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I poemetti del codice bodmer e il loro ruolo nella storia della poesia tardoantica

Gianfranco AGOSTI

Quindici anni dopo la Visione di Doroteo, la pubblicazione dei papiri Bodmer XXX-XXXVII porta alla nostra conoscenza l’intero Codice delle Visioni e apre di fatto un nuovo capitolo nella storiografia letteraria tardoantica. Oggetto di una serie di contributi di natura critico-testuale, metrica o di interpretazione puntuale1, piuttosto che di caratterizzazione storico-letteraria2, la Visione era comunque subito apparsa un testo di notevole importanza per la conoscenza di un periodo cruciale come il IV secolo : cosὶ Jean-Michel Carrié non ha esitato a ricordare « le poème mystique anonyme de La Vision de Dorothéos », accanto alle nuove epistole e ai nuovi sermoni agostiniani e agli Hermeneumata di Sponheim, fra i testi che hanno rinnovato l’interesse e la conoscenza della tarda antichità3. In un lavoro di qualche anno fa, scritto assieme a Fabrizio Gonnelli4, avevo cercato di considerare la prassi metrica della Visione nell’ambito della più generale evoluzione dell’esametro dei poeti cristiani greci. Avendo potuto vedere i testi inediti grazie alla cortesia di André Hurst, potei constatare che i nuovi poemetti presentavano una prosodia, una versificazione e una lingua assai simili a quelle della Visione, cosicché ai fini di una tassonomia storiografica era necessario attendere la pubblicazione dell’intero codice. Adesso è dunque possibile cercare di delineare il ruolo che il Codice delle Visioni occupa nell’ambito della produzione letteraria tardoantica5, indicando soprattutto le direzioni in cui l’indagine a mio avviso dovrebbe muoversi.

I. La poesia in Egitto. Il sorgere della poesia cristiana in metri classici

Il primo punto da considerare è che, ancora una volta, abbiamo a che fare con poesia proveniente dall’Egitto, cioè dal paese che è, per fattori socio-culturali e per il prestigio ininterrotto della tradizione greca, la patria di molta parte della poesia tardoantica. La passione degli Egiziani per la poesia, cosὶ icasticamente descritta da Eunapio (τὸ δὲ ἔθνος ἐπὶ ποιητικ μὲν σφόδρα μαίνονται6), trovὸ piena soddisfazione grazie al fiorire nel IV e nel V secolo di una intensa attività poetica, soprattutto ad Alessandria e nella Tebaide, che culmina con l’opera di Nonno e di coloro che ne hanno seguito le orme metriche e stilistiche7. Buona parte della poesia egiziana si caratterizza come pagana (Trifiodoro, Claudiano, Pallada, Pamprepio, molti dei minori wandering poets) o almeno dedita a soggetti mitologico-politici, bellettristici, comunque legati alla cultura classica8. Benché il rapporto dei cristiani con la paideia classica dopo la svolta costantiniana9 sia stato senz’altro meno problematico, per quanto riguarda la poesia in metri e forme classiche (in primis quella epica), l’Egitto finora si configurava per tutto il IV secolo come una zona di forte continuità con il passato, tanto da avvalorare in qualche modo l’equazione poesia pagana = resistenza al cristianesimo.

Il generale atteggiamento cristiano verso la poesia, opposto a quello cosὶ appassionato degli Egiziani, giustificava questa visione. Ancora Gregorio di Nazianzo, ad esempio, si è sentito in dovere più volte di giustificare la sua attività poetica, privilegiandone (almeno a livello teorico) la funzione pedagogica10, evidentemente per tutelarsi contro le resistenze di molti ambienti ecclesiastici : queste sono riassunte emblematicamente in una epistola di Nilo di Ancira, in cui viene stigmatizzata la predilezione per gli epicismi di un monaco, che era stato grammatico, e viene condannata la pratica del fare poetico, compromesso anche dagli eretici11. Nella pratica è attestata peraltro una produzione assai rilevante, spesso direttamente connessa ad esigenze cultuali e devozionali12, di cui ci sono perd pervenuti pochi e frammentari testi. Ancor più scarse sono le tracce della poesia in metro epico : in greco, prima della scoperta del Codice Bodmer, le attestazioni di carmi esametrici13 erano fino a Gregorio di Nazianzo sporadiche e di limitata estensione14, se si eccettua il caso particolare dei libri cristiani inseriti nella raccolta degli Oracoli Sibillini15, e risalenti probabilmente al III secolo (proprio il libro VI degli Oracoli, l’inno acrostico al Cristo, si avvale del titolo di più antico poemetto cristiano16). Infatti, eccetto pochi esempi di Gregorio di Nazianzo17, il tipico genere poetico cristiano, quello della poesia biblica, si sviluppa solo nel V secolo e in misura sorprendentemente18 minore rispetto alla poesia latina : la Parafrasi giovannea di Nonno, la Metafrasi del Salterio di un Apollinare (ambedue egiziani), quelle dell’Ottateuco e di Zaccaria e Daniele (perdute) di Eudocia e i Centoni omerici.

La pubblicazione della Visione, e ora del resto del Codice Bodmer, è venuta Cosὶ a colmare il vuoto testimoniale fra la prima fase della poesia cristiana del III secolo, e il corpus gregoriano della seconda metà del IV secolo, confermando in modo eclatante ciὸ che era legittimo sospettare : fra i due periodi c’è stata una continuità. Ed è assai significativo che questa continuità sia attestata proprio in Egitto.

II. Un momento di crisi ? L’editto di Giuliano e la poesia cristiana

Purtroppo i nuovi testi sfuggono a una collocazione croologica precisa. Mentre per la Visione alcuni studiosi avevano pensato a una datazione intorno alla metà del IV secolo19, gli editori indicano adesso una data intorno alla persecuzione dioclezianea : i poemetti, conservando vivo il ricordo della persecuzione non sarebbero di molto posteriori20. Una collocazione cronologica dunque non lontana dal primo poema biblico in esametri, gli Evangeliorum libri di Giovenco (329-330)21. La scelta di una datazione rispetto all’altra dipende anche dall’identificazione che si propone per Doroteo : o quello martirizzato sotto Diocleziano, o quello di Tiro, martirizzato sotto Giuliano, ambedue ricordati da Eusebio22. In ogni caso, siamo nella prima metà o al massimo attorno alla metà del IV secolo.

Sarebbe allora accattivante collegare i nuovi poemetti con uno dei nodi più problematici della storiografia letteraria cristiana, la presunta ’crisi’, determinata dal famoso editto di Giuliano del 17 giugno del 362, che di fatto proibiva, istituendo una sorta di controllo etico, l’insegnamento dei classici ai professori cristiani23. Sulla scorta di interpretazioni antiche, molte volte questo provvedimento è stato evocato per spiegare la nascita della poesia parafrastica, come una ’risposta’ cristiana alla proibizione di insegnare i classici24. Ma la brevità del divieto25, la non veridicità della sua estensione agli studenti (testimoniata nei polemisti cristiani26) rendono quest’idea poco verosimile. In realtà l’idea di contromosse cristiane al divieto di Giuliano, prendendo probabilmente spunto dagli attacchi di Gregorio Nazianzeno (Or. 4,4e 101 ; 5,1), è in sostanza un prodotto della pubblicistica cristiana27, di cui abbiamo testimonianza in due passi, uno di Socrate che risale ai primi anni del 440 (HE 3,16) e uno, di qualche anno più tardo, di Sozomeno (HE 5,18). Ambedue informano del provvido e rapido sforzo di due Apollinarii, il padre γραμματικός e il figlio σοφιστής, che avrebbero supplito all’interdizione versificando in esametri il Pentateuco, i libri storici e gli altri in versi pindarici e in commedie menandree, e riscritto il NT sotto forma di dialoghi platonici28. A distanza di quasi un secolo questi sorprendenti esperimenti davano luogo a giudizi contrastanti, liquidati da Socrate come inutili, e genericamente lodati da Sozomeno. Per l’appunto la Metafrasi del Salterio che possediamo per intero va proprio sotto il nome di un Apollinario, che perὸ non è uno dei due letterati della crisi giulianea, dato che il poema appartiene sicuramente alla metà del V secolo.29 Se dunque veramente i due Apollinarii hanno parafrasato tutte le Scritture a scopo didattico, dei loro sforzi non ci è rimasto nulla.

Il codice della Fondation Bodmer potrebbe sembrare di prim’acchito una raccolta in qualche modo comparabile a quella presunta dei due Apollinarii. Manca perὸ un tratto caratterizzante come la polimetria (i poemi sono in esametri e in un caso in distici, J.)30, e sebbene l’ispirazione biblica sia evidente in tutta la raccolta solo Abr e A. sono vere e proprie parafrasi. D’altra parte le incertezze sull’origine e sulla natura del fondo Bodmer (una biblioteca ’monastica’ o ’scolastica’ ? 31) non permettono di andare oltre le ipotesi. Se fossero testi letti in una scuola vi sarebbe la prova di parafrasi di episodi biblici e di salmi in esametri omerici a fini didattici, come quelli attribuiti ai due Apollinarii : che tali fini fossero contemplati è dimostrato dalle poesie bibliche di Gregorio di Nazianzo32, il quale invoca espressamente motivazioni pedagogiche anche nel carme In suos versus (2,1, 39). Ma non c’è molto nel contenuto dei poemetti del Codice Bodmer che autorizzi ad interpretarli come testi di destinazione scolare, se si esclude la presenza di un genere tipicamente scolastico come l’etopea33. La natura del manufatto esclude piuttosto che si abbia a che fare con una raccolta di esercizi scolastici, sia di calligrafia che di versificazione34. È invece evidente che il Codice Bodmer è una raccolta di poesie epiche cristiane, incentrate su una figura esemplare (Doroteo), che designa una storia della salvezza.

Dal punto di vista storico-letterario mi sembra che escluda qualsiasi legame con la ’crisi’ giulianea il fatto che gli autori dei poemetti non si pongono alcun problema di ordine teorico riguardo l’utilizzazione di forme della letteratura classica, e non esprimono incertezze sulla liceità delle parafrasi bibliche in versi omerici : tratto questo che li accomuna a Nonno di Panopoli, la cui Parafrasi giovannea è priva di riflessioni poetologiche. Evidentemente l’approccio cristiano alla poesia in metri classici non era problematico in tutte le zone dell’Impero, o comunque in Egitto si era trovato un compromesso che altrove risultava più difficile da accettare (basti pensare al già ricordato caso di Gregorio)35 : ciὸ che non stupisce considerata la vitalità della tradizione culturale greca nell’Egitto tardoantico, in cui del resto l’unione di Omero e Mosè era stata già da tempo tentata, come mostra il dossier di luoghi biblici accostati a consonanti passi omerici confluito in un testo singolare quale il trattato di Nag Hammadi, La storia dell’anima36.

III. Il quadro storico. Doroteo e i suoi ‘discepoli’

Ho già accennato sopra alle difficoltà di datazione dei poemetti e di identificazione del Doroteo protagonista della Visione, un punto che richiederebbe una trattazione a parte. Vorrei perὸ fare una piccola precisazione sul colofone della Visio Dorothei : Δωροθέου Κυΐντου ποιητοῦ, mi sembra vada inteso nel modo più piano « Doroteo figlio del poeta Quinto », come è ora confermato da J. 160 Δω[ρόθ]έον Κύντου. La qualifica ποιητοῦ nel colofone potrebbe addirsi sia a Doroteo che al padre : in ogni caso ciὸ non significa che Doroteo fosse figlio di Quinto Smirneo37. Tutte le coincidenze fra passi della Visione e i Posthomerica sono da ricondurre ad elementi di codice epico, escludendo un’imitazione diretta. Nei nuovi poemetti tali coincidenze appaiono in misura molto minore, corroborando l’impressione che Quinto non fosse uno degli auctores di questo gruppo di poeti.

Dalla narrazione della Visione e dalla parabola disegnata in J. sembra si possano ricavare le seguenti informazioni :

1) Doroteo era un cristiano che a un certo punto ha fallito nel suo compito di testimonianza, ma che ha saputo rialzarsi e grazie alla sua μαρτυρίη si è guadagnato il paradiso38. Gli editori hanno discusso a lungo, e con ragionevolezza, le implicazioni connesse alle tematiche dei vari poemetti39 : che Doroteo abbia subito il martirio, oltre che dalle affermazioni contenute in J., sembra implicitamente confermato dal resto del codice, con la scelta di soggetti tipologicamente legati al martirio (Isacco, Abele) nonché di riflessioni sulle sofferenze dei Giusti. Mi chiedo, ma è solo un’ipotesi di lavoro, che si muove del resto in parte sulla falsariga di quanto già proposto40, se l’insistenza, che tutto il codice condivide, sul tema della μετάνοια, nonché la ’seconda consacrazione’ che Doroteo riceve nella Visione (vv. 305 sgg.), possano riflettere le polemiche che seguirono in merito al comportamento da tenere verso i lapsi, in particolare verso i chierici che avevano abiurato. In Egitto la discussione sui lapsi ebbe un peso notevole nello scisma meliziano41, anche se non ne fu la causa scatenante42. Annik Martin ha mostrato che il punto di frizione era costituito dall’opportunità o meno di reintegrare i chierici nelle loro funzioni : mentre Melizio lo escludeva categoricamente, Pietro d’Alessandria, nella lettera penitenziale indirizzata alle chiese d’Egitto dopo la Pasqua del 306 prevedeva per i chierici che avessero affrontato vittoriosi un nuovo combattimento il ripristino delle antiche funzioni43. A me sembra che i poemetti del Codice Bodmer riflettano la posizione più conciliante, che poi corrisponde a quanto sappiamo da essi della vicenda umana di Doroteo (cfr. J. 161 [3] ?). Nella Visione hanno un ruolo determinante le prove di ὐπομονή e d’altra parte l’imagerie agonistica (1Cor 9,24-27) è concretamente tradotta dall’esperienza visionaria in una lotta contro un misterioso avversario (forse Cristo stesso che ’allena’ Doroteo44), in cui Doroteo diviene un novello Giacobbe. Nel fondo della collezione Bodmer è presente del resto un altro testo assai importante, la versione greca degli Atti di Filea, che dà spazio allo scottante problema dei lapsi : il prefetto Culciano per indurre Filea a sacrificare gli indica l’esempio di Pierio, prete responsabile della scuola catechetica di Alessandria, che aveva abiurato (Act. Phil. Bo 2,5-7).

2) Sembra anche che l’autore della Visione sia diverso da quello (o quelli ?) degli altri poemetti. Non è tanto lo stile, o la mancanza di alcune idiosincrasie linguistiche o dei latinismi burocratici45, quanto il contenuto della chiosa finale di J. (Doroteo ormai fra i δίκαιοι), che induce a questa conclusione : ammesso naturalmente che non si voglia intendere la situazione dipinta in J. come una ’proiezione’ simbolica, una situazione ideale che l’autore spera si realizzerà ; oppure l’essere fra i δίκαιοι come una denominazione dell’ascetico βίος ἀγγελικός. Infatti i versi finali di J. [3] presentano seri problemi interpretativi, che dipendono in buona sostanza dall’integrazione del v. 161 (κ[αί θ’] ἑ oppure κ[αί μ]ε), nonché dal valore da dare a κομισσάμενος di 159 ; non è chiarissimo inoltre se i vv. 154-156 siano da legare a quanto precede o introducano un altro concetto. Si puὸ propendere, come gli editori, per un unico sviluppo logico, integrando κ[αί θ’] ἑ e intendendo il participio come un vero preterito, ma si puὸ altrettanto legittimamente integrare κ[αί μ]ε e spiegare i vv. 154-156 in riferimento alla situazione di chi ha raggiunto il paradiso, salvato da Dio (cfr. 67-73 dove il contesto è identico) e non in riferimento diretto a Doroteo, il quale subentra dopo e, con la σφραγίς che conosciamo anche da VD 300 e Abr. 27, nomina se stesso e si augura di poter andare in paradiso, visto che è stato già salvato da Dio. Anche i quattro versi iniziali [5] si possono intendere come l’enunciazione di una situazione generale e non necessariamente come un esplicito riferimento alla vicenda terrena di Doroteo. In conclusione, restando fermo che vi sono delle differenze fra i vari poemetti, mi sembra che quanto meno si debba prendere in considerazione la possibilità che l’autore dei primi tre poemetti, caratterizzati dalla σφραγίς, sia sempre Doroteo.

Che i poemetti siano da collegare a un ’gruppo’ cristiano è abbastanza evidente46. Lo è meno la natura di questo gruppo, che si puὸ designare come δίκαιοι sulla scorta dei poemetti stessi. Gli editori disegnano, sia pure con la doverosa cautela, una comunità piuttosto ristretta, rigorista47 e dedita al culto di Doroteo martirizzato48 ; Livrea definisce la stessa Visione un ’prodotto di consumo’ del gruppo49. Le prospettive che si aprono sono sostanzialmente due :

a) Se sono i δίκαιοι gli autori dei nuovi testi, essi avrebbero continuato l’esempio del loro rappresentante più prestigioso, o comunque dalla vicenda più esemplare, componendo dei poemi per onorarlo (più precisamente J. e forse Abr.), e tratteggiando una biografia di Doroteo, costruita su un piano ideale e paradigmatico50 e su quanto raccontato nella ’autobiografia’ della Visione51 : un cristiano che è caduto ma ha saputo rialzarsi, dando prova di coraggio e di ὑπομονή. Doroteo è per i Giusti un « epic holy man »52, che ha svolto anche la funzione se non di caposcuola almeno di exemplum, guidando i seguaci all’esaltazione di Dio attraverso la poesia ispirata da Cristo-Gabriele [6]. La ’biografia’ spirituale di Doroteo da questo punto di vista ha molto in comune con la crescente produzione di βίοι della letteratura cristiana e pagana del IV secolo53.

b) I δίκαιοι sono non gli autori dei poemetti, ma gli estensori del codice, i fruitori di testi che già circolavano (ne sono un indizio le correzioni a margine ?) e che essi hanno riunito secondo un disegno preciso (il medesimo sopra descritto). Sarebbe tentante identificare questi estensori con i possessori della biblioteca del fondo Bodmer.

L’atteggiamento rigoristico ed encratita che traspare soprattutto da J. 111-118 (dove si consiglia la rinunzia alla politica, al matrimonio e ai beni materiali), l’insistenza sulla cura degli orfani e delle vedove (X. 16, 21)54, farebbe pensare, se non ad una comunità monastica stricto sensu, comunque a qualcosa che le assomiglia, che partecipa di una medesima atmosfera etico-religiosa (siamo negli anni dell’anacoretismo di Antonio e del diffondersi del monachesimo in Egitto). Questa comunità era in ogni caso di alto livello culturale e si rispecchia perfettamente negli interessi che traspaiono dal fondo Bodmer : esso infatti contiene oltre a vari testi cristiani anche Omero, Tucidide e Menandro, cui vanno aggiunti i testi dei PBeatty e del codice miscellaneo di Barcellona, se provengono tutti dalla stessa biblioteca55. Se il luogo d’origine di questa biblioteca fosse veramente da collocarsi presso Panopoli si delineerebbe un quadro culturale affascinante, ben trovato anche se non vero. Ma mi sembra opportuno ricordare l’avvertimento di Roger Bagnall : « A text, or even a whole library of texts, does not make a sect or a community »56. In effetti, a parte gli indizi esterni di tipo papirologico, che rivelano l’esistenza di una biblioteca unitaria, più difficile mi sembra riconoscere nei poemetti altri elementi che possano far parlare di un tipo ben preciso di comunità : il pensiero espresso, come mostrano gli editori, è sostanzialmente ’ortodosso’ e non caratterizzato da particolari marchi dottrinali. Anche il ’vocabolario particolare del gruppo’57 non mi sembra che abbia tratti cosὶ distintivi : esso mostra piuttosto il lavoro di assestamento e di creazione di un nuovo linguaggio poetico da parte della poesia cristiana. Certo non è facile immaginare una comunità quasi-monastica (uso l’espressione solo per comodità euristica) impegnata a praticare Cosὶ intensamente la poesia epica, soprattutto se si pensa all’atteggiamento critico del monachesimo egiziano verso la cultura classica (Antonio ἀγράμματος καὶ θεοδὶδακτος, secondo l’interpretazione di Atanasio, VA 72-73 ; Shenute che nel V sec. schernisce la cultura dei pagani di Panopoli58), un atteggiamento ideologico comunque che non deve far pensare a un basso livello culturale59. In ogni caso qui siamo in una fase abbastanza antica e in un contesto, in cui evidentemente (lo ripeto) la poesia cristiana in esametri non costituiva un problema. Il progetto di glorificare la vicenda di Doroteo attraverso la poesia di stile classico si puὸ paragonare agli epigrammi damasiani, al Peristephanon di Prudenzio, oppure con maggior aderenza ai Natalicia di Paolino da Nola su S. Felice, alla più tarda Vita Martini di Venanzio Fortunato60. In greco non abbiamo nulla di veramente confrontabile : al secolo successivo appartiene il S. Cipriano di Eudocia, versificazione di un racconto agiografico. Quest’atteggiamento cosὶ ispirato alla paideia classica era forse eccezionale, specie negli anni immediatamente seguenti alle persecuzioni61, ma non sufficiente per escludere a priori anche comunità vicine a quelle monastiche : nella prima metà del IV secolo il panorama doveva essere più variegato ed eterogeneo di quanto poi non si sia stabilizzato in seguito, e inoltre noi tendiamo a dare del monachesimo un’idea monolitica che poco tiene conto delle varietà di modelli e di comportamenti62. Le comunità anacoretiche create da Basilio e Gregorio ad Annesi prevedevano un’ascesi compatibile con le esigenze di riflessione filosofico-culturale della paideia classica63. A Leontopoli, ai tempi di Pietro d’Alessandria, esisteva la comunità di asceti diretta da leraca, un singolare personaggio, dotato di una buona conoscenza della cultura greca, seguace delle dottrine di Origene e autore in greco e in copto di commenti alle Scritture, trattati ascetici e soprattutto di molti inni64.

Di comunità dedite alla produzione poetica ’collettiva’ abbiamo altri casi nella tarda antichità : ad esempio le conventicole orfiche, anche se resta da dimostrare che testi cronologicamente distanti ed eterogenei come gli Inni orfici, i Lithica e le Argonautiche orfiche65, provengano da gruppi analoghi, per non parlare del resto della « baraonda di libri » orfici. Si pensi anche a circoli cristiani di un certo spessore culturale, come il salon di Marciano a Costantinopoli descritto da Sinesio (Ep. 101,66-78 Garzya-Roques)66, o piuttosto come quello di Macedonio, primo destinatario del Carmen Paschale di Sedulio67.

Mi sembra perd che dal punto di vista tipologico le analogie più strette con questa comunità di δίκαιοι che celebra in poesia il ricordo di Doroteo si trovino nei circoli filosofici riuniti attorno a un maestro carismatico : in particolare nei circoli neoplatonici, dove era anche ammessa la pratica della poesia68. Anzi non mi sentirei affatto di escludere che uno dei motivi per cui in Egitto la pratica della poesia cristiana non ha incontrato ostacoli fosse anche il differente peso che aveva nella propaganda pagana la pratica della poesia esametrica : i filosofi neoplatonici componevano molta poesia religiosa69 ; Proclo (che studio anche ad Alessandria) scrisse degli Inni, e il vangelo dei neoplatonici alessandrini, gli Oracoli caldaici, era in versi. La poesia di Sinesio stesso va spiegata su questo sfondo culturale-religioso. Nel profondo rapporto che legava Plotino ai suoi discepoli non era estranea la poesia : e del resto Porfirio nella sua biografia ha inserito il riadattamento di un oracolo sull’anima del maestro, che è anche il primo esempio di completa risemantizzazione di modelli omerici (Vita Plotini 2270), un testo che mostra punti di contatto con il codice Bodmer, soprattutto con la Visione. E come in J. anche in questo oracolo si tratta dell’anima di Plotino che è ascesa al cielo e si trova nel Paradiso fra i δίκαιοι pagani.

IV. Aspetti formali

Dal punto di vista linguistico-espressivo il Codice Bodmer offre un materiale di urgente interesse : la prosodia e la metrica, l’impiego dell’acrostico, i generi letterari esperiti, la lingua, sono i settori forse più fecondi di risultati.

IV.1. La metrica

Dal punto di vista metrico71, dai primi rilievi fatti non mi sembra che vi siano elementi che portino a conclusioni diverse da quanto si ricava dall’esame della Visione72. La prosodia è basata sull’indifferenza delle quantità dei suoni vocalici, un sistema in cui i ’fattori anomali’ appaiono organizzati in un modo nel suo insieme coerente73, e in una quantità nota finora solo per Eudocia e per Dioscoro, o per i casi più isolati presenti negli Oracoli Sibillini, nel corpus orfico e negli epigrammi epigrafici74. I nostri autori cercavano di scrivere esametri dal loro punto di vista perfettamente funzionanti : versi che venivano percepiti dai fruitori, probabilmente non più in grado di distinguere le quantità, come esametri perché rispondenti a certe caratteristiche fondamentali (il lessico e lo stile) che li facevano riconoscere come tali. Nella outer metric alcuni macrofenomeni sono del tutto in linea con la generale tendenza dello sviluppo dell’esametro greco75, e sono dunque di per sé poco significativi, come è il caso della prevalenza netta della cesura trocaica, o degli εἴδη dattilici, il rispetto dei ponti principali come quello di Hermann ; mancano del tutto, anche come tendenze, le norme che regolano l’accento intensivo nell’esametro di Nonno76. In generale l’esametro dei poemetti, pur con alcuni caratteri (l’elevato numero di olodattilici, la tendenza a cercar di ridurre l’elisione) che si collocano in qualche misura nelle tendenze ’moderne’, è sostanzialmente omerizzante, come quello di Eudocia nel S. Cipriano. Si tratta pero di un arcaismo legato all’adozione dei moduli espressivi epici, piuttosto che a una consapevole opzione stilistica fatta in opposizione alle tendenze moderne. Arcaizzanti nei risultati come la Metafrasi del Salterio (metà del V sec.), i poemi Bodmer se ne differenziano per una formazione grammaticale meno rigorosa (cosa diversa dal grado di cultura letteraria) che non permette loro di esibire esametri prosodicamente irreprensibili77.

La mia impressione è che tutti i poemetti presentino una tecnica versificatoria omogenea : difficile trarne conclusioni plausibili. Si puὸ forse dire che gli autori si sono formati alla stessa scuola, non eccelsa peraltro. Era forse Doroteo stesso il πατὴρ ἀοιδῆς di questo gruppo di versificatori ? Siamo in presenza del prodotto di una scuola cristiana78 in cui si studiavano alcuni classici antichi, testi sacri, e si componeva poesia ? Ho già detto sopra che i poemetti non sono, a mio avviso, dei testi scolastici : un quadro più generico, ma forse più giusto, potrebbe indicare in Doroteo l’uomo più colto della sua comunità, in cui si era distinto per esemplarità di vita cristiana e capacità poetiche, tanto da formare degli ’allievi’ letterati che coltivavano la poesia come servitium e omaggio a Dio.

IV.2. I generi letterari

Il genere in qualche modo più atteso, fra quelli sperimentati dai poeti del Codice Bodmer, è senz’altro l’inno. Era un inno l’ottavo testo del codice, di cui pero non ci è rimasto praticamente nulla e di cui non possiamo divinare il metro : se erano esametri79, sarà stato un inno forse comparabile a Or. Sib. 6, che il suo ultimo editore assegna a una conventicola cristiano-neoplatonica d’Asia Minore80. Anche Jes. si presenta come un inno cletico, con la particolarità dell’acrostico alfabetico : la richiesta è affidata all’ultimo verso (in cui si ripete l’iniziale ω)81. Un inno a Cristo-Gabriele è inserito anche nella Visione di Doroteo 170 sgg. [1], e anche in X. ai vv. 22 sgg. appare una parentesi innica (ἴλαθί µοι etc.) di matrice salmica. In J. ben due volte c’è un’invocazione al cielo (42, 125 οὐρανέ) che almeno nel secondo caso introduce un breve inno. L’inserzione di inni all’interno di strutture compositive non è certo una novità : piuttosto per che i precedenti epici classici, pure importanti, occorre ricordare che si tratta di un modulo ben noto nella poesia cristiana, che risale geneticamente alla funzione archetipale dei Salmi, rafforzata dagli sviluppi innici neotestamentarii, e che nella tarda antichità venne impiegato fino al limite massimo82.

Il genere parenetico è rappresentato dall’acrostico D., un poemetto che, dopo tre versi introduttivi, contiene una lunga esortazione a sopportare le sofferenze, dato che Cristo è sceso sulla terra proprio per salvare i κοσμήτορέ λαῶν83 e per portare la μετάνοιαν ἀλίτροῖς. L’ispirazione del Pastore di Erma è evidente84 : il Signore nel suo discorso promette che allontanerà dalla torre i malvagi e coloro che si sono collusi col potere (ma l’integrazione del v. 21 è incerta) e hanno bruciato i libri, una allusione forse alle misure di Diocleziano del febbraio 30385.

J. è un poema complesso, in cui l’aspetto didascalico-parenetico è unito a quello narrativo : esso mostra dunque già uno sperimentalismo notevole per quest’epoca. La vicenda personale di Doroteo, la sua temporanea caduta nel tranello dell”Aπάτη, sono anche lo spunto per una riflessione sulla corruzione delle ricchezze, sul male, sulla punizione e la penitenza. Per molti aspetti si tratta di una retractatio teologica sulla paradigmatica storia di Doroteo narrata nella Visione, una forma non lontana dalla ’meditazione teologica’ tardoantica secondo i moduli individuati da Herzog86.

L’aspetto perὸ più interessante è la presenza nel codice di parafrasi bibliche. Dal punto di vista storico-letterario adesso sappiamo che la ’creazione’ di questo genere è avvenuta pressoché contemporaneamente in Occidente (il poema di Giovenco è del 329-330) e in Oriente. Si possono far rientrare nella tipologia sia Abr., che tuttavia si distacca fortemente dal modello, anche perché segue una già lunga tradizione esegetica e liturgica sull’episodio di Isacco87 (testimoniata anche in un testo liturgico, pubblicato da Roca Puig come « casta oblaciό », proveniente dal codice miscellaneo di Barcellona, che avevo già segnalato a suo tempo come molto vicino al poemetto Abr.88), nonché C. e A. Di quest’ultimi il primo in realtà si presenta come una vistosa amplificatio di Genesi 4,13-15, mentre il secondo prendendo spunto da un singolo versetto (Gen. 4,10) parafrasa il Salmo 101, inteso nella tradizione esegetica come tipologico del sacrificio di Cristo. Per questo poemetto siamo particolarmente fortunati perché possiamo fare il confronto con la resa del Metafraste salmico, che è più tarda di almeno un secolo. A. nella tecnica parafrastica è in sintonia con il resto della poesia parafrastica tardoantica, e mostra una discreta consapevolezza nell’epicizzazione, nelle amplificationes, nelle omissioni e nelle aggiunte89. Occorre anche ricordare la novità rappresentata dalle etopee cristiane in C. e in A.90 : l’etopea in versi, un genere poco praticato, sembra aver cominciato a essere di moda proprio verso il IV secolo91.

Il genere letterario dell’ultimo testo (X.), gravemente mutilo, è stato brillantemente individuato da Enrico Norelli92 : si tratta di una esortazione alle lodi di Dio che riprende da vicino i Pss. 146-150, specialmente il Salmo 148, e che si riconnette a una delle preoccupazioni costanti del codice, l’elemosina verso gli indifesi e la povertà come mezzo di purificazione.

Sul genere della Visione di Doroteo non sussistono dubbi, in quanto è lo stesso poeta ad informarci su di esso : infatti al v. 98, sopraffatto dall’orrore per la colpa commessa, il protagonista si augura che κακὴν δ’ ὅρασιν [σκε]δάσειεν ὕψιστος. Nella classificazione antica dei sogni I’ὅρασις o ὅραμα era considerata la visione nitida, venuta direttamente da Dio, appartenente al versante dell’ὅνaρ, il sogno significativo non intorbidato da complessi simboli. Nella terminologia tecnica dei resoconti visionari ὅρασις è una delle definizioni meno frequenti, poco usata anche nella dizione neotestamentaria : ma la sua consacrazione è sancita dalla ricorrenza nell’altro testo visionario del Codice Bodmer, il Pastore di Erma (Vis. 3,11,2 ; 3,12,1 ; 3,13,1). L’enorme diffusione delle esperienze oniriche e visionarie nell’’epoca di angoscia’ è troppo nota perché debba essere ancora rimarcata93 ; semmai si potrà qui ricordare che il poemetto è caratterizzato da numerosi tratti tipici del genere letterario della visione, che meriterebbero un’indagine più dettagliata94. Inoltre esso presenta analogie macrostrutturali con almeno altri tre testi visionari, e cioè la Visio Perpetuae95 ; la visione del nuovo tempio in Ezechiele 40-4396 ; un curioso poemetto epigrafico databile al I sec. d. C., la Visio Maximi (epigr. 168 Bernand), una trentina di versi acrostici opera di un comandante militare, che non conosceva benissimo il greco (come risulta dall’oscurità della dizione) : in esso il protagonista descrive un sogno avuto nel tempio del dio Mandoulis, in cui dopo una abluzione purificatrice riceve l’epifania del dio e l’iniziazione poetica con l’ordine di cantare (e dopo segue infatti un breve inno in esametri in onore del dio)97.

IV.3. L’uso dell’acrostico

Una delle caratteristiche più appariscenti dei nuovi poemetti è senz’altro l’uso dell’acrostico98 : Abr., Jes. e D. sono composizioni acrostiche alfabetiche. Questo artificio non manca di attestazioni nella poesia tardoantica, sia nella forma alfabetica che in quella che compone una frase99 : e questi tre nuovi casi mostrano che la pratica di impiegare la costruzione κατὰ στοιχεῖον era ancora più diffusa di quanto si immaginasse. Gli acrostici del Codice Bodmer appartengono a una serie che comprende quelli delle Instructiones di Commodiano (III sec.), l’inno acrostico che chiude il Simposio di Metodio di Olimpio, l’acrostico cristologico degli Oracoli Sibillini 8,217-250 (poi inserito nella traduzione greca della quarta ecloga nella Vita Costantini), le sentenze giambiche acrostiche di Gregorio di Nazianzo (Carm. 1,2, 30), gli acrostici conservati nei papiri del IV secolo (PBouriant 1, PAmherst 1.2 = 45,4 Heitsch, PBerol inv. 8299 = 45,3 Heitsch, PKöln 4.172) ; quello del Psalmus agostiniano. Ad essi si deve aggiungere l’altro caso del fondo Bodmer, PBOD 47100, nonché la già ricordata « casta oblaciό ».

I nuovi tre casi attestati sono perὸ particolarmente significativi, perché gli acrostici cristiani non sono in genere in esametri : ad esempio, anche per quei casi nei Salmi di cui si sapeva che l’originale ebraico era acrostico (Pss. 9, 24, 26, 110, 111, 118, 144), il Metafraste salmico non riproduce l’artificio, sia perché già omesso nei LXX sia perché estraneo alla lingua omerica. È possibile che l’acrostico fosse avvertito come un artificio compositivo di grande comunicatività e perciὸ stesso più adatto alla poesia ’popolare’ che a quella colta. I poemetti Bodmer anche da questo punto di vista mostrano una inaudita tipizzazione popolare dell’esametro.

L’impiego cristiano dell’acrostico era, com’è noto, coonestato da radici scritturistiche101 : mi sembra interessante ricordare che il simbolismo delle lettere dell’alfabeto aveva una sua diffusione in aree non lontane da quelle dei poemetti : Palladio ricorda che le classi dei monaci pacomiani tabennesioti erano divise secondo le lettere dell’alfabeto e secondo una logica conosciuta solo ai superiori102.

IV.4. Il codice epico e la ’cultura’dei poemetti

È ancora presto per un bilancio sulla lingua e lo stile dei nuovi poemetti, che richiederebbe analisi assai dettagliate. Tuttavia si possono almeno delineare alcune componenti di fondo della cultura e, quel che è più interessante, le modalità della ristrutturazione del codice epico. La base della cultura espressa nei poemetti è quella omerica ; gli autori possedevano inoltre una conoscenza degli altri due modelli epici principali della poesia imperiale, cioè Esiodo e Apollonio Rodio. Non mi sembra che si riveli imitazione cosciente di altri autori epici : le coincidenze con Quinto di Smirne sono poche e quasi tutte dovute all’utilizzo del codice epico103 ; non ho trovato, almeno per ora, tracce evidenti dell’utilizzo di Callimaco104.

Le reminiscenze di Esiodo sembrano invece il frutto di conoscenza diretta105 . Essa, comunque attesa in contesti didascalici, sarà stata anche favorita dalla rinnovata fortuna del poeta beotico in età tardoimperiale, una fortuna che continua quella ellenistica : assai eloquente è a tal proposito l’etopea acrostica di POxy. 3537r, in cui si descrive l’iniziazione poetica di Esiodo in termini visionari e apocalittici (apertura delle porte celesti, ordine di narrare ciὸ che ha visto), non dissimili da quelli della Visione106.

Anche Apollonio Rodio è da annoverare senz’altro fra le auctoritates che hanno influenzato gli autori dei poemetti107. La Visione del resto si conclude con un verso che è la quasi esatta riproduzione di Argonautiche 4,1744, inserito anch’esso in un inno cletico alla fine del poema [2]108. La citazione peraltro è condotta secondo la categoria interpretativa dell’oppositio in imitando : alla gloria ’terrena’ chiesta da Apollonio Rodio Doroteo contrappone la dolcezza che viene al poeta cristiano nel compiere il servitium poetico, che consiste nel cantare, novello salmista, le lodi di Dio. Nell’utilizzo di Apollonio il Codice Bodmer si inserisce in una tendenza costante in tutta l’età imperiale109. I poeti panopolitani considerano Apollonio Rodio uno dei loro auctores, come mostrano di fare anche ad es. Trifiodoro e Nonno. La rinnovata fortuna di Apollonio (o almeno della materia argonautica) nel IV secolo è indirettamente testimoniata anche da una recusatio di Gregorio di Nazianzo110. Nel V secolo si registrerà un caso eccezionale come quello delle Argonautiche orfiche, che sono una ’revisione’ del poema apolloniano.

Quando si tratta di condivisione di singoli vocaboli con epici precedenti va naturalmente sempre tenuta presente la possibilità che non si tratti di imitazione diretta, ma di uso di repertori lessicali. È il caso di κακορρέκτης, usato per indicare i malvagi in C. 17, A. 58 e X. 17. Si tratta, è vero di un hapax apolloniano 3,595, ma esso ricorre anche in Nic. SH 562,2 Λαομέδον[τι κακορ]ρέκτηι, e al femminile in Or. Sib. 3,754 κακορρέκτειρα χάλαζα. Probabilmente si è più nel giusto a parlare di agg. di derivazione ellenistica111. L’impiego nei nostri poemetti mostra come l’aggettivo acquisisca una sua dimenzione nella koinè poetica cristiana, per cui non stupisce di ritrovarlo in Eud. Cypr. 2,374 κακορρέκτης δαίμων e nella metafrasi dello Ps. Apollinario (Met. Pss. 9,68 ; 57,3 ; 118,236). Talora si puὸ senz’altro parlare di mediazione di repertori lessicali, di onomastica poetica (del tipo di SH 930), come è il caso dell’uso di πολυκτήτης in J. 33 : altrove solo in Eur. Andr 769 ricorre l’aggettivo πολύκτητος. È probabile che l’autore di J. potesse compulsare un lessico, come era abituale nella poesia tarda112.

Ma il rapporto privilegiato resta con Omero. Come già rivelava la Visione, la prassi compositiva dei poemetti del Codice Bodmer è basata su una massiccia utilizzazione del codice epico, che talora rasenta la centonatura113, talaltra invece mostra un utilizzo di espressioni omeriche condizionato dall’interpretazione allegorica. In generale i poemetti presentano un’ imitatio Homerica (laddove non si tratti di normale reimpiego del codice epico) già ben avviata, da una parte 1) verso la Kontrastimitation114, dall’altra 2) verso la strada della risemantizzazione, o dell’accrescimento del senso115, condizionato dalla letteratura esegetica intorno ai passi omerici.

Per quel che concerne il punto 1), basteranno alcuni esempi. A parte l’adattamento puro e semplice della terminologia pagana, soprattutto per indicare il mondo infero, impiego del resto già coonestato dalle Scritture116 e che ricorre anche negli altri poeti cristiani117, l’imitazione contrastiva si verifica nelle sue varie possibilità. Di solito viene trasferita al Dio cristiano una delle caratteristiche di un dio pagano (Usurpation) : in X. 66 ὑ[ψ]ιβρεμέτης è senz’altro Dio, cui viene attribuito un tipico epiteto di Zeus118. L’iniziativa peraltro non si deve al nostro autore, perché si trova già in Or. Sib. 3,1 ὑψιβρεμέτα, μάκαρ, οὐράνιε e 5,433 Θεὸς ὑψιβρεμέτης. Un caso particolare è invece quello del riuso del sintagma ἄγγελος ὠκύς, che appare due volte nella Visione (159 e 169) e poi in Abr. 2 e in J. 71 [4]. Nelle due ricorrenze omeriche del sintagma, una volta esso è riferito ad Iris e una volta a un messaggero. Ma dopo l’Inno omerico a Cerere, il nesso viene sempre riferito a Hermes : tale appare in un testo pressoché contemporaneo dei poemi Bodmer, la Cosmogonia di Strasburgo, un poemetto cosmologico in cui il nesso indica appunto Hermes-Logos119. Nella Visione designa il corrispettivo cristiano di Hermes, l’angelo Gabriele, secondo un’associazione che non sorprende date le affinità ’strutturali’ fra le due figure120, e che riappare altrove nella poesia cristiana. D’altra parte uno dei tratti tipici della Engelchristologie è l’identificazione di Cristo con l’angelo Gabriele, secondo l’esegesi cristologica dell’ ἄγγελος τῆς βουλῆς di Is. 9,6121 : essa agisce sicuramente nella Visione122, dove in una inestricabile potenzialità semantica si allude anche alla comunissima identificazione Cristo-Hermes, che è presente già in Iust. Apol. 21123 e traspare spesso nella Parafrasi nonniana, nella quale il poeta si mostra consapevole della sovrapposizione, favorita dalla ’natura angelica’, delle due figure124. Ad es., in P. 5,81 sg. viene citata patentemente la fonte omerica, che parla dell’azione di Hermes, e riadattata all’azione di Cristo che salva i giusti. Il passo va messo a confronto con J. 71, dove tenderei a interpretare l’angelo che porta i giusti in paradiso come Cristo-Gabriele, proprio come nella Visione125.

Un particolare tipo di imitazione contrastiva è quella di carattere didattico e parenetico, in cui un passo è richiamato per mostrare la falsità del modello pagano e per affermare la superiorità della concezione cristiana. Un bell’esempio si trova in Jes. 22-23 ψυχὰς δ’ ἐξ Ἐρεβεὺς πολέας προεήίκε φό]ωσδε / ὠΐσθή φάος αἰνον ῞Aιδῃ νεκύ[ε]σσι φ[ορῆσαι, in cui si accenna al descensus ad inferos126, utilizzando un emistichio odissiaco (che fa parte di un verso ripreso anche nei Centoni omerici per indicare lo stesso episodio) accostato all’incipit dell’Iliade127, il cui significato è rovesciato : l’ira di Achille mandava i guerrieri nell’Ade, mentre la discesa di Gesù ha tratto i morti fuori dall’Ade. La Kontrastimitation è tanto più interessante se si pensa che in una certa linea allegorica Achille era inteso come tipo del Cristo128.

Lo stesso tipo di imitazione informa la descrizione del paradiso nei primi quattro versi di J. [5], in un linguaggio assai stratificato, e dove appare sorprendente, accanto alla citazione paolina, il riuso di un sintagma odissiaco νῆσον ἐς ὠγυγίην, che in Omero è perὸ riferito all’isola di Calipso. L’emistichio istituisce un implicito confronto col sensuale e illusorio paradiso rappresentato dalla dea pagana, presso cui lo stesso Odisseo soffriva, e il paradiso beato riservato a coloro che seguono gli ’ordini’ di Gesù (3 ἐφετμέων129). Considerato dal punto di vista della sua funzione letteraria il riuso omerico assolve bene ai suoi compiti. Mi chiedo inoltre se esso contenga una allusione autoreferenziale. Il patriottismo egiziano tardoantico non esita a definire l’Egitto come terra ’Ωγυγία per antonomasia, e un tratto di ’campanilismo’ non giungerebbe certo inatteso : la poesia egiziana mostra infatti un forte legame con la propria terra, come rivelano vari luoghi delle Dionisiache di Nonno130, o il passo della προθέωρία del Metafraste salmico, in cui si parla dell’Egitto come primo luogo ad essersi convertito (πρ. 36 sgg., che parafrasa Ps. 67,74). Inoltre gli Egiziani consideravano le oasi come dimore dei morti : già Erodoto (3,26) testimonia che in un’oasi lontana sette giorni di cammino da Tebe esisteva un luogo detto Μακάρων νῆσοι131. L’autore di J. voleva dunque suggerire che il luogo dei beati si trova in Egitto, dove risiedeva anche la comunità ? 132

Un’altra tipologia di riuso omerico è quella veicolata dall’esegesi e dall’interpretazione allegorica. Si tratta di una categoria molto rappresentata nella Visione, ma che non manca anche negli altri poemetti (e che suppongo aumenterà quando disporremo di commenti analitici). Segnalo un solo caso, che mi pare perὸ significativo, e che riguarda l’interpretazione di Odisseo come figura Domini [6]. Infatti l’episodio in cui Odisseo si deturpa per poter entrare in Troia in vesti di mendico (4,240246133) viene riutilizzato, tramite l’allegoresi stoica e neoplatonica, sia nella Visio Dorothei per la flagellazione del protagonista, che ripete quella di Gesù ῥαπισ[μένος] ἐνὶ τύποις, « flagellato come paradigma » (come è detto in un inno acrostico del IV-V sec., PAmherst 1,23 = GDRK 45,4, 17 Heitsch), sia da Nonno nella Parafrasi per indicare le percosse subite dal Cristo (18,111), secondo l’interpretazione tipologica della figura di Odisseo134. In questo caso il supplemento di senso è convogliato sul sintagma omerico dal contesto di utilizzo. Nel passo della Visione l’allegoresi neoplatonica sul corpo disseccato (quale è nota ad es. da Porfirio, Antr. 34) si combina inoltre con la simbologia relativa al martirio, il battesimo di sangue. Cosὶ i raccapriccianti versi sulle carni sfaldate che lasciano trasparire le ossa135 ricordano analoghe descrizioni degli atti dei martiri : si tratta di un gusto espressionistico tipicamente tardoantico, che riappare nelle descrizioni e nell’iconografia136. La ripresa di VD 151-152 in A. 14-15 è informata all’interpretazione tipologica della morte di Abele come prefigurazione del sacrificio di Gesù137 e potrebbe essere un indizio per interpretare il racconto della Visione in senso simbolico e semmai come esortazione al martirio138.

Una terza tipologia è costituita da quei luoghi in cui il riuso omerico permette anche di trasmettere contenuti scritturistici. È il caso dei versi ὑπέρθετα di Abr. 1-2 [7] : essi riprendono l’attacco dell’ ἔκφρασις dello scudo di Achille Il. 18,483 (passo citato anche in A. 62), che già conosceva una lunga storia di esegesi allegorica, sovrapponendolo all’inizio della dichiarazione di fede di Act. 17,24, che viene costantemente citato nelle professioni dei martiri139. In questo modo si indirizza fin dall’inizio verso una lettura tipologica del sacrificio di Isacco. L’intersecazione col passo scritturistico assicura fra l’altro l’equivalenza κόσμος = γῆ, e la presenza Cosὶ dei quattro elementi : la variante συνέζευξε non va corretta140, perché allude appunto all’unione dei quattro elementi, espressa nella poesia tardoantica dall’agg. τετράζυξ, che appare per la prima volta in un testo ermupolitano (CosmStrasb 9r), per poi diventare tipico di Nonno141.

Un aspetto particolare della tecnica compositiva dei poemetti, soprattutto della Visione, è un’innegabile tendenza verso il centone. Senza discutere singoli punti142, vorrei solamente ricordare il quadro storicoletterario in cui si inserisce il Codice Bodmer. Esso è quasi contemporaneo al Cento di Proba e alle notizie sui due Apollinarii. Ho già detto che credo quest’ultima tradizione una falsificazione e d’altra parte non penso che l’opera di Proba sia stata scritta per fini didattici. Si sa che in Occidente i centoni cristiani ebbero tutt’altro che una buona accoglienza (Girolamo condanna come puerile l’esperimento di Proba)143 : il metodo centonario aveva suscitato diffidenze, forse anche perché praticato in ambito gnostico, come risulta dal centone valentiniano citato da Ireneo (Haer. 1,9, 4), in cui i versi omerici esprimono un’allegoria della discesa del Salvatore144. Peraltro l’intuizione omerica del Padre e del Figlio secondo Clemente Alessandrino (Str. 5,116,1), l’utilizzo di Il. 6,181-183 in chiave cristiana (con l’aggiunta di due versi) fatta da Metodio (Symp. 8,12), lasciano indovinare una pratica ammessa almeno occasionalmente145. Ma solo nel V secolo si avrà un esempio compiuto di poesia centonaria cristiana greca con gli Homerocentones, un’opera dalla storia redazionale piuttosto complessa e accolta anch’essa con giudizi contrastanti. Dalle parole che Eudocia ha scritto nell’epigramma di prefazione sembra che le riserve sugli Homerocentones fossero in primo luogo di natura stilistica e di genere letterario, e poi di natura contenutistica (epos cristiano vs poesia pagana). Non si fa invece parola di usi allegorici di Omero, anche se questi sono in certo senso impliciti nella risemantizzazione del modello omerico. Il punto centrale della questione era il buon uso di Omero, la sua liceità nell’ambito della poesia cristiana : i poeti del Codice Bodmer invece mostrano chiaramente di non sentire questo problema.

IV.5. Verso la costituzione del linguaggio poetico cristiano

Quanto fin qui esposto, sia pure per sommi capi, credo sia sufficiente a coonestare l’impressione che il Codice Bodmer presenti prodotti che si possono già pienamente classificare come poesia cristiana, intendendo con quest’espressione una poesia che pur adoperando il codice epico classico lo trasforma consapevolmente in qualcosa di nuovo. Essi aprono la via a quella poesia cristiana in metri classici che troverà un faticoso e lento equilibrio fra le sue due componenti a mio avviso solo nella Descriptio di Paolo Silenziario146.

A livello lessicale il Codice Bodmer mostra senz’altro che la koinè poetica cristiana era già in discreto stato di formazione. Oltre agli esempi sopra ricordati lo si vede chiaramente dai predicati divini. Questo settore è uno dei più delicati della poesia cristiana, che in generale evita il reimpiego di epiteti sentiti come troppo caratterizzanti gli dèi pagani, a meno che non sia motivato da Kontrastimitation. Sia la Visione che gli altri poemetti impiegano una serie di epiteti che poi avranno larga citta – dinanza nella poesia posteriore, e che sono il travestimento epico di epiteti scritturistici, come ἁγνός147 o ἄχραντος148 fra i predicati di purezza, ἄμβροτος, ἀμβρόσιος, ἄφθιτος, αἰώνιος fra quelli di eternità. Anche i predicati di eccellenza saranno in seguito piuttosto comuni, come ὕψιστος o ἄναξ149. C’è semmai da rilevare che sia la Visione (264) che il poemetto X. (7) usano un prosaicismo come κύριος, che invece è rigorosamente evitato da tutta la poesia posteriore, che lo sostituisce di regola con ἄναξ : solo Nonno impiega (41x !) l’altro equivamente κοίρανος, per cui tutti gli altri poeti (tranne Sinesio) mostrano una riluttanza : nell’unica ricorrenza del codice (J. 79) il termine è infatti riferito al demonio. Una rarità è invece l’uso dell’epicismo σκηπτοῦχος in Jes. 3 [Gesù], che è molto usato nelle Dion. da Nonno, ma solo tre volte in P. (3,80 [Dio] ; 18,162 ; 19,113 [Gesù]).

Anche l’uso di πατήρ è ovviamente quanto di più comune ci si potrebbe aspettare, e anche il riferimento della denominazione a Cristo rientra nei canoni. Da notare comunque la formularità nella Visione del sintagma πατὴρ κλυτός, di derivazione odissiaca, la cui appropriazione da parte della koinè poetica cristiana è dimostrata dal fatto che Doroteo lo ’declina’ e lo riferisce sia al Padre che al Figlio150 : l’unica altra ricorrenza nel codice è J. 155 πατέρα κλυτόν (Dio) [3].

Interessante a livello terminologico anche il caso della ’cristologia solare’151 che traspare dal codice, sia in VD 168 [1], che soprattutto in Jes. 7, 15, 17, 18, 22. Nella Visione è impiegato φαεσίμβροτος, tipico epiteto omerico riferito al sole152, mentre in Jes. 7 appare il più atteso φαοσφόρος.

In generale la Visione ha una maggior ricchezza di epiteti divini, e una maggiore varietà : termini rari come διοπτήρ153, predicati di self-generation come αὐτοφυής, πανάτικτος etc. Gli altri poemetti invece rifuggono da questo ’sperimentalismo’ e adottano un lessico che risulterà in seguito più usato : non saprei se dalla cosa si debbano trarre indicazioni dottrinarie. Una caratterizzazione assente dalla Visione e presente invece in Jes. 9 è quella di Cristo-medico (ἰητήρ), anch’essa pero estremamente tradizionale154. Comunque si trova qui l’unico accenno alle guarigioni operate dal Cristo : in generale si puὸ osservare che l’aspetto miracolistico non interessava gli autori del Codice Bodmer.

Per quanto riguarda il diavolo e la sua ’ipostasi’ l’ἀπάτη (peculiare di J.), si notera che quest’ultima ricorre spesso nei testi di Nag Hammadi155 ; ma anche nella Tavola di Cebete (5,2 ; 14,3 ; 19,5) e in poesia personificata (come qui) in Nonno (Dion. 8,110-113)156 : il miglior confronto mi sembra la figura di Πλάνη nel mosaico dionisiaco di Nea Pafos157. Διάβολος invece è evitato successivamente : Nonno nella Parafrasi lo impiega una sola volta (6,225), preferendo altre denominazioni (ἀλλοπρόσαλλος etc.) ; il termine riappare poi nelle omelie metriche di Romano. L’insistenza sull’aspetto ingannatore del diavolo è un tratto assai diffuso : i migliori paralleli poetici in greco si trovano nel S. Cipriano di Eudocia, che costruisce tutto un sistema sull’ ἀπάτη e sul δόλος dei demoni158 ; anche Giovenco impiega spesso l’astratto e « unepisch » fallacia159.

V. Il pubblico. Poetica cristiana e funzioni della poesia

È chiaro che la Visione è anche la storia di un’iniziazione poetica160. Quest’ aspetto, un po’ sottovalutato, è innegabile : nell’inno cletico a Cristo-Gabriele [1], una sorta di ’proemio al mezzo’, Doroteo esprime la propria investitura poetica attraverso il modello esiodeo, come del resto fanno altri poeti più o meno contemporanei (ad es. Quinto di Smirne, l’etopea di POxy. 3537). Il tutto con un’imagerie che diverrà corrente nella poesia cristiana : Cristo che sostituisce le Muse, il porto della quiete, usato in contesto poetologico anche da Gregorio, Carm. 2,1, 39,11161. Idee e immagini presenti anche nella coeva poesia pagana162.

Nella Visione, fra le prerogative che Doroteo lega alla propria funzione nel palazzo divino, sembra esserci quella della missione evangelizzatrice : egli chiede a Dio di essere inviato ἄνδρας ἐπ’ ἀλλοδαποὺς (VD 310), risemantizzando un’espressione omerica che anche nella Parafrasi di Nonno designa i Gentili163, e chiude la Visione indicando il suo ’programma poetico’ : essere messaggero di quanto Dio gli ha mostrato, e cantare le opere dei giusti e di Cristo signore, compito sempre più dolce di anno in anno per un poeta (339-343)[2]. È forte la tentazione di inferire che il poeta attribuisse proprio al suo canto la funzione evangelizzatrice presso i pagani, e che il contenuto del Codice Bodmer ne rappresenti in qualche modo la ’realizzazione’. Certo gli altri poemi non sono (o non tutti almeno) opera di Doroteo : ma l’autore della Visione poteva comunque essere l’ideatore del progetto, poi continuato dagli altri membri della ’comunità’ ; a meno che non si voglia pensare che la persona loquens della Visione sia solo una convenzione letteraria, anch’essa opera di coloro che hanno esteso il resto del codice. Alla fine di J. Doroteo è rappresentato (vv. 154 sgg. [3]) accanto a Dio, fra i cori angelici, con evidenti riprese testuali dalla Visione. Credo che il quadro sia da intendere anche come allusione all’attività poetica del nostro, che riceve ispirazione direttamente da Dio, cantandone novello salmista le lodi : e mi conforta in questa lettura la vistosa ripresa di un sintagma esiodeo. In sostanza riterrei che l’autore di J. intendesse rafforzare l’idea del poeta cristiano che la ’comunità’ perseguiva : il cantore ispirato da Dio con Ι’ἀοιδή destinata a esaltare le lodi del Signore.

Se i carmi bodmeriani facevano parte di una biblioteca di una comunità, in cui forse viveva anche il loro autore, il pubblico immediato cui il poeta si rivolgeva era proprio quello dei δίκαιοι. Ma non è detto che la funzione evangelizzatrice, sopra accennata, sia solo un topos ideologico : l’Egitto del IV secolo era pieno di pagani colti, con cui dialogare tramite un medium sentito come patrimonio comune, cioè l’esametro e la lingua omerica. Mi sembra che si possano delineare per i pometti Bodmer le stesse coordinate del Carmen Paschale di Sedulio, che presuppone in immediato il colto uditorio cristiano del circolo di Macedonio, contemplando pero, in un più ampio orizzonte d’attesa, anche l’istanza evangelizzatrice presso i pagani, quale è testimoniata espressamente in Oriente pochi decenni più tardi nel carme a Nemesio di Gregorio di Nazianzo (2,2, 3)164.

Questa visione ’evangelizzatrice’ della poesia, che previene i rischi di bellettrismo esasperando la funzione didascalica, è la stessa che si ritrova nell’epos biblico del V secolo, le cui soluzioni estetiche vanno inscritte in un dibattito sulla liceità della poesia cristiana, che ha coinvolto soprat- tutto gli intellettuali del milieu costantinopolitano, Eudocia e il Metafraste salmico (autore di origine egiziana), ma su cui anche l’alessandrino Nonno non ha mancato di far pervenire il suo apporto. Era in discussione la possibilità di una poesia biblica in lingua greca, che unisse caratteristiche di liceità formale (vale a dire di stile elevato), di fruibilità presso l’audience devota, ma anche di incidenza presso le élites pagane colte che, a vario titolo e misura, erano presenti a Costantinopoli come ad Alessandria. Mentre la soluzione sperimentata a Costantinopoli si è orientata sull’assorbimento e la risemantizzazione della tradizione omerica, in Egitto soprattutto Nonno ha percorso una strada diversa tentando un programma ideologico e poetico di autonoma ricreazione stilistica del Vangelo giovanneo, centrato sulla valorizzazione di uno degli elementi base del linguaggio cristiano, la retorica del paradosso. Quel che qui importa sottolineare è che tutta la poesia biblica era rivolta ad un’audience che si riconosceva nei valori della paideia ellenica. Percio l’opzione evangelizzatrice è sempre presentata come coesistente con quelle più propriamente stilistiche.

Dinanzi alle soluzioni stilistiche sperimentate dalla poesia biblica del V secolo (che rispecchiano una più generale tassonomia della poesia tardoantica, divisibile fra ’arcaizzanti’ e ’moderni’165) i poemetti del Codice Bodmer sono vicini a quella rappresentata dal Metafraste salmico, da Eudocia, dai Centoni omerici : essi sono lontani sia dalla ποικιλία tardoellenistica di Gregorio di Nazianzo, sia soprattutto dal nuovo stile barocco di Nonno166. La Visione e gli altri poemetti sono sostanzialmente basati sul riuso di Omero : tuttavia non si tratta solo di una operazione linguistica, una ’traduzione’ nella lingua primigenia del canto o il tentativo di battere i pagani sul loro stesso terreno, come nel caso del Metafraste salmico. La scelta va inserita in quella tradizione di ’spiritualizzazione’ del testo omerico, che nel III secolo comincia a delinearsi compiutamente (si pensi all’ Antro delle Ninfe di Porfirio, o all’oracolo nella Vita di Plotino 22) : essa fu il frutto di un lavoro d’esegesi sul ’testo sacro’ parallelo all’impegno ermeneutico dei cristiani sulle Scritture, condotto con una sostanziale similarità di metodo, riassumibile nel principio ossimorico di una polisemia inesauribile ma al contempo accessibile a tutti i livelli e continuamente rinnovantesi. Un eloquente passo di Origene si esprime chiaramente sulla necessità di adottare lo stesso metodo di analisi per i due testi sacri, insistendo sulla εὐγνωμοσύνη, che comporta disponibilità a riconoscere i vari livelli del testo167. Un momento esemplare dev’essere stato, per i poeti cristiani, la traduzione della IV ecloga fatta curare da Costantino nell’orazione In sanctorum coetum 19-21 (ca. 313), dove la cristianizzazione dei modelli epici è già operata a un livello profondo e con perizia dal traduttore. Il testo omerico, se opportunamente letto, è capace di esprimere le verità cristiane. È questo l’atteggiamento di fondo che sta dietro i poemetti del codice Bodmer. In tal senso la presenza delle parafrasi è importantissima, perché gli autori mostrano già di aver individuato il terreno su cui si giocherà la battaglia. Qui comincia la strada che porta alle parafrasi del V secolo e ai centoni omerici, opere che hanno tutte alla loro base un intento evangelizzatore verso i pagani rimasti, dialogando in una lingua a loro accettabile. Non è un caso infatti che il Metafraste salmico insista sul problema della lingua, compiendo una vera e propria operazione di recupero dell’ ἀρχαιότης, di restituzione dell’armonia metrica originaria ai Salmi : essi sono resi in lingua omerica dato che anch’essa è stata creata da Dio all’origine, ed è strumento del canto per eccellenza, comprensibile a tutti, quindi anche ai pagani che devono essere convertiti (Met. Pss. πρ. 30-34, in part. 32 ἵνα γνώωσι καὶ ἄλλοι168). Allo stesso modo Eudocia nella sua opera poetica ha cercato di fare mediazione fra cristianesimo e cultura greca169, scrivendo soprattutto parafrasi : oltre a quelle (perdute) dell’Ottateuco e di Zaccaria e Daniele, intorno al 439 parafraso una vita di S. Cipriano, scelta non casuale vista la forza evangelizzatrice che la vicenda del mago iniziato ai misteri pagani e poi convertito poteva avere (anche la scelta di edificare a Costantinopoli una chiesa a S. Polieucto va inquadrata in quest’ottica)170. I Centoni sono un’opera di letteratura alta che si rivolge a un pubblico competente delle Scritture, ed anche esperto di Omero ; ma essi sono inoltre, proprio per quest’ultima caratteristica, un’opera di evangelizzazione, in quanto disvelano le potenzialità del santo Omero. Anche la Parafrasi di Nonno, senz’altro il più innovativo poema cristiano greco, l’unico che possa accostarsi per originalità di concezione stilistica alla grande poesia latina contemporanea, è espressione di un elaborato progetto culturale, in cui trovavano posto sotto nuova forma sia la componente più specificamente classica che quella cristiana. La Parafrasi è rivolta certo a un uditorio cristiano, che avesse un livello d’istruzione tale da apprezzare lo straniamento stilistico provocato dal vangelo in versi nonniano171, ma ciὸ non esclude che fra il pubblico fossero presenti anche pagani di alta cultura : non si sottolineerà mai abbastanza che Nonno ha scelto proprio il quarto evangelo, il più ’greco’, ’traducendolo’ nella poesia esametrica capace di parlare ai pagani in un linguaggio comune. In sostanza l’audience interessata a un simile progetto era un pubblico composto di pagani colti e anche di cristiani, simile al pubblico misto cristiano (la maggioranza) e pagano che dobbiamo immaginare alle lezioni dei professori di filosofia di Alessandria172.

Il quadro che si delinea per questi poemi credo che sia valido anche per il Codice Bodmer. Certo la fruizione immediata sarà avvenuta all’interno della ’comunità’, come ben hanno mostrato gli editori. Ma se si pon mente alla situazione dell’Egitto nel IV secolo, non credo che si possa fare a meno di sottoscrivere l’ipotesi avanzata sopra, cioè che questa poesia era concepita anche per avvicinare un pubblico pagano. Se poi i poemetti vengono dal Panopolite (la patria di poeti quali Ptolemagrio, Trifiodoro, Nonno, Ciro e Pamprepio), avremmo a disposizione un quadro storico-culturale in cui pagani e cristiani dialogavano sul terreno dell’alta cultura. La funzione estetico-ideologica dei poemetti del Codice Bodmer non appare dunque dissimile da quella espressa da Atanasio alla fine della Vita di Antonio, scritta per un gruppo di monaci occidentali, ma anche per tutti coloro che vogliono riconoscere le verità del cristianesimo, e soprattutto gli ἐθνικοί173.

Appendice : testi di riferimento

[1] VD (PBOD 29) 168-177

ἤλυθε δὲ Χρηστὸς φαεσίμβροτος ἐν δικ[αίο]ισι,

ἤλυθε δ’ ἄγγελος ώκύς, ὃς ἄφθιτος ἔπλετ[ο πάντω]ν.

170 Γαβριήλ, μάλα χαῖρε, σὺ γὰρ πατὴρ ἔπλε[υ ἀοιδῆς

οὔτι κατήφησας τὸν ἐμὸν νόον ὡς ὅτε μή[τηρ

ἀμφιχυθεὶς φίλον υἷα κινύρεται, ὡς σύ [παρέστης

δείξας σήματα πάντα, βαλών χαρίεσσαν ἀοι[δὴ ν]

ἐν στήθεσσιν ἐμοῖσιν, ὄπιν χέα[ς] ωγ...]εφ[

175 ἐν λιμέσιν μαλακοῖσιν εφεζόμενον λιτα[νεύειν.

τοῖα δ’ ἐνὶ στήθεσσιν ἐμοῖς ποτικάμβαλες αὐδ[ὴν

θέσπιν, ἵνα κλείοιμι τά τ’ ἐσσόμενα π[ρ]ό τ’ ἐόντα.

[168. φαεσίμβροτος ἐν δικ[αίο]ισι : cfr. Clem. Alex. Protr. 11,144,3 ὁ τὰ πάντα καθιππεύων δικαιοσύνης ἥλιος, Or. Sib. 6,28 ἡνίκα άστράψει‹ε› τὸ σόν, θεός, ἔμπυρον ὄμμα ; Nonn. P. 1,11 οὐρανίαις σελάγιζε βολαῖς γαιήοχος αἴγλη, 1,124 οὗτος αφωτίστοισι φάος μερόπεσσι ὀπάσσει, 13,144 παμφαέος Χριστοῖο, 20,81 Χριστόν… στίλβοντα ; Jes. (PBOD 32) 7 φαοσφόρος ἐν δικαίοισιν, 17 ῥιπὴ δ’ ἐκ Χρηστοῖο πέλεν φάος ἠ[ελίοι]ο, 22 φήνατο δ’ ἐίν δικαιοις ἅγιον φάο[ς ἰσοθε]ος φῶς. 169. ἤλυθε δ’ ἄγγελος ὠκύς : vd. ad [4]. 170. ἔπλε[υ ἀοιδῆς scripsi (Claud. Gig. gr. 1,7 σύ γὰρ θεὸς ἔπλευ ἀοιδῆς) ; fort. ἔπλε[’ ἐ.μεῖο] (Ap. Rh. 4,743). 171. κατήφησας : scripsi (Agosti 1996-97). 173-174. HApoll. 519 ν στήθεσσιν ἔθηκε θεὰ μελίγηρυν ἀοιδήν. Cfr. Or. Sib. 2,2-3 (θεός) μοι πάλιν ἐν στήθεσσιν ἔθεντο θεσπεσίων ἐπέων πολυγηθέα φωνήν, Greg. Naz. Carm. 2,2, 5,265 Χριστὸν ἔχοις ἐπεων ἡγήτορα, 1,1, 34,23 χεῦε μένος καὶ θάρσος ἐνὶ στήθεσσιν ἐμοῖσιν, A.P. 1,28,1-2 Χριστέ, θεοῦ σοφίη, ὄπασον χάριν εὐεπιάων / καὶ λογικῆς σοφίης ἐμπεραμον τέλεσον, [Apol.] Met. Ps. πρ. 110 Χριστὸν ἀειζωοντα λαχῶν ἐπαρωγὸν ἀοιδῆς. 175. Od. 11,19 ἐν λιμέσιν χαλεποῖσι, HHom. 19,9 ῥείθροισιν ἐφεζομενος μαλακοῖσι, Clem. Alex. Protr. 118,4 κυβερνήσει σε ὁ Λόγος ὁ τοῦ θεοῦ καὶ τοῖς λιμέσι καθορμίσει τῶν οὐρανων τὸ πνεῦμα τὸ ἅγιον, Greg. Naz. Carm. 2,1, 39,10-11. 173-176. ἀοιδήν – αὐδήν : Or. Sib. 11,322 s. ἄναξ, νῦν παῦσον εμήν… πολύήρατον αύδήν / … / δος δ’ ιμεροεσσαν αοιδήν, 12,295 σύ γαρ εἰς ἐμὸν ἦτορ ἔθηκας / αὐδὴν ἀμβροσίην / … ἄμπαύσον με καὶ ἱμεροεσσαν ἀοιδήν ; [Orph.] A. 4-5 πέμπε… αὐδὴν / ὄφρα… ἀοιδὴν / ἠπύσω. 176-177. Hes. Th. 31-2 ; Greg. Naz. Carm. 1,1, 4,70 s. πάντα θεῷ προπάροιθεν, ἅτ’ ἔσσεται, ὅσσ’ ἐγένοντο, / ὅσσα τε νῦν παρέασιν, etc. αὐδ[ὴν / θέσπιν : Nonn. P. 13,81 φορμίζουσα τόπερ φάτο θέσπις ἀοιδή]

[2] VD (PBOD 29) 339-343

εὐξάμήν ὑψίστοιο θεοῦ ἕνεκ’ ἄγγελ[ος εἶναι

340 πάντων ὧν μ’ ἐφέηκε καὶ ἐν στή[θεσσιν ἀ]οιδ]ὴν

παντοίην ἐνέηκε παρεστάμενα[ι καὶ ἀείδ]ειν

ἔργων δικαίων ἠδ’ αὖ Χρηστοῖο ἄνακτος

εἰς ἔτος ἐξ ἔτεος γλύκερώτερον αἰὲν [ἀοιδῷ.

[343. Ap. Rh. 4,1744 ἀοιδαὶ / εἰς ετος ἐξ ἔτεος γλύκερώτεραι εἶεν ἀείδειν]

[3] J. (PBOD 31) 154-164

ἀγλ[α]ῶι δὲ θρόνωι ἱστήκει τηλεθόων

155 ὑμ]είων πατέρα κλυτὸν λιγυρῆι ἐπ’ ἀοιδῆι

ἀγγ[έλ]οις ἐνστιχόων ἵμερα μελπόμενος

α.ω[...]οι ὕψιστος τὸν κάμμορον, ἐξαλέοιτο

χε[ῖρα]ς διαβόλού προφρονέως με λαβών,

οὐ[ραν]ῷ ἀγ‹λ›αόεντι κομισσάμενος παράδεισον

160 Δω[ρόθ]εον Κύντου ναιέμεν ἐν δικαίοις.

κ[...]ε θεὸς ῥ’ ἐσάωσε καὶ ἂψ ὄρθωσε πεσόντα

χείρε]σι διαβόλου καί ῥ’ ἀπάτης κρυερῆς.

ῷτω κρ]άτος ἠδὲ βίη πέλεται σοφίη τε μάλιστα

…]ατα ἀχράντοιο. ἀμήν

[155. πατέρα κλυτὸν : Od. 1,300 ; 3,198. 308 ; 6,36 πατέρα κλυτόν cfr. VD 91 πατέρα κλυτόν (Cristo : vd. Nonn. P. 12,15 ανθρώπου κλυτός υἱὸς ὑψoυμένος εἴη), 217 πατέρα κλυτόν (Dio), 228 πατέρι κλυτῷ (Dio) ; [Orph.] A. 15 πατέρα κλυτόν / λιγυρῆι ἐπ’ ἀoιδῆι : Hes. Op. 583 λιγυρὴν… ἀoιδήν, 658-59 τὸν μὲν έγὼ Μoὺσῃς Έλικωνιάδεσσ’ ἀνέθηκα / ἔνθα με τὸ πρῶτoν λιγυρῆς ἐπέβησαν ἀοιδῆς. Cfr. Sedul. CP 1,23-25 Cur ego Daviticis adsuetus cantibus odas / corda – rum resonare decem sanctoque verenter / stare choro et placidis caelestia psallere verbis, / clara salutiferi taceam miracula Christi ? ; Greg. Naz. Carm. 2,2, 1,3033 Χριστoφόροισιν, ὅσοι χθονός εἰσιν ὕπέρθεν / Άζυγέες, κόσμoυ βαιὸν ἐφαπτόμένοι, / ῞Υμνοις παννυχίοισι καὶ ἠματίοισιν Άνακτα / Μέλποντες, χθαμαλῶν ἀλλότριοι κτεάνων. 160. Cfr. VD 300. 162. κ[αί θ’] ἑ vel κ[αί μ]ε. 163-164. Cfr. ex. gr. Eud. S. Cypr. 1,131 αὐτoῦ γὰρ κράτoς έστὶ γέρας θ’ ἅμα κύδει. ἀμήν]

[4] VD (PBOD 29) 159

ἄ[σχε]τoν oὐκ[έ]τ’ ἔπαυσέν ἑὸν μένoς ἄγγελoς ὠκύς

VD (PBOD 29) 169

ἤλυθε δ’ ἄγγελoς ὠκύς, ὃς ἄφθιτoς ἔπλέτ[o πάντω]ν

Abr. (PBOD 30) 2

ἐκπροΐαλλέ τῷ ’Aβραὰμ ἄγγ[ελoν] ὠκυν

J. (PBOD 31) 71

καί τ[ότ]ε δ’ αὖ προΐησι πατὴρ θεός ἄγγελoν ὠκυν

[Il. 2,786 Τρωσὶν δ’ ἄγγέλός ἦλθε πoδήνεμoς ὠκέα ῎Ιρις, Od. 16,468 ὠμήρησε δέ μοι παρ’ ἑταίρών ἄγγελoς ὠκύς, HHCer. 407 Έρμῆς ἦλθ’ ἐριoύνιος ἄγγελoς ὠκύς ; Cosm. Strasb. 9v Gigli (= 24.9 Heitsch) πατρῴoυ καθαρoῖo νoήματoς ἄγγελoς ὠκύς ; vd. etiam Nonn. Dion. 3,374 ταχὺ ἄγγελoν [Hermes], [Apol.] MetPss. 34,9 e 11 διάκτoρoς ὀξύς = ἄγγελoς κυρίoυ Ps. 34,5-6)

Nonn. P. 5,80-83 (~ Jo. 5,21. ὤσπερ γὰρ ὁ πατὴρ ἐγείρει τοὺς νεκρoὺς καὶ ζῳοποιεῖ, oὕτως καὶ ὁ υἱὸς oὓς θέλει ζῳοποιεῖ)

ὥσπερ γὰρ γενέτης νέκυας μετὰ πότμoν έγείρει

80 ζώγρήσας παλίνoρσoν .ἀκινήτων δέμας ἀνδρῶν,

oὕτως, όὓς ἐθέλει, καὶ ὁμoίιoς υἱὸς ἑγείρει

ζωγρήσας φθιμένων παλινάγρετα σώματα φωτων.

Il. 24, 344 = 5, 348 = 24, 4 τη τ’ ἀνδρῶν ὄμματα θέλγει / ὧν έθέλῃ, τοὺς δ’ αὖτε καὶ ὑπνώoντας ἐγείρει ; Hipp. Ref 5,7, 32 sgg., 151 Marcovich θέλγει δ’ὄμματα τῶν νεκρῶν, ὥς φησι, τoὺς δ’ αὖτε καὶ ὑπνώόντας ἐγείρει, ‹τoυτέστι› τoὺς ἐξυπνισμένoυς καὶ γεγoνότας μνηστῆρας περὶ τoύτων, φησίν, ἡ γραφὴ λέγεται « ἔγειραι, ὁ καθεύδων, καὶ ἐξεγέρθητι ‹ἐκ τῶν νεκρῶν› καὶ ἐπιφαύσει σoι ὁ Χριστός ». oὗτoς ‹δέ› ἐστιν ὁ Χριστὸς ὁ ἐν πᾶσι, φησί, τoῖς γενητoῖς υἱὸς ἀνθρώπoυ]

[5] J. (PBOD 31) 1-4

῝Ov φ[ιλέ]ε[ι] θεὸς οἶον ἀφήρπασε καί ῥ’ ἐκόμισσε

νῆ[σον] ἐς ὠγυγίην εἵνεκα μαρτυρίης

ἱερὸν ἐς] πα[ρά[δεισον ἄγων Χρηστοῖο ἐφετμεων

ὧν ἕ[νε]κεν [θν]ῇσκεν πλήρης ἐν σοφίη.

[2. νῆ[σον] ἐς ωγυγίην : Od. 1,85 ; 7,254 ; 12,448 I ωγυγίην : Steph. Byz. p. 707, 18-19 Meineke Αίγυπτος άλλα καί Ώγυγία εκαλείτο, Dion. Per. 269 Θηβην ὠγυγίην, Cosm. Strasb. 36v Gigli Ώγυγίη χθών, POxy. 1796 (= 60 Heitsch, vd. A. Zumbo, « AnPap » 4 (1992) 41-47) II 1 ὠγύγιος νoμος, Diosc. Aphrod. Carm. 34,6 Fournet ὠγυγίης γενεῆς. 3. ἱερον ἐς] πα[ρά]δεισον = J. 67, cfr. Or. Chald. 107,10-11 Des Places εὐσεβίης ἱερὸν παράδεισον… ἔνθ’ ἀρετὴ σοφία τε καὶ εὐνομία συναγονται / ἀφήρπασε : 2 Cor. 12,2 ἄνθρωπον… ἁρπαγέντα, 4 ἡρπάγη εἰς τὸν παράδεισον. 4. πλήρης ἐν σοφίῃ : Lc. 2,40 πληρουμενος σοφίᾳ]

J. (PBOD 31) 72-74

ὄφρα [φ]έρων ἀγάγη χῶρον ἔσω δικαίων

ἄμβρ[οτ]ον ὑψιπέτηλον ἀγάκλυτον εἰς παράδεισον

ἔνθα δὲ ναιετάων

[73. ὑψιπέτηλον… παράδεισον : cfr. Or. Sib. 1,27 παραδείσου ἐριθηλέι κήπω ; Greg. Naz. Carm. 1,2, 10,469 παράδείσος εὐθαλὴς φυτοῖς et al., Nonn. P. 3,8586 ζωῆς οῦρανίης αἰώνιον εἰς χορὸν ἔλθῃ / ναίων ἄφθιτον οἶκον ἐν εὐδένδρῳ παραδείσω]

[6] Visio Dorothei (PBOD 29) 130-131 ; 143-152

130                         Χρηστὸ ς προσέειπεν

« οστιάρ‹ο›ν σίγνοισι βαλὼν πληγῇσι δάμασσον » […]

ἐλθόντων δ’ ἄντροιο ἐπ’ ἀμβροσίοιο κέλευσεν

β[αίν[ε]ιν ἀμφ’ ἐμὲ. φῶτας ἐπὶ στίχιον δύο δύω

145 μάσ[τι]ξαν δ’ ἄρ’ ἐκεῖνοι ἀρηράτες ἐκ δέ μοι αἶμα

β[λύζ’ ε]ἰς δῶ[μα πέδονδ]ε καὶ ἐμπίμπλητο ἀταρπός

].[                      ]… ξ.[                        ].π’ ἐξημοιβὸν ἀλειταων

ωνο[                     ]ν ῥεχθὲν δέ τε νήπιος ἔγνων

ἀλγήσ[ας δ’ὑπέμείνα] τόδε πλέον ἐμμενὲς αἰεί.

150 μάστι[ξαν δ’ ἑτέρω]σε πέλεν δέ μοι αἱματόεις χρώς,

σάρκε[ς δὲ φθινύ]εσκον ἐερμέναι, ὀστέα δ’ οἶα

φαίνο[ντο προπάρ]οιθε, λύθε δέ μοι ἀλέα πάντα.

[131. Od. 4,244 αὐτόν μιν πληγῇσι ἀεικελίῃσί δαμάσσας ; Greg. Naz. Carm. 2,2, 3,19 δαμνάμενος πληγῇσίν, ὃ δὴ φάτις, αὐτὸς ἑῇσιν, A.P. 8,191,1 τέτρωμαι πληγῇσι ἀεικελιῇσι ὁ τύμβος ; Homeroc. 46,30 Rey αὐτός μιν πληγῇσι ἀεικελίῃσί δαμάσσω ; Nonn. P. 18,111 εἰ δὲ καλῶς κατέλεξα, τί με πληγησι δαμάζεις ; 148. ῥεχθὲν δέ τε νήπιος ἔγνων = Il. 20,198 ῥεχθὲν δέ τε νήπιος ἔγνω, Hes. Op. 218 παθὼν δὲ τε νήπιος ἔγνω. 151-2 σάρκε[ς δὲ φθινύθ]εσκον ἐερμέναι, ὀστέα δ’οἶα / φαίνοίντο προπάρ]οιθε : cfr. Od. 16,145 φθινύθει δ’ἀμφ’ὀστεόφι χρώς ; 9,293 ; 11,219 σάρκας τε καὶ ὀστέα ; II. 11,733 προπάροιθε φάνη, Q.S. 3,723-4 ὀστέα δ’αὐτοῦ / φαίνετ’.

Martyrium Polycarpi 2,2 μάστιξιν καταξανθέντες, ὥστε μέχρι τῶν ἔσω φλεβῶν καὶ ἀρτηριῶν τὴν τῆς σαρκὸς οἰκονομίαν θέωρεῖσθαι, Eus. HE 8,6, 2,1 γυμνὸς μετάρσιος ἀρθῆναι κελεύεται μαστιξίν τε τὸ πᾶν σῶμα καταξαίνεσθαι… ἤδη τῶν ὀστέων ὑποφαινομένων]

A. (PBOD 35) 13-16

τήκετο δὲ κραδίη κεκακωμέν[η] ἠύτε φιτρός,

σάρκες δὲ φθινύεσκον ἐερμέναι, ὀστέα δ’ οἶα

φαίνοντο προπάροιθε, λύθε δ[έ μοι] ἀίεα πάντα

οἰμωγὴ ἐπ’ ἐμεῖο κορύσσετο δ[ειρομ]ένοιο

[7] Abr. 1-2 (PBOD 30)

῝Oς κόσμον συνέζευξε καὶ οὐρανὸν [ἠδὲ θά]λασσαν

αἰθέρος

[Acta Pionii 8,3 Hilhorst τὸν θεὸν τὸν παντοκράτορα τὸν ποιήσαντα τὸν οὐρανὸν καὶ τὴν γῆν καὶ πάντα τὰ ἐν αὐτοῖς καὶ πάντας ἡμᾶς, Acta Cypriani 1,2 Bastiaensen nullos alios deos novi, nisi unum et verum Deum, qui fecit caelum et terram, mare et omnia quae in eis sunt, Acta Phileae Bo 11,18-12,2 Kortekaas τὸν [θ]εὸν τὸν π[οι]ήσα[ν│τ]α τὸν οὐρανὸν] καὶ τῆν γὴν | καὶ τὰ[ς θαλάττας]

Abbreviazioni bibliografiche

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____________

1 Indicazioni bibliografiche in Agosti 1996-97. Sui nuovi poemetti alcune precisazioni sono offerte da E. Magnelli, Sui nuovi poemetti del ’Codice delle Visioni’(PBodmer 31,43.62 ; 32,15 ; 35,64-65), « ZPE » 132 (2000) 153-156. I titoli dei poemi sono abbreviati secondo le indicazioni di Hurst-Rudhardt 1999, 2 ; i numeri in neretto fra parentesi quadre rimandano all’appendice di testi di riferimento.

2 Nei lavori più generali sulla poesia tardoantica, o nelle storie letterarie la Visione è stata poco considerata, tranne alcune eccezioni, come C. Moreschini / E. Norelli, Manuale di letteratura cristiana antica greca e latina (Brescia 1999) 314, che invece le dedicano un breve paragrafo.

3 J.-M. Carrié-A. Rousselle, L’Empire Romain en mutation des Sévères à Constantin 192-337 (Paris 1999) 22.

4 Agosti-Gonnelli 1995.

5 Sottoscrivo appieno le osservazioni di G. Dorival, Existe t’il une recherche proprement littéraire dans le domaine de l’antiquité tardive ?, « Topoi » 4 (1994) 651-669, distanziandomene pero laddove non si fa menzione della poesia, che – seppur quantitativamente minoritaria – è uno dei settori della cultura greca tardoantica in cui le ricerche condotte con nuova attenzione darebbero i risultati auspicati dallo stesso Dorival. Il fatto è che manca ancora per la pars Orientis un lavoro simile a quello compiuto per la poesia latina da Roberts 1989 ; per un approccio estremamente simpatetico alla poetica ’antico-bizantina’ vd. Averincev 1988.

6 Eun. VS 10,7, 12, p. 78,25-27 Giangrande (a proposito di Eusebio di Alessandria) κατὰ ρητορικὴν ἐξαρκεῖ τοσοῦτον εἰπεῖν ὅτι ἦν Aἰγύπτιος. τὸ δὲ ἔθνος ἐπὶ ποιητικῇ μὲν σφόδρα μαίνονται, ὁ δὲ σπουδαῖος ’Ερμῆς αύτῶν ἀποκεχώρηκεν : cfr. J. Gascou, La vie intellectuelle alexandrine à l’époque byzantine (IVe-VIIe siècles), in : Actes du XXXe Congrès International de l’Association des Professeurs de Langues Anciennes de l’Enseignemente Supérieur (Mulhouse 1998) 41-48. L’osservazione è peraltro meno priva di implicazioni di quanto si pensi : sarà un caso che sia introdotta a proposito di Eusebio (un cristiano ?) e dopo le topiche osservazioni sulla perfidia degli Egiziani ? Queste osservazioni sull’uso interessato della retorica (= poesia) ricordano le lamentele sulla decadenza della poesia espresse da Giuliano all’inizio del Misopogon, che inducono l’imperatore a scrivere poesia giambica… in prosa (su ciὸ rimando a G. Agosti, Late Antique Iambics and iambikè idéa, in : A. Aloni / A. Barchiesi / A. Cavarzere (edd.), Iambic Ideas. Essays on a Poetic Tradition from Archaic Greece to the Late Roman Empire, Lanham-Boulder-New York-London 2001, 217-254).

7 Per un panorama della poesia egiziana in età tardoantica vd. Cameron 1965 ; Cameron 1970, 4 sgg. (con bibl.), Bowersock 1992, 87-107 ; per la poesia e la cultura panopolitana cfr. Cameron 1982, 218-221 ; Ph. Rousseau, Pachomius (Berkeley-Los Angeles-London 1985) 164 n. 64 ; Livrea 1989, 19 n. 2 ; Martin 1996, 665 ; A. Martin-O. Primavesi, L’Empédocle de Strasbourg (P. Strasb. gr. Inv 1665-1666) (Berlin-New York 1999) 45-46.

8 Cfr. W. Liebeschuetz, Pagan Mythology in the Christian Empire, « IJCT » 2 (1995) 193-208, e Id., The Use of Pagan Mythology in the Christian Empire with Particular Reference to the Dionysiaca of Nonnus, in : P. Allen / E. Jeffreys (edd.), The Sixth Century. End or Beginning ? (Brisbane 1996) 75-91, le cui analisi non mi sembrano peraltro del tutto condivisibili.

9 Brown 1992 ; Av. Cameron 1991 ; sull’atteggiamento dei cristiani nei confronti della poesia e sul sensibile mutamento postcostantiniano cfr. da ultimo Evenepoel 1993.

10 Si veda ad es. In suos versus, Carm. 2,1, 39 ; PG 37,1329-1336 ; o, più in generale, il De rebus suis, Carm. 2,1, 1,96-101 ; PG 37,977), spec. 99 αὐτοὺς (cioè i λόγοι pagani) / Πρηνέας ἐν δαπέδῳ Χριστοῦ προπάροιθεν ἔθηκα. Vd. inoltre Demoen 1993 ; Gonnelli in Agosti-Gonnelli 1995.

11 Nil. Ancyr. Epist. 2,49 ; PG 79,221 εἰ δὲ θαυμάζειε τοὺς γράφοντας τὰ ἔπη, ὥρα σοι κα ’Aπολλιναριον τον δυσσεβῆ καὶ καινοτόμον θαυμάζειν, πολλὰ λίαν μετρήσαντα καὶ εποποιησαντα, και ματαιοπονησαντα καὶ παντὶ καιρῷ ἐν λόγοις ἀνοητοις κατατριβέντα οἰδήσαντά τε τοῖς ἀκερδέσι τῶν ἐπῶν, discusso da Agosti-Gonnelli 1995, 299-300 e 360, 367. Tralascio il complesso problema del rapporto cristiano con la paideia classica, rimandando perὸ almeno a Ševčenko 1980 e alla rassegna di P.F. Beatrice, « Kernos » 10 (1997) 39-56.

12 Per un panorama sulla poesia dei secoli II-III cfr. Starowieyski 1992, 239-255.

13 Poco sappiamo dei carmi in metri lirici (ionici e anapesti) praticati dagli gnostici ; sugli ionici della Θάλεια di Ario cfr. da ultimo H. Seng, « QUCC » n.s. 45 (1993) 93-107. Per l’innologia popolare vd. M. Simonetti, Studi sull’innologia popolare cristiana dei primi secoli, « MAL » CCCXLIX (1952).

14 Per le epigrafi bibliografia in Agosti-Gonnelli 1995, 299-300.

15 Vale a dire per esteso i libri VI, VIIe VIIIe parti dei libri I-II (interpolazioni cristiane sono comunque presenti anche in altri libri).

16 Vd. M.D. Usher, The Sixth Sibylline Oracle as a Literary Hymn, « GRBS » 21 (1996) 25-49, con le precisazioni di Agosti 1996-97, 47.

17 Sui suoi carmi biblici vd. Palla 1989. Del Christus patiens non mette qui conto parlare, dato che la sua collocazione in età tardoantica è tutt’altro che sicura.

18 Cosὶ anche Thraede 1962, 1000.

19 Livrea 1986, Livrea 1990, Bremmer 1988, Bremmer 1993, le cui datazioni, nonostante la diversità di metodo, sono comunque molto vicine (intorno alla metà del IV secolo). Per una data ancora più tarda, in base anche a considerazioni paleografiche, si pronuncia ora Alessandra Lukinovich, in questo volume. Per l’ideologia della Visione, che qui non affronte, vd. Livrea 1986 e 1996, Hurst-Rudhardt 1999.

20 Hurst-Rudhardt 1999, 15.

21 Vd. almeno Roberts 1985, 75 e il Resümee di R. Fichtner, Juvencus. Taufe und Versuchung Jesu, Stuttgart und Leipzig 1994, 189 sgg.

22 Per Doroteo di Tiro vd. Livrea 1986, Livrea 1990.

23 Vd. CTh XIII 3,5 = CIust X 53,7 ; Jul., Epist. 61c Bidez ; H. Schlange-Schöningen, Kaisertum und Bildungswesen im spätantiken Konstantinopel (Stuttgart 1995) 141145 e M. Caltabiano, Litterarum lumen. Ambienti culturali e libri tra il IVe il V secolo (Roma 1996) 30 n. 83 (con bibliografia).

24 Si tratta di un locus communis che riappare anche nelle sintesi di P.-A. Deproost, L’épopée biblique en langue latine. Essai de définition d’un genre littéraire, « Latomus », 56 (1997) 14-39, spec. 16 e di P. Maraval, Le Christianisme de Constantin à la conquête arabe (Paris 1997) 15. Assai recentemente si è riproposto (R. P. H. Green, « CQ » 45 (1995) 551-563 ; Id., « CQ » 47 (1997) 544-559) di considerare il Cento di Proba come il tentativo di trovare un compromesso con Giuliano : discuto più ampiamente questo punto in Agosti 2001.

25 I professori esclusi furono reintegrati da un decreto del 364 di Valentiniano e Valente (CTh XIII 3.6, dell’8 gennaio), che perὸ non erano ancora sul trono : di qui le proposte di attribuirlo a Gioviano o di datarlo al giugno 364 (F. Pergami, La legislazione di Valentiniano e Valente (Milano 1993) 6-12). Al massimo, in ogni caso, l’editto giulianeo sarebbe rimasto in vigore un anno e mezzo : ma lo stesso Socrate ci informa che alla morte di Giuliano i professori cristiani tornarono a insegnare i classici.

26 Cfr. Jul. Epist. 61c Bidez. Gregorio di Nazianzo usa termini generici (ad es. Or. IV in Jul. 101,1 τὸ λόγων ἀποστερῆσαι Χριστιανούς), e Cosὶ anche Ambr. Epist. 17, 4, Ammian. 22,10,7. Le accuse di Socr. HE 3,12,7 e Sozom. HE 5,18,1 (vd. anche Theodor. HE 3,8, 1 ; Rufin. HE 10,33) rivelano la loro natura polemica, e non contengono precisi riferimenti all’epistola giulianea : vd. inoltre Agosti 2001.

27 Condivido appieno lo scetticismo di Thraede 1962, 999 ; P. Speck, « Klio », 68 (1986) 617-629 ; Evenepoel 1993, 50 ; Gonnelli in Agosti-Gonnelli 1995, 364 ; Speck 1997, 363, 369. Socrate tratteggia un quadro di Giuliano come ’intellettuale negativo’, in cui lo smacco ad opera degli Apollinari ha la precisa funzione di minimizzare la legge scolastica (I. Krivouchine, « JÖB » 47 (1997) 13-24). Avrà in ogni caso un certo peso il fatto che Gregorio di Nazianzo non fa cenno ai due Apollinari (nemmeno nell’Epist. 10), Cosὶ come Ambr. Epist. 17,4 ed altri ricordano solo la proibizione. Discuto di tutta la questione in maniera più dettagliata in Agosti 2001.

28 Riassumo cercando di contemperare i resoconti un po’ differenti : Socrate dice che Apollinare padre parafrasὸ il Pentateuco in metri eroici, i libri storici in forma di tragedia, usando una completa polimetria παντὶ μέτρωλυρικῷ (Hansen : ῥυθμικῷ codd., vd. anche Speck 1997, 364 n. 11), mentre il figlio riscrisse il NT in dialoghi platonici. Sozomeno attribuisce ad Apollinare figlio il Pentateuco in 24 canti omerici, e poi il resto in commedie menandree, tragedie euripidee e odi pindariche.

29 Inoltre Socrate non dice affatto che Apollinario il Vecchio parafrasὸ i Salmi in esametri (che qualche tentativo fosse stato fatto si ricava dalle titolature della Met. Pss., vd. Gonnelli in Agosti-Gonnelli 1995, 366-367 nn. 316-317).

30 30 Mancano, ed è significativo, i giambi, che invece sono utilizzati nell’acrostico di PBOD 47 : non 3ia ma la misura di tre metra e mezzo, come in Metodio e in Greg. Naz. Carm. 2,1, 30, vd. Bandini in Carlini-Bandini 1991, 165.

31 Agosti in Agosti-Gonnelli 1995, 307, con bibliografia, cui aggiungere A. Stramaglia, Fra ’consumo ’ e ’impegno ’ : usi didattici della narrativa nel mondo antico, in : Pecere-Stramaglia 1996, 133-135, che aderendo alle posizioni di Blanchard, van Haelst, Fournet, parla senz’altro di una « scuola di alto livello » verosimilmente di Panopoli, ormai cristianizzata.

32 Palla 1989 ; vd. anche Demoen 1993, 239 ; Gonnelli in Agosti-Gonnelli 1995, 365.

33 Anche quanto sappiamo delle scuole ’elementari’ monastiche o di quella aperta da Protogene di Edessa ad Antinoopoli, per convertire i pagani con l’istruzione basata sui Salmi e il NT, non incoraggia a considerare questi testi come scritti per la scuola, o circolanti in essa (Theodor. HE 4, 18, 7-14 ; A. H. M. Jones, The Later Roman Empire. 284-602 (London 1964) II, 997, 1007). Certo la presenza delle etopee non deve essere sottovalutata. J.-L. Fournet cortesemente mi informa (per litt. 7-9-1998) di una raccolta armena di progimnasmi a soggetto cristiano che rimontano a un originale greco del V sec., e che lui metterebbe senz’altro in relazione con le etopee del codice Bodmer. È vero che « l’enseignement a dû se christianiser (en particulier la rhétorique, donc la poésie) plus vite et plus largement que ne le laissent penser les papyrus » (Fournet), ma rimane il fatto che i poemetti Bodmer sono pur sempre un unicum. Inoltre la scuola antica, molto conservatrice, non era certo aperta alla lettura degli autori moderni : le poche eccezioni riguardano brevi testi encomiastici, o testi di interesse locale, vd. Raffaella Cribiore, Gli esercizi scolastici nell’Egitto grecoromano : cultura letteraria e cultura popolare nella scuola, in : Pecere-Stramaglia 1996, 507-528. Un’altra eccezione è rappresentata dal poema del Taziano amico di Libanio (Epist. 990,2-3 ; 11,120-121 Foerster), un testo comunque che si proponeva come una continuazione dei poemi omerici, quindi di contenuto mitologico. Adesso A. Bartalucci propone, non so con quanta verisimiglianza, una genesi in ambito scolastico anche per il Carmen contra Paganos, che sarebbe una declamazione poetica « nata in una scuola di retorica, dove un magister cristiano avrebbe potuto suggerire ai discepoli temi contro i pagani » (Contro i pagani. Carmen cod. Paris. lat. 8084 (Pisa 1998) 46).

34 Hurst-Rudhardt 1999, 5-6 ; la presenza di varie mani è un fenomeno non infrequente, specie più tardi, cfr. G. Cavallo, « QS » 49 (1999) 159 (a proposito delle cinque mani del codice marciano di Fozio).

35 Pur considerate le esagerazioni polemiche dettate dalle contigenze, l’atteggiamento oscillante di Gregorio (di base comunque positivo) lascia trasparire che « the adoption of the Greek literary heritage into Christian culture was not yet undisputed » (Demoen 1993, 252).

36 Le citazioni bibliche e omeriche nel trattato La storia dell’anima è possibile che risalgano all’origine a un dossier misto, forse di ambiente alessandrino, in cui i due testi sacri erano messi a confronto, e destinato a « un double public, païen et chrétien » (vd. M. Scopello, Les citations d’Homère dans le traité de L’exégèse de l’âme, in : M. Krause (ed.), Gnosis and Gnosticism (Leiden 1977) 3-12) ; Agosti in Agosti-Gonnelli 1995, 300. Per il titolo del trattato, in genere noto come Esegesi dell’anima, vd. R. Kasser, « Apocrypha » 8 (1997) 71-80.

37 Ipotesi di Hurst-Reverdin-Rudhardt 1984, 46, a cui si sono dichiarati contrari F. Vian, A propos de la Vision de Dorothéos, « ZPE » 60 (1985) 45-49 ; Livrea 1986, 688. La questione è adesso riesaminata da A. James-K. Lee, A Commentary on Quintus of Smyrna, Posthomerica V (Leiden-Boston-Koln 2000) 8-9, che propendono per accettare la paternità quintiana, e anzi si servono dell’argomento per datare Quinto di Smirne « with near certainty as mid to late third century » : tuttavia i rapporti linguistico-stilistici fra i due autori sono irrilevanti e in attesa di convincenti prove documentarie mi sembra quantomeno più prudente procedere a un non liquet. Colgo l’occasione per rimediare a un piccolo equivoco : il mio lavoro che i due editori australiani citano (p. 8 n. 32) come appendice ad Agosti-Gonnelli 1995 è in realtà l’appendice di una mia dissertazione del 1989-90, che avevo loro inviato sollecitato sull’argomento. A parte ciὸ, ringrazio Lee e James per aver voluto tener conto del mio parere, che qui ribadisco.

38 Oltre alla Visione, cfr. J. 139 πολλὰ πειραζόμενον.

39 Hurst-Rudhardt 1999, 7 sgg.

40 Livrea 1986, 1990 ; Hurst-Rudhardt 1999, 74 ; vd. ora, in questo volume, le pagine di Antonio Carlini sui rapporti fra i poemetti e il Pastore di Erma

41 A. Martin, La reconciliation des lapsi en Egypte. De Denys a Pierre d’Alexandrie : une querelle de clercs, « RSLR » 22 (1986) 256-259 ; Martin 1996, 294.

42 Oggi non si crede più alle fonti come Epiphan. Pan. 68,1-3, che tendono a indicare come causa dello scisma proprio il rigorismo di Melizio di Licopoli nei confronti dei chierici lapsi : è probabile che le origini vadano ricercate in questioni di potere interno della chiesa egiziana e che la discussione sui lapsi sia stata secondaria, almeno all’inizio : vd. A. Camplani, In margine alla storia dei meliziani, « Augustinianum » 30 (1990) 313-315 ; Bagnall 1993, 306-309 ; Martin 1996 ; Maraval 1997 [cit. a n. 24], 6972 ; nuovi importanti documenti sono ora portati alla luce da A. Bausi, La versione etiopica degli Acta Phileae nel Gadla Sama’tat, in : E. Lucchesi / E. Zanetti (edd.), Mémoriel P. Devos, Cahiers d’Orientalisme (Genève 2000), in corso di stampa.

43 13, pp. 92-93 Schwartz ἀλλ’ ἀρκεῖ αὐτοῖ, τουτέστιν τοῖς ἀπὸ τοῦ κλήρου, ἡ ἄλλη προσεπιτίμησις ἡ τοῦ μηκέτι ἔχειν αὐτοὺς τὸ καύχημα τοῦ ἐφάπτεσθαι τῆς λειτουργίας… ὕστερον οὲ ἐκπεπτωκότας, πλὴν ἐάν τις ἀναπαλαίσας καὶ τῇ οἰκεία ἑαυτoῦ ὑπομονῇ νικήση ἀνεγκλήτους γὰρ εἶναι τοὺς προισταμένους τοῦ λαοῦ θέλει ὁ θεῖος λόγος.

44 VD 276-292. Vd. Livrea 1986 per un primo commento a questi versi.

45 Il cui significato nell’ottica tardoantica è icasticamente indicato da A. Giardina, « RIFC » 113 (1985) 326-327 n. 5.

46 Hurst-Rudhardt 1999, 22-23, 70-76.

47 Sui caratteri ascetici dei poemetti vd. ora in questo volume le pagine di Françoise Morard.

48 All’inizio, o alla metà del IV secolo, si assiste com’è noto all’incremento del culto dei martiri e dei santi, vd. da ultimo M. van Uytfanghe, L’origine, l’essor et lesfonctions du culte des saints. Quelques repères pour un débat rouvert, « Cassiodorus » 2 (1996) 143-196.

49 Livrea 1996, 77 : « prodotto di consumo, destinato all’edificazione e agli scopi cultuali e devozionali di un ben preciso, e ristretto, gruppo religioso, al di fuori del quale i codici linguistici, stilistici e diegetici del poema sarebbero risultati pressoché inservibili ».

50 Cfr. Patricia Cox, Biography in Late Antiquity. A Quest for the Holy Man, Berkely-Los Angeles-London 1983.

51 In cui topoi agiografici e aspetti autobiografici confluiscono inestricabilmente, secondo una tendenza del resto propria dell’autobiografia bizantina (M. Hinterberger, Autobiography and Hagiography in Byzantium, « SO » 75 (2000) 138-164).

52 Riprendo la bella definizione di Mary Whitby, Eutychius, Patriarch of Constantinople : an Epic Holy Man, in : Mi. Whitby / Ph. Hardie / Ma. Whitby (edd.), Homo Viator. Classical Essays for J. Bramble (Bristol-Oak Park 1987) 297-308 (a proposito del ritratto di Eutichio fatto da Paolo Silenziario).

53 Vd. Av. Cameron 1991, 141-151 ; diversi saggi raccolti nel volume a cura di J.W. Drijvers / J.W. Watt (edd.), Portraits of Spiritual Authority. Religious Power in Early Christianity, Byzantium and the Christian Orient (Leiden-Boston-Köln 1999). Per i testi pagani : R. Goulet, Histoire et mystère. Les Vies de philosophes de l’Antiquité tardive, in : La biographie Antique. Entretiens Hardt XLIV (Vandœuvres-Genève 1998) 217257.

54 Questo è un punto particolarmente importante, che meriterebbe di essere ulteriormente indagato : i canoni dello Pseudo-Atanasio (16 e 56 Riedel-Crum) menzionano esplicitamente il dovere di aiutare le vedove e gli orfani, la cui assistenza era uno dei compiti primari del clero : vd. i testi addotti da J.-U. Krause, La prise en charge des veuves par l’église dans l’antiquité tardive, in : C. Lepelley (ed.), La fin de la cité antique et le début de la cité médiévale (Bari 1996) 115-126 (sintesi dell’ampio lavoro dello stesso Krause, Witwen und Waisen im Römischen Reich. IV : Witwen und Waisen im frühen Christentum (1.-6. Jh. n. Chr.) [Heidelberg 1995]), nonché Martin 1996, 726-727. Fra i passi in poesia vd. Greg. Naz. Carm. 2,1, 16,85.

55 Vd., fra gli altri, Blanchard 1991, Bagnall 1993, 103-104 ; M. Laplace, A propos du P. Robinson-Coloniensis d’Achille Tatius, Leucippé et Clitophon, « ZPE » 98 (1993) 54-55 ; Martin 1996, 671-673 ; Martin-Primavesi 1999 [cit. a n. 7], 45-46.

56 Bagnall 1993, 304, che osserva anche a proposito dei testi di Nag Hammadi : « It is impossible to reconstruct a community on the basis of the Nag Hammadi finds, and a wide range of explanatory hypotheses is possible ». Su un particolare aspetto della creazione delle comunità vd. ora i contributi raccolti in S. Elem / N. Janowtz (edd.), The « Holy Man » Revisited (1971-1997) : Charisma, Texts and Communities in Late Antiquity, « JECS » 6 (1998) 343-539.

57 Hurst-Rudhardt 1999, 31-33.

58 Sui problemi della paideia vd. Brown 1995. Antonio praticava e consigliava per i monaci il φιλολογεῖν, vale a dire la lettura e l’interpretazione della Bibbia, vd. Sheridan 1997, 199-201.

59 Si vedano le ricche pagine di Martin 1996, 662-707 che tratteggiano un quadro ben differente ; Sheridan 1997, 184-188 e 199-201.

60 Sulla poesia agiografica tardoantica vd. Roberts 1989, 136.

61 Sulla grande diffusione del culto dei martiri in Egitto vd. P. Maraval, Lieux saints et pèlerinages d’Orient (Paris 1985) 82 con bibl.

62 Sulla necessità di parlare sempre di monachesimi ha richiamato la mia attenzione Guglielmo Cavallo.

63 Vd. R. Lizzi, La comunità di dotti nell’impero tardoantico, fra selezione e specializzazione del sapere, in : Perfezione del sapere e comunità di sapienti. Dal Medioevo all’età informatica (Firenze, Certosa del Galluzzo, 17 ottobre 1998), in corso di stampa (ringrazio l’autrice per avermi permesso di leggere in anteprima il suo lavoro).

64 Vd. Epiphan. Haer 67,1-3, 68,1-2 ; Martin 1996, 674-675 e n. 149 con ricca bibliografia.

65 Per gli Inni, provenienti dall’Asia Minore e composti intorno al II-III d. C., vd. ora la discussione nella nuova edizione di Gabriella Ricciardelli, Inni orfici (Milano 2000) XXVIII-XXXI ; i Lithica risalgono con tutta probabilità al IV secolo, mentre le Argonautiche alla metà del V.

66 Cfr. anche Caltabiano 1996 [cit. a n. 23] 113.

67 Vd. Springer 1988, 28-33.

68 Del resto le comunità filosofiche, specie neoplatoniche, hanno avuto una diretta influenza sull’organizzazione di quelle monastiche colte, vd. lo studio di R. Lizzi citato alla n. 63.

69 Giamblico : Dam. In Phil. 19,5, p. 13.22 Westerink ; Asclepiodoto : Dam. VI fr. 209, p. 179,6 Zintzen ; Siriano : AP 9,358 ; Isidoro : Dam. VI61 Epit., p. 90,1-3 Z. ; Eraisco : Dam. VI fr. 164, p. 137,27 Z. ; Olimpiodoro : APApp III 177 Cougny ; A. Busse, Porphyrii Isagoge et in Aristotelis Categorias Commentarium (Berolini 1887) XLI ; Damascio : AP 7,553 ; Simplicio : Procl. in Tim. schol. I 468,14-16 Diehl.

70 Su questo testo vd. L. Brisson e J.M. Flamand, Structure, contenu et intentions de l’Oracle d’Apollon, in : Porphyre, La Vie de Plotin, II, par L. Brisson et al. (Paris 1992) 565-602 (con la copiosa bibliografia). Sui rapporti fra VP 22 e la Visione di Doroteo mi soffermero altrove.

71 In attesa di un’indagine approfondita materiali sono raccolti da Hurst-Rudhardt 1999, 24-29.

72 Vd. Agosti in Agosti-Gonnelli 1995, 299-358.

73 Per un’analisi più estesa rimando a Agosti in Agosti-Gonnelli 1995, 333-348 ; per il concetto di ’fattore anomalo’ e la sua applicazione ai testi Bodmer vd. Agosti 1995a.

74 Eudocia : Agosti in Agosti-Gonnelli 1995 ; Dioscoro di Afrodito : A. Saija, La metrica di Dioscoro di Afroditopoli, in E. Livrea / G.A. Privitera (edd.), Studi in onore di Anthos Ardizzoni (Roma-Messina 1978) 823-849, spec. 827-829, 846-847, Fournet 1999 passim ; Or. Sib. : J.-M. Nieto Ibanez, The Loss of the Notion of Quantity in Books XII and XIV of the Sibylline Oracles, « QUCC » 74 (1993) 89-91 ; corpus orfico : J. Schamp, L’Hexamètre du Lapidaire Orphique : pour une étude metrique des ’Orphica’, « RPh » 55 (1981) 73-90.

75 Al distico di J. è dedicata l’analisi di L.E. Rossi in questo volume.

76 Vd. Agosti-Gonnelli 1995, passim.

77 Considerazioni sociolinguistiche sulle ’false quantities’ nella poesia cristiana del III secolo in L.D. Stephens, On the Restructuring of the Ancient Greek System of Word Prosody, « PP » 224 (1985) 367-378. In ogni caso i PBodmer non sono un tentativo di poesia per cerchie popolari.

78 PJ. Parsons, « ZPE » 6 (1970) 133 sgg. ha pubblicato un ostracon (Bodl. Gr Inscr 3019), che contiene un esercizio di scuola con i primi versi dell’Iliade e sul retro versetti del Salmo 46 in copto ; vd. anche Martin 1996, 673 e 667.

79 Fatto di per sé significativo : l’innologia seguiva, sia in greco che in latino, altre forme metriche, la cui realizzazione ’alta’ in ambito cristiano sono in Oriente gli Inni di Sinesio.

80 Cfr. Usher 1996 [cit. a n. 16].

81 Questo carme ricorda da vicino varie poesie brevi di Gregorio di Nazianzo e l’epinicio di Cristo dell’inno 8 di Sinesio.

82 Come si puὸ vedere ad es. nelle Laudes Dei di Draconzio (V), finemente analizzate nei loro problemi strutturali e di genere da F. Stella, Fra retorica e innografia : sul genere letterario delle Laudes Dei di Draconzio, « Philologus » 132 (1988) 258-74.

83 Un grave problema è rappresentato proprio dal duale di questa formula omerica (Il. 1,16, 375 etc.) : vd. Hurst-Rudhardt 1999, 130, che avanzano varie ipotesi, fra cui quella che il duale si riferisca a Doroteo e al suo compagno Gorgonio, che subirono entrambi il martirio secondo Eus. HE 7,32,2-4 ; oppure suggeriscono che il duale designi Adamo ed Eva, in quanto protoplasti e antenati di tutta l’umanità caduta nel peccato. Livrea 1996, 90 pensa invece che la coppia sia Maria e il Figlio : « questa coppia divina, in cui l’ortodossia riveste appena note forme gnostiche, assurge nella sua vicenda terrena ed ilica a simbolo delle sofferenze procurate dal male nel mondo, identificandosi dunque con tutti coloro che soffrono nel travaglio ilico ». Varrebbe la pena di chiedersi se κοσμήτωρ non abbia qui il senso di « vanto, ornamento » che ha anche in Nonn. D. 27,279, oppure se mantenga il senso omerico : si deve cioè intendere « salvando i capi dei popoli », vale a dire della comunità dei credenti (λαοί) ? Cristo col suo esempio avrebbe fortificato i capi delle comunità, facendo loro accettare serenamente il martirio ?

84 Vd. il saggio di Antonio Carlini in questo volume.

85 Vd. Hurst-Rudhardt 1999, 14 e 147, che rimandano a W. Speyer, Büchervernichtung und Zensur des Geistes bei Heiden, Juden und Christen (Stuttgart 1981) 76 sgg.

86 R. Herzog, La meditazione poetica : una forma retorico-teologica tra tarda antichità e barocco, in : La poesia tardoantica : tra retorica, teologia e politica (Messina 1984) 75-102. Manca del tutto uno studio che saggi da questo punto di vista la poesia greca cristiana.

87 Si veda ora, in questo volume, il contributo di P. van der Horst.

88 Vd. Agosti in Agosti-Gonnelli 1995, 302 n. 37 ; ora anche Hurst-Rudhardt 1999, 43.

89 89 Ma su questo punto non mi dilungo, visto che è oggetto di un contributo di André Hurst, in questo volume.

90 J.-L. Fournet, Une éthopée de Cain dans le Codex des Visions de la Fondation Bodmer, « ZPE » 92 (1992) 253-266.

91 Degli esempi papiracei, uno appartiene al III, tre al IV e gli altri al V-VI, compresa la serie di etopee di AP 9,449-480, verosimilmente epigrammi dello stesso autore provenienti comunque da una scuola egiziana. Vd. Fournet 1992 [cit. alla n. precedente] ; V. Jarcho, POxy. 2537 : a True Ethopoea ?, « Eikasmos » 10 (1999) 185-199 ; sull’etopea versificata come genere scolastico vd. anche Ch. Heusch, Die Achilles-Ethopoiie des Codex Salmasianus (Paderborn-München-Wien-Zürich 1997) 34-39.

92 Vd. in questo volume il suo contributo.

93 Vd. J. Amat, Songes et visions. L’au-delà dans la littérature latine tardive (Paris 1985) ; R. Lane Fox, Pagans and Christians (Princeton 1986) ; P. Cox Miller, Dreams in Late Antiquity (Princeton 1994). Per Doroteo vd. inoltre Livrea 1986.

94 Per un approfondimento rimando a un mio prossimo lavoro, Elementi di genere nella Visio Dorothei, e al contributo di Th. Gelzer, in questo volume.

95 Vd. Livrea 1986.

96 Vd. T. Gelzer, Zur Visio Dorothei : Pap. Bodmer 29, « MH » 45 (1988) 249-250, che fa un minuzioso confronto fra il testo doroteano e la visione di Ezechiele.

97 Sull’autore G. Wagner, Le decurion Paccius Maximus, champion de l’acrostiche, « ZPE » 95 (1993) 147-148.

98 In generale, E. Courtney, Greek and Latin Acrostichs, « Philologus » 134 (1990) 3-13, alla cui bibliografia aggiungere : W. Brashear-H. Satzinger, Ein akrostischer griechischer Hymnus mit koptischer Übersetzung (Wagner Museum K 1003), « JournCopt-Stud » 1 (1990) 37-58 ; H.A. Gartner, s.v. Akrostichon, in DNP I (1996), 411-413 ; esempi scolastici si possono ricavare dall’indice di R. Cribiore, Literary School Exercises, « ZPE » 116 (1997) 53-60 (nn. 255, 285, 286, 316, 56, 305, 394). Sugli acrostici cristiani vd. A. Kurfess, Th. Klauser, s.v. Akrostichis, in RAC I (1950), 236-238 e E. Vogt, Das Akrostichon in der griechischer Literatur, « A&A » 13 (1967) 91-94. L’uso dell’acrostico alfabetico poteva vantare anche esempi pagani (oltre ad alcuni papiri, come POxy. 1.15 (III), 15.1795 e 42.3004 (I), vi sono testi pero più tardi : AP 9,385 riassunto dell’Iliade in esametri, di Stefano il Grammatico ; 9,524, 525 inni adespoti del VI : virtuosismi di elencazioni di epiteti, in esametri tetracoli), ma era di ascendenza soprattutto ebraica : le Lamentazioni di Geremia, Prov. 31,10-31, Eccl. 51,13-29.

99 Questa si trova ad esempio in un carme di Gregorio, 2,1, 34 in cui le iniziali dei 67 trimetri giambici formano un distico elegiaco ; un altro caso mi è accaduto di scoprire in un’etopea su Esiodo del III (POxy. 3537r : etopea acrostica su Esiodo, « ZPE » 119 (1997) 1-5).

100 Vd. Carlini-Bandini 1991.

101 Apoc. 21,6 sgg. Vd. Hier. Epist. 30, e Hurst-Rudhardt 1999, 38.

102 HL 32,5 ἑκάστω τάγματι τὸ στοιχεῖον ἐφήρμοσε, μόνων τῶν πνευματικῶν εἰδότων τὰ σημαινόμενα : vd. già Agosti in Agosti-Gonnelli 1995, 304 n. 47. Il simbolismo delle lettere greche è impiegato da Pacomio anche nell’ Epistola 2.

103 Cfr. supra n. 37.

104 La presenza della forma πολύλλιτος (A. 29, 40 riferito a Dio, X. 60, contesto incerto), invece dell’omerico πολύλλιστος non è decisiva, perché si tratta della forma usuale ellenistica poi diffusa nell’epica tarda (vd. Williams ad Ap. 80, Mineur ad Del. 316) : Hymn. Orph. 12,4, in Nonn. P. 3,148 e 16,97, Eud. S. Cypr. 2,462 e molte ricorrenze in [Apol.] Met. Pss., cfr. anche un oracolo del I sec. a. C. studiato da L. Robert, Documents de l’Asie Mineur méridionale (Genève-Paris 1966) 91-100 ; « SEG » 41 (1991) 1411 v. 9 : evidentemente l’aggettivo era usuale della koinè poetica innica. Il contesto mutilo impedisce di vedere se in X. 60 il senso era attivo (cfr. F. Gonnelli, « SIFC » 81 (1988) 103). Per A. 66 vd. ora Magnelli, « ZPE » 132 (2000) 156.

105 Per la Visione cfr. almeno : 88 άρπάζων φορέεσκεν, dove per la perversa accusa contro il δομέστικος, sostenuta presso il πραιπόσιτος, D. si serve di un emistichio esiodeo, Op. 38 ἀρπάζων ἐφορεις s.s., proveniente anch’esso da una accusa di furto, forse la più famosa dell’antichità. Nell’inno a Gabriele [1] si verifica addirittura l’adozione di più di un intero verso (quasi una δοιάς !) : 176-177 αὐδ[ὴν / θέσπιν, ἵνα κλείοιμι τὰ τ’ ἐσσομενα π[ρ]ο τ’ ἐόντα, interamente trasportati da Th. 31-32.

La clausola ἀεσίφρονα θυμόν (J. 121, -νι θυμῷ al v. 107), appare certo in Od. 21,302, ma è più probabile che qui il suo uso sia stato veicolato dalla ricorrenza in Esiodo (Op. 315, 335, 646, –να θυμόν), dove ha una forte pregnanza semantica, denotando chi corre dietro alle facili ricchezze e non rispetta le leggi degli dèi. Cosὶ deriva da Esiodo l’emistichio ἰθείησι δίκησι (J. 45), cfr. Th. 86 e Op. 36. Sempre in J. 154-156 il passo con la consacrazione poetica di Doroteo [3] dipende da Esiodo per il sintagma λιγυρῇ ἐπ’ ἀοιδῇ, cfr. Op. 583 e 659. Ancora, in X. 18 άρπάκτὰς πλούτοιο il raro termine (cfr. J. 28), nasconde forse un ricordo esiodeo Hes. Op. 320 χρήματα δ’ οὐκ ἁρπακτά (cfr. quanto detto sopra a proposito di VD 88). In J. la parte sul furto scellerato delle ricchezze risente molto della precettistica esiodea. Più incerto è invece J. 27 ὄλβιος εὐδάίμων τε, sintagma esiodeo Op. 826 εὐδαίμων τε καὶ ὄλβιος ὃς κτλ., che si trova pero anche in Theogn. 1013 ἆ μάκαρ εὐδαίμων τε καὶ ὄλβιος ὃστις, con l’attacco del macarismo, ripreso anche in VD 303 e in J. 135.

106 Vd. Agosti, « ZPE » 119 (1997) 5.

107 Per alcuni paralleli vd. l’apparato e le note di Hurst-Rudhardt 1999.

108 Va inoltre notato che il verso è leggermente modificato rispetto al modello apolloniano αἰὲν ἀοιδῷ, che ricorre (come già segnalato dagli edd.) in Alcm. fr. 14 Page (una coincidenza nell’uso di una sequenza topica), al posto di εἶεν ἀείδειν ; soprattutto è basilare l’introduzione di αἰὲν, che si apprezzerà confrontando Greg. Naz. Carm. 1,1, 33,11 σε (sc. Cristo) δ’ ἄμβροτον άἰὲν ἀείδειν. La notorietà della clausola apolloniana è dimostrata anche dall’inno al Nilo di PFlor XVIII 23-32, vv. 13-14, riedito da Raffaella Cribiore, A Hymn to the Nile, « ZPE » 106 (1995) 97-106.

109 Vd. F. Vian, Echoes and Imitations of Apollonius Rhodius in late Greek Epic, in : Th. D. Papanghelis / A. Rengakos (edd.), A Companion to Apollonius Rhodius, (Leiden-Boston-Koln 2001) 285-308.

110 Greg. Naz. Carm. 2,1, 34a, 71-92 (In silentium ieiunii) Μέλπω δ’ οὐ Τροίην, oὐκ εὔπλοον οἷά τις ’Αργώ, κτλ. : cfr. « A&R » 38 (1994) 30.

111 Quel che è più interessante è che in Epiph. Pan. 31,1 si trova l’agg. κακόρρεκτος per indicare le male piante degli eretici (vd. Lampe s.v.). La iunctura κακορρέκτης δαίμων si trova anche in un epigramma del VI sec. d. C., proveniente dall’Apamene, studiato da ultimo da D. Feissel, Deux épigrammes d’Apamène et l’éloge de l’endogamie dans une famille syrienne du VIe siècle, in : I. Ševčenko – I. Huttez, AETOΣ. Studies in Honour of Cyril Mango, (Stuttgart-Leipzig 1998), 116-133.

112 Un esempio epigrafico particolarmente sorprendente ho studiato in G. Agosti, The ΠΟΙΚΙΛΙΑ of Paul the Bishop, « ZPE » 116 (1997) 31-38. Si vedano le indicazioni di metodo (valide al di là dei singoli risultati raggiunti per Nonno) in I. Cazzaniga, Temi poetici alessandrini in Nonno Panopolitano : tradizione diretta e indiretta, in : Miscellanea di studi alessandrini in memoria di A. Rostagni (Torino 1963) 626-646.

113 Vd. Agosti 1989-90, Hurst 1997 ; sui centoni cfr. ora Rey 1998.

114 Termine che risale, com’è noto, a K. Thraede. Per uno studio recente vd. P.W.A.Th. van der Laan, Imitation créative dans le Carmen Paschale de Sédulius, in Boeft-Hilhorst 1993, 131 sgg.

115 Uso questa definizione in un mio contributo L’interpretazione infinita, l’accrescimento del senso. Letture omeriche nella tarda antichità, in corso di stampa.

116 Cfr. Mt. 11,23 e gli altri luoghi addotti da Hurst-Rudhardt 1999, 63. Cfr. l’analogo uso nell’epica latina di Tartara Erebus Elysium Olympus (Thraede 1962, 1035-1037). Sul fenomeno del ’classicismo terminologico’ vd. G. Bartelink, Einige Bemerkungen über die Meidung heidnischer oder christlicher Termini in dem frühchristlichen Sprachgebrauch, « VChr » 19 (1965) 193-209

117 Ad es. ’Αίδης in Nonn. P. 2,105 ; 11,22 ; 163 ; per i Padri, esclusa la poesia, vd. G.L. Prestige, Hades in the Greek Fathers, « JThS » 24 (1923) 476-485.

118 Si puὸ confrontare il reimpiego di tonans nella poesia latina cristiana, per cui vd. F. Stella, « CCC » 8 (1987) 92.

119 D. Gigli Piccardi, La ’Cosmogonia di Strasburgo’ (Firenze 1990) 151 ; Agosti, « A&R » 38 (1994) 43.

120 J. Golega, Studien über die Evangeliendichtung des Nonnos von Panopolis. Ein Beitrag zur Geschichte der Bibeldichtung im Altertum (Breslau 1930) 70 e n. 4.

121 Un’interpretazione che in poesia si trova anche nei Centoni omerici come ha mostrato K. Smolak, Beobachtungen zur Darstellungsweise in den Homerzentonen, « JÖB » 28 (1979) 29-49, spec. 32.

122 Agosti 1989-90.

123 I Naasseni identificavano l’Hermes psicopompo di Od. 24,1-14 col Logos Redentore. Il dossier biblico-omerico che sta dietro questo passo è stato indicato da Scopello 1977 [cit. a n. 36] 12.

124 D. Accorinti, Hermes e Cristo in Nonno, « Prometheus » 21 (1995) 24-32 ; il mio comm. a P. 5,22, in corso di stampa.

125 Sempre sulla base dell’Engelchristologie mi chiedo se J. 65 il πρῶτος δ’ ἄγγελος ε[- στιν ὁ χρ]ησάμενος σ[ο]φίῃστ non sia da identificare con Gesù, tenendo presente Jes. 8 θεσπεσίην δ’ ἐπέθηκε σοφοῖς σοφίην ἅμ’ ἕπεσθαι.

126 Per l’episodio, la cui versione più nota è quella del Vangelo di Nicodemo, e la sua presenza nei centoni vd. da ultimo A.L. Rey, Homerocentra et littérature apocryphe chrétienne : quels rapports ?, « Apocrypha » 7 (1996) 123-134.

127 ψυχὰς δ’ ἐξ ’Eρεβεὺς : Od. 11,37 ψυχαὶ ὑπὲξ ’Eρεβεὺς νεκύων κάτάτεθνηώτων (= Homeroc. 44,107, 45,19 Rey), Il. 1.3 πολλὰς δ’ ἰφθίμους ψυχάς “Λïδί προΐαψεν.

128 Cfr. Const. In sanctorum coetum 19-21 (orazione pronunciata probabilmente nel 313), in cui l’autore del commento alla traduzione virgiliana fornisce una interpretatio cristologica di Achille : 20,8-9, p. 185 Heikel [ad Verg. Ecl. 4,34-36] τὸν μὲν ’Aχιλλέα χαρακτηρίζει τὸν σωτῆρα ὁρμωντα ἐπὶ τὸν Τρωικὸν πόλεμον, τὴν δὲ Τροίαν τὴν οἰκουμένην πᾶσαν. ’Επολέμησε γοῦν ἄντικρυς τῆς αντικειμένης δυνάμεως πονηρᾶς, πεμφθεὶς ἐξ οίκείας τε προνοίας καὶ παραγγελίας μέγίστου πατρός.

129 Anche in Nonno è questa la normale resa di ἐντολαί del vangelo giovanneo.

130 Su quest’aspetto del poema nonniano, spesso sottovalutato in passato, vd. ora D. Gigli Piccardi, Nonno e l’Egitto, « Prometheus » 24 (1998) 61-82, 161-182.

131 Vd. anche Hurst-Rudhardt 1999, 97.

132 Nella tradizione occidentale l’eremo è spesso indicato come paradiso (S. Pricoco, L’isola dei santi (Roma 1978) 154-164). Per i rapporti fra questi versi e i centoni omerici vd. A.-L. Rey, in questo volume.

133 Un passo famoso, come testimoniato anche da PKöln VI 245, un testo in trimetri, del III d. C., proveniente dall’Alto Egitto, un’etopea o forse un tentativo drammatico incentrato sulla πτωχεία.

134 Del resto tracce di una tale interpretazione appaiono anche altrove nel resto del codice, come nel poema D. 2, 18 (cfr. Hurst-Rudhardt 1999, 147). In J. 139 è Doroteo stesso ad essere assimilato ad Odisseo, πολλὸ πειραζόμνον.

135 A questo proposito andrebbe anche considerata la possibilità che il ’martirio’ di Doroteo non sia avvenuto durante le persecuzioni imperiali, ma sia legato a realtà locali, soprattutto tenuto conto della punizione a cui il poeta va incontro. Un episodio dalle modalità simili è ad esempio testimoniato per il 335 in una lettera del meliziano Callisto (PLond 1914), che racconta le persecuzioni subite da Eraisco e da altri meliziani da parte di alcuni soldati ubriachi istigati dagli atanasiani : essi vengono portati ἐν τοῖς σίγνοις e in particolare Eraisco viene rinchiuso e subisce una durissima flagellazione (PLond 1914,18 e 46, edito da H. I. Bell, Jews and Christians in Egypt (London 1924) 56-71 : vd. Martin 1996, 360-361 per una discussione di questo documento). Anche Doroteo nella Visione viene incarcerato nei signa e poi flagellato (131 ὁστιάρι[ο]ν σίγνοισι βαλὼν πληγησι δάμασσον). L’uso dei signa anche come luogo di prigionia è ben attestato nelle fonti copte.

136 Vd. A. Rousselle, Sources iconographiques perdues : les premières images des martyrs, « Cassiodorus » 2 (1996) 215-230, spec. 221-224.

137 Cfr. ad es. Method. Symp. 11, vv. 56-59 Λαμπρῶς σου τὸν ‹φόνον› ῎Aβελ προεκτυπῶν, μάκαρ, / ἔλεξεν άἱματοσταγὴς βλέπων εἰς οὐρανόν / « ἀνηλεῶς με συγγόνου τετρωμένον χειρὶ / δέξαι, λιτάζομαι, Λόγέ ».

138 Non stupisce allora che nella II redazione degli Homerocentones venga ripreso un altro verso dello stesso episodio odissiaco, 4,245, per descrivere la venuta di Gesù sulla terra e le sue sofferenze, come « servo » (μορφὴν δούλου λαβών dice Philipp. 2,7).

139 Vd. A.A.R. Bastiaensen in Atti e Passioni dei martiri (Milano 1995 [1987]), XXVI. Per le interpretazioni allegoriche dello scudo omerico vd. P. Hardie, « JHS » 105 (1985) 11-31.

140 Per la mancata posizione di ζ vd. Gow-Page ad Meleag. AP 5,177,9 ed E. Livrea, « ZPE » 100 (1994) 182.

141 Ad es. P. 3,81-82 ὑψιμέδων σκηπτοῦχος, ὅτι χραισμήτορα φωτῶν / μουνογενῆ λόγον υἷα πόρεν τετρόζυγι κόσμῳ.

142 Vd. perὸ almeno Agosti 1989-90, Hurst 1997.

143 Epist. 53.7.3 : vd. J.-M. Poinsotte, Jérôme et la poésie chrétienne, in : Y.-M. Duval (ed.), Jérôme entre l’Occidente et l’Orient (Paris 1988) 295-303, che attribuisce il disdegno alla natura troppo mondana e letteraria dell’opera di Proba, nonché al suo carattere di grossolano assorbimento di Virgilio e di detorsione delle Scritture.

144 Su questo passo e le discussioni che ha suscitato vd. Agosti in Agosti-Gonnelli 1995, 300 n. 28. D.S. Wiesen, Virgil, Minucius Felix and the Bible, « Hermes » 99 (1971) 70-91 fa risalire il metodo sino a Minucio Felice.

145 Per Metodio vd. Ševčenko 1980, 57 ; M. Pugliara « RdA » 20 (1996) 95 ; R. Lamberton, Homer the Theologian (Berkeley-Los Angeles-London 1986) 242 sgg.

146 Cfr. ora l’accattivante lettura del poema in Paul le Silentiaire, Description de Sainte-Sophie de Costantinople, par Marie-Christine Fayant et P. Chuvin (Die 1997).

147 In VD (1, 135, 289, 292) e in J. (23) ricorre il sintagma θεὸς ἁγνός, epiteto di Artemide in Omero. L’uso di definire Dio con questo aggettivo era legittimato dall’impiego dei LXX per le parole divine (Ps. 11,7, Prov. 15,26) ; e del resto un precedente poetico era costituito, al solito, da Or. Sib. 3,49 (= 8,169) ἁγνὸς ἄναξ. Nonno usa l’agg. una sola volta riferito a Dio (P. 17,36 ἁγνὲ πάτερ = Jo. 17,11 ἁγνὲ πάτερ), mentre [Apol.] Met. Ps. lo adopera solo come epiteto di ὄρος (3,6 ; 42,7). Dato che θεὸς ἁγνός è sempre in clausola nei PBOD, la frequenza di quella che è sostanzialmente una rarità fa sospettare che ci troviamo dinanzi a una iunctura della nascente poesia cristiana, poi abbandonata forse perché sentita troppo legata al linguaggio pagano.

148 Per l’uso di [Apol.] Met. Pss. vd. J. Golega, Der homerische Psalter (Ettal 1960) 114 ; F. Gonnelli, « Koinonia » 13 (1987) 127-151.

149 L’uso del termine sia per il Figlio che per il Padre è ben attestato : Greg. Naz. Carm. 1,1, 2,25 ἄνακτα / ’Υιὸν Πατρὸς ἄνακτος, A.P. 8,47,8 Χριστὲ ἄναξ, Eud. Cypr usa l’epiteto per Dio (1,6. 126. 275 etc.) e per Cristo (2,32. 25 etc.) ; Christ. Pat. 1608 ἄνακτα ζῶντα (il Figlio).

150 καὶ Χρηστὸν μακάρων πατέρα κλυτ[ο]ν ἀγρελιάων (per αγγελιάων cfr. Od. 2,255, al. ; Hurst-Reverdin-Rudhardt 1984, 30-31 pensano che in questo verso Cristo sia assimilato a Dio nella sua funzione di Padre dell’Evangelo).

151 Essa è un tratto già scritturistico, soprattutto giovanneo (vd. Hurst-Rudhardt 1999, 109). L’identificazione di Cristo col sole di giustizia è poi frequentissima (Clem. Alex., Melitone di Sardi ; esiste una tradizione di Gesù θεὸς ἥλιος nel momento del battesimo, col fuoco che apparve), essendo anche collegata alla terminologia battesimale. Per la poesia tardoantica G. Agosti, L’alba notturna (ἔννυχρς ἠώς), « ZPE » 121 (1998) 53-58 ; per le arti figurative vd. J. Huskinson, Some Pagan Mythological Figures and their Significance in Early Christian Art, « PBSR » 42 (1974) 78-80.

152 L’agg. divenne caro al sincretismo tardo, cfr. Hymn. Sol. 59,5, 26 Heitsch etc.

153 G. Agosti, Alcuni omerismi nella Visio Dorothei (P. Bodmer XXIX), « Orpheus » n.s. 10 (1989) 111.

154 Vd. F. Stella, Ristrutturazione topica ed estensione metaforica nella poesia latina cristiana. Da spunti draconziani, « WSt » 102 (1989), 224-227 per la poesia biblica latina ; G. Fichtner, Christus als Artz, « FMS » 16 (1982) 1-18, con ricchissima bibliografia.

155 Vd. Livrea 1996.

156 J. 13 θέλγων νόον riprende un sintagma iliadico (Il. 12,55), impiegato anche da Nonno in Dion. 8,171 (Apate ad Era).

157 Su cui Bowersock 1990, 83-84.

158 Vd. 5. Cypr. 1,151 (personificazione del Δόλος), 1,196 i demoni μέροπάς τε βροτοὺς ἀπάτῃσι διδόντες, etc.

159 Vd. Fichtner 1994 [cit. a n. 21], 158-188, per una completa rassegna degli astratti in Giovenco.

160 Per i problemi trattati in questa parte una discussione più estesa si trova in Agosti 2001.

161 PG 37,1329 Aὐτῶν ἔχεσθαι τῶν θεοπνεύστων μόνον, / ’Ως τούς ζάλην φεύγοντας ὅρμων εὐδίων. Si tratta di immagine usitata nella poesia cristiana, cfr. Sedul. Epist. Maced. 1,5-2,4 e K. Thraede, « JbAC » 5 (1962) 130-133 ; L. Schlimme, s.v. Hafen, in RAC 13 (1986) 297-305. Il porto è anche immagine della chiesa e della vita ascetica (Pall. HL 54,4 la definisce τὸν σεμνὸν καὶ γαληνιῶντα λιμένα τοῦ βίου).

162 Anche nella già ricordata Visio Maximi il canto poetico è il fine della visione (σοφὸς τότ’ ἐγὼ ποικίλον ἥρμοζον ἀοιδήν, / σεμνὸν ἀπὸ θεῶν κωτίλον ἐπιτυχῶν νόημα, e più avanti ἀρχὴ δέ μ’ ἔκληζεν τὸ σοφὸν πόημα λέξαι, 168,6-7 e 22 Bernand) ; nei Lithica orfici il poeta caratterizza la propria rivelazione come riservata a pochi cognoscenti (πινυτοί), che raggiungeranno la conoscenza teurgica guidati da Hermes, che dà anche l’ordine di cantare e diffondere la novella : μελιγλώσσοιο κελεύσας / φθόγγον ἀπο στήθεσφιν ἀοιδῆς γηρύσασθαι (59-60).

163 Il. 24,382 ; Od. 14,231 ; 20,220 ; per ἡ ἀλλοδαπή = missione di Paolo vd. Lampe s.v. ; in Nonn. P 6,213 l’aggettivo designa coloro che abbandonano Cristo ; analogo l’uso di ἀλλόφύλοι = pagani (vd. Lampe s.v. 2), ἀλλότριος = ’estraneo al cristiano, demoniaco’, alienigena (vd. Blaise s.v. 2) ; ἄλλοι = pagani in Met. Pss. πρ. 32. Cfr. I. Opelt, « VChr » 19 (1965) 1-22.

164 Vd. K. Demoen, « JOB » 47 (1997) 9-10 (« Nemesius should be considered as an actual reader of this (…) pamphlet, but certainly not as the only one : the text was probably directed at a public of open-minded pagan intellectuals »). Per Sedulio vd. Springer 1989, Roberts 1985, 85.

165 Vian 1986.

166 Questo mostra, fra l’altro, che nella poesia egiziana coesistevano soluzioni stilistiche diverse, anche contrastanti : e non solo nella poesia cristiana ma anche in quella pagana, se dall’Egitto proviene ad es. un testo arcaizzante come le Argonautiche orfiche.

167 Orig. C. Cels. 1,42.

168 Adattamento di Hom. Il. 1,302. Per ἄλλος = pagano vd. supra n. 163.

169 169 M. Haffner, Die Kaiserin Eudokia als Reprasentantin des Kulturchristentums, « Gymnasium » 103 (1996) 216-228. La mediazione poteva avvenire perché il pubblico colto proveniva dalla medesima formazione e apprezzava lo stesso linguaggio : Brown 1992, 51-65.

170 Vd. AP 1,10,1 e P. Maraval, Lieux saints et pèlerinages d’Orient (Paris 1985) 408 con bibl.

171 Un pubblico simile ha ipotizzato Springer 1988, 29-32 per Sedulio. Si veda inoltre : Roberts 1985, 73 n. 47 (Giovenco) ; Evenepoel 1993, 48-51 ; Thraede 1962, Herzog 1975, XL-XLV e 179 sgg. Sulla limitazione quantitativa del concetto di ceto pagano colto vd. N. Wilson, Tradizione classica e autori cristiani nel IV-V secolo, « CCC » 6 (1985) 137-153, spec. 146-147.

172 Vd. G. Fowden, The Egyptian Hermes (Princeton 19932) 177-195 e da ultimo Ch. Haas, Alexandria in Late Antiquity (Baltimore and London 1997) 154-155, « Alexandrian lecture halls were scarcely segregated by religious persuasion ». La recitazione del poema nonniano sarà avvenuta in uno degli auditoria simili a quello rivelato dagli scavi di Kom el-Dikka (E. Rodziewicz, Late Roman Auditoria in Alexandria, « BSAA » 45 (1993) 269-279). Per l’occidente vd. J. Fontaine in Christianisme et formes littéraires de l’antiquité tardive en Occident. Entr. Hardt XXIII (Genève 1977) 31 (con l’efficace immagine di « un très vaste ’marais’ de païens et de chrétiens tièdes »).

173 VA 94,2 Bartelink ἐὰν δὲ χρεία γένηται, καὶ τοῖς ἐθνικοῖς ἀνάγνωτέ, ἵνα κἂν οὕτως ἐπιγνῶσιν, ὅτι ὁ Κύριος ἡμῶν ’Iησοῦς Χρίστὸς οὐ μόνον εστὶ θεὸς καὶ τοῦ Θεοῦ Υἱός, ἀλλ’ ὅτι καὶ οἱ τούτω γνησίως λατρεύοντες καὶ πιστεύοντες εὐσεβῶς εἰς αὐτόν, τοὺς δαίμονας, οὓς αὐτοὶ οἱ ῎Ελληνες νομίζουσιν εἶναι θεούς, τούτους οἱ Χριστιανοὶ ἐλέγχουσιν, οὐ μόνον μὴ εἶναι θεούς, ἀλλὰ καὶ πατοῦσι καὶ διώκουσιν, ὡς πλάνους καὶ φθορέας τῶν ἀνθρώπων τυγχάνοντα.