IV al VI secolo. Porrei in principio P. Berol. inv. 21138 e P. Fouad 5, caratterizzati da scritture corsive documentarie e organizzazione della pagina in quattro colonne ; di seguito PSI VII 756, che, pure impaginato a quattro colonne, si distingue per le scritture posate ma informali, di livello non ancora librario. Si mostra invece librario, sotto ogni aspetto, l’allestimento di tutti gli altri manoscritti, che presentano due colonne per pagina e scritture più pregiate dal punto di vista calligrafico. Il quarto della serie, P. Ryl. III 478 + P. Cair. 85644 + P. Med. I 1, fra i glossari virgiliani costituisce il solo caso noto di accostamento di una minuscola primitiva latina a una maiuscola greca assimilabile alla maiuscola biblica. I testimoni quinto, sesto e settimo, ovvero P. Oxy. L 3553 e VIII 1099, P. Vindob. L 24, pergamenacei, per la parte latina offrono realizzazioni qualitativamente non mediocri dell’onciale BR, affiancate, nelle colonne greche, da maiuscole bibliche vere e proprie. L’ottavo papiro, P. Colt II 1, è caratterizzato da scritture inclinate, minuscola quella latina, maiuscola ogivale quella greca. Alla stessa tipologia appartengono anche P. Vindob. L 62 e il palinsesto dell’Ambrosiana.
Per fornire un esempio dei buoni risultati che puὸ dare la revisione testuale dei glossari virgiliani, propongo un caso di possibile rilettura per ciascuno dei primi tre testimoni della serie, a cominciare da P. Berol. inv. 21138, appartenuto a un codice papiraceo riferibile alla seconda metà del IV sec. A r. 47 (= Aen. 1, 223) i due lemmi aethere summo danno luogo a una riga latina più estesa del consueto e non lasciano sufficiente spazio, fra la prima e la seconda colonna latina, per un comodo inserimento della traduzione greca, che presenta una scrittura al massimo grado corsiva, ridotta di modulo e compressa. La lettura di Maehler aethere su[m]mo ~ εν αιθερει suppone l’omissione della glossa di summo e l’aggiunta arbitraria della preposizione da parte del compilatore. La lettura di εν, tuttavia, non sembra compatibile con l’evidenza del papiro. Osservando in dettaglio il gruppo di lettere che precede αιθερει, infatti, si possono piuttosto individuare i tracciati delle lettere ψηλ, con ηλ in legamento ; alle due estremità restano tracce di altre due lettere, verosimilmente υ e ω (ben distinguibile la parte sinistra quest’ultima), che permettono la lettura complessiva υ̣ψηλω̣ (= ὑψηλῷ), glossa di summo, attestata anche dai glossari medievali (CGL II 469, 22/23).
P. Fouad 5 è costituito da un foglio pressoché integro di codice papiraceo di V sec. A r. 102 (= Aen. 3, 468), la lettura stampata dai primi editori Guéraud / Jouguet et conum ~ και κρανοс κ. ουρ[ mostra un’incertezza nell’interpretazione delle tracce che seguono appunto κρανοс25. Guéraud / Jouguet, infatti, intuirono che nella parte greca dovevano trovarsi almeno due glosse distinte per il lemma latino e sostennero che la seconda, illeggibile, doveva forse rappresentare il senso pieno di conus, che indica specificamente l’estremità superiore dell’elmo, mentre la prima glossa κράνοс significa l’elmo nella sua intierezza, risultando percio inadeguata26. Questo preconcetto esegetico e, insieme, un’ errata lettura delle tracce allontanarono fatalmente i primi editori dalla soluzione. L’esame del papiro, in effetti, permette di notare che il tratto superiore di c finale di κρανοс è notevolmente prolungato e si sovrappone perciὸ alle tracce seguenti, innanzitutto a κα̣ι̣ fortemente corsivo ; lo stesso tratto, proseguendo, termina a uncino proprio sopra un altro c e crea così l’illusione di una singola lettera circolare e chiusa, nella fattispecie o letto da Guéraud / Jouguet. Il segno successivo, poi, non è υ, ma τ in legamento con c e con ρ. Risulta così possibile ricostruire κα̣ι̣ сτρο̣[βιλον], una seconda glossa ammissibile riguardo al senso, poiché nelle rispettive lingue conus e сτρόβιλοс possono indicare la pigna, il frutto dell’albero conifero ; una resa meccanica, dunque, del tutto estranea al contesto dell’Eneide e di segno opposto rispetto alla soluzione più raffinata e confacente col modello virgiliano attesa da Guéraud / Jouguet.
Concludo con PSI VII 756, consistente frammento della parte superiore di un foglio papiraceo riferibile alla prima metà del V secolo. È notevole osservare come le difficoltà incontrate da Norsa nell’interpretazione di r. 76 ne abbiano consistentemente influenzata anche la lettura di r. 77 (Aen. 2, 498-499)27 :
76 | camposque per omnes | και δια των {των} π̣αν̣ |
[τ]ων | ||
77 | cum stabulis | μετα των κτηνων [π]εδιων |
Secondo l’editrice, a causa della mancanza di spazio sufficiente per disporre su una sola riga la traduzione greca di camposque per omnes, lo scriba sarebbe inizialmente andato a capo nell’interlinea fra 76-77, per seguitare a scrivere, poi, alla fine di 77, che, nel suo assetto definitivo, conterrebbe nell’ordine : il lemma cum stabulis, seguito dalla supposta glossa μετα των κτηνων e dal corrispondente di campos, primo lemma di 76. Inoltre, ancora a 76, lo scriba avrebbe ripetuto due volte, per errore, l’articolo των, imponendo a Norsa un’espunzione apparentemente inevitabile. Dall’esame del papiro, tuttavia, risulta che alla fine di 76 non si devono leggere, con Norsa, le lettere π̣αν̣, ma παιδι, che con ων della riga seguente formano la glossa παιδι|ων (= πεδίων), relativa al lemma campos. In conseguenza di ciὸ, sembra venire a mancare la glossa di omnes ; e anche il supposto [π]εδιων di 77 dovrà esserà riconsiderato. È possibile ritenere, innanzi tutto, che il secondo των di 76 non costituisca una ripetizione erronea dell’articolo, da espungere, ma, debitamente integrato a sinistra, serva a ricostruire <παν>των, traduzione di omnes, mutilata dallo scriba durante il processo di copia. In secondo luogo, alla fine di 77, dove non è più possibile ammettere [π]εδιων di Norsa, si leggono piuttosto le lettere α̣сιων pertinenti a κτηνοс̣[τ]α̣ειων, glossa di stabulis, posto sulla stessa riga nella parte latina. Complessivamente :
76 | camposque per omnes | και δια των <παν>των παιδι |
ων | ||
77 | cum stabulis | μετα̣ των κτηνοс̣[τ]α̣ειων |
In tal modo, a 77 si ricostruisce la plausibile corrispondenza stabulum ~ κτηνοετάειον (cf. CGL II 356, 4 : κτηνοсταсον iumentarium), contro la presunta coppia stabulum ~ κτῆνοс, che già Victor Reichmann aveva giudicato difficilmente accettabile dal punto di vista semantico28.
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1 Cf. Radiciotti (1997) 121-127 ; Rochette (1997a) 165-210 e 302-315 ; Rochette (1997b) 16-19 ; Adams (2003) 635-637 ; Cribiore (2007).
2 Cf. Gaebel (1970) 308 ; Kramer (2004) 60.
3 Cf. Rochette (1997a) 191-192.
4 Ibid. 190, con ulteriore bibliografia.
5 Con la collaborazione di Girolamo Vitelli ; cf. Schiano (2005) 206-207. L’edizione è senz’altro attribuita a Vitelli da Galbiati (1927) 55, n. 1 ; Cataudella (1932) 332-333 ; Reichmann (1943) 51 ; Seider (1978) 153.
6 Cf. ad es. Kramer (1990) 332.
7 Lowe (1922).
8 Cf. Galbiati (1927) ; giudicano negativamente i criteri di questa edizione Fisher (1982) 187, n. 38, e Kramer (1996) 2.
9 La sigla P. Mil. data nella Checklist disattende l’intenzione degli editori ; cf. Daris (1967).
10 Il papiro, noto anche come P. Cair. 72044, è stato recentemente trasferito dal Museo Egizio del Cairo alla Bibliotheca Alexandrina (Alessandria d’Egitto), come ho constatato di persona nel novembre 2009.
11 Cf. Rémondon (1950) ; posso confermare la notizia del trasferimento del papiro già data in LDAB 4146 (cf. sopra, n. 10).
12 Cf. Casson / Hettich (1950) 2-65. La sigla P. Ness. data nella Checklist disattende l’intenzione degli editori ; cf. ibid. vii, n. 1.
13 Cf. Geymonat (1964) 343-345.
14 Ho discusso luoghi significativi in Fressura (2007) e (2009a).
15 Cf. Maehler (1979).
16 Cf. Fressura (2009b) ; in tal caso, ho esteso il confronto anche ai glossari antichi raccolti in Kramer (1983) e (1991).
17 Cf. Daris (1967).
18 Cf. Koenen / Riad (1973) 219-230.
19 Cf. Kramer (1990) ; Kramer (1996).
20 Cf. Fressura (2007) e Fressura (2009a).
21 Cf. Scappaticcio (2009).
22 Cf. Geymonat (1973) 239 ; il luogo resta inalterato nella riedizione di Geymonat (2008).
23 Cf. Norsa (1925) 40. Seguono il CPL, replicando l’errore di Geymonat, anche Rivero García / Estévez Sola / Librán Moreno / Ramírez de Verger (2009) 83 che, di nuovo, riportano in apparato la variante exclamabat, attribuendola falsamente a PSI VII 756.
24 Una prima parte di tale corpus, che riunisce i primi otto testimoni, è contenuta nella mia dissertazione di dottorato : Fressura (2009c).
25 Riporto le letture rispettando il criterio di presentazione grafica della prima edizione, nella quale, oltre al punto sottoscritto per significare lettera incerta, si adotta anche la sottolineatura di lettere certe ma mutile ; cf. P. Fouad, p. ix.
26 Ibid., p. 12 ; cf. Rochette (1996) 98.
27 Righe 77-78 nella riedizione del papiro data in Fressura (2009c).
28 Cf. Reichmann (1943) 40.