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Il campo semantico di λαλεω – λαλια nei testi ercolanesi

Dino DE SANCTIS

Le ricerche sulla lingua di Filodemo come scrittore filosofico rappresentano un fecondo campo di studio che, ormai da tempo, ha raggiunto risultati nuovi e considerevoli1. Intendo indagare una famiglia di parole ben attestata nella produzione di Filodemo in prosa, nonché in generale nei testi ercolanesi, il gruppo λαλέω – λαλιά e i suoi composti2. Oltre ad avere lunga e prolifica vita nel greco classico, questo campo semantico nel periodo ellenistico finisce per sovrapporsi a quello di λέγειν, tanto da indicare la comunicazione verbale nel suo complesso, dunque un parlare che, a seconda del contesto, assume una sfumatura negativa o positiva3. Filodemo a riguardo offre una testimonianza preziosa: tramite λαλέω e λαλιά spesso richiama norme centrali del Κῆπου nella sua analisi sulla conversazione filosofica, tema del trattato De conversatione (P. Herc. 873).

Noto è l’originario uso del sostantivo λαλιά e del verbo λαλέω4. Nella commedia, ad esempio, questa famiglia di parole tende ad esprimere un parlare a vanvera, un vuoto, inutile soffermarsi su argomenti superficiali, privi di conto. Un esempio famoso viene dalle Rane (836-839)5. Aristofane sviluppa qui l’opposizione tra Euripide ed Eschilo proprio nel segno del λαλεῖν. Ecco dunque che, rivolgendosi a Dioniso, Euripide definisce sprezzantemente Eschilo un ἀπεριλάλητοc, un poeta incapace di cianciare su tutto. Chiara è l’ironia che i versi sottendono: Aristofane suggerisce alla sua platea di scorgere in Euripide il reciproco di Eschilo, il poeta per eccellenza al quale è possibile attribuire la poco edificante abilità del λαλεῖν su ogni argomento6.

Un uso privo di implicazioni negative di questo campo semantico, invece, è ravvisabile per la prima volta in Aristotele. Nei Problemata (899a1), con λαλεῖ γὰρ οὐθὲν τῶν ἄλλων ζῴων πλὴν ἀνθρώπου, Aristotele contrappone agli altri esseri viventi l’uomo perché solo l’uomo si mostra in grado di emettere un suono articolato7. Non stupisce, per tutto ciὸ, che dopo Aristotele, già in Teofrasto, λαλέω sia sinonimo di λέγω nei Caratteri (1, 2 e 10; 4, 5; 24, 8) dove è attestato anche il composto προcλαλεῖν (7, 4; 11, 4; 19, 4). Sempre dai Caratteri emerge, pero, anche il côté negativo del termine tramite il sostantivo λαλιά: alla λαλιά è qui dedicata un’intera sezione (7) per descrivere l’incontinenza di parole, la ἀκραcία τοῦ λόγου8.

Ma entriamo nel Κῆποc. Non è possibile individuare con certezza la presenza del campo semantico λαλέω – λαλιά nel Περὶ φύcεωε di Epicuro9. Ne offrono, invece, testimonianza per altre opere due citazioni di per sé preziose ma ad un tempo problematiche, perché difficile è precisare in quale misura la fonte abbia riutilizzato il testo. Una citazione, in Filodemo, deriva dalla Rhetorica del maestro, l’altra, invece, è offerta da Marco Aurelio. Marco Aurelio conserva un excerptum della lettera indirizzata secondo la tradizione ad Idomeneo durante la lunga malattia che condurrà Epicuro alla morte, la cosiddetta epistula supremorum dierum (fr. 191 Us. = fr. 259 Arr.). Qui Epicuro ricorda che ἐν τῇ νόcῳ non era solito tenere conversazioni, ὁμιλίαι, sulla sofferenza del suo misero corpo, περὶ τῶν τοῦ cωματίου παθῶν, né discorreva, ἐλάλουν, su argomenti relativi alla malattia con chi gli faceva visita10.

Nella Rhetorica, invece, secondo il resoconto che ne propone Filodemo, Epicuro avanzava un’attenta critica verso i giovani del suo tempo11: durante le declamazioni dei sofisti, attratti dall’affascinante ma inutile oratoria epidittica, i giovani si lasciano incantare dal suono delle parole e dalle figure retoriche che abbelliscono lo stile dei conferenzieri. Forte è in loro il desiderio di riutilizzare tali ornamenti. Vero è che perὸ questi giovani, continuava subito dopo Epicuro, mal sopporterebbero di ascoltare uno stile artificioso e di maniera da parte di un retore che dovesse parlare in un’assemblea o in un tribunale, εἰ ἐν ἐκ|κληcίαι κ[αὶ] δικαcτηρί|ωι [οὕ]τω λαλοῦντοc | ἤκουον12.

Tecnico e programmatico appare il campo semantico λαλέω – λαλιά nelle pagine centrali del De contemptu di Polistrato (P. Herc. 336/1150, coll. xvii – xviii Indelli). Gli uomini che si dedicano alla scienza della natura, coltivando il franco parlare e seguendo la veritiera filosofia del Κῆποc, sono in grado di discorrere su ciascun argomento, περὶ ἑκάcτων λαλεῖν. Anche attraverso l’esercizio della parola realizzano il compito più alto che pertiene alla filosofía, liberare l’umanità dalle paure. Ma esiste un ostacolo di non poco conto che si oppone a questa corretta forma di discussione deputata alla ricerca: ci sono uomini che, per compiacere ed ingannare il vicino, producono una παντοδαπή τιc λαλιά, una sorta di chiacchiera molteplice, vana, generica, come mostra l’indefinito τιc, una chiacchiera tale da non migliorare e correggere la vita dell’uomo. Nel De contemptu, nel breve giro di un periodo, Polistrato offre il doppio significato di λαλέω – λαλιά: mentre da un lato il verbo è sinonimo di λέγειν, se non del più importante διαλέγευθαι o ὁμιλεῖν, dall’altro la παντοδαπὴ λαλιά è la chiacchiera vuota, il parlare di chi non fonda il suo sapere sulla verità, il parlare che, privo di un centro, devia dall’indagine sulla natura13.

Veniamo ora a Filodemo. Filodemo impiega il verbo λαλέω, nonché sostantivi quali λαλιά – λάλημα – λάληcιc – λαλητόc – cυλλάληcιc, in più di un trattato dove, spesso tramite avverbi o aggettivi, il valore di questo gruppo semantico tende a variare.

Frequente è il campo semantico nella Rhetorica. Qui, ad esempio, al rozzo Maison, maschera comica equiparabile ad un ἀγνύμαcτοc ἐν λόγοιc, evocata anche nel De libertate dicendi (P. Herc. 1471, col. xii b 3-6 Olivieri), figura dunque di per sé legata all’orizzonte della parola per quanto di una parola non condivisibile, è attribuito un tipo di λαλεῖν basso, condiviso dallo cκαπανεύc e da altri uomini in uno stile definito πρόχειροc καχεξία14. Ma è pur vero che sempre nella Rhetorica καταλαλέω, loquendo supero nel Lexicon Philodemeum, indica il superamento retorico raggiunto dagli ἰδιῶται sui retori15. Chiaro dunque è qui l’accento sul valore di κατά- che indica una sorta di ostilità come nel greco neotestamentario nel quale καταλαλέω è attestato in contesti etici nel senso di una blasfemia contro Dio.

Anche nel De libertate dicendi (P. Herc. 1471), ad esempio, con λαλέω Filodemo esprime il parlare, il disquisire, il discutere. Nel fr. 48, 1-4 Olivieri, leggiamo che gli Epicurei hanno scelto di parlare liberamente, senza indulgere alla passione, né per il desiderio di conversare, [διὰ] φι|λήcεωc τοῦ λαλεῖν ὑπὲρ | τοῦ πάθο̣υ̣[c], come, invece, fanno gli innamorati. Nel col. xiv a 5-6 Olivieri, il saggio consiglierà di ricordare chi è e con chi parla, μνεμονεύειν τίc ἐcτι καὶ | τίνι λαλεῖ παραινέcει. Infine, nella col. xviii a Olivieri, è descritto l’uomo politico che a parole, τῶ̣ι μὲν λαλεῖν, non mostra desideri che contrastano con la vita beata. Ma è solo mera apparenza: secondo Filodemo quest’uomo, pur componendo discorsi di buona lega, nei fatti, cioè nell’agire, τῶι δὲ πράττε[ι]ν, manifesta desideri che lo pungono amaramente, ἐπιθυμίαc πικρῶc ἐμυττούcαc16. In questo caso, tramite la coppia τῶι λαλεῖν – τῶι πράττειν Filodemo sviluppa la canonica opposizione data dal tipico ἔργωι – λόγωι17.

Ad un parlare ben elaborato, spedito e forbito è opportuno accostare l’uso del sostantivo λαλιά nell’Index Stoicorum (P. Herc. 1018). Nella col. lxvi Dorandi, nella sezione dedicata a Panezio, infatti, Filodemo descrive la facilità del filosofo nel rispondere alle domande del suo interlocutore su argomenti di ogni sorta. Tale capacità è dovuta al fatto che Panezio possiede un parlare pronto e commisto di storia, scienza, filosofia e politica, una πρόθυμοc e μεμιγμένη λαλιά18.

Nel De ira (P. Herc. 182, col. xxi 22 Indelli), invece, troviamo il sostantivo cυλλάληcιc, un hapax legomenon di Filodemo, tradotto con collocutio nel Lexicon Philodemeum19. Il termine qui indica la semplice conversazione con la gente comune, gli ἰδιῶται. Gli adirati sono stati privati della possibilità di conversare con gli altri perché gli uomini ne temono l’indole biliosa. Filodemo forma il sostantivo cυλλάληcιc, un nomen actionis, sulla base del verbo cυλλαλέω, il cui impiego è testimoniato a partire dal terzo secolo, frequentemente poi in Polibio (1, 43, 3 e 4, 22, 8), nonchè in Diodoro Siculo (15, 8, 4).

Ma λαλέω assume anche una sfumatura negativa. Nel De ira (P. Herc. 182, col. xxxvi 34-35 Indelli), è fatta allusione al πικρῶο λα|λεῖν καὶ ἐπιτεταμένωc degli iracondi, al loro parlare aspro, scomposto, irrazionale. Gli invasati per effetto della collera rivolgono improperi e contumelie contro il prossimo e mostrano un atteggiamento scontroso. Come nel De ira, un uso distintivo di avverbi connota il significato del verbo anche nel quinto libro della Poetica (P. Herc. 1425/1538). Qui nella sezione dedicata a Neottolemo, Neottolemo è definito οὐ δριμύc: se infatti il peripatetico riteneva che il componimento poetico occupa il primo posto tra le categorie, cioè nella τάξιc, secondo Filodemo proponeva un’affermazione davvero strana, ξένωο [ἐ]|λάλει παντάπαc[ι]ν (col. xv 32-33 Mangoni)20. Nel De musica, nella critica rivolta contro Archestrato, Filodemo censura il parlare avventato e puerile del suo rivale, il suo παιδαριωδῶο λαλεῖν, contrario ad ogni criterio scientifico (137, 22 p. 267 Delattre)21. Un uso negativo di λαλέω, come inutile chiacchierare, è presente anche nel De Epicuro II (P. Herc. 1289 β). Qui Filodemo ricorda che Timocrate, abbandonato il Κῆποc, perde tempo in vuoti discorsi, osservando i filosofi rivali, λαλῶν [κ]αί τι|ναc τῶ[ν] cοφιcτῶν ἀποθεω[ρ]ῶν (P. Herc. 1289 β, col. xxvii, 10-11 Tepedino Guerra)22.

Numerose sono le occorrenze del campo semantico di λαλέω – λαλιά nel De conversatione (P. Herc. 873)23. Per lo più il verbo λαλέω è qui sinonimo di dire, parlare, λάληcιc invece di discussione, ma non vengono mai meno sottili nuances. Nella col. iv, ad esempio, Filodemo ricorda che l’ordine μὴ λάλει, un ordine che solitamente i tiranni usano ripetere calunniosamente, non è approvato del tutto dagli Epicurei. Nella col. x 9-12, invece, λαλέω indica il parlare dei saggi Epicurei, i φρόνιμοι, che pur di offrire le loro accorte parole, sono consapevoli di non ottenere sempre il favore della folla, cιωπ[ῶ] γὰρ ὅτ[ι,] | π[ο]λλὰ καὶ κατὰ πλεῖοτον | οὐκ ἐπιτεύξεcθαι νομ̣[ίζ]ον|τεc, οἱ φρόνιμοι λαλοῦc[ι]24. Ma non solo: meritano qui attenzione anche due forme composte, διαλαλέω «converso» (16), e il ben più raro ὑπολαλέω «sussurro» (17). Nella stessa colonna, infine, in un contesto di difficile intellegibilità, con τοιαῦτα τῶν λαλημάτων (4), si allude forse all’effetto delle chiacchiere che rischia di essere cancellato.

Nelle col. viii-ix, invece, centrale sembra essere il motivo della μελέτη λαλιᾶc. Filodemo suggerisce l’opportunità di un esercizio del buon conversare che si coniughi ad un tempo con un oculato esercizio del tacere, παρυπο|μνήcομεν ὅτι μάλιcτα με|λ[η]ετή[c]ει καλῶc λαλεῖν, πο|τὲ λαλῶν, οὐκ ἀε[ὶ ο]ιωπῶν (col. viii 2-5)25. La trattazione di questo argomento è sistematica: Filodemo è consapevole di proporre a riguardo una tecnica, come suggerisce il verbo τεχνολογέω (9). Chi vuole apprendere gli elementi della perfetta conversazione deve attenersi alla μάθηcιc prescritta dalla Scuola, visto che una μάθηcιc senza guida, autonoma, rischia di essere priva di metodo, ἀμέθοδοc, e interminabile fino alla noia, ἀμηρυτοc26. Occorre fare sempre esperienza della conversazione, λάληcιc, perché, tacendo, un uomo rischia di non imparare a parlare27.

Si ha la chiara impressione che il referente dei consigli sul λαλεῖν sia l’allievo al quale Filodemo rivela la strada da percorrere per diventare un λαλητόc (ix 1-2)28. Nel corso della col. ix sono elencate le doti principali o forse è prescritto il corretto atteggiamento che questo uomo, esperto della parola, dovrà mostrare. Conosciute le leggi della conversazione, il λαλητόc epicureo si guarderà dal parlare ininterrottamente: sarà ritenuto degno da qualcuno di mostrare addirittura titubanza e sospetto nei confronti di argomenti complicati, καὶ πε|ρί τινων πραγμάτων καὶ | λείαν ὀκνηρῶο ἔχειν ὁμι|λεῖν, πάνθ’ ὑπονοῶν, οὐ μέν|τ[οι] πρὸc ἀπι[cτότατ]α καὶ πε|ρὶ πάντων (4-9). Il λαλητόc non estenderà il ragionamento all’infinito, se gli argomenti risulteranno non convincenti, ἀδόκιμα, per quanto riguarda la loro chiarezza, ἀλ[λ]ὰ [πρὸ]c ἄπει|ρ’ ἄξειν, εἰ φανήcε[τ]αι <εἰ> κα|τὰ [c]αφή[ν]ειαν ἀδόκιμα (9-11)29. Il profilo richiamato ora da Filodemo per il suo ideale fine dicitore stride con la presentazione del Graeculus otiosus et loquax fortasse doctus et atque eruditus, descritto nel De oratore da Cicerone (1, 22, 102), e ben di più stride con la propensione dei Greci per argomenti complessi, una propensione ancora nel De oratore denunciata e ridicolizzata (1, 47 e 1, 221)30. Si ha la sensazione, invece, che il λαλητόc di Filodemo debba mostrare un atteggiamento razionale dinanzi ad argomenti oscuri, di difficile spiegazione, nonché una salda e costante adesione alla chiarezza secondo l’insegnamento di Epicuro31.

Con questa breve indagine, in conclusione, spero di aver messo in evidenza, oltre alla vivacità della lingua di Filodemo, il valore e la duttilità di un campo semantico che perde a poco a poco un significato completamente negativo e si specializza come forma concorrente di λέγειν. Nella maggior parte delle opere di Filodemo, poi, λαλέω e λαλιά tendono ad indicare una corretta conversazione, regolata da norme teoriche, nonché da un pratico e realistico esercizio. In generale è qui esplicita l’esigenza di specificare l’accezione, soprattutto quella negativa, dei termini che afferiscono a questo campo semantico, ad esempio attraverso avverbi icastici e polemici quali ξένωc – παιδαριωδῶc – πικρῶc – ἐπιτεταμένωc.

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1 Per lo status quaestionis sullo stile di Filodemo rimando a Gigante (1998) 55-61. Offrono recenti contributi su singoli aspetti del lessico filodemeo Indelli (2010) e Monet (2010).

2 Si tratta di un argomento esaminato già da Maria Giustina Cappelluzzo in una tesi di laurea, intitolata Ricerche sul lessico di Filodemo: il gruppo semantico di λαλέω – λόγοc, discussa presso l’Università di Napoli Federico II (1971/1972) con il Professore Marcello Gigante.

3 Il verbo deriva da un suono onomatopeico tipico dei bambini; cf. Chantraine (1968) 616.

4 Λάλου, ad esempio, è il ciarliero ambasciatore nelle Supplici di Euripide mandato presso Teseo da Creonte (462). Λάλοι sono, come dice Platone nel Gorgia (515e6), gli Ateniesi educati a praticare la retorica da Pericle. Cf. Dodds (1959) 356-357.

5 Offre una dettagliata indagine sul campo semantico di λαλέω – λαλιά nella commedia Beta (1999).

6 A riguardo, cf. Dover (1993) 22 e 296-297.

7 Plutarco, nel De gloria Atheniensium (3, 346f5-6), tuttavia, attribuisce un positivo uso di λαλεῖν già a Simonide: la poesia è una pittura capace di parlare, λαλοῦcα, contrapposta alla pittura, una poesia che rimane in silenzio, cιωπῶcα. Cf. Lanata (1963) 68-69.

8 Non si tratta, dunque, di un semplice parlare a vanvera che, invece, nei Caratteri è indicato dall’ἀδολεcχία, ma di una sorta di logorroica garrulità: a riguardo, cf. Diggle (2004) 266.

9 Altri sono i verbi con i quali Epicuro esprime il suo argomentare. In merito cf. anche Leone (2000) 25-27. Διαλέγεcθαι, ad esempio, richiama il ragionamento del saggio sui fenomeni celesti nel libro 11 del Περὶ φύcεωc (P. Herc. 154, [26] 9 v 10-12, p. 242-243 Arr.) e nel libro 14 introduce la polemica contro il potere mimetico dei nomi (P. Herc. 1148, [29] 15 ii 18-20, pp. 271-272 Arr.). Nel libro 28, invece, (P. Herc. 1479/1417, [22] 19 iii Arr. = fr. 13 col. xii sup. Sedley 1973), con il verbo ἀδολεcχέω, Epicuro si riferisce alla sua fruttuosa chiacchierata con Metrodoro, dunque ad un parlare utile per la Scuola e per gli allievi. Cf. Arrighetti (1975) 46-47.

10 Arrighetti (1973) 672, pero, consiglia cautela nello scorgere nella citazione di Marco Aurelio gli ipsissima verba di Epicuro.

11 Rhet. 2, p. 259, col. iv a 26 – col. v 2, 27-33 Sudhaus = fr. 53 Us. = fr. [20] p. 179 Arr.

12 Cf. in generale Roskam (2007) 104-108.

13 Nella prima parte della colonna è introdotto un altro gruppo di uomini che deviano dalla corretta ricerca sulla scienza della natura: sono i filosofi che adoperano vani sillogismi. Cf. Indelli (1978) 170-172.

14 P. Herc. 1007, vol. I, p. 189, 12 Sudhaus. Sulla maschera comica di Maison in Filodemo, rimando a Gigante (1971). Sempre nella Rhetorica (Vol. I, p. 190 Sudhaus), subito dopo questo passo, è evidente il valore neutro di λαλέω che a seconda degli avverbi πεπαιδευμένωc e ῥητορικῶc assume una precisa sfumatura.

15 Vooys/Van Krevelen (1941). P. Herc. 1004, Vol. I, p. 343, 10-11 e p. 345, 12-13 Sudhaus. Altre attestazione di λαλιά nella Rhetorica: cυνήθεια λαλιᾶc (P. Herc. 832, Vol. II, p. 27, 17 Sudhaus), λαλιὰ φυcιολόγου (P. Herc. 832, Vol. II, p. 27, 5 Sudhaus) e λαλιὰ κενή (P. Herc. 240, Vol. II, p. 273, 11 Sudhaus).

16 A riguardo, cf. Gigante (1983) 88-89.

17 Anche nel De Stoicis (P. Herc. 155/339, col. xv 32 e xvi 10 Dorandi), λαλέω è un semplice sinonimo di λέγω: nella Πολιτεία Zenone parla dell’inutilità delle armi, λαλήcαc περὶ τῆο ἀχρηcτίαc τῶν ὅπλων, mentre subito dopo, con λαλοῦμεν, Filodemo si riferisce alla sua personale esposizione sull’opera di Zenone. Infine, nella Vita Philonidis, con λαλῶν, l’autore, forse Filodemo, introduce un excerptum di una lettera del filosofo di Laodicea a mare nella quale parla della giovinezza condivisa con il fratello (P. Herc. 1044, col. 49 Gallo). Cf. De Sanctis (2009) 116-117 e n. 44.

18 Per l’esame della vita filodemea di Panezio, cf. Alesse (1997) 147-155.

19 Vooys/Van Krevelen (1941). Cυλλάληcιc è un sostantivo concorrente del neutro cυλλάλημα spiegato da Esichio (c 2403, 1) come sinonimo di ἐρώτημα, cυναίρημα. Si tratta di un nomen actionis in -cιc, tipico del lessico di Filodemo: si pensi, ad esempio, a termini presenti nel De libertate dicendi, per i quali cf. De Sanctis (2010a).

20 Ancora nel senso di discutere su un determinato argomento deve essere interpretato il λαλεῖν in un altro passo della stessa opera. Il contesto è la polemica nei confronti dell’ottava δόξα secondo la quale il poeta è in grado di assegnare ai personaggi l’espressione conveniente. Si tratta, tuttavia, di un’opinione valida anche per la prosa, per la storia e per i dialoghi. Questa δόξα ha poi lo svantaggio di riferirsi solo all’espressione, καὶ περὶ τῆ[c] λέ|ξεωc μόνον λαλεῖ (col. xxxv 6-7 Mangoni), trascurando per tutto ciὸ i νοήματα. A riguardo, cf. Mangoni (1993) 314-320.

21 Cf. Delattre (2007) 435-436. Nel De musica, pero, la λαλιά è la lingua parlata alla quale un poeta si avvicina nel declamare tirate tragiche o comiche (143, 4 p. 295 Delattre). Ma dal De musica emerge anche il comune significato di dire… καὶ λαληθήcε[ται] πρὸc | [ἄ]λλο̣υ̣c φιλοcόφ[ο]υ̣c (120, 29-31 p. 222 Delattre).

22 Su questa sezione, cf. Tepedino Guerra (1991) 172-178.

23 Il papiro fu svolto nel 1809. Una recente analisi del trattato all’interno del generale problema del franco parlare tipico del Κῆποc è proposta da Tsouna (2007) 122-123. La mano che ha vergato il P. Herc. 873 è stato inserita da Cavallo (1983) 37-38 nel Gruppo L.

24 In merito, cf. De Sanctis (2010b) 83.

25 Per esercitarsi a ben parlare, dunque, l’Epicureo deve conoscere il tempo opportuno per il λαλεῖν e per il cιωπᾶν. A riguardo, cf. Amoroso (1975) 63.

26 Cf. Amoroso (1975) 72-73.

27 Molti sono gli argomenti dei quali occorre discutere (16-18), [κα]ὶ δι[ό]τι | πολλὰ γείν[εται] καλῶο | ἃ χρὴ [λ]αλεῖν αὐτόν, soprattutto se di tali argomenti non si ha una precisa conoscenza.

28 Λαλητόc sul piano cronologico fa la sua prima comparsa in greco, a quanto mi consta, nel De conversatione con un valore attivo. Diverso uso del termine sembra essere presente in LXX (Job 38, 14), e in Eusebio (Ps. 135) dove il λαλητόc è un uomo polemico.

29 Palese è qui, nel rinvio alla cαφήνεια, il riflesso dell’insegnamento di Epicuro. A riguardo, cf. Arrighetti (2010). Per la complessità dei temi affrontati con chiarezza da Epicuro, cf. Cicerone (De fin. 2, 4, 12 = p. 88 Us.). Epicuro non rifiuta di parlare in modo semplice ed esplicito e non tratta argomenti oscuri.

30 Il profilo del Graeculus che si dedica a discussioni oziose è proposto da Crasso, sollecitato da Sulpicio a indagare se esista o meno un’arte dell’eloquenza.

31 Il riferimento successivo agli ἀκουcταί, pur in un contesto oscuro sul piano testuale, mostra l’importanza attribuita anche all’orizzonte dei fruitori del λαλητόc. In generale un quadro delle conversazioni epicuree, come cυζήτηcιc che volgono alla salvezza, è offerto dalla conclusione dell’anonimo autore del Trattato etico epicureo (P. Herc. 346, col. xiii Capasso). Cf. Capasso (1982) 146-149.