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Interpretazione omerica e creazione poetica nella Tarda Antichità

Gianfranco AGOSTI

Arezzo

Le presenti riflessioni, che fanno parte di un lavoro più ampio sull’estetica della poesia tardoantica, hanno avuto origine dallo studio delle modalità di riuso del codice epico operate nei poemetti del Codice Bodmer. Le presento perciὸ con piacere ad André Hurst, in piccolo segno di riconoscenza per la sua amicizia, la sua dottrina e la sua generosa disponibilità al dialogo scientifico.

Negli ultimi decenni è stata dedicata molta attenzione alla ricezione di Omero nella letteratura della Tarda Antichità, sia in analisi euristiche sia in lavori d’insieme sulle modalità d’interpretazione, soprattutto sull’esegesi allegorica : oltre al pionieristico lavoro di Bufflère, basterà ricordare gli studi di Pépin e quelli di Lamberton sulla spiritualizzazione del poeta-teologo operata dai neoplatonici1. Anche nelle arti figurative l’indagine sulle raffigurazioni omeriche ispirate all’esegesi simbolica e allegorica ha condotto a risultati di grande spessore2. Una feconda stagione di studi, che ha avuto il merito di restituire all’esegesi allegorica quella centralità nella ricezione omerica che era stata trascurata, talora dismessa come inutile bizzarria, dagli approcci filologici3. In età imperiale e tardoantica questo tipo di lettura di Omero era invece assolutamente corrente e aveva le sue origini nell’insegnamento scolastico, come ha ricordato in un recente contributo Robert Lamberton : nel secondo (o all’inizio del terzo) secolo l’autore dello pseudoplutarcheo De vita et poësi Homeri, una sorta di introduzione alla poesia omerica che rispecchia il corso di un grammaticus, presenta la lettura allegorica di passi come l’ἀπάτη Διός, la teomachia o il canto di Demodoco (che avevano del resto dietro di sé una consolidata tradizione4) semplicemente come parte di una più generale interpretazione di Omero in quanto anticipatore delle dottrine filosofiche posteriori e come tipica strategia comunicativa della poesia5. Installandosi nella tradizione platonica, infatti, lo pseudo-Plutarco parla espressamente del “linguaggio enigmatico e mitico” e del significato espresso δι’ ὑπονοίας come connaturati all’essenza della poesia e alla pratica degli antichi6 e soprattutto come parte della retorica omerica, proseguendo in ciὸ riflessioni già espresse nel I secolo da Eraclito e che poi troveranno formulazione in uno scolio a Il. 20.67 di derivazione porfiriana, in cui l’ἀλληγορία è intesa come uno dei tropi della λέξις omerica7.

La considerazione del ruolo avuto, anche nell’insegnamento, dall’esegesi di tipo allegorico comporta, mi sembra, una certa ricaduta anche sul piano della storiografia letteraria e dell’analisi della poesia tardoantica. Se infatti l’indagine sul riutilizzo del codice epico e sulla dialettica langue / parole è stata spesso assai approfondita ed è andata di pari passo con la rinnovata fortuna, soprattutto editoriale, della poesia epica imperiale e tardoantica8, minor spazio è stato invece dedicato ad analizzare come l’esegesi allegorica dei poemi omerici abbia avuto riflessi concreti nella pratica della poesia epica tardoantica, e come nuovi significati ‘aggiunti’ abbiano di fatto trasformato il codice omerico.

Interpretazione infinita, accrescimento del senso : Omero, le Scritture

La poesia greca tardoantica costituisce un sistema culturale eterogeneo, che trova pero una delle sue cifre più caratterizzanti proprio nella pervasività del modello omerico, che travalica anche la confessione religiosa dei singoli poeti9. Per definire l’atteggiamento di questa poesia verso il modello mi pare non inopportuno richiamare categorie interpretative coniate non per l’esegesi omerica, ma per quella delle Scritture. La prima è quella di ‘interpretazione infinita’10, un principio esegetico fondamentale nella storia dell’ermeneutica biblica, per il quale “la Scrittura cresce con chi la legge” : la parola biblica cresce di profondità di significato parallelamente al progredire del lettore, rivelando passo dopo passo la sua polisemia e la sua intensità profetica ; si tratta di un principio ermeneutico che ha radici assai antiche, e che si puὸ seguire dalle riflessioni di Filone a quelle di Origene, Agostino, Ps.-Dionigi l’Areopagita, Gregorio Magno e che poi si ripropone in età moderna. L’inesauribilità del significato è centrale anche in un’altra categoria esegetica, quella di ‘supplemento del senso’, una definizione dell’ermeneutica biblica che accomuna le più recenti teorie d’analisi letteraria del linguaggio biblico (in particolare quelle decostruzioniste) e le dottrine esegetiche medievali, come ha rilevato Francesco Stella11 : l’interpretazione biblica come supplemento, come ‘aggiunta di senso’ a un significante che non puὸ ontologicamente esaurirsi.

Tale principio ossimorico di una polisemia inesauribile ma al contempo accessibile a tutti i livelli e continuamente rinnovantesi mi sembra che sia sotteso, nel suo rapporto col codice epico, a buona parte della poesia tardoantica, soprattutto – ma non solo – all’epica cristiana greca12 e alla poesia di ispirazione filosofica. L’adozione di una terminologia derivante dall’analisi delle Scritture cristiane appare legittima se si pone mente alla comune formazione grammaticale e scolastica dei commentatori di Omero e di quelli della Bibbia, che si riflette in una sostanziale similarità di metodi : ne è formulazione esplicita un passo di Origene in cui è caldeggiata la necessità di adottare lo stesso metodo di analisi per Omero e i Vangeli, insistendo sulla εὐγνωμοσύνη, vale a dire la disponibilità a riconoscere i vari livelli del testo13.

Omero fu per gli uomini tardoantichi un testo sacro, un Libro da interpretare per scoprirvi significati reconditi e continuamente nuovi14 : la cultura cristiana ha cominciato assai presto l’opera di appropriazione, se si pensa all’utilizzo che Clemente o Metodio fanno di luoghi omerici, o al dossier di passi omerici e biblici accostati nel trattato La storia dell’anima15. È un tratto ben noto, riassunto icasticamente dall’accostamento, già fatto nel 1980 da George Hanfmann con altri scopi, dell’Omero barbuto, in posa da didascalo, fortemente spiritualizzato, ritrovato in un pannello vitreo in opus sectile del 370 proveniente da un nymphaeum tardoantico del porto di Corinto, e del tipo del Cristo rappresentato magnificamente dal mosaico della Trasfigurazione del Monastero di S. Caterina16. Avvicinate in fascinoso cortocircuito, le due immagini sembrano sovrapporsi. Proprio la sovrapposizione dei due libri sacri, sia pure con realizzazioni assai differenti, è alla base dell’estetica eteronoma della poesia biblica, quale è espressa in due poemi del V secolo.

Originati all’interno di un dibattito critico sulla liceità della poesia cristiana in metri classici che investì ambienti alessandrini e costantinopolitani17, gli Homerocentones sono un’opera stratificata, di cui ci sono giunte diverse redazioni e a cui prese parte l’imperatrice Eudocia, che portò a termine l’impresa iniziata da un certo Patricio : cantare le gesta del Cristo utilizzando esclusivamente il verbo di Omero18. La struttura centonaria è il caso limite dell’arte allusiva : non solo al destinatario è richiesto di apprezzare la relazione degli emistichi, o dei versi interi, con il contesto di partenza, ma anche di osservarne il disvelamento semantico, il ‘vero’ significato che diventa chiaro quando vengono utilizzati per cantare la materia evangelica. Nella prefazione che illustra la sua opera di revisione l’imperatrice dichiara esplicitamente che lo scopo del poema è quello di dimostrare che il testo di Omero può raccontare senza forzature la vita del Cristo : vengono dunque a coincidere i due testi sacri, le σελίδες ἱεραί di Omero e gli ἱερὰ ἔπη di Patricio, tali per il contenuto (Eud. Homeroc. ἀπολ. 9-14 Rey).

Poco dopo la metà del V sec. l’autore della Metafrasi dei Salmi, impropriamente attribuita ad Apollinare di Laodicea, ha percorso la differente strada della traduzione interculturale, riscrivendo i Salmi nella langue omerica e rinnovando esperimenti già tentati nel secolo precedente19. Un’opera singolare, che trova la propria giustificazione nella restaurazione della χάρις μέτρων, andata persa nella traduzione dei LXX. Nella προθεωρία il poeta illustra il proprio programma culturale, definendosi un altro Omero, un cieco che ha ricevuto la luce della fede : (ἔλπομαι) τυϕλὼς γεγαὼς δοκέειν ϕάος ἅλλο κομίζειν20. L’identificazione, nonostante quello che potrebbe sembrare, non ha fini agonistici, ma evangelici. Il poeta non vuole comporre un epos superiore a quello di Omero, ma dialogare coi pagani colti nella lingua loro più familiare. Un progetto ambizioso, dunque, dai risultati però paradossalmente poco attraenti, data l’asettica precisione della riscrittura linguistica operata dal Metafraste21, che non solo ha scarse propensioni esegetiche, ma si muove su un piano di quasi totale svuotamento referenziale del codice epico : la lingua omerica è solo il miglior strumento espressivo disponibile. Caso unico nel panorama tardoantico, la Metafrasi dei Salmi è opera di un poeta che non ha dubbi sull’accrescimento di senso del modello omerico, tanto da impiegarlo per riscrivere il Salterio, ma al contempo ne deprime ogni possibilità segnica riducendolo a mera veste linguistica. Mentre i Centoni si assumono il compito di mostrare che Omero contiene già in nuce le verità cristiane (un processo di accrescimento del senso del tutto simile a quello evidenziato dallo pseudo-Plutarco nel rapporto fra Omero e la filosofia posteriore)22, la Metafrasi lo utilizza solo come somma risorsa espressiva. Eudocia e il Metafraste partono da premesse simili, ma arrivano a risultati totalmente opposti.

I riflessi dell’esegesi

Il commentario è il genere letterario caratteristico dell’antichità tarda23. È l’abitudine a commentare, a frazionare i testi che porta con sé quell’“atomismo psicologico” di cui parlava già Marrou : atteggiamento mentale che si riflette, nella creazione letteraria, nella valorizzazione dei singoli elementi, in quello stile prezioso in cui le parti, anche le più piccole, hanno più valore dell’insieme24.

La poesia tardoantica è nutrita di Homererklärung, sulla scia di quella ellenistica25, ma molto spesso l’utilizzo di glosse omeriche va oltre l’aspetto linguistico-antiquario e si carica di valenze inattese. Specie nell’epica cristiana gli omerismi acquistano significazioni differenti, per le quali si impiega la categoria di ‘risemantizzazione’. Negli esempi più significativi, pero, mi sembra preferibile parlare di ‘accrescimento del senso’, in quanto nella poesia epica cristiana non si conferisce semplicemente un nuovo senso all’abusata parole epica, ma piuttosto si parte dal suo significato nel contesto originario e tenendo conto di quello si allarga lo spettro semantico portando alla luce, per così dire, le potenzialità di significato che il termine nascondeva. Ad esempio, nell’impiego di una iunctura omerica come παῖς τηλύγετος (Il. 3.175 et al.) Nonno mostra di essere a conoscenza della duplice interpretazione dell’aggettivo come “diletto” e “unico”26 e lo segnala secondo una tecnica tipicamente alessandrina, da lui appresa negli anni della formazione scolastica, alludendo ai due significati in luoghi diversi : ma quando nella Parafrasi impiega τηλύγετος per ‘tradurre’ μονογενής riferito al Figlio conferisce all’aggettivo omerico un surplus, un accrescimento di senso estraneo all’originale e possibile solo nell’ambito di una rilettura ideologica27.

Laddove questa rilettura è presente, il singolo termine, o l’intero passo omerico rivelano un’altissima densità semantica, una capacità di coagulare e di rappresentare molteplici significazioni, non esclusive ma semmai convergenti : divengono insomma significanti passibili di ripetuti supplementi di significato. È il caso degli epiteti omerici di Hermes, come un discusso fossile quale διάκτορος, o il sintagma ἄγγελος ὠκύς : il primo è impiegato sempre da Nonno nella Parafrasi con le modalità di esegesi grammaticale-filologica di stampo alessandrino (per alludere al duplice senso di ‘messaggero’ e di ‘servitore’), che perὸ in un caso, con straordinaria espansione semantica, prevedono l’inclusione della tradizione esegetica di Gesù come παῖς Θεοῦ (’figlio’ e ‘servo’ di Dio) e quella della Engelchristologie, giusta la sovrapposizione Hermes-Gabriele-Gesù28. D’altra parte proprio questa sovrapposizione ha influito anche sul riuso del sintagma ἄγγελος ὠκύς, che in PBodmer 30.2 e 31.71 designa l’angelo Gabriele e in PBodmer 29.159 e 169 Gesù-Gabriele. L’esegesi cristiana, che proponeva una lettura figurale di Hermes come tipo di Cristo (fin da Iustin. Apol.21), accresce il significato del sintagma epico e ne coonesta un uso differente rispetto al contesto29. Quanto fosse produttiva questa esegesi lo si vede anche da Nonn. P.5.81, in cui Cristo è tratteggiato come Hermes psicopompo30. Una ‘associazione’ già sfruttata da una setta gnostica, i Naasseni, e che ha il corrispettivo pagano nell’uso di ἄγγελοϛ ὠκύϛ per designare uno spiritualizzato Hermes-Logos in un poemetto del quarto secolo, la cosiddetta Cosmogonia di Strasburgo31.

Questo tipo di fruizione di Omero è possibile solo in associazione con i contenuti ideologici. Quando è prevalente l’aspetto letterario, come è il caso, ad esempio, della grande epica mitologica (basti pensare a Quinto di Smirne o a Trifiodoro), l’imitatio Homerica è condotta sui tradizionali binari grammatico-filologici o nel rapporto langue / parole : così ad es. le Dionísíache di Nonno, che pure sono tutte costruite per rivaleggiare coll’arcimodello omerico, non presentano quasi traccia del riuso interpretativo che abbiamo illustrato sopra32. Il linguaggio omerico e il repertorio euristico derivato dall’Iliade e dall’Odissea sono continuamente variati, in un gioco intertestuale assai raffinato, ma non influenzato dall’esegesi allegorica. Le Dionísíache presentano semmai un fenomeno che venne messo nella giusta luce qualche anno da Daria Gigli : la forte influenza a livello lessicale e di immagini della poesia oracolare, soprattutto degli Oracoli caldaici, e della speculazione neoplatonica intorno ad essa33.

Esegesi omerica e poesia oracolare

Gli Oracoli caldaici, la ‘Bibbia neoplatonica’ come sono stati più volte definiti34, dal punto di vista dell’impasto linguistico presentano, com’è ovvio, gli elementi caratteristici del codice epico35 e in qualche caso il fenomeno del riuso di flosculi omerici reinterpretati attraverso l’esegesi allegorica. Ad esempio, nel fr. 2.2 Des Places ἀλκῇ τριγλώχινι, l’aggettivo, che in Omero indica la freccia con cui Eracle ferisce Era, designa la triade caldaica : a livello della ridefinizione del codice epico tale slittamento risente delle variazioni che sul modello omerico avevano già effettuato i poeti ellenistici36 ; ma decisiva sarà stata l’interpretazione, conservata da Eraclito, che vedeva nell’espressione omerica una brachilogica allusione alle tre parti della filosofia (Era rappresenta la bruma che avviluppa l’anima e Eracle il filosofo la dissipa con la freccia a tre punte, cioè la filosofia logica, fisica e morale)37. Giuliano il Teurgo (se è stato lui a redigere in esametri questo oracolo) aveva naturalmente una formazione grammaticale, cui non era estranea l’allegoresi omerica. Che fosse a conoscenza di esegesi di questo tipo lo mostra il fr. 37.10-12, in cui la similitudine delle api è variazione su un passo dell’Iliade (2.87-90, i soldati che accorrono disordinatamente all’assemblea), condotta pero attraverso l’esegesi che Numenio e Cronio avevano dato del passo di Od. 13.10238, in cui le api erano intese come le anime che scendono e risalgono nel circuito della generazione (l’esegesi è fedelmente riprodotta da Porfirio nel De antro) : le idee cadono disperdendosi verso l’anima cosmica, così come le api cadono nel mondo della generazione.

La poesia oracolare deve aver avuto un ruolo fondamentale nel diffondere un riuso del modello omerico coonestato, per così dire, dalle riflessioni sulla sua potenzialità semantica. L’autorità degli Oracoli caldaici e la loro venerazione come testo sacro presso i neoplatonici ne avrà accresciuto il valore paradigmatico : forte è l’influenza caldaica in un testo che rappresenta, a mio avviso, un momento decisivo nel quadro che stiamo delineando. Porfirio, che già col De antro Nympharum aveva fornito la più compiuta esegesi allegorica di un passo omerico pervenutaci, e che era un appassionato studioso di oracoli, nella Vita Plotini (c. 22) ha inserito un inno oracolare sulla sorte dell’anima di Plotino, che descrive la dimora del maestro fra i grandi spiriti, ripercorrendo anche i tentativi fatti da Plotino per elevarsi oltre la materia e raggiungere la contemplazione dell’Assoluto39. In questa parte è piuttosto evidente che il modello letterario seguito dall’autore è il naufragio di Odisseo (Porph. Plot. 22.23-43) :

δαῖμον, ἄνερ τὸ πάροιθεν, ἀτὰρ νῦν δαίμονος αἴσῃ

θειοτέρῃ πελάων, ὅτ’ ἐλύσαο δεσμὸν ἀνάγκης

25 ἀνδρομέης, ῥεθέων δὲ πολυϕλοίσβοιο κυδοιμοῦ

ῥωσάμενος πραπίδεσσιν ἐς ᾐόνα νηχύτου ἀκτῆς

νήχε’ ἐπειγόμενος δήμου ἀπονόσϕιν ἀλιτρῶν

στηρίξαι καθαρῆς ψυχῆς εὐκαμπέα οἴμην,

ἦχι θεοῖο σέλας περιλάμπεται, ἦχι θέμιστες

30 ἐν καθαρῷ ἀπάτερθεν ἀλιτροσύνης ἀθεμίστου.

Καὶ τότε μὲν σκαίροντι πικρὸν κῦμ’ ἐξυπαλύξαι

αἰμοβότου βιότοιο καὶ ἀσηρῶν εἰλίγγων

ἐν μεσάτοισι κλύδωνος ἀνωίστου τε κυδοιμοῦ

πολλάκις ἐκ μακάρων ϕάνθη σκοπὸς ἐγγύθι ναίων.

35 Πολλάκι σεῖο νόοιο βολὰς λοξῇσιν ἀταρποῖς

ἱεμένας ϕορέεσθαι ἐρωῇσι σϕετέρῃσιν

ὀρθοπόρου‹ς› ἀνὰ κύκλα καὶ ἄμβροτον οἶμον ἄειραν

ἀθάνατοι θαμινὴν ϕαέων ἀκτῖνα πορόντες

ὄσσοισιν δέρκεσθαι ἀπαὶ σκοτίης λυγαίης.

40 Οὐδέ σε παμπήδην βλεϕάρων ἔχε νήδυμος ὕπνος

ἀλλ’ ἄρ’ ἀπὸ βλεϕάρων πετάσας κληῖδα βαρεῖαν

ἀχλύος ἐν δίνῃσι ϕορεύμενος ἔδρακες ὄσσοις

πολλά τε καὶ χαρίεντα, τά κεν ῥέα οὔτις ἴδοιτο

25. πολυϕλοίσβοιο κυδοιμοῦ : Ιl.1.34 et al., cf. Nonn. P. 16.126 πολυϕλοίσβῳ δ’ ἐνὶ κόσμῳ ; Procl.H.1.20 μέγα κῦμα βαρυϕλοίσβοιο γενέθλης, 30 βαρυσμαράγοιο βιότοιο ; H.7.29-30 κῦμα / πάντα πολυϕλοίσβοσιν ἑοῖς ῥεέθροισιν ἱμάσσον || 26. ἐς ᾐόνα νηχύτου ἀκτῆς : ~ Od.5.418 = 440 ἠιόνας ; 425 ἐπ’ ἀκτήν || 27. νήχε’ ἐπειγόμενος = Od.5.399a || 31. ἐξυπαλύξαι : cf. Od.5.430 ὑπάλυξε || 33. ἐν μεσάτοισι κλύδωνος = Od.12.421 || 34. ἐγγύθι ναίων : Od.7.29 ἐγγύθι ναίει claus. || 35. λοξᾐσιν ἀταρποῖς : cf. Nonn. D.38.225 λοξὴ πολυέλικτος ἀταρπιτός ἐστι πλανήτων || 40. βλεϕάρων ἔχε νήδυμος ὕπνος = Ιl.2.2, Od. 13.79 (cf. PBodmer 29.5) || 40-41. πετάσας κληῖδα βαρεῖαν / ἀχλύος : Ιl.20.341 ἀπ’ ὀϕθαλμῶν σκέδασ’ ἀχλύν ; cf. Eun. VS 2.1.6 τὴν ἄγνοιαν… ὡς ἀχλύν τινα σκεδάσαι ; Nonn. P.9.72 Χριστὸς ἀπὸ βλεϕάρων ἐλάσας ἀλαωπὸν ομίχλην (cf. D.25.282 πάρος ἀχλυόεσσαν ἔχων ἀλαωπὸν ὀμίχλην), P.4.61 γυναῖκα Ἰησοῦ ἐδίδαξεν ἀπ’ ἀχλύος εἰς ϕάος ἕλκων ; Procl.H. 1.41 ἀχλὺν ἀποσκεδάσας ὀλεσίμβροτον ; Simpl. in Epict. ench. p. 454.13-15 Hadot ἱκετεύω ἀϕελεῖν τελέως τὴν ἀχλὺν τῶν ψυχικῶν ἡμῶν ὀμμάτων, ὄϕρ’ εὖ γινώσκωμεν (κατὰ τὸν Ὅμηρον) ἠμὲν Θεόν, ἠδὲ καὶ ἄνδρα || 43. πολλά τε καὶ χαρίεντα = Il.8.204a ; cf. PBodmer 29.3 χαρίεσσαν τι[μήν] || τά κεν ῥέα οὔτις ἴδοιτο : cf. PBodmer 29.12 τὸ μὲν οὔτις ἐπέδρακεν ὀσσ[όμενός περ

Come si vede dall’apparato, sono versi dalle molteplici risonanze omeriche e a loro volta variamente riecheggiati. Ma quel che vorrei sottolineare è che per questa poesia la categoria usuale di imitatio Homerica o, se si preferisce, di variazione del codice epico, coglie solo il livello del significante : a livello connotativo la riscrittura del modello omerico è guidata dall’interpretazione neoplatonica, che riprendendo l’Odisseo paradigma di virtù della tradizione stoica40 intendeva il naufragio come allegoria della lotta contro la materia, rappresentata dal mare41.

Vale la pena sottolineare l’importanza storico-letteraria di questo carme, un vero turning-point nel riutilizzo di Omero in base alle letture allegoriche : l’applicazione pratica, per così dire, dei principi enucleati nel De antro Nympharum42. Non sorprende, anche alla luce di quanto si notava sopra, trovarla in un passo della Parafrasi di Nonno, poeta che mostra di conoscere bene il neoplatonismo alessandrino. Nel passo dell’ultimo capitolo del vangelo giovanneo, in cui Pietro vede Cristo sul lago e a differenza degli altri discepoli si tuffa in mare per raggiungerlo, Nonno riprende la lettura porfiriana del naufragio di Odisseo. P. 21.44-48 [~ Gv. 21.7 ἥλατο εἰς τὴν θάλασσαν καὶ ἦλθεν πρὸς τὸν Ἰησοῦν] :

καὶ ταχὺς εἰς ῥόον ἆλτο καὶ ἠθάδα πόντον ἀμείβων

χεῖρας ἐρετμώσας, κεϕαλὴν εἰς ὕψος ἀείρων,

ποσσὶν ἀμοιβαίοισιν ὀπίστερον ὤθεεν ὕδωρ̇

ἀκτῆς δ’ ἐγγὺς ἵκανε θεηδόχον ᾐόνα βαίνων,

Ἰησοῆς ὅθί μίμνε δεδεγμένος.

Secondo un meodo che gli è usuale, il poeta sviluppa in quattro versi la breve notazione giovannea43, filtrandola attraverso l’imagerie della nuotata dell’anima di Plotino-Odisseo44, che traspare dietro la nuotata di Pietro verso l’ἀκτή che è θεήδοχος perché vi si trova Cristo45, approdo di salvezza. La reinterpretazione della scena omerica attraverso l’oracolo porfiriano non doveva sfuggire al colto pubblico alessandrino, pagano e cristiano, cui è indirizzata la poesia di Nonno46. D’altra parte la conoscenza della poesia oracolare e la battaglia ideologica che si combatté attorno ad essa sono aspetti della cultura tardoantica ben noti47 : essi si riflettono anche nella concezione oracolare dell’attività poetica mostrata dallo stesso Nonno nella Parafrasi48.

Si attende ancora uno studio complessivo sui modi in cui la poesia greca tardoantica riutilizza il materiale epico tradizionale ; in queste pagine ho cercato brevemente di mostrare come accanto alla distinzione fra elementi di codice e imitazione consapevole, fra allusione e riscrittura, e accanto alla considerazione di come l’imitazione si rapporti rispetto al contesto del modello, occorra anche analizzare un diverso tipo di riutilizzo, indotto da principi eteronomi e ideologici, prima che estetici. Accade, in altre parole, che l’opzione per un certo tipo di lettura crei i presupposti della riscrittura. Mentre la tradizione grammaticale-filologica privilegia i problemi interpretativi appartenenti all’ambito lessicale e sintattico, l’interpretazione allegorica neoplatonica (e i suoi precedenti, quella pitagorica e quella stoica) tende a scoprire un secondo livello di significato, a guardare attraverso il testo (è una icastica definizione di Lamberton per Proclo), disinteressandosi dell’esegesi puntuale e puntando a cogliere lo σκοπός, il significato complessivo delle opere omeriche : per far ciὸ si dota di una griglia interpretativa teoretica che porta i suoi sforzi a livello di ermeneutica letteraria, più che di allegoria pura e semplice.

Le realizzazioni poetiche nutrite di questo sforzo concettuale conciliano in qualche modo le due opzioni : la tradizione filologica non viene meno, ma risulta accresciuta dall’interpretazione allegorica. È il caso, esemplare, dell’oracolo porfiriano. Ma anche la poesia cristiana è informata da questa supplementarietà del senso : la sovrapposizione fra Omero e le Scritture produce risultati estetici forse ancor più sorprendenti, per i quali si è potuto parlare di straniamento, di accordo nel disaccordo49. Il risultato non è una poesia allegorica, nel senso della Psychomachia prudenziana, ma una poesia inevitabilmente plurisemantica, che adotta soluzioni stilistiche differenti (il barocchismo e la complessità semantica della Parafrasi nonniana ; la transcodificazione della Metafrasi dei Salmi) e che quasi naturalmente, e un po’ paradossalmente, trova la sua realizzazione estrema nell’esperimento del centone.

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1 Buffière 1956, Pépin 19762 e 1982, Lamberton 1986, 1992 ; si veda ancora Cesaretti 1991 (per Bizanzio), McDonald 1994 (gli Atti di Andrea costruiti come una cristiana Odissea), Helleman 1995 ; Lamberton 2002 ; van Liefferinge 2002.

2 Penso soprattutto ai lavori di Janine Balty (raccolti in Balty 1995) ; della ‘convenienza’ delle rappresentazioni omeriche mi sono occupato in Agosti 2004.

3 “Most preserved ancient readings are decidedly odd, and the philological tradition had no trouble identifying them as misguided and therefore neither representative nor interesting. “Allegory” served as general rubric for such reading, deliberate distortions of the meaning of the texts. But, like it or not, those readings where everywhere” nota icasticamente Lamberton 2002, 186.

4 Su di essa si veda Buffière 1956.

5 Lamberton 2002, 194-205.

6 Ps.-Plu.Hom.92 Kindstrand, analizzato da Lamberton 2002, 201-202.

7 Porph. Il. p. 240.15 sgg. Schrader, in cui si parla di ἀλληγορία che risulta ἀπὸ τῆς λέξεως, cioè dalle risorse interne della dizione omerica (Lamberton 2002, 187-188).

8 Analisi esemplari del rapporto con l’architesto omerico si trovano ad es. in Vian 1991, Hopkinson 1994 ; molto materiale è raccolto nei recenti commenti ed edizioni di poeti tardoantichi.

9 In altre parole, quando si prendono in considerazione le strutture linguistiche e le estetiche formali la distinzione fra poesia pagana e poesia cristiana appare poco funzionale (e ciὸ vale almeno sino a Paolo Silenziario). In questo senso vd. anche, da ultimo, Cameron 2004, 340.

10 Indagata nel bel libro di Pier Cesare Bori (1987).

11 Stella 2001.

12 Per un panorama dell’epos biblico greco rimando ad Agosti 2001 e 2002.

13 Orig. Cels.1.42, p. 92.22-93.8 Koetschau ἀλλ’ ὁ εὐγνωμόνως ἐντυγχάνων ταῖς ίστορίαις [scil. i miti Greci e il racconto omerico della guerra troiana], καὶ βουλόμενος ἑαυτὸν τηρεῖν καὶ ἐν ἐκείναις ἀνεξαπάτητον, κρινεῖ, τίσι μὲν συγκαταθήσεται τίνα δὲ τροπολογήσει, τὸ βούλημα ἐρευνῶν τῶν ἀναπλασαμένων τὰ τοιάδε, καὶ τίσιν ἀπιστήσει, ὡς διὰ τὴν πρός τινας χάριν ἀναγεγραμμένoις. καὶ τοῦτο προλαβόντες δι’ ὅλην τὴν ϕερομένην ἐν τοῖς Εὐαγγελίοις περὶ τοῦ Ἰησοῦ ἱστορίαν εἰρηκαμεν, οὐκ ἐπὶ ψιλὴν πίστιν καὶ ἄλογον τοὺς ἐντρεχεστέρoυς ἐκκαλούμενοι, ἀλλὰ βουλόμενοι παραστῆσαι, ὅτι εὐγνωμοσύνης χρεία τοῖς ἐντευξομένοις, καὶ πολλῆς ἐξετάσεως, καί, ἵν’ οὕτως ὀνομάσω, εἰσόδου εἰς τὸ βούλημα τῶν γραψάντων, ἵν’ εὑρεθῇ, ποίᾳ διανοίᾳ ἕκαστον γέγραπται. Sul passo si veda la discussione di Lamberton 1986, 81 e Fédou 1988, 116-139.

14 Sul carattere sacrale del libro in età tardoantica vd. Chuvin 1990, 155-165 ; Averincev 1988, 251-285.

15 Clem.Al.Strom. 5.116.1 (intuizione in Omero del Padre e del Figlio) ; Meth.Symp.8.12 (utilizzo di Il.6.181-183), vd. Lamberton 1986, 242 ; Agosti 2002, 100. Sul trattato di Nag Hammadi vd. Scopello 1977. Sulla spiritualizzazione di Omero nella cultura cristiana la miglior sintesi è sempre Rahner 1980, 205-423 ; si veda anche Ševčenko 1980.

16 Hanfmann 1980, 78 ; vd. anche Zanker 1995, 325.

17 Agosti 2001, 85-87, 92-94, con bibliografia.

18 Agosti 2001, 78 ; l’edizione di riferimento della redazione lunga è quella di Rey 1998. Sui meccanismi formali di adattamento del materiale omerico vd. Usher 1998 e Rey 2002.

19 Il PBodmer 35 è una riscrittura di Ps.101, vd. Hurst 2002 ; sulla tradizione dei due Apollinarii prodigiosi compositori di poesia biblica in reazione al decreto giulianeo è lecito nutrire più di un dubbio, vd. Agosti 2001, 68-71.

20 Ps.-Apoll.Met. Ps. πρ. 3 Golega.

21 Si veda l’esteso saggio di lettura di Gonnelli 1989.

22 Il rivestimento di significati cristiani in Omero è il presupposto necessario, del resto, anche per la visione etica espressa da Basilio nell’In adul. : grazie alla superimposizione di valori cristiani non solo si superava il rischio del contatto con il poeta pagano, ma si dava anche l’impressione di una consonanza assai stretta fra il pensiero omerico e quello biblico.

23 Lo ribadiva con vigore qualche anno fa Dorival 1994, 651-669.

24 Su cio è fondamentale il libro di Roberts 1989.

25 La percezione del fenomeno è meno immediata, vista la mancanza di monografie paragonabili a quelle prodotte per i poeti ellenistici (ad es. Rengakos 1994 ; Magnelli 2002, 5-21) : ma nei commenti ai singoli poeti è già disponibile una grande quantità di materiale per un’opera di sintesi.

26 Per l’esegesi antica vd. Rengakos 1994, 146-147, 177.

27 Cfr. P. 3.98, 4.226 e 5.99 (dove sono allusi ambedue i significati). Per una discussione più dettagliata, e altri testi cristiani, rimando ad Agosti 2003, 465.

28 Nonn. P.5.21-22 κοίράνε, νουσοκόμοιο ϕιλοστόργοιο χατίζωˑ / οὐ γὰρ ἔχω τινὰ ϕῶτα διάκτορον [ ~ Gv. Κύριε, ἄηθρωπον οὐκ ἔχω] : vd. Agosti 2003, 337-346.

29 Cfr. Agosti 2002, 96-97. Sulla presenza dell’associazione Hermes-Cristo nei centoni vd. Smolak 1979, 32.

30 οὕτωϛ, οὓϛ ἐθέλει, καὶ ὁμοίιοϛ υἱὸϛ ἐγείρει = Il.24.344 = Od. 5.48, 24.4 (τῇ τ’ ἀνδρῶν ὄμματα θέλγει / ) ὧυ ἐθέλῃ, τοὺς δ’ άὖτε καὶ ὑπνώοντας ἐγείρει ; cfr. Agosti 2003, 446-447.

31 Agosti 2002, 96-97 con bibliografia.

32 E il poeta si dimostra anche assai parco anche nell’uso della tradizionalissima allegoria fisica nell’episodio della teomachia in D.36.

33 Gigli 1985, 211-245.

34 Una recente messa a punto in Athanassiadi 1999 e in Brisson 2004.

35 Già Lewy, sporadicamente, nella sua monografia aveva osservato qualche significativa variazione su Omero (Lewy 19782, 79 n. 48, 106, 195 n. 74, 219).

36 In cui l’agg. può indicare luoghi geografici (Call. Fr.1.36, A.R.4.310), armi (ἄορι τρ. in Call.Del.31, αἰχμῇ τρ. in Opp.H. 3.553, 4.253, 538, [Opp.]C.1.152), ma anche ῥιπή in Opp.H.4.646 o σίδηρος H.5.364.

37 All.34.4 τεχνικῶς δὲ προσέθηκεν εἰπών· « ίῷ τριγλώχινι βαλών », ἵνα διὰ συντόμου τὴν τριμερῆ ϕιλοσοϕίαν ὑπò τοῦ τριγλώχινος ὑποσημήνῃ βέλους.

38 Orac. Chald. fr. 37.10-12 su cui vd. Gigli 1986.

39 Su quest’oracolo nell’ultimo decennio si è concentrata l’attenzione degli studiosi, a partire dall’articolo Goulet 1982, 369-412, fino al commentario di Brisson / Flamand 1992, 565-602. Concordo con chi (Goulet ; Brisson 1990) sostiene per la parte centrale dell’inno un’origine in una conventicola caldaica o in un tempio dell’Asia Minore : Porfirio ha probabilmente riscritto un oracolo ‘originale’. Importanti i contributi di Edwards (1988 ; 1990 ; 2000, 64-68).

40 Per passi tardoantichi riferiti proprio allo sbarco dell’Odisseo naufrago presso i Feaci e ispirati a questa tradizione si puὸ vedere ad es. Greg. Naz. de virtute 1.2.10.406, PG 37.709 = p. 144 Crimi ; Basil. In adul. 5.7.

41 Ad es. Porph. Antr. 34 Westerink τοῖς περὶ Νουμήνιον ἐδόκει Ὀδυσσεὺς εἰκόνα ϕέρειν Ὁμήρῳ κατὰ τὴν Όδύσσειαν τοῦ διὰ τὴς ἐϕεξῆς γενέσεως διερχομένου καὶ ούτως ἀποκαθισταμένου εἰς τοὺς ἔξω παντὸς κλύδωνος καὶ θαλάσσης ἀπείρους [cf. Od. 11.122-3]… πόντος καὶ θ άλασσα καὶ κλύδων καὶ παρὰ Πλάτωνι ἡ ὑλικὴ σύστασις [cf. Plat.Pol.273d-e εἰς τὸν ἀνομοιότητος ἄπειρον ὄντα πόντον δύῃ] ; si veda anche Heracl.All.72.4-19, Plot.Enn.3.6.19 e Syn.Hymn.2.77.

42 Tracce di questa fortuna si trovano, ad es., oltre che nel passo nonniano citato subito dopo, anche nell’Inno 9 di Sinesio, in cui l’autore descrive la risalita dell’anima a Dio. La fortuna dell’oracolo è continuata in epoche di rinnovato interesse per il neoplatonismo, come dimostra l’epigramma greco di Poliziano in onore del maestro Giovanni Argiropulo (Epigr. 11 Pontani), o i carmi di W. B. Yeats. The Delphic Oracle on Plotinus (1931) e News for the Delphic Oracle (1938). Spero di tornare sulla questione in un prossimo lavoro.

43 Jo. 21.6-7 era inteso in senso battesimale nell’esegesi.

44 Nonn.47 ἀκτῆς δ’ ἐγγὺς ἵκανε θεηδόχον ᾐόνα ~ Porph. VP 22.27 ἐς ᾐόνα νηχύτου ἀκτῆς), ambedue costruiti sul modello omerico ; Nonn.48 ὅθι ~ Porph. VP 22.29 ἦχι.

45 L’immagine della riva come punto di approdo in cui si vede la luce divina, si trova anche al v. 13 della prima delle tre iscrizioni del tempio di Apollo a Hierapolis in Frigia dove si legge νυκτὸς ἀπὸ ζοϕερῆς ἐϕάνη ποτὲ ϕσϕόρος ἀκτή.

46 Che dibatte in filigrana con la teología neoplatonica : ne ho trattato in Agosti 2001, 94-99 e 2003, 97-101. D’altra parte la Vita Plotini è costruita come un vangelo neoplatonico (Edwards 2000).

47 La circolazione degli oracoli teologici (un genere individuato da Nock e studiato da Robert) fu assai ampia : un esempio fra i più famosi è l’oracolo epigrafico di Enoanda sull’essenza del vero dio, citato da Lattanzio, da Gregorio Nazianzeno e imitato in PBodmer 29. Molti di questi oracoli furono adattati a una interpretatio christiana, fino alla silloge comunemente nota come ‘Theosophia di Tubinga’.

48 Ho sviluppato questo punto in un contributo in corso di stampa nei Mélanges J. Schamp.

49 Averincev 1988.