Miti dell’Odissea nel Περὶ Ἀπίστων di Palefato
Tratterò delle interpretazioni di alcuni miti dell’Odissea (e dell’Iliade), che si trovano nel Περὶ Ἀπίστων1 di Palefato e lo farò per introdurre due considerazioni, che partono entrambe da una frase di Buffière2, il quale, nel suo libro Les mythes d’Homère et la pensée grecque, scrive «les Ἄπιστα ne concernent point spécialement Homère, mais étudient d’une façon générale les monstres ou les héros de la mythologie pour donner, du merveilleux, une explication rationnelle».
1. La prima cosiderazione è che, se si presta attenzione anche solo ad alcune testimonianze della tradizione indiretta3, si vede che i miti dell’Odissea (e dell’Iliade) dovevano avere, nell’originale dal quale deriva il nostro PA, uno spazio più ampio di quanto si potrebbe giudicare dalla versione attuale.
2. La seconda considerazione è scaturita per me da alcune caratteristiche della trattazione del mito di Eolo; in questo caso si può osservare che il mito non è trattato in generale, ma in rapporto a un testo poetico preciso. Questo fatto mi porterà a fare alcune riflessioni sul complicato problema del rapporto fra il PA e la letteratura esegetica, la quale, come è noto, è ricca di citazioni di Palefato e di interpretazioni «palefatee». Prenderò ad esempio il commento di Tzetzes a Licoffone.
E’ forse utile ricordare che il PA che ci è pervenuto sotto il nome di Palefato tramite molti manoscritti4 è una raccolta di miti così caratterizzata: c’è un’ introduzione teorica, i cui principi sono rispettati in tutta la raccolta, che afferma di voler recuperare la verità nascosta dietro i miti incredibili e che dichiara il criterio col quale si valuterà la credibilità di questi miti5; i miti sono tutti accomunati da interpretazioni che si possono definire, molto approssimativamente, di tipo razionalistico; l’interpretazione si riferisce a creature mostruose o eventi totalmente in contrasto con la realtà fisica, gli dèi sono accuratamente tenuti fuori non solo dall’interpretazione, ma anche, in genere, dal racconto; lo schema espositivo è sempre lo stesso per ciascun mito6. La raccolta ha segni evidenti di epitomazione e interpolazioni. Sappiamo da Suda e da altri testimoni che un Palefato, dai tratti biografici assai discussi e incerti, ma probabilmente contemporaneo più giovane di Aristotele, aveva composto una raccolta di questo tipo e la tradizione indiretta ci conferma che doveva trattarsi di un testo notevolmente più ampio di quello a noi pervenuto7.
1. Nel nostro PA, in effetti, per tornare a Buffière, lo spazio riservato ai miti più propriamente connessi alle vicende di Odisseo, penso a Ciclopi, Lestrigoni, Scilla e Cariddi, buoi del Sole, Circe, Calipso non è grande e le cose non vanno meglio per l’Iliade8.
Per quello che riguarda l’Odissea si trovano trattati solamente i miti di Eolo, cap. 17; di Scilla, cap. 20; del cavallo di legno, cap. 16 e della costruzione delle mura di Tebe9, cap. 41.
Più precisamente Eolo10 è interpretato come un sapiente, astronomo e meteorologo molto esperto, che in realtà ha aiutato Odisseo con le sue previsioni metereologiche.
Scilla era, secondo Palefato11, il nome di una nave di pirati Etruschi che depredavano le navi che incontravano e ne uccidevano i passeggeri12.
Quanto alla storia del cavallo di legno, Palefato contestava che i soldati Achei si fossero davvero nascosti al suo interno (ἐν ξυλίνῳ κοίλῳ ἵππῳ), ma sosteneva che in realtà avevano aspettato di poter penetrare nella città, attraverso la breccia aperta per far passare il cavallo, in una certa valle vicina a Troia (ἐν κοίλῳ χωρίῳ), che ancora al suo tempo si sarebbe chiamata Ἀργείων λόχος.
Zeto e Anfione avrebbero costruito le mura di Tebe con il suono della cetra non in senso letterale, ma ottenendo dagli ascoltatori che si impegnassero nella costruzione delle mura come compenso in cambio dell’esibizione musicale
Non si può dunque dire che nel nostro PA si trovino trattati molti miti omerici.
Ma, se si cerca nella tradizione indiretta, si trovano indizi che ci fanno pensare che, comunque, questi miti dovevano avere nella raccolta uno spazio più rilevante di quanto si direbbe a prima vista.
Troviamo, per esempio in Nonno (monaco del VI sec.), che Palefato aveva interpretato anche i Ciclopi e che dava un’ etimologia singolare per spiegare questi personaggi13. Sarebbero stati uomini che avevano questo nome, non perché dotati di un solo occhio in mezzo al viso rotondo, come si dice in Esiodo14, ma perché abitavano isole circolari.
Questo tipo di interpretazione che pone il nome di un personaggio mitico in rapporto con un luogo è coerente con le interpretazioni che si trovano nel PA, anzi, ne costituisce uno degli strumenti «esegetici» caratteristici; lo si trova impiegato, nel caso di Cerbero (cap. 39) che è tricarenos non perché ha tre teste, ma perché proviene da una città che si chiama Tricarenia e degli Ecatonchiri (cap. 19) Cotto e Briareo, che si chiamavano così non perché avevano cento mani o cento braccia, ma perché abitavano la città di Ecatonchiria.
Mi pare anche interessante che la testimonianza di Nonno ci conservi il riferimento a un testo letterario preciso, che è Esiodo Theog. 144-5, di cui, mi pare probabile, Palefato contestava l’interpretazione e dal quale, a mio parere, partiva la sua argomentazione, secondo uno schema che è consueto nel PA.
In Eusebio15 abbiamo invece la notizia che, oltre a interpretare Scilla come nome di una nave, Palefato si era occupato anche delle Sirene16, spiegandole come etere assai seducenti che attiravano i marinai e li mandavano in rovina17. Anche qui troviamo una spiegazione che si fonda sull’interpretazione metaforica, come se ne hanno molte nel PA, per esempio Atteone divorato dai suoi cani (cap. 6), nel senso che ha sperperato per loro tutto il suo patrimonio oppure le Arpie che rovinano in realtà non il cibo, ma il patrimonio di Fineo (cap. 22).
In Maiala18 troviamo che Palefato aveva interpretato il mito di Leda, della quale si parla nell’elenco di eroine del canto undicesimo dell’Odissea, nel senso che costei sarebbe stata un’etera che aveva una relazione con un uomo chiamato Cicno (Cigno), figlio del re Ederione, e avrebbe da lui avuti i figli Castore e Polluce ed Elena. Anche in questo caso il modo di spiegazione del mito (trasformare il nome di un animale in uno di persona) è consueto in Palefato (si veda il toro di Pasife, cap. 2; il serpente ucciso da Cadmo, cap. 4; la volpe Teumesia, cap. 5; etc.). E’ da notare anche che non si fa parola di Zeus.
Riguarda l’Iliade19 inoltre la testimonianza di Eustazio20 che Palefato aveva trattato il mito della costruzione delle mura di Troia ad opera di Apollo e Posidone, mentre erano al servizio di Laomedonte: il nostro mitografo lo avrebbe spiegato nel senso che il re utilizzò i tesori conservati nei templi di questi due dèi per la costruzione delle mura21 e per questo in forma mitica si racconta che i due dèi hanno costruito le mura. Ancora una volta si tratta di un modo di spiegazione abituale in Palefato e che consiste nell’intepretare una frase in senso metaforico o comunque nel presupporre un fraintendimento verbale. Questo è uno dei pochi miti di cui si attribuisce un’interpretazione a Palefato e che conservi menzione degli dèi. Questo mito richiama quello della costruzione delle mura di Tebe, che troviamo nel PA e di cui si è già parlato.
Ancora di un personaggio menzionato nell’Iliade, Protesilao22, si era occupato Palefato secondo Eustazio; Palefato avrebbe sostenuto che ad ucciderlo era stato Enea (altri Ettore o altri ancora un compagno di Enea), e che quindi si doveva intendere Enea sotto il Δάναός ἀνήρ di cui parla il testo omerico. E’ probabile che Palefato se ne occupasse a proposito del mito incredibile del suo ritorno dai morti per l’amore della moglie Laodamia23. In effetti Eustazio24 dà, nello stesso contesto, anche una versione «razionalizzata» di questo mito, ma non possiamo dire che si trattasse proprio di quella di Palefato; non vi compare la resurrezione temporanea di Protesilao e Laodamia muore di passione.
Dunque la tradizione indiretta suggerisce che c’erano nel PA, o che comunque si conoscevano come attribuite a Palefato, altre interpretazioni di miti trattati nei poemi omerici, rispetto a quelli che si trovano nella nostra raccolta. Del resto che i miti omerici e in generale del ciclo epico avessero avuto una parte fondamentale nel lavoro di Palefato si può già dedurre dal fatto che esisteva sotto il suo nome un’ampia opera dal titolo Τρωικά25.
Inoltre se si considerano tutti gli accenni a personaggi e fatti mitici nel testo omerico che potevano offrire lo spunto a un’interpretazione del mito stesso o di alcuni suoi aspetti, magari non ricordati esplicitamente nel testo, vediamo che il numero di riferimenti possibili a Omero nel PA cresce molto e arriva ad almeno un terzo dei miti trattati, 14 su 45 (Niobe, 826; Diomede 7; Cieno 11, che è nella saga di Troia, ma non in Omero; il cavallo di Troia, 16; Bellerofonte e la Chimera 28; Briareo 9; Ceto 39; Amazzoni 32; Cerbero 39 e i Centauri 1; Eolo 17; Scilla 20; le Arpie 22; Zeto e Anfione 41).
Se si aggiungono a questo i miti presenti in Esiodo, si copre gran parte dei miti trattati nella raccolta (per i Centauri 1-Lapiti, Scutum 178-190; Pasife 2, frg. 145 MW; Ceneo 10, frg. 87 MW; Callistò 14, frg. 163 MW; Europa 15, frg. 140 MW; Esperidi 18, Theog. 215-6; 334-5; Cotto e Briareo 19, Theog. 147-53; 617-819; Fineo27 22, frg. 157 e 254 MW; Mestra 23, frg. 43a. 2-69 MW; Gerione 24, Theog. 287-94; 982-3; Frisso 30, frg. 68 e 299 MW; Pandora 34, Theog. 571-612 ed Opp. 61-105; Stirpe dei frassini 35, Opp. 143-55; 176-201; Idra 38, Theog. 313-8; Cerbero 39, Theog. 310-12; 769-7328; Zeto e Anfione 41, frg. 182 MW; Io, frg. 124 MW).
Dopo queste osservazioni, mi sembra, è ancora vero quello che scrive Buffière: il PA non riguarda affatto specialmente Omero, ma in generale riguarda certamente molti miti trattati nell’epos e per buona parte anche in Omero.
E questa osservazione riconcilia il PA che noi abbiamo con quanto gli studiosi moderni scrivono del metodo palefateo di critica al mito; proprio perché è un metodo che cerca di salvare il mito, recuperandone l’avvenimento reale e concreto, quello che poi è stato modificato dai poeti, questo metodo viene giustamente messo in rapporto con la storiografia29; questo metodo è, come la storiografìa, legato all’epos fin dalle sue origini, e, per usare un’espressione di Nestle30, come quella ne è «figlio». Noi possiamo dire che in effetti i miti trattati nel PA sono in grande parte miti di cui si parla nell’epos, quelli di cui si parla o si accenna nei testi omerici ed esiodei.
2. Come si è detto Eolo è, nel PA, un uomo che ha spiegato a Odisseo i tempi e le direzioni dei venti.
Vale la pena di notare che anche Polibio – ce lo riferisce Strabone31 nel quadro di una discussione sulla possibilità di ricostruire i percorsi reali dei viaggi di Ulisse, liberandoli dal meraviglioso e in polemica con Eratostene che negava tale possibilità32 – sosteneva che Eolo era in realtà un uomo, non un re e che avrebbe insegnato a Odisseo i passaggi possibili nelle vicinanze dello stretto, in una zona di difficile navigazione, con correnti inverse e vortici e avrebbe ricevuto per questo il titolo di ταμίας τῶν ἀνέμων e βασιλεύς.
Ma nel PA la trattazione del mito di Eolo prosegue dando un’altra spiegazione, questa volta di un’espressione precisa contenuta nel testo omerico:
ϕασί δὲ ὅτι καὶ χαλκοῦν τεῖχος τῇ πόλει αὐτοῦ περιεβέβλητο, ὅπερ ἐστὶ ψεῦδος· ὁπλίτας γὰρ εἶχε τὴν πόλιν αὐτοῦ ϕυλάττοντας.
Il χαλκοῦν τεῖχος, muro di bronzo, è appunto un rimando al testo dell’Odissea in cui si parla di Eolo, canto 10.3-4:
πλωτῇ ἐνὶ νήσῳ· πᾶσαν δέ τέ μιν πέρι τεῖχος
χάλκεον ἄρρητον, λισσή δ’ ἀναδέδρομε πέτρη.
Si può notare, per inciso, che questo tipo di interpretazione dell’espressione ‘mura di bronzo’ come una metafora che indica i soldati armati, muro vivente contro i nemici, è abbastanza antica, perché è già data per scontata in Platone, Leges 778 D33, che la ricorda approvandone il significato34; questo ci dà l’occasione di osservare che qui, come altre volte35, il PA si serve anche di materiali antichi e già elaborati da altri.
Ma ciò che mi sembra davvero rilevante è che abbiamo un caso in cui si evidenzia un interesse diretto ed esegetico per un’espressione precisa del testo in cui è trattato il mito in questione. E’ ovvio che è difficile dire con sicurezza se si tratti di una parte ‘scampata’ all’epitomazione selvaggia che il PA ha subito, e che l’ha trasformato in una specie di formulario per retori, o di un’aggiunta isolata dovuta ad un interpolatore con interessi eruditi, ma il fatto rimane.
Altri casi in cui si evidenzi un riferimento così letterale a un preciso testo poetico nel PA sono pochi ed è significativo che si tratti ancora, per lo più, del testo di Omero; nel cap. 28 viene citato un verso dell’Iliade (6.181) per descrivere la Chimera; la spiegazione del mito del cavallo di Troia (cap. 16) presuppone l’espressione κοῖλον λόχος con la quale il cavallo è indicato nell’Odissea (4.227; 8.515).
C’è inoltre il caso del mito della stirpe dei frassini (περί μελιῶν γενεᾶς cap. 35), a proposito del quale si dice che gli uomini non nascono dal legno, si dà la spiegazione che c’era un capostipite di nome Frassino, Μέλιος e i suoi discendenti si sono chiamati Μελίαι, Frassini, come gli Elleni da Elleno, e gli Ioni da Ione e poi si aggiunge che anche «stirpi di ferro e di bronzo non ci sono mai state, ma questi erano racconti sciocchi». Mi sembra evidente che chi ha composto questa spiegazione aveva come riferimento il passo delle Opere e i giorni di Esiodo36 in cui si parla delle stirpi e si dice che quella del bronzo, la terza, deriva dalla stirpe dei Frassini.
Ci sono poi anche casi in cui troviamo che si fa riferimento a una versione particolare del mito, anche se, nel testo come lo abbiamo noi, non ne è indicata la provenienza: per esempio, dove ha preso Palefato la notizia che il viaggio di Frisso sull’ariete verso il mar Nero durò proprio 3 o 4 giorni, se non si deve intenderli come espressione generica per dire «in poco tempo»? o da chi ha scelto che il numero delle teste dell’Idra fosse proprio 50?37 perché c’è chi parla di 9, come Alceo38, di 100 come Euripide39, di una sola, come Pausania40; da chi la versione di Niobe impietrita non sul Sipilo, ma sulla tomba dei figli?
Tuttavia anche così, anche se il caso di Eolo e del χαλκοῦν τεῖχος rimane un po’ unico, mi sembra che si debba riconoscere che c’è, almeno talvolta, la spia, nella raccolta, di un rapporto fra l’esegesi razionalistica di un mito e un testo poetico nel quale se ne tratta.
Vorrei così sfumare l’altra parte dell’affermazione di Buffìère, cioè che gli Ἄπιστα trattano i miti in generale. A me pare che, perfino nella versione epitomata e manipolata che noi abbiamo, ci siano (o ci siano rimasti) dei casi che ci mostrano come l’interpretazione di un mito era collegata, almeno talvolta anche nel PA, proprio ad un preciso testo letterario che ne parlava.
Questo mi sembra ci porti a porre un problema assai complicato, probabilmente irresolubile nelle sue linee generali, ma reale e non ignorabile, quello del rapporto fra il PA e la letteratura esegetica, i commentari e gli scoli.
Normalmente si dice soltanto che di citazioni di Palefato e di intepretazioni palefatee abbondano gli scoli, come se ci fosse una filiazione diretta e unidirezionale fra il PA, fonte e modello per questo modo di interpretare il mito, e gli scoli o i materiali da cui essi derivano41. Ma ormai sappiamo, e questo è dimostrato in altri casi42, che si debbono ipotizzare svariate forme di contatto e travaso fra i diversi tipi di letteratura erudita ed esegetica, che i greci hanno prodotto.
Per il caso di Palefato si deve tenere presente che, anche se il personaggio si data alla fine del IV see., abbiamo notizie del suo PA per la prima volta soltanto nel I/II sec. d. C. (Elio Teone retore); le citazioni in autori antichi sono ancora più tarde e il testo che è pervenuto a noi mostra di aver subito così tante modificazioni che uno dei suoi più grandi studiosi, Festa43, riteneva non avesse più niente a che fare con l’originale e fosse ormai il risultato di un assemblaggio di età bizantina (lo datava al XII sec.). Personalmente preferisco mettere l’accento sugli elementi di coerenza del testo e sul carattere antico della prefazione al quale sono ispirati, ma mi sembra che si debba riconoscere che siamo davanti a un testo che, nei molti secoli della sua fortuna, ha ‘interagito’ con altre forme della letteratura esegetica ed erudita in modi che non sono né chiari né unidirezionali.
Ciò si può vedere anche dall’esempio che segue.
La versione più dettagliata e ampia dell’ interpretazione palefatea di Eolo ci è conservata negli Scoli di Tzetze a Licofrone44 e negli Scoli all’Odissea45. Il contenuto è perfettamente «palefateo».
Αἴολος ὁ Ἱππότου ἐν ‘Pηγίω τῆς ‘Ιταλίας ὢν μὲν ἀστρονομικώτατος καὶ πολύπειρος ἐϕρόντισε μᾶλλον εἰδέναι περὶ τῶν ἀνέμων χάριν τῶν ναυτιλλομένων καὶ προλέγειν, ὡϲ εἰ τυχὸν ἐν ταύρῳ ἄστρω πλεύσειαν μέχρι τοῦδε ζέϕυρος αὐτόῖς ἔσεται πνέων ἄνεμος, εἰ ἐν δύσει κυνὸς τοιόσδε, καὶ ἐν τῇ ἀνατολῇ αὐτοῦ ἕτερος. καὶ τούτου ἕνεκα ἐμυθεύσαντο αὐτὸν εἶναι δεσπότην ἀνέμων…46
Il testo di Tzetze e degli Scoli ricorda anche altri personaggi con la stessa caratteristica di Eolo, cioè di essere chiamati «re dei venti» e di tenere i venti in un otre lasciando uscire quello che volevano47. L’uso di accorpare l’interpretazione di personaggi con aspetti simili ha esempi e tracce anche nel PA48; ci sono gli ‘invulnerabili’ Cieno e Ceneo (11 e 12), collegati fra loro (ὁ αὐτὸς λόγος καὶ περὶ Κύκνου); i divorati dagli animali (Atteone, Diomede e Glauco 3,4 e 25); i tricefali, Gerione e Cerbero (26 e 40), fra i quali ci sono rimandi interni; i metamorfosizzati, Atalanta e Melanione, Callisto (14 e 15).
Tzetze cita varie altre volte interpretazioni di Palefato (ne ho contate almeno 1149), riportandole in genere in modo corrispondente al contenuto del PA e rispettandone lo spirito. Per esempio per Pegaso presenta un’ argomentazione che non c’è nel PA50, ma che è dello stesso tipo di quella: οὐ γάρ ἐστιν ὅπου τις ἐπτερωμένον ἵππον εὐρήσει51.
Una sola volta la spiegazione è riferita in modo confuso, per il mito degli Sparti52, ed è anche la sola volta in cui Palefato è citato espressamente (come Παλαίϕατος ὁ Στωϊκός); ma la confusione in questo caso sembra derivare da un’eccessiva sintetizzazione.
Il caso di Mestra53 è più ampio nell’esposizione e diverso nel particolare (forse un arricchimento suo o della fonte) che i doni a Mestra non sono doni di nozze, come nel PA, ma pagamenti in natura per le sue prestazioni; anche Mestra diventerebbe un’etera.
Come valutare queste testimonianze di Tzetze? Viene naturalmente in mente la frase con cui Wilamowitz liquidava in generale il problema del PA e che è sempre valida54: solche Litteratur hat keine feste Form.
Ma mi sembra comunque utile porsi le domande che il confronto fra il mito di Eolo nel PA e in Tzetze suscita, anche se non sappiamo rispondere: utilizzava Tzetze (o la sua fonte) una versione del PA più ampia e modificata rispetto alla nostra? oppure è il PA che ha attinto alla stessa fonte da cui viene il materiale in Tzetze? A chi si devono le aggiunte eradite che troviamo in quest’ultimo?
Da queste poche considerazioni su Tzetze55, mi sembra emerga l’opportunità di uno studio più sistematico e di un’analisi più dettagliata della tradizione indiretta del PA e, in generale, dei casi di interpretazioni «palefatee» (riguardanti miti presenti nel PA o no), che si trovano soprattutto nella letteratura esegetica.
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1 D’ora in poi PA.
2 F. Buffière, Les mythes d’Homère et la pensée grecque, thèse, Les Belles Lettres, Paris 1956, 232.
3 Manca a tutt’oggi uno studio complessivo sulla tradizione indiretta del PA e, ciò che potrebbe essere interessante da altri punti di vista, delle interpretazioni «palefatee» dei miti che si trovano disseminate nella letteratura greca.
4 Più di 50.
5 Il criterio è la loro corrispondenza o meno alla realtà presente.
6 Versione mitica; critica della sua credibilità; ricostruzione «storica».
7 Cf. ultimo J. Stern, Palaephatus, On Unbelievable Tales, Bolchazy-Carducci Publishers, Wauconda 1996, 1-7, che accetta la cifra di 5 libri in Suda s.v.
8 Niobe cap. 8; il cavallo di legno cap. 16; Bellerofonte e la Chimera cap. 28; Briareo cap. 9.
9 Od. 11.260-65; nel nostro testo il mito è riferito a Hes., frg. 182 M-W del Catalogo delle donne.
10 Cap. 17 Λέγεται ὅτι Αἴολος ἄνθρωπος ἦν κυριεύων πνευμάτων, ὅστις ἔδωκεν Ὀδυοσεῖ τοὺς ἀνέμους ἐν ἀσκῷ· περὶ δὲ τούτου, ὡς οὐχ οἷόν τε γίνεσθαι, δῆλον εἶναι πᾶσιν οἶμαι. εἰκὸς δὲ ἀστρολόγον γενόμενον Αἴολον ϕράσαι Ὀδυσσεῖ τούς χρόνους καὶ καθ’ ἃς ἐπιστολὰς ἄνεμοί τινες πνευσοῦνται.
11 Una nave con questo nome si trova in Virgil., Aen. 5.122.
12 Cap. 20 Λέγεται περὶ Σκύλλης ὡς ἦν ἐν Τυρρηνίᾳ θηρίον τι γυνὴ μὲν μέχρι ὀμϕαλοῦ, κυνῶν δὲ ἐντεῦθεν προσπεϕύκεσαν κεϕαλαί, τὸ δ’ ἄλλο σῶμα ὄψεως. τοναύτην δὲ ϕύσιν ἐννοεῖν πολλὴ εὐήθεια. ἡ δὲ ἀλήθεια αὕτη. Τυρρηνῶν νῆες ἦσαν, αἳ ἐληίζοντο τὰ περίχωρα τῆς Σικελίας καὶ τὸν Ἰόνιον κόλπον, ἦν δέ καὶ ναῦς τριήρης ταχεῖα τότε, ᾗ ἐνομα Σκύλλα, καὶ κατεπεγέγραπτο ἐπὶ τῆς πρῴρας. αὕτη δ’ ἡ τριήρης τὰ λοιπὰ τῶν πλοίων συλλαμβάνουσα πολλάκις εἰργάζετο βρῶμα, καὶ λόγος ἦν περί αυτῆς πολύς, ταύτην τὴν ναῦν ‘Οδυσσεύς ϕορῷ καί λάβρῳ πνεύματι χρησάμενος διέϕυγε• διηγήσατο δὶ ἐν Κερκυρᾳ τῷ’ Αλκινόῳ ὡς ἐδιώχθη καὶ ὡς ἐξέϕυγε καὶ τὴν ἰδέαν τοῦ πλοιαρίου. προσανεπλάσθη δέ ὁ μῦθος. La parte finale a forma di serpente non avrebbe paralleli in altri mitografi, secondo STERN, ο.c., p. 51, ma cf. Schol. Od. Dindorf 12.105.
13 frg. 43 Westermann (Nonni Narrat. ad Greg. Invect. PL, 36, pp. 985-1072; cf. Eudoc. 263) Περί Κυκλώπων… Κύκλωπες δὲ ἐλέγοντο, ὡς μὲν Ἡσίοδος, ὅτι ἓνα εἶχον κυκλοτερῆ ὀϕθαλμὸν ἐν τῇ ὄψει, ὡς δὲ Παλαίϕατος, ὅτι κυκλοτερῆ τινα νῆσον ᾤκουν.
14 Theog. 144-145.
15 Eusebius, Chronicon, Iulius Africanus 62.21: ea quae de Ulixe fabulae ferunt, quo modo trieri Tyrrenorum Scyllam fugerit, spoliare hospites solitam. Scribit P. in incredibilium libro primo Sirenas quoque fuisse meretrices, quae deceperunt navigantes; cf. Ioann. Ant. frg. 1,17 = FHG IV 539: ἡ μυθευομένη Σκύλλη τριήρης ἦν Τυρσηνῶν ληιζομένων τοὺς παραπλεύοντας. αἱ δὲ Σειρῆνες ἑταῖραι ἐπιβουλεύουσαι τοῖς παραπλέουσιν. Il quoque fa pensare che ci fossero altri personaggi intepretati allo stesso modo; in Eraclito lo è proprio Scilla: dobbiamo pensare che Palefato presentava talvolta, nella forma più ampia più interpretazioni razionalizzate dello stesso mito? E’ quello che crede Blumenthal, RE Palaiphatos, 1942, coll. 2449-2455.
16 Questa interpretazione si trova in Heraclit. cap. 14, dove si dice che erano etere bravissime nel suonare e dotate di dolcissima voce e si interpreta la descrizione del loro corpo come alato, nel senso che volavano via in tutta fretta da chi fosse rimasto senza denaro. Come è noto la raccolta di Eraclito è caratterizzata da una frequente simpatia per questo tipo di spiegazione; sono etere anche Scilla, cap. 2; le Arpie, cap. 8; Circe 16.
17 Un’interpretazione simile, in forma molto stringata, si trova negli Schol. H.Q.T. 04.12.39 Dindorf αἱ Cειρῆνεϲ ἢ ὄρνιθεϲ κέλαδοι ἦϲαν ἐν λειμῶνι, ἢ γυναῖκεϲ θελκτικαὶ και ἀπατητικαὶ, ἢ αὐτὴ ἡ κολακεία.
18 Malalas, Chronographia, Leda 83.1 ἡ δὲ Λήδα ἐπορνεύθη μετεωριζοημένη ἐν προαστείω ἰδίῳ κειμένῳ παρὰ τὸν Εὐρώταν ποταμόν, καὶ ἔγκυος γενομένη ὑπό Κύκνου τοῦ μοιχοῦ, υἱοῦ Ἐδερίωνος βασιλέως, ἔτεκεν ἐν ἑνὶ τοκετῷ βρέϕη τρία, Κάστορα καὶ Πολυδείκην καὶ Ἑλένην. ἥτις Ἑλένη εἶχε ϕοβερὸν κάλλος, ἣν ἐξέδωκε μετὰ ταῦτα ὂ αὐτὸς Τυνδάριος εἰς γάμον Μενελάῳ, τῷ βασιλεῖ τῶν Ἀργείων, συντρόϕω τοῦ Ἀγαμέμνονος, καθὼς Παλαίϕατος ὁ σοϕώτατος συνεγράψατο, ὅτι μάτην οἱ ποιηταὶ ἱστοροῦσι ποιητικῶς λέγοντες ὅτι ὁ Ζεὺς γέγονε κύκνος καὶ Λήδαν ᾔσχυνε. Si deve avvertire che Maiala ci testimonia che, almeno all’epoca sua (V/VI sec. d. C.), dovevano esistere più raccolte di interpretazioni di miti sotto il nome di Palefato, ma ispirate a criteri assai differenti; in questo caso comunque l’interpretazione è perfettamente palefatea, come ha rilevato F. Wipprecht, Quaestiones Palephateae, Bonn 1892, 15.
19 Il. 21, 443 ss.; nel racconto omerico le mura sono costruite solo da Posidone, mentre Apollo fa il pastore.
20 Eustath., Od.1382.47 θεραπεία δὲ τοῦ μύθου κατὰ Παλαίϕατον, ὅτι κειμήλια Ποσειδῶνός τε καὶ ‘Απόλλωνος, εἰς ἀνοικισμὸν τῆς ‘Ιλίου ὑπὸ Λαομέδοντος δεδαπάνητο. διὸ δοκοῦσι, τρόπον τινὰ θητεῦσαι ὁ Ποσειδῶν καὶ ὁ ‘Απόλλων ἐν τῷ τῆς ‘Ιλίου κτίσματι. τινὲς δὲ οἴονται ὅτι ἀστείως τὸ κοινὸν. Questa interpretazione è attribuita da Tzetzes, Schol. Lycophr. 522 a Heliodorus FGrHist 31F28. Eustazio cita varie volte Palefato, di solito con corrispondenze precise con il nostro PA; qualche caso, tuttavia, fa pensare che leggesse del PA una versione più ampia della nostra, cf. ad es. il mito di Niobe, Il. 1368-12 (ad 24, 616).
21 La storia si trova nell’Anonymus de Incredibilibus, cap. 4 (Myth. Gr. 322).
22 Il. 2, 701-6; Eustath., Comm. in Il. 326, 7-10 Παλαίϕατος δέ, ϕασιν, ἱστορεῖ, ὅτι Αἰνείας ἀνεῖλε τὸν Πρωτεσίλαον.
23 Il mito è raccontato in Apollod0., Epit. 3,3, dove l’uccisore di Protesilao è Ettore.
24 Eustath., Comm. in Il. 325, 26-34.
25 Suda, s. v.; FGrHist 44 F 1-4.
26 Il. 24.602-17.
27 Il mito nel PA è come lo troviamo per esteso in Apoll. Rhod. 2.178-306.
28 Ma con 5 teste.
29 Con la storiografia e i suoi metodi si pone effettivamente in rapporto l’introduzione del PA.
30 W. Nestle, Vom Mythos zum Logos, Stuttgat 19422, 132.
31 Strabo 1.2.15 (= Polyb. 34, 2, 4-4, 8 B-W).
32 Diceva Eratostene τότ’ ἄν εὑρεῖν τινα, ποῦ Ὁδυσσεὺς πεπλάνηται, ὅταν εὕρῃ τὸν σκυτέα τὸν συρράψαντα τὸν τῶν άνεμων ἀσκόν.
33 Platone loda i poeti che dicono che questa è la vera difesa della città: ἐ·ν ἐν τῇ γῇ κατακείμενα τὰ τείχη καὶ μὴ ἐπανιστάναι, τῶνδε εἵνεκα. καλῶς μὲν καὶ ὁ ποιητικὸς ὑπερ αὐτῶν λόγος υμνεῖται, τὸ χαλκᾶ καὶ σιδηρᾶ δεῖν εἶναι τὰ τείχη μᾶλλον ἲ γήινα. Cf. Il. 15, 567; Aesch., Persae 359; Plut. Lyc. 19.
34 Cioè che i veri difensori della città sono i suoi soldati più che le mura.
35 Cf., per esempio, il caso dei cavalli antropofagi di Diomede, contro i quali troviamo usato un argomento esposto in Eurip., Alc. 495.
36 Hes., Opp. 109-155; per i frassini 145. Se pure il mito si trova in altri autori, cf. Apoll. Rhod. 4.1641.
37 Di un’Idra con 50 teste parlava Simonides, frg. 569 Page.
38 Alc. 443 L-P.
39 Eurip., Her. 1190.
40 Paus. 2, 37, 4.
41 Cf. P. Decharme, La critique des traditions religieuses chez les Grecs, Paris 1904, 231-245.
42 G. Arrighetti, (Poeti, eruditi e biografi. Momenti della riflessione dei Greci sulla letteratura, Pisa 1987, 190-194) ha dimostrato che alcuni papiri di argomento mitografìco sono in realtà il prodotto di un lavoro di estrazione, canto per canto, da commentari omerici e, in generale, ha richiamato l’attenzione sulla effettiva possibilità di una varietà e non unidirezionalità nelle forme di travaso di materiale nella letteratura esegetica ed erudita.
43 Palaephati, περὶ ἀπίστων ed. N. Festa, Leipzig 1902, XLVIII-L.
44 Tzetzes, Schol. Lycophr. 738.
45 Schol. P. pp. 444-445 Dindorf. Il testo presenta una variante interessante ἄνθρωπος al posto di βασιλεύς, che rimanda al PA, ma nell’insieme, si tratta, come mi suggerisce Filippomaria Pontani, di un excerptum da Tzetze.
46 Tzetze da anche una spiegazione razionalistica e accettabile all’otre e scrive: «io accetto anche l’otre perché, fra quelli che scrivono di magia si dice che se, uno farà un otre di pelle di delfino e lo terrà con sé, farà soffiare il vento che vuole». Cf. Schol. HQV ad Od. 10.6.
47 Id., ib. ὁμοίως δὲ καὶ τὸν Ἀμακλείδην καὶ Πρωτοκλῆ καὶ Πρωτοκρέοντα, ὥϲ ϕησιν Ὀρϕεύς. οὕτως οὖν ἔϕασαν αὐτοὺς δεσπότας εἶναι ἀνέμων, ὡς καὶ δέειν ἀσκῷ ὃν ἂν βούλοιντο αὐτῶν, τούς δ’ ἄλλους ἐᾶν πνεῖν.
48 Le ha studiate Ν. Festa, Intorno all’opuscolo di Palefato de incredibilibus. Considerazioni, Firenze-Roma 1890, pp. 16 ss.
49 Pegaso, Frisso ed Elle; Arpie; Cicno; Aiace; Eolo; le Forcidi (epiclesi di Artemide); Cadmo; Io; Toro di Pasife; Mestra.
50 Dove si trova la solita: se ci fosse stato ci sarebbe anche oggi.
51 Tzetzes, Schol. Lycophr. 17.
52 Tzetzes, Schol. Lycophr. 1026
53 Tzetzes, Schol. Lycophr. 1393.
54 A proposito del mito di Eracle e Onfale nel PA, Wilamowitz, Herakles, Berlin 19092, I, 101, n. 184.
55 Ma si possono trovare altri casi interessanti in scoli: Scilla o Sirene in Schol. Eurip. Andrem., 277; Dedalo in Diod. IV, 76 e Schol. Eurip., Hec., 838, I, 6 Schwartz; Linceo in Schol. Aristoph., Plut. 210.