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Callimaco, fr. 75 pf., e la tecnica narrativa dell’elegia ellenistica

Enrico MAGNELLI

Firenze

Che in età ellenistica l’elegia abbia registrato un fortissimo sviluppo, è cosa tanto nota quanto naturale. Fin dalle sue fasi più antiche essa si era caratterizzata come un genere in certa misura ’aperto’, passibile di adattarsi a tematiche assai varie – marziali e parenetiche, politiche, erotiche ed esistenziali, gnomiche, etico-filosoíiche, storico-celebrative con tanto di movenza innodica proemiale (il cosiddetto ’nuovo Simonide’), e forse altro ancora. Nulla di sorprendente, dunque, che i poeti ellenistici, miranti assai spesso non tanto allo sperimentalismo puro quanto al recupero e alla valorizzazione di possibilità già presenti nel patrimonio letterario precedente1, si sentissero più che autorizzati a procedere su questa strada ampliando ulteriormente le possibili aree di pertinenza della produzione in distici. Abbiamo quindi, dall’inizio del III sec. a. C. alla fine dell’Ellenismo, non solo un forte incremento dell’elegia erotica e mitologica, ma anche un fiorire di nuove tematiche. Tra di esse ricordiamo anzitutto l’eziologia, per cui il nome di Callimaco parla da solo; la storia della letteratura, trattata in metro elegiaco nelle Muse di Alessandro Etolo (frr. 4 e probabilmente 5 Magnelli) e forse nel Grapheion callimacheo (fr. 380 Pf.)2; la paradossografia, ad opera di Filostefano di Cirene (SH 691, se non si trattava di un epigramma), allievo di Callimaco; la poesia didascalica, rappresentata quantomeno dagli Ophiaka di Nicandro (frr. 31-32 Gow/Scholfield); le maledizioni, come nella cosiddetta ’Tattoo Elegy’ del PBrux. 223; l’epicedio, con Partenio di Nicea (SH 608-615, 626 = frr. 2-6 e 27 Lightfoot); l’inno, per cui ricorderemo ancora Callimaco (Lav. Pall.4).

Ma alcune significative innovazioni, al di là dell’aspetto tematico, si hanno anche a carico della struttura e della tecnica compositiva. Una delle più interessanti, dal punto di vista storico-letterario, è senza dubbio il catalogo. Originariamente appartenente all’epica (i cataloghi delle navi e dei Troiani nell’Iliade, e soprattutto le Ἠoῖαι esiodee), in età ellenistica esso divenne oggetto di un’autentica appropriazione da parte del genere elegiaco: abbiamo così la Leontion di Ermesianatte (frr. 1-7 e forse 8 Powell), i pederotici Ἔρωτες ἢ Καλοί di Fanocle (frr. 1-6 P.), le già citate Muse e probabilmente anche l’Apollo di Alessandro Etolo (frr. 3-5 Magnelli5), gli iper-esiodizzanti – quantomeno dal titolo, che potrebbe essere rivelatore di un intento ironico o addirittura parodico – Ἠοῖοι di Sostrato di Fanagoria, forse anche il Catalogo delle donne di Niceneto (fr. 2 P.: purtroppo non sappiamo se l’opera, di cui rimane solo il titolo, fosse elegiaca o esametrica6), per tacere di alcuni frammenti adespoti su papiro la cui datazione rimane tuttora sub iudice7. Un precedente importante era stato la Lide di Antimaco, che, a quanto è dato ricavare, metteva assieme un certo numero di vicende mitiche a carattere soprattutto erotico8 (dell’ipotetica Bittide di Filita non sappiamo assolutamente nulla9); ma i poeti di quest’epoca si spingono decisamente oltre, verso una più accentuata predilezione per la struttura catalogica, vuoi organizzando la narrazione in serie serrata (Hermesian. fr. 7 P.: 14 versi su Orfeo, 6 su Museo, 6 su Esiodo, 8 su Omero, 6 su Mimnermo, 6 su Antimaco, 4 su Alceo, etc.), vuoi ricorrendo alla formula di transizione ἢ ὡς, che era quanto di più adatto a porsi nel solco della tradizione esiodea (Phanocl. frr. 1.1 e 3.1 P). Il che, in definitiva, non è che una delle molte manifestazioni dell’ampia fortuna di cui Esiodo, come è noto, godette in età ellenistica10. Qualsiasi tentativo di individuare una linea evolutiva in questo tipo di poesia si scontra inevitabilmente con la grande incertezza che regna sia sulla cronología di alcuni autori, sia sulle caratteristiche delle loro opere11; quello che possiamo affermare è che si tratta di una produzione precoce, che si affermὸ già nella prima età ellenistica, con Ermesianatte e Alessandro Etolo e probabilmente anche con Fanocle e col poeta della ’Tattoo Elegy’12.

In quest’ottica, vorrei riconsiderare un testo elegiaco di altro genere, ossia la celebre narrazione callimachea di Aconzio e Cidippe, dal terzo libro degli Aitia (frr. 67-75 Pf.). Sotto vari punti di vista i non scarsissimi frammenti che ne rimangono sono ritenuti, giustamente, di fondamentale importanza per capire le caratteristiche della poesia di Callimaco: rimandando il lettore alla considerevole bibliografia esistente13, mi soffermerὸ qui solo sulla tecnica compositiva e narrativa.

Non è immediatamente chiaro (forse anche a causa della lacunosità del testo) di che cosa la vicenda callimachea costituisca l’aition, ma è verosimile che si tratti dell’origine degli Aconziadi di Ceo (fr. 75.50-52 Pf.)14. Tuttavia sulla vicenda principale si innesta una molteplicità di altri aitia, brevemente menzionati o anche solo accennati: il rito nuziale di Nasso (fr. 75.1-4), la genesi dei venti etesii (da αἰτεῖσθαι: ibid. 33-37), l’origine del nome di Hydrussa (ibid. 56-58), etc.15. Questa abbondanza di materiale è gestita da Callimaco con artifici compositivi raffinati, che la critica ha da tempo identificato come caratteristici della sua poetica. (a) La diffrazione delle voci16: parte delle nozioni erudite sono enunciate dal poeta-narratore (vv. 1-21, 50-55), altre sono attribuite alla sua fonte, lo storico e mitografo Xenomede (vv. 56-76), altre ancora sono inserite nel discorso di Apollo (vv. 22-37), che tra l’altro, come ha acutamente notato Hunter, integra il riassunto di Xenomede con la menzione dell’eroe locale Aristeo17. (b) La reticenza: fr. 75.4, «dicono che Hera una volta…» (e il poeta si astiene dal riferirlo, ma intanto ne suggerisce il ricordo ai lettori eruditi che egli presuppone, alludendo nel contempo all’opera di un altro e ben diverso poeta18). (c) L’esplicito rimando alla fonte, ossia la suddetta Cronaca di Ceo di Xenomede, del V/IV sec. a. C.19, di cui Callimaco offre un rapido, parziale sommario. È appunto questa la parte che più ci interessa (fr. 75.50-77):

ἐκ δὲ γάμου κείνοιο μέγ’ οὔνομα μέλλε νέεσθαι̇ 50

δ̇ὴ γὰρ ἔθ’ ὑμέτερον ϕῦλον Ἀκοντιάδαι

πουλύ τι καὶ περίτιμον Ἰουλίδι ναιετάουσιν,

Κεῖε, τεὸν δ’ ἡμεῖς ἵμερον ἐκλύομεν

τόνδε παρ’ ἀρχαίου Ξενομήδεος, ὅς ποτε πᾶσαν

νῆσον ἐνὶ μνήμη κάτθετο μυθολογῳ, 55

ἄρχμενος ώς νύμϕῃσι[ν ἐ]ναίετο Κωρυκίῃσιν,

τὰς ἀπὸ Παρνησσοῦ λῖς ἐδίωξε μέγας,

Ὑδροῦσσαν τῷ καί μιν ἐϕήμισαν, ὥ̣ς̣ τ̣ε Κιρώ̣[δης

.]ο̣.. θ̣υσ̣[.]τ̣ο̣. ᾤκεεν ἐν Καρύαις˙

ὣ]ς τέ μιν ἐννάσσαντο τέων Ἀλαλάξιος αἰεί 60

Ζεὺς ἐπὶ σαλπίγγων ἱρὰ βοῇ δέχεται

Κᾶρες ὁμοῦ Λελέγεσσι, μ̣ε̣τ̣’ οὔνομα δ’ ἄλλο βαλέσθ[αι

Φοίβου καί Μελίης ἶνις ἔθηκε Κέως

ἐν δ’ ὕβριν θάνατόν τε κεραύνιον, ἐν δὲ γόητας

Τελχῖνας μακάρων τ’ οὐκ ἀλέγοντα θεῶν 65

ἠλεὰ Δημώνακτα γέρων ἐνεθήκατο δέλτ[οις

καὶ γρηῢν Μακελώ, μητέρα Δεξιθέης,

ἃς μούνας, ὅτε νῆσον ἀνέτρεπον εἵνεκ’ ἀλ̣[ι]τ̣[ρῆς

ὕβριος, ἀσκηθεῖς ἔλλιπον ἀθάνατοι

τέσσαρας ὥς τε πόληας ὁ μὲν τείχισσε Με̣γα̣κ̣[λ]ῇς 70

Κάρθαιαν, Χρυσοῦς δ’ Εὔπ[υ]λος ἡμιθέης

εὔκρηνον πτολίεθρον Ἰουλίδος, αὐτὰρ Ἀ̣κα̣ῖ̣[ος

Ποιῆσσαν Χαρίτων ἵ̣δ̣ρ̣υμ’ ἐυπλοκάμων,

ἄστυρον Ἄϕραστος δὲ Κορή[σ]ιον, εἶπε δ̣έ̣, Κ̣ε̣ῖ̣ε̣,

ξυγκραθέντ’ αὐταῖς ὀξὺν ἔρωτα σέθεν 75

πρεσβυς ἐτητυμίῃ μεμελημένος, ἔ̣ν̣θεν̣ ὁ π̣α̣[ι]δ̣ός

μῦθος ἐς ἡμετέρην ἔδραμε Καλλιόπην.

Callimaco non solo dichiara la fonte delle sue informazioni, ma se ne serve anche per un fine più propriamente letterario: fornire l’elenco di tutto quello che avrebbe potuto trattare, ma che non ha voluto inserire nella sua narrazione per non appensantirla inutilmente. Il principio è in definitiva lo stesso della Victoria Berenices, SH 264.1 αὐτὸς ἐπιϕράσσαιτο, τάμοι δ’ ἄπο μῆκος ἀοιδῇ: lì «[quello che io non racconto, il lettore] lo immagini da sé, e abbrevi la lunghezza del canto»20, qui «chi vuole saperne di più su tutti questi altri fatti, vada a leggersi il vecchio Xenomede, che la storia di Ceo l’ha scritta tutta quanta» (πᾶσαν, v. 54, esattamente l’opposto di quello che Callimaco intende fare). Si tratta di un procedimento di esibizione della quantità di argomenti disponibili e, al contempo, di selezione di quelli effettivamente sviluppati (entrambi i fattori sono stati messi in luce assai bene da Hunter21).

Tutto ciò, grazie ai risultati della critica recente, può considerarsi acquisito. Veniamo al punto. Quello che io mi chiedo è se questo passo non abbia un signifícate storico-letterario anche più complesso di quanto finora si è sostenuto, ossia se Callimaco non intendesse conferire alla chiusa dell’Aconzio e Cidippe un preciso valore programmatico. Il nostro poeta, con la sua rapida carrellata sulla protostoria mitica di Ceo, aveva un referente negativo cui contrapporsi? Hunter ha osservato, molto giustamente, che «il riassunto della cronaca di Senomede in effetti cerca di riprodurre, con un tono parodico, lo stile catalogico appropriato a un’opera organizzata su base strettamente cronologica e l’esigenza di esaustività che tale base cronologica impone»22. Forse c’è anche di più. Io considererei l’ipotesi che Callimaco, scrivendo in metro elegiaco e adottando le tipiche formule di transizione dei cataloghi poetici (vv. 56-60 ἄρχμενος ὡς… ὥ̣ς τ̣ε… [ὥ]ς τε, v. 70 ὥς τε κτλ.23), volesse soprattutto contrapporsi a quel filone di elegia catalogica che, come si è detto poco sopra, ebbe una notevole diffusione già nella prima fase dell’Ellenismo. Forse questi ventotto versi non significano solo «non intendo rifare Xenomede trasponendolo pedissequamente in poesia», bensi «non intendo scrivere un lungo catalogo elegiaco come altri, disponendo di questo materiale, sicuramente farebbero». Gli Aitia rischiavano, per loro natura, di essere un catalogo, e Callimaco scongiurava quel rischio già nel II libro, con la digressione sulle città siciliane (fr. 43.42-53 Pf. = 50.42-53 Massimilla: «citerò Camarina, conosco Gela e Minoa, conosco Leontini e […] e Megara, posso dire di Eubea e di Erice»), altro significativo esempio di accurata ed esplicita selezione degli argomenti24. Nel fr. 75, tuttavia, il catalogo non è solo evitato, ma anche apertamente evocato con l’impiego dei suoi ’marchi di fabbrica’ (ὡς… ὡς… ὡς…).

Non so se abbia un signifícate il fatto che i cataloghi elegiaci ellenistici, almeno per quello che ne sappiamo (che purtroppo è ben poco), abbiano in maggioranza carattere erotico, e che Callimaco affronti la struttura catalogica in una narrazione erotica – benché sia interessante notare che anche nel fr. 1 Powell di Fanocle il tema dell’eros è abbinato all’eziologia25. Comunque le differenze tra Callimaco e gli autori di elegie catalogiche sono piuttosto vistose; non che questi ultimi siano tutti uguali, né forse tutti coevi, ma sicuramente si individuano tra essi vari elementi congiuntivi che sono al contempo separativi rispetto alla produzione callimachea. Ermesianatte presenta una serie di episodi arguti e letterariamente elaborati, ma tendenzialmente uniformi, mentre Callimaco procede all’insegna della varietà (un aition lunghissimo e articolato, con la storia di Aconzio, affiancato e inframmezzato da moltissimi aitia brevi o appena accennati); Ermesianatte e il poeta della ’Tattoo Elegy’ giustappongono il materiale, in un vero e proprio catalogo, mentre Callimaco lo gerarchizza sintatticamente smistandolo in subordinate, parentesi e discorsi diretti; Ermesianatte, Fanocle e il poeta della ’Tattoo Elegy’ (ma probabilmente anche Alessandro Etolo) impiegano una sola ed omogenea voce narrante, mentre Callimaco, come si è visto, affianca alla sua quelle di Apollo e, indirettamente, di Xenomede. Inoltre è noto come questi poeti siano caratterizzati da uno stile generalmente molto epicheggiante26, diverso dai parametri degli Alessandrini stricto sensu, al punto che Alan Cameron ha potuto avanzare l’ipotesi – forse troppo radicale, ma certo non infondata – che proprio l’elegia di tono esiodizzante, e non l’epica, fosse il bersaglio della polemica di Callimaco contro il ’raglio degli asini’27. Callimaco non amava la Lide di Antimaco, che probabilmente, come si è visto, costituì un precedente di qualche importanza per gli autori di elegie catalogiche; se detestasse anche questi ultimi non è dato sapere, ma credo che abbiamo elementi sufficienti per ritenere quantomeno plausibile che egli desiderasse prenderne le distanze.

Secondo Cameron, l’Aconzio e Cidippe sarebbe un’opera giovanile, scritta probabilmente prima di Aitia I-II e non inclusavi perché inconciliabile con la cornice del dialogo con le Muse28. Quello che secondo me si puo affermare con buona sicurezza è che si tratta di un prodotto letterario molto elaborato e consapevole, non solo per la raffinatezza del suo stile e la complessità della sua struttura29, ma anche per il suo carattere di reazione in certo modo programmatica a una tendenza letteraria ormai piuttosto diffusa: Callimaco, a mio avviso, vuole offrire un concreto esempio di come si fa un’elegia in cui l’erudizione non vada a detrimento dell’eleganza, e di come si deve usare una pluralità di materiali senza farne un monotono catalogo30. Va da sé che ciò può favorire l’ipotesi che si tratti di un’opera della maturità del nostro poeta, ma non la rende comunque cogente.

L’aition di Aconzio e Cidippe godette di notevole fortuna nella letteratura latina tardorepubblicana e augustea (Verg. ecl. 2 e 10, Prop. 1.18, Ov. Her. 20-21 sono solo i casi più vistosi). E ve n’era motivo, sia per la sua eleganza (superfluo ricordare che il callimachismo degli elegiaci latini e in generale dei poeti dell’epoca è in primo luogo, seppur non esclusivamente, una scelta di stile), sia per le sue tematiche e per le caratteristiche della sua narrazione (prospettiva soggettiva, monologo dell’amante solitario, sintomatologia della passione, generale importanza dell’elemento erotico31), sia, infine, per la sua possibilità di prestarsi a una riflessione sulla scrittura32. Pur con tutta la necessaria cautela, non escluderei che vi fosse ancora un’altra ragione, ossia che anche questa sua funzione esemplare, se effettivamente c’era e se era percepibile fuori dall’ambiente alessandrino, potesse essere gradita a una categoria di autori sempre interessatissimi alla riflessione sulla letteratura, alle polemiche aperte o velate e alle dichiarazioni di poetica33.

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1 Secondo una interpretazione sviluppatasi in tempi recenti soprattutto per merito di Fantuzzi (1993) e ormai largamente affermatasi. La più aggiornata e organica applicazione di questa prospettiva esegetica è Fantuzzi/Hunter (2002, passim).

2 Sulle prime vd. Magnelli (1999a, 21-23); per le varie ipotesi sulla reale natura del secondo, basti rimandare a Pfeiffer (1949/53, I 306) e a Schneider (1870/73, II 43 e 167).

3 Ampiamente analizzato da Huys (1991); per la sua collocazione cronologica vd. almeno Lloyd-Jones (1994) e Cameron (1995, 385-386), entrambi favorevoli alla primissima fase dell’età ellenistica.

4 Per le cui ascendenze, oltre che del breve componimento in distici di Aristocle (?), SH 206 – più un epigramma che una sorta di inno –, citato da Bulloch (1985, 36-37), si dovrà adesso tener conto anche dell’‘inno ad Achille’ che fa da proemio all’elegia di Simonide per la battaglia di Platea (fr. 11.1-20 W.2 = 3g + 3b.1-16 G.-P.2).

5 Non è sicuro che avesse struttura catalogica: vd. Magnelli (1999a, 15-21).

6 I pochi dati disponibili sono discussi in Fantuzzi (1988, lxxv-lxxvii).

7 SH 964 e POxy. 3723. Vd. in particolare Butrica (1996); sul POxy. 3723 soprattutto Morelli (1994), aggiungendo la bibliografía raccolta in Magnelli (1999b, 87 n. 1) e ancora Cutolo (1997, 452-453), Mastroiacovo (1998) e Günther (1998); per SH 964 l’attribuzione a Partenio di Nicea è ora proposta da Spanoudakis (2004).

8 I dati in Matthews (1996, 32-35).

9 Le scarse testimonianze sulla poesia erotica di Filita non garantiscono l’esistenza di un’opera che, sulla scia di Antimaco, prendesse titolo dal nome della donna amata, Βιττίς, tantomeno che tale presunta opera fosse in metro elegiaco o raccogliesse un buon numero di exempla mitici. Vd. l’equilibrata discussione di Sbardella (2000, 5360); inoltre Spanoudakis (2002, 32).

10 Su questo vd. Cameron (1995, 362-386) e da ultimo Fakas (2001). Un’ampia ricerca sulla ricezione di Esiodo nella poesia ellenistica sta attualmente conducendo Chad Matthew Schroeder.

11 Cutolo (1997, in part. 446) ha cercato di tracciare una precisa evoluzione dalla massima brevità possibile (Filita, di cui resterebbe traccia in Theoc. 3.40-51) a un’ampiezza intermedia (Ermesianatte) alla maggiore estensione narrativa di ciascuna vicenda inserita nel catalogo (Fanocle). Anche ammesso che l’influenza di Filita riguardi tutto il passo di Teocrito, e non solo i vv. 40-42 su Atalanta (cfr. schol. Theoc. 2.120 = Philit. fr. 19 Sbardella, 27 Spanoudakis), è comunque probabile che la schematicità di quei dodici versi sia dovuta piuttosto alla caratterizzazione del personaggio teocriteo che li pronuncia (vd. Hunter 1999, ad loc.); quanto alla cronologia, niente ci induce a credere che Ermesianatte debba essere anteriore a Fanocle (vd. alla nota seguente).

12 Per la datazione di Ermesianatte vd. Fraser (1972, II 883-884); sulla biografia di Fanocle la nostra ignoranza è totale, ma vari indizi linguistici e letterari favoriscono anche per lui una datazione alta (Magnelli 2000, 113-114 e n. 6). Per il PBrux. 22 vd. supra, n. 3.

13 Disponibile fino al 1998 in Lehnus (2000, 79-86), aggiungendo ora Cairns (2002). Ancora utile, benché sotto alcuni aspetti inevitabilmente datata, la nota prolusione di Pasquali (1911). In relazione allo specifico problema che a noi qui interessa, pagine illuminanti ha scritto Hunter in Fantuzzi/Hunter (2002, 81-88); importante anche Harder (1990, 291-309).

14 Hunter in Fantuzzi/Hunter (2002, 87; per una diversa interpretazione vd. ibid., 115 n. 83).

15 15Vd. e. g. Hopkinson (1988, 102) e Hunter in Fantuzzi/Hunter (2002, 83-87).

16 Hunter in Fantuzzi/Hunter (2002, 84-85). Si tratta, come è noto, di un procedimento originario della lirica, che Callimaco riprende e sviluppa notevolmente: vd. in particolare D’Alessio (1996, 5-14) e Sevieri (1998).

17 La cui assenza in un panorama della storia mitica di Ceo non poteva non destare sorpresa: vd. Hunter in Fantuzzi/Hunter (2002, 86). La possibilità di restituire il nome di Aristeo al v. 58 è tuttavia riconsiderata da Hollis (1991): vd. anche D’Alessio (1996, 487 n. 79).

18 Vd. soprattutto Pretagostini (1984, 144-147), nonché Cameron (1995, 19-22 e 257, ma gli argomenti che egli ne trae per una datazione ’alta’ dell’elegia non mi sembrano condivisibili: l’accenno callimacheo ai pericoli del parlare troppo si spiega meglio dopo che Sotade aveva pagato con la vita la propria παρρήσία) e ora Hunter in Fantuzzi/Hunter (2002, 82-83). Infondate, a mio giudizio, le recenti obiezioni di White (2000, 187-188) e di Giangrande (2004). Sull’uso della reticenza in Callimaco e sui suoi precedenti pindarici vd. le ottime pagine di Fuhrer (1988).

19 Vd. Huxley (1965). La tradizionale datazione al V secolo è contestata da Cameron (1995, 258 n. 103), che propone piuttosto l’inizio del IV. La questione è ininfluente ai nostri fini.

20 Un esempio della cosiddetta Abbruchsformel, anch’essa ereditata dalla lirica, in particolare da Pindaro (cfr. p. es. P. 4.247 s. μακρά μοι νεῖσθαι κατ’ ᾶμαξιτόν ὥρα γὰρ συνάπτει καί τινα/οἶμον ἴσαμι βραχύν). Ma la differente prospettiva di Callimaco, come hanno ben sottolineato D’Alessio (1996, 463 n. 29) e Harder (1998, 100), comporta il coinvolgimento del lettore: se Pindaro determínate storie non vuole narrarle per motivi di tempo o di appropriatezza, Callimaco sceglie di non narrarle espressamente per un fine puramente letterario, e tuttavia le suggerisce, invitando la memoria dei suoi preparatissimi lettori a integrarle nel racconto. Sul passo vd. anche Fuhrer (1992, 121-125).

21 Fantuzzi/Hunter 2002, 85-86.

22 Fantuzzi/Hunter 2002, 86.

23 ἄρχμενος/-οι. ὡς è un esordio di stampo epico, impiegato altrove da Callimaco (Hunter in Fantuzzi/Hunter 2002, 86); qui si noterà come la presenza dei successivi ὡς ridefinisca in certo modo la funzione del primo, passando da uno stilema epico a uno proprio dell’elegia catalogica.

24 Non manca di notarlo Hunter in Fantuzzi/Hunter (2002, 79); un confronto tra i due ’cataloghi mancati’ è già in Harder (1998, 102-104).

25 Lo ha sottolineato Marcovich (1979, 362); vd. anche Hopkinson (1988, 178).

26 Rinvio a quanto ho scritto in Magnelli (2000, 114-117), con i necessari rimandi bibliografici.

27 Cameron 1995, 374-386 e passim. Per una valutazione attenta ed equilibrata delle teorie di Cameron, vd. in particolare Lehnus (1999).

28 Cameron 1995, 256-261. Sul suo uso dell’allusione a Sotade per stabilire la cronologia dell’elegia callimachea vd. supra, n. 18. Maggiore peso avrebbe invece, se cogliesse nel segno, la sua innovativa interpretazione di Asclep. AP 9.63 = HE 958 ss. come un’affermazione di superiorità della Lide di Antimaco sulla Cidippe (Cameron 1995, 304-307; possibilista Guichard 2004, 374).

29 Lo riconosce lo stesso Cameron (1995, 261): «the narrative technique of the Cydippe is so bold and innovative… that it might seem tempting to identify it as the poet’s maturest style».

30 Non troppo dissimile dalla scelta di Callimaco è ciò che fa Teocrito nel carme 24 (l’Eraclino): alla dettagliata e drammatizzata rappresentazione di un singolo episodio dell’infanzia di Eracle, ossia la vittoria sui serpenti, segue nei vv. 103-134 un rapido catalogo (pur senza ὡϛ e oἷos) dei maestri che il semidio ebbe nelle varie discipline. Ovviamente la prospettiva dei due poeti è diversa, in quanto Teocrito ha qui un fine soprattutto encomiastico (l’educazione di Eracle è prefigurazione di quella dei Tolemei). Sulla questione vd. la recentissima analisi di Pretagostini (2003).

31 Ancora valide al riguardo le osservazioni di Puelma (1982, 238-239).

32 Acute osservazioni in proposito offre Barchiesi (1992, 230-241).

33 Una prima versione di questo lavoro, col titolo «L’elegia ellenistica: problemi di tecnica narrativa», fu presentata a Firenze il 4 marzo 2002 al Convegno AICC L’elegia antica e moderna. Continuità e innovazione di un genere multiforme. È per me un vero piacere che esso veda ora la luce in un volume dedicato ad André Hurst, i cui studi sulla tecnica compositiva dei poeti alessandrini sono benemeriti a chiunque si occupi della letteratura dell’Ellenismo.