Revue Italique

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Una gestazione e un parto gemellare : la prima e la seconda parte dei Sonetti di Benedetto Varchi

Giuliano Tanturli

Questo contributo vorrebbe ricercare e descrivere come Benedetto Varchi (Firenze 1503-1565) riunì e dispose un gran numero di sonetti suoi e di corrispondenti, mandati a stampa in due parti nel 1555 e nel 1557 ; potrà classificarsi come studio filologico d’una struttura. In quanto struttura il duplice libro, difficile per l’autore da ordinare e per noi da studiare a causa anche della mole, è di non poco interesse proprio per il contrasto fra ricerca d’unità e necessario sdoppiamento e ancor più per la ragione di quel contrasto. Da un canto tira il collaudato schema, a cui non si vorrebbe rinunciare per la garanzia d’organica unità, del “canzoniere” secondo il modello primo del Petrarca, di libro, però, se non intimo, in cui prevale lo sguardo rivolto a sé ; dall’altro c’è la natura epistolare della maggior parte dei sonetti, quindi rivolta all’esterno, ai multiformi rapporti sociali d’un grande e autorevole letterato.

Nel 1555, dunque, Benedetto Varchi stampava la prima parte dei sonetti, de sonetti di m. benedetto varchi, parte prima., Con Privilegio. In Fiorenza apresso m. Lorenzo Torrentino. mdlv (t55), con una dedica a « don Francesco Medici principe di Firenze », datata « d’Orvieto la vigilia del Corpus Domini dell’anno mdlv », cioè il 12 giugno (a Orvieto l’autore doveva trovarsi in visita a monsignor Lorenzo Lenzi, il suo « Lauro »).1 La stessa silloge senza varianti di rilievo, nessuna nell’ordine e nelle presenze, e aggiunte in fine tre ecloghe, comparve lo stesso anno col titolo isonetti di m. Benedetto varchi, novellamente messi in luce., in Venetia per Plinio Pietrasanta. mdlv, e con dedica a firma di Giorgio Benzoni a Giovanni della Casa, datata « Di Vinegia il primo di luglio mdlv ». Le due edizioni, quindi, furono di fatto contemporanee. Il Benzoni così delimita l’ufficio suo : l’autore « s’è contento ch’altri dedichi quel ch’a lui si conveniva dedicare ; perciò che, sendogli io quello strettissimo amico, che io sono, m’ha commesso che io ponga studio che l’opera sua si ricoveri sotto l’ombra d’un signore che per sé il vaglia et che sia amicissimo suo ; et senza specificar altramenti il desiderio che aveva, ha lasciato che da me ne faccia elettione ». Dunque anche di questa stampa l’iniziativa spetta al Varchi, che incaricò il Benzoni di stendere la prefazione per un personaggio di valore e amicissimo suo. È ovvio che l’incaricato si dovesse premunire d’averne centrato il desiderio, se, come forse è altrettanto ovvio, non gli era stato rivelato. Le due dediche all’erede del duca Cosimo e al nuovo segretario di stato di Paolo IV, interprete e artefice d’una politica antimperiale e pertanto antimedicea, seguendo in ciò i propri sentimenti d’esule volontario, sono in patente opposizione ; ma consone a un Varchi antico repubblicano, che era dovuto venire a patti col duca e accettare gli obblighi conseguenti, senza tuttavia rinnegare il proprio passato e gli amici che, diversamente da lui, in patria non erano dovuti tornare. Ma non di questo, che era giusto richiamare, si vuole ora discorrere, se non per avvertire che una dedica era, come l’autore scrive in quella a sua firma, novità estranea all’« esempio dei migliori e più gravi autori, che rime habbiano composto e mandato fuori », cioè, specificava, il Petrarca e il Bembo (t55, c. *iir-v). E già questo mette in tutta evidenza la proiezione sociale anche del libro nel suo insieme. Che le dediche siano due, con due conseguenti e separate stampe, mostra come i rapporti nei quali esso si colloca siano anche divergenti.

Alla prima parte dei sonetti seguì due anni dopo presso lo stesso stampatore fiorentino, e solo presso di lui, la seconda : de’ sonetti di m. benedetto varchi colle risposte, e proposte di diversi parte seconda., in Fiorenza appresso Lorenzo Torrentino mdlvii (t57). Le due parti coordinate nei titoli, che ne fanno due eventi d’un solo progetto, si presentano come libri d’aspetto diverso, se non di diversa natura. Più semplice e breve dire del secondo, che è un epistolario poetico diviso in due sezioni da una carta bianca : settantanove proposte del Varchi ciascuna con la sua risposta ; centoquaranta proposte d’altri a lui e la sua risposta ; un tipo di libro poetico non comune, per il quale non mi soccorrono precedenti. Si comincia con quattro scambi di sonetti con Annibal Caro su Lorenzo Lenzi – Lauro, di cui il Caro fu precettore, e sull’amore del Varchi per lui. Sulla soglia della seconda parte, così, s’affaccia l’ombra di « Quella pianta » (par. 2a 13), che subito dopo entra in scena in prima persona, rispondendo ai sonetti v e vi.2 Ne segue uno a Schiatta Bagnesi e risposta ancora sull’amore, anzi, mi pare, su questo principale amore, a chiudere l’inizio appunto nel suo nome ; che spesso e variamente ritornerà nelle corrispondenze. Entro le due sezioni le coppie sono riunite per corrispondenti in serie anche abbastanza lunghe, come quelle con Lelio Bonsi, da xiv a xix e da cxxxiv a cxli, e con Lucio Oradini, da xx a xxv e da cxlii a cxlviii. È ovvio anche perché queste due corrispondenze si susseguano nell’una e nell’altra sezione : i due sono i discepoli prediletti delVarchi a partire dai tardi anni Quaranta, introdotti giovanissimi nell’Accademia Fiorentina (vi lessero pubblicamente nel ’49, il Bonsi, e nel ’50, l’Oradini).3 Talvolta le successioni sono indotte dalla parentela dei corrispondenti : per esempio, la corrispondenza con Luigi Alamanni, lix-lx, e col figliolo Battista, lxi-lxiii, che nella seconda sezione resteranno uniti, scambiandosi di posto : prima Battista, cv-cvii, poi il padre, cviii-cx ; o dal casato : Ludovico, lxxx, Vincenzio, lxxxi, Niccolò, lxxxii, Ugolino Martelli, lxxxiii-lxxxvii, che aprono la seconda sezione. Di questi solo Ugolino compariva nella prima, X, chiuso fra due Strozzi, Giovambattista, ix, e Carlo, xi-xii : del primo è evocato un soggiorno padovano ; il secondo lo condivise con lo stesso Ugolino nel 1540, col quale dal 1548 fu a Roma al seguito del cardinale Ridolfi, sicché fra i due personaggi è stato rilevato un percorso in parte parallelo.4 Oltre a queste affinità fra i corrispondenti c’è l’affinità di materia della corrispondenza x (con Ugolino Martelli) e xi (con Carlo Strozzi), di compianto e conforto funebre. E altre volte, naturalmente, gli scambi di sonetti sono riuniti dall’argomento, come quello inviato da Simone della Volta, cxv, posto dietro i cxi-cxiv del Bronzino, trattando tutti dell’invidia che s’abbatté sul Varchi. Talvolta il legame sarà un’esplicita o implicita presenza : lxxv (a Bernardo Cappello), lxxvi (a Domenico Venier), lxxvii (a Giovanni della Casa), tutti parlano del Bembo. Dall’ultima di queste corrispondenze si passa opportunamente a quella con Francesco Nasi (lxxviii), nella quale si parla del Casa, suggerendo al Nasi di ricordargli un passaggio d’un sonetto giustappunto del Bembo.5 Il legame può esser anche formale. Fra l’ultimo scambio di sonetti con Giovambattista Busini, civ, e il primo con Battista Alamanni, cv, è comune la rima a con un intero secondo emistichio, « seconda morte » (civ risposta, 4, e cv proposta 4) ; gli incipit di civ proposta e risposta, arsi con dura e insopportabil sorte, ben riconosco in voi quel saggio e forte, sono variamente echeggiati e come riassunti da quello della proposta di cv, ben contender mi può l’empia mia sorte. La divisione formale e oggettiva fra i sonetti di proposta e di risposta del Varchi viene talvolta a separare dialoghi di per sé in continuità : i sonetti lxxi, a Antonio Landi, e lxxii-lxxiii, a Bernardo Davanzati, con le risposte, su un soggiorno nella villa della Tana del primo, posti verso la fine della prima sezione, trovano il loro seguito nei due ultimi della seconda, ccxviii, del Landi e risposta, sul Monte Senario, il luogo dell’amore e della poesia del Varchi, che era stato introdotto in lxxi, come l’unico superiore alla Tana, e ccxix del Davanzati e risposta in lode di questa villa. D’altra parte, richiamandosi quelle corrispondenze con tutta chiarezza e essendo poste in parallelo, la dislocazione, causata dalla circostanza che vede il titolare del libro prima proponente quindi risponditore, assume un esplicito valore architettonico.

La prima parte dei sonetti del ’556 ha un’apertura retrospettiva al modo del Petrarca, esemplata su quella del Bembo :

Quel ch’amor mi dettò casto e sincero
D’un lauro verde ne’ miei più freschi anni
Cantai colmo di gioia e senza inganni,
Se non leggiadro, almen felice e vero.

Febo, che puoi sol dar condegno e ’ntero
Pregio e ristoro alle fatiche e a i danni
Di quell’alme innocenti che coi vanni
Volano al ciel del loro ingegno altero,

Ch’io viva no, ma ben ti prego humile,
Se mai per te soffersi o freddi o fami,
Che non del tutto mi disfaccia morte ;

Equei più d’altri mai ben colti rami
Della tua pianta e mia con nuova sorte
Fioriscan sempre in rozzo e secco stile.

Del primo sonetto delle rime di Pietro Bembo è condivisa la rima b e tre delle parole in rima, che sono anche (a) del primo dei sonetti e canzoni di Iacobo Sannazaro e provengono dal Petrarca, rerum vulgarium fragmenta 60 e 357. Del Bembo è il generale schema, che più proemiale non si potrebbe : argomento, 1-4, invocazione, 5-14, con identica mossa, « Febo, che puoi », da « Dive, per cui » ; come identica è anche quella della seconda terzina, « E quei più d’altri », da « E quella strada ». Del Bembo, 1, è il « Cantai » (3) ; ma non n’è tolto il « Piansi », anzi, c’è il suo contrario : « Cantai colmo di gioia e senza inganni », come impone la natura omosessuale dell’amore del Varchi, che non può mostrare i tratti della passione, ma deve ammantarsi di quelli nobilitanti e disinteressati dell’amicizia. Proemiale anche « Quel ch’Amor mi dettò », da Ov. am. II 1 38 : « Carmina, purpureus quae mihi dictat Amor ».

Come c’è una così evidente apertura di libro, di libro di poesia lirico-elegiaca, che noi abbiamo l’abitudine di chiamare per comoda convenzione canzoniere, altrettanto esplicita, anzi dichiarata è la funzione di chiusura dell’ultimo, dxxxiv :

Da voi felice e senza alcuno affanno
Hebbe principio il mio cantare et hora
Felice e lieto in voi fornisce ancora,
Arbor del sole, al ventottesimo anno ;

Ma le sante radici, che mi stanno
Estetter dentro al cor sì dolci, ognhora
In mezzo l’alma (o viva il corpo o mora)
Fibre maggiori e più profonde havranno.

Per voi de la comune schiera fuore
Uscii, pianta del ciel, per voi mi volsi
All’erta, e la seguii, strada d’honore.

Altro che voi né chiesi mai né volsi
Né voglio o cheggio infino all’ultime hore,
Che ben fin fa chi bene amando muore.

Quanto la chiusa di questo libro di sonetti è dichiarata e esplicita, tanto, e di conseguenza, poco bisogno ha, per avvertire che si « fornisce », di essere scopertamente canonica. Alla fine più canonica dal Petrarca (rvf. 364-366) al Bembo (rime clxiii-clv), domani al Casa (rime lxiv) era e sarà una o più preghiere. In verità nemmeno questo chiudere facendo il punto e computo cronologico, di cui il Varchi si contenta, manca della debita autorizzazione del Petrarca, rvf. 364, 1-4 : « Tennemi Amor anni ventuno ardendo, / Lieto nel foco, e nel duol pien di speme ; / Poi che madonna e ’l mio cor seco inseme / Saliro al ciel, dieci altri anni piangendo » ; e subito dopo questo consuntivo, dal v. 5 del sonetto, la contrizione e le preghiere. Quindi della chiusa secondo i Rerum vulgarium fragmenta il Varchi si ferma al primo atto, non si scosta. Meno esemplare e rilevato il computo degli anni nel xcviii dei sonetti e canzoni del Sannazaro : « Giungendo al fin del sestodecim’anno » (10), che se non è l’ultimo testo della stampa del 1530, è seguito solo dai tre capitoli, ben separati dal resto, quasi un’appendice, se non altro metricamente, e da una pagina bianca (intercalata anche fra capitolo e capitolo). Un accenno di preghiera, a parte i sonetti spirituali posti all’interno, c’è, nel libro del Varchi, ma in principio, a ii, 1-8 : « Alsi et arsi gran tempo e fu l’algore / E l’ardor così dolce e così santo, Che quel ch’a gl’altri suol vergogna e pianto, / A me sempre portò gioia et honore. / A te vero del cielo, alto Fattore / E della terra, sia la gloria e ’l vanto, / E a voi, cui sole adoro al mondo e canto, / Frondi, degno del sol pregio et amore ». Le preghiere in fine dei rerum vulgarium fragmenta, delle rime del Bembo sono preghiere che chiedono perdono o intercessione (vergine bella) e rispondono al senso di vergogna e pentimento del consuntivo proemiale (rvf. 1, 9-14 ; Bembo, rime I, 9-14). Posto che l’amore omosessuale del Varchi non può proporsi che come pura amicizia, santa e nobilitante, la preghiera non poteva essere che di ringraziamento, quale è quella di ii ; anticipata in principio forse proprio per chiarire sotto quest’aspetto non l’adeguamento, ma l’opposizione ai modelli. Il richiamo al principio dall’epilogo c’è anche nel Varchi : nel ribadire la felicità e la serenità del suo amore ; ma anche, più sottilmente, in un dato formale. S’è visto che tre delle parole in rima a di i sono in rima, rispettivamente b e a, nei sonetti proemiali del Bembo e del Sannazaro ; la quarta, affanni, non si perde, è serbata a aprire, declinata al singolare e preceduta da preposizione privativa, l’epilogo e chiudere così circolarmente il tutto.

La prima parte dei sonetti si presenta, dunque, nell’inizio e fine che la delimitano e definiscono come libro organico di poesia amorosa, dell’amore che ora si diceva, per il Lauro o (dxxxiv) « Arbor del sole », nella cronaca Lorenzo Lenzi. La presenza d’un senhal, oltre che di questo senhal, che volge al maschile quello del canzoniere, lo riporta all’archetipo più di altri esemplari cinquecenteschi, che, e fra questi quello di Pietro Bembo, non sempre ce l’hanno. La chiusa sembrerebbe alludere anche a un percorso forse non rettilineo e, certo, a un flusso temporale : « Da voi [...] Hebbe principio il mio cantare et hora [...] in voi fornisce [...] al ventottesimo anno » (dxxxiv, 1-4), il cui filo non è per nulla facile da individuare e seguire in quella selva interminabile di cinquecentotrentaquattro sonetti.

Più facile, semmai, riconoscervi nuclei tematici, col conforto anche delle due didascalie poste alle pagine 179 e 215, di « Sonetti pastorali » a Annibal Caro e « Pastorali. A Giovanvettorio Soderini » (la terza, a p. 229, riguarda una circostanza puramente esteriore : « Alcuni sonetti del medesimo autore, parte ritrovati nello stampare e parte aggiunti di nuovo »), e ancor più da appunti presenti nella ricchissima eredità di carte del Varchi conservate nelle Filze Rinnuccini della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, nella filza 14, inserto 78, cc. 357v e 358r. Precede a c. 357r a mo’ di titolo : « Ordine della prima parte de’ sonetti / Sonetti del Varchi. I ». Segue sul verso quest’elenco incolonnato a sinistra (le sbarre indicano a capo ; il resto – uso di maiuscole e minuscole, segni d’interpunzione, lineette – è riprodotto fedelmente) : « Pastorali ultimi / Primi – secondi – e terzi / Ducali / Carini primi – e secondi / Hercolani / Farnesi / Mendozzi / Curradini / Infermi / Morti / Artefici nobili / Prelati / Soldati / Monti / fiumi e fonti / Ville / Donne nobili : d’Amore / letterati / Bembi / Giovani di virtù / Lelii / Oradini / Vivaldi / Leone d’Arezzo / Temporali idest d’anni / Ad Asinarum / De Asinaro / Ad Laurum et de Lauro / Di fantasia . et stravaganti / Ad Amicos » ; verso destra, separati dai precedenti da una linea ondulata : « Di Bologna / fuorusciti » (all’altezza di « Mendozzi » e « Curradini »). A c. 358r, altro elenco in gran parte coincidente nei lemmi in piccola nel loro ordine : « Ad Laurum – De Lauro / Ad Asinarum – De Asinaro / Ad montes / Ad fontes fluvios / Di fantasia . stravaganti / Donne . Amori – Nobili – Laudi / Prelati / Sodales Ad Amicos familiares. Di Bologna, Fuorusciti / Ad Iuvenes De virtute / Ad litteratos Bembo / Ad Artifices nobiles . Leon d’Arezzo / Ad Duces et milites / Infermi / Morti / Temporali idest d’anni / Ducali / Farnesii / Mendozzi / Curradini / Ad Carinum De Carino primi et 2i / Ad Herculanum De herculano / Ad Laurum De Lauro / Pastorali primi – 2i. terzi ». È certo che gli elenchi non si riferiscono direttamente alla stampa del ’55, nella quale, come si vedrà, più d’una categoria non trova riscontro, altre ve lo trovano dubbio o ancipite, tanto meno l’ordine di nessuna delle due versioni ; è probabile che si riferiscano a un progetto di ristampa che l’autore non poté realizzare. Difatti in fine di quell’inserto 78, c. 375v, si legge, scritto a foglio capovolto : « Sonetti prima parte – ristampanda ».

Ma la gran parte dei nuclei elencati si riconoscono anche nella stampa del ’55 e possono essere un utile traccia per non perdersi nel bosco. Dopo i due sonetti proemiali, i numeri iii-xx rispondono senz’altro alla categoria ad laurum, de lauro, inteso come emblema e senhal, esaltando e invocando tutti l’« arboscel », le « fronde », l’« arbusto », l’« arbor sacro del sol », la « pianta gentil », l’« alloro ». Vi si può riconoscere, anticipata proprio al primo posto e ingrandita da uno a diciotto la funzione di rvf. 5 : esaltazione del nome. Segue la serie xxi-xxix, ad asinarum, de asinaro, sulla cui pendice, a Bivigliano, nominato a xxv 6, sul finire d’agosto (il 28 ?) del 1527 all’ora sesta, come appunto preciserà il xxxvi, il Varchi conobbe Lorenzo Lenzi (Lauro).7 E questa per dire e celebrare il luogo dell’innamoramento. Dal quale con naturalezza la descrizione s’allarga ai circostanti dintorni fiorentini sulla destra dell’Arno : gli altri monti o ad montes, xxx-xxxv, e fiumi e fonti o ad fontes fluvios, xxxvi-xliv, per lo più benedetti da un’occasionale presenza del Lauro, magari in compagnia dell’autore. I seguenti, xlv-l, sono ancora su questi luoghi, ma si riferiscono a uno o più episodi : il ritorno al monte dell’incontro amoroso, cioè monte Senario in una suggestiva luce lunare (xlv), e a Fiesole (xlvi-l), alcuni (xlvi, xlviii, xlix) alludendo all’assedio di Firenze e deprecandone gli effetti su quel paesaggio.8 Vi s’aggiunge il li, su due colline alla sinistra dell’Arno, Rusciano e Giramonte, in grazia della rievocazione anche in questo (5-14) dell’assedio. Per lii-lxii di nuovo soccorre con esattezza un lemma di quegli appunti delle Filze Rinuccini : temporali idest d’anni, cioè anniversari dell’innamoramento, fra il quarto e il venticinquesimo in ordine progressivo. Sonetti d’anniversario, di questo o d’altri eventi ce ne sono stati e saranno ancora, a parte l’ultimo, disseminati nel libro : il xii e xiii, per esempio, che stanno nella sequenza ad laurum et de lauro e sarebbero potuti stare benissimo in questa. Ma questa è e si volle che fosse la serie compatta dei sonetti temporali. Anche il successivo, lxiii, lo è, ma l’anniversario è il nono da quando « la Brenta e ’l gran Bembo lasciai » (3). Non sarà lì per caso, ma per affinità, quasi a sfumare il variare d’argomento particolare ; che in generale, compreso questo e fino al lxix rimane l’amore del Lauro, fuor che il solo lxiv, e più il ricordo del tempo e luogo dell’innamoramento, nell’ultimo toccando anche d’un anniversario, il ventiquattresimo.

La prima svolta decisa viene ora, dopo i primi sessantanove sonetti, dedicati, come s’è visto, all’amore del Lauro secondo le categorie petrarchesche, ben dilatate, del nome, del luogo e del tempo. Dal lxx alla fine ci saranno anche sonetti sul Lauro o al Lauro o, senza senhal, a Lorenzo Lenzi, spesso e volentieri sul luogo o i circostanti luoghi dell’innamoramento, che s’impongono come protagonisti inscindibili dall’oggetto umano dell’amore e delle poesia, su vari episodi o circostanze (assenze, ritorni, visite, eventi della sua carriera ecclesiastica), ma saranno isolati o in coppie o in serie per lo più brevi : per esempio, lxxxvii e lxxxviii, xci, c e ci, clxvi, ccxlix e ccl, cclixcclxi, cclxiii, cclxvii-cclxx, cclxxv-cclxxviii, ccciv, cccvii e cccviii, cccx-cccxii, ccclxxvi (chiamato Dafni, trattandosi di sonetto pastorale), ccclxxxii, ccclxxxvi, cccxiv-cccxvi, cccclxxxix, collocati, forse, di preferenza in punti nei quali, come si vedrà, non si ravvisa alcun motivo o solo un blando elemento che riunisca nuclei definibili. Altre volte del Lauro è più o meno fuggevolmente richiamato l’amore o la presenza in sonetti d’altro principale argomento, per esempio nel xc (nel successivo emergendo in primo piano), clxviii e clxix, clxxiv-clxxvi, clxxxii, ccxxxiv, ccliii, cclvii, cclxxxix, ccxcviii, ccclxxxiv, cccxvii-cccxix, cccxliii e cccxliv, cccxlvii. Né fra questi due elenchi d’esempi è sempre facile distinguere ; ma importa e basta che in tutta l’interminabile raccolta l’amore del Lauro e, ripeto, dei luoghi dell’amore sia una presenza effettiva e unificante del libro. Il quale, però, dopo i primi sessantanove sonetti si scandisce secondo nuclei d’altro argomento. I numeri lxx-lxxxiv rispondono al lemma composito Donne nobili, d’amore, e nell’altra poco chiara versione donne. Amori – nobili – laudi. Ma non c’è dubbio che i sonetti da lxx a lxxxii siano d’amore, non per il Lauro, ma amore passione, e a lxxiv-lxxvii, lxxix, lxxx e lxxxii certamente per donna ; lxxxiii e lxxxiv sono in lode di due nobildonne : Beatrice Pia degli Obizzi e Camilla Strozzi de’ Malvezzi (dove secondo l’uso cinquecentesco il secondo cognome preceduto da preposizione degli, de’ è quello del marito). Segue l’lxxxv, alla Gloria formalmente assimilabile ai precedenti per la sua raffigurazione in persona di donna e l’invocazione iniziale : « Donna, ch’hor di sudor piena e di polve ». Altra personificazione a lxxxvi, il Sonno, e perciò legato all’ultimo, ma in nessun modo assimilabile al gruppo. Con questo si è sotto ogni aspetto fuori dal nucleo sulle donne e gli amori e fino al ci non è facile individuare motivi o altri elementi che riuniscano i testi, se non per cciv-xcvii le lodi di Lodovico e Ugolino Martelli, Vittoria Colonna, ignoto toscano defunto (le laudi che nell’appunto di Filze Rinuccini 14, c. 358r, sono nel lemma poco chiaro Donne. amori – nobili – laudi ?). Invece, anche se la categoria non compare in quegli appunti, cii-cvii, sono sonetti per lo più spirituali (il cv, che si rivolge al papa, potrà classificarsi come religioso) ; cui ne seguono altri, cviii-cxx, che esprimono un’interiore sofferenza, tutti chiusi da una preghiera a Dio, cxxi. Succedono e ben si riconoscono le sequenze degli infermi, cxxii-cxxvii, e dei morti, cxxxviii-clxv, cioè sonetti per malattie e di compianto funebre.

Da qui, clxvi, a ccci, una lunga e centrale porzione del libro, si possono riconoscere nuclei ben chiari e anche definiti dagli appunti della filza Rinuccini ; ci si riferisce a nuclei in sé compatti, ma che difficilmente o forse mai riuniscono tutti i sonetti che per argomento o destinazione vi potrebbero essere inseriti : letterati o ad litteratos, ccii-ccxxii, entro i quali si segnala per ampiezza la serie al Bembo, i bembi ccx-ccxvi ; artefici nobili o ad artifices nobiles, ccxxxix-ccxliii ; lelii (cioè a Lelio Bonsi), ccxlviiicclvii, e oradini (cioè per Lucio Oradini), cclviii-cclxii ;9 soldati o ad duces et milites, cclxxxi-ccxc. Si potrebbe isolare una serie ad amicos o ad amicos familiares, clxxiii-clxxviii ; qui, più nutrita che in appendice agli amori, una a donne nobili, clxxxix-cxciii. Per i prelati ce ne potrebbero essere tre : clxx-clxxii, ccxxiv-ccxxvi, cclxvii-cclxxiii, ma nessuna o per la scarsa quantità o per intrinseca o relativa debolezza convince ; per i fuorusciti o in ogni modo sulla perdita della libertà di Firenze e conseguente diaspora i ccxxvii-ccxxxi ; ma perché il sonetto a Iacopo Nardi ne è separato e di così poco, ccxxxvi ? Fuori dai lemmi degli appunti della filza Rinuccini si ravvisa un nucleo piccolissimo ma definito e calibrato : clxxix, a Michelangelo, clxxx a e sull’amico di lui Tommaso Cavalieri, clxxxi, all’amico proprio Lorenzo Lenzi sull’Aurora e la Notte di Michelangelo. Si potrebbe ravvisare un gruppo di sonetti di commiato e lontananza nei numeri cxciv-cci, anche se n’andrebbe levato il cxcv. Ma questa categoria, come anche altre a partire dal clxvi e fino al Ccci, è indotta dalla vera costante di quest’ampia porzione del libro, che di regola, tolti, se non sbaglio, clxix, ccxv, cclxix, cclxxviii, ccxcv, è fatta di sonetti di corrispondenza. L’impostazione, certo, è ricorrente anche in altre parti del libro. E non mi riferisco all’invio, e verrebbe da dire dedica, che nella tavola alfabetica degli incipit ne accompagna la più gran parte, ma alla formulazione epistolare del testo con apostrofe a una persona reale e viva, costituita dal nome o da un titolo o dal semplice pronome e verbo di seconda persona, come in diciotto, per esempio, dei trentotto sonetti funebri, i morti, cxxviii-clxv, in uno dei sei infermi, cxxii-cxxvii. Fra i ventuno sonetti, cii-cxxi, che resultano o spirituali o di sofferenza interiore, ma per i quali non sovviene un titolo dalle carte dell’autore, il numero di quelli epistolari si rialza a undici, concentrandosi nei cxi-cxix, preceduti dal cv (al papa). In precedenza, oltre lxxxiii, lxxxiv, ccii, ccv, non ne trovo (non si tien conto dei sonetti in lode o d’amore svolti in seconda persona o rivolti a entità personificate). Il fenomeno comincia, dunque, col nucleo cii-cxxi, precisamente col cxi. Ma solo nel tratto in questione, clxvi-ccci, ampio e centrale, si può parlare piuttosto di costante che di tendenza epistolare. Nei successivi undici, cccii-cccxii, cinque sono di corrispondenza, che era anche in precedenza, ci-clxv, più o meno la media. Né altro li unifica tutti, i singoli come le sequenze ben individuate ; che di per sé rimangono tali, ma, senza saldarsi l’un l’altra, per così dire, vi galleggiano, come, nel magma, separati coaguli.

I cccxiii-cccxx sono i farnesi, cioè per il cardinale Alessandro Farnese e personaggi del suo seguito in occasione d’una sua visita a Fiesole (cccxiii), ospite di Cosimo (cccxiv). Succedono i mendozzi, cccxxi-cccxxx, per il cardinale Francesco Mendoza de Burgos e il seguito in visita a Fiesole (ancora questo luogo) e ai santuari toscani (Vallombrosa, Camaldoli, La Verna, Certomondo). Ecco, infine i ducali, cccxxxi-cccli, per tutta la famiglia regnante, compreso il cameriere Sforza Almeni, che apre la sequenza, come in funzione di portinaio, undici a Cosimo, due alla madre, Maria Salviati (uno in morte), due alla duchessa, uno ciascuno a cinque figli maschi, Francesco, Giovanni, Garzia, Ferdinando, Antonio.

La lunga e ben visibile serie encomiastica potrebbe segnare già di suo un forte stacco, rilevato anche tipograficamente da quel che segue, un titolo su pagina bianca (179), sonetti pastorali, con una generale dedica a Annibal Caro, costituita dal primo sonetto, ccclii, p. 180a. Quelli a tema e ambientazione propriamente pastorale arrivano al ccclxxvi ; da ccclv a ccclxiv si canta l’amore di Filli e Damone (nome pastorale del Varchi) ; da ccclxviii a ccclxxiii quello di Licori e Iola, ma anche di Damone per Iola. Succedono con funzione di cesura due sonetti epitalami, ccclxxvii e ccclxxviii ; quindi sonetti, almeno in massima parte, per o su Giulio della Stufa, in alcuni designato col nome pastorale di Carino, ccclxxix-ccccxx. Gli appunti della filza Rinuccini parlano di tre serie di pastorali e di due di carini. Ecco, difatti, un altro stacco grafico a p. 214, occupata da un sonetto solo, ccccxx, invece che dai soliti due, e a p. 215, di nuovo il titolo pastorali con generale dedica « a messer Giovanvettorio Soderini » e un solo testo. Questa serie, ccccxxi-ccccxlvii ha come protagonisti Carino, Nape e Damone e un luogo definito : la valle dell’Ema e Vacciano, sulla sinistra dell’Arno, oltre il colle d’Arcetri. È una regione simmetrica per due rispetti, posto l’asse dell’Arno e la conformazione valliva, al monte Senario, Fiesole e gli altri poggi alla destra del fiume, come nel libro questi ventisette sonetti finali sono speculari ai xxi-l che in principio descrivono quei luoghi dell’incontro e dell’amore col Lauro. Formalmente, difatti, la raccolta finisce qui col commiato da una poesia posta tutta alla sua ombra : « Queste cosè cantò mentre ch’all’ombra / Sedea Damon, di quel sacrato alloro / Che l’Arno e ’l Tebro co’ suoi rami adombra ; / Hor di cura maggior la mente ingombra / E posto mano a più grave lavoro, / Il canto e ’l suon dal cor per sempre sgombra » (ccccxlvii, 9-14), cui segue sul piano ideale e progettuale la chiusa col computo cronologico e il positivo bilancio del dxxxiv.

Nelle carte del libro a stampa si frappongono a mo’ di dichiarata e non ordinata appendice gli ottantasette sonetti « parte ritrovati nello stampare e parte aggiunti di nuovo » (p. 229) : ccccxlviii-dxxxiv. Anche questi hanno in massima parte carattere epistolare, qualcuno pastorale. Oltre al consueto ricordo del Lauro è parecchio presente l’amore per Giulio della Stufa o Carino e il motivo del suo traviamento. Si possono riconoscere alcuni nuclei, come quello funebre di cccclvi-cccclxi e soprattutto quello, dxv-dxxii, celebrativo d’un bronzo di Leone d’Arezzo raffigurante Filippo II : gli appunti della filza Rinuccini 14, cc. 357v e 358r, registrano leone d’arezzo. La serie è inserita in un contesto milanese e lombardo, nel quale lo scultore operava, facendo appello ai letterati locali, preceduta da un sonetto, dxiii, a Francesco Vinta, ambasciatore mediceo a Milano, e da un altro, dxiv, a Girolamo Cardano e seguita da uno, dxxiii, a Giuliano Goselini.10 Idealmente i componimenti di quest’appendice si dovranno distribuire ai luoghi loro nelle riconosciute sequenze all’interno del libro, che, come detto, si chiude con l’addio alla poesia del ccccxlvii e col bilancio di quello effettivamente ultimo, dxxxiv.

Dunque la prima parte dei sonetti (t55), costituisce il canzoniere di Benedetto Varchi, aperto e chiuso nel nome del Lauro, nella prima sezione (fino a lxix) dominato e in seguito variamente segnato e percorso dal motivo di quell’amore e del luogo di quell’amore. Tuttavia il libro anche si articola rispecchiando in maniera assai diretta le relazioni sociali e culturali, insomma la vita pubblica dell’autore, se non nelle due serie dei sonetti pastorali, più squisitamente letterarie o, meglio, impostate secondo questa tipica convenzione e finzione letteraria ; le quali sole, difatti, sono contrassegnate e isolate da un particolare titolo. Di conseguenza al di fuori di queste ultime e della prima sezione prevale il tono epistolare, che nel cuore magmatico del libro è parso unico elemento unificante e che sarà unica ragione di t57. A questo s’accorda e assimila un’altra peculiarità della raccolta varchiana, quella d’esser fatta solo di sonetti : il genere metrico deputato allo scambio o, tecnicamente, tenzone, quindi il genere metrico dialogico, epistolare e sociale per eccellenza. Allora a progettare e costruire un altro libro, strettamente coordinato nel titolo come seconda parte, in cui anche comparissero le risposte e le proposte dei corrispondenti, forse l’autore fu indotto sia dal numero spropositato di sonetti che dovevano essere sistemati (si sarà facilmente intuito che alla selezione fosse poco portato) sia e più sostanzialmente dall’impossibilità oltre un certo limite di far convivere la forma canzoniere, su cui con ogni evidenza vuol modellare t55, col debordante carattere epistolare di tanti sonetti e lunghe serie di sonetti, che, seppure rime di corrispondenza sono raccolte in ogni canzoniere, in questo caso minacciavano di sformarlo e snaturarlo. È come se quello del Varchi, o prima parte dei sonetti, così largamente impregnata di questa dimensione epistolare e di relazioni sociali, se ne dovesse sgravare, almeno un po’, partorendo un secondo libro, la seconda parte (t57), che schiettamente e pienamente fosse un epistolario in versi, un frutto che per la conformazione, una voce costante di riferimento, sempre alternata a quella dei risponditori o dei proponenti, trova pochi o punti esempi o analogie.

Non è, questa del parto, una metafora vaga o al massimo un’ipotesi non verificata né verificabile per la genesi dei due libri diversi ma coordinati in una prima (t55) e una seconda parte dei sonetti (t57). Ci sono, difatti, due codici della Biblioteca Nazionale di Firenze, il Magl. VII 1073 (m) e il II viii 143 (n), che portano questo titolo : isonetti di m. benedetto varchi, con alcune proposte, et risposte [risposte, e proposte n] di diversi, in Ncorretto su : isonetti di m. benedetto varchi insieme con alcune risposte e proposte da diverse persone sopra varie materie mandategli, e che contengono riuniti in un unico libro e sotto quel titolo unitario con scarse diversità reciproche nelle presenze un gran numero dei sonetti delle due parti che appariranno separate nelle stampe del ’55 e del ’57, progressivamente avvicinandosi all’ordinamento dell’una e dell’altra.

Prima di descrivere e esaminare i due codici in rapporto alle stampe bisogna ricordare che delle carte di Benedetto Varchi è pervenuta una ricchissima e assai compatta eredità, riunita nelle Filze Rinuccini della Biblioteca Nazionale di Firenze e nei codici di provenienza Rinuccini distribuiti nel fondo principale della medesima biblioteca, come il codice n, ma anche altro non poco di diversa provenienza alla Nazionale, come il codice m, e nelle altre biblioteche fiorentine, senza escludere affatto quelle non fiorentine, sicché i dati che saranno qui esposti sono parziali anche rispetto a quanto è disponibile. In particolare le Filze Rinuccini, benché esplorate solo in parte, di sicuro conservano altro che interessa l’argomento. A parte raccolte di sonetti anche parecchio consistenti, come la filza 3, cc. 71 sgg., in cui si riconosce l’ossatura di t55 e t57, ma che sembrerebbero collocarsi in un periodo posteriore, forse in vista d’una progettata ristampa, non anteriore e in preparazione, se ne trova almeno una ragguardevole che a un primo esame appare precedente. È la filza 14, inserto numerato 77, cioè cc. 268-319, fatto di tredici quaderni con numerazione originaria a pagine, 1-104, e un sonetto per pagina. Tenuto conto dei resultati che si esporranno di seguito, questa raccolta molto parziale rispetto alle stampe del ’55 e del ’57 e dei due codici che si esamineranno, sembra collocarsi in una fase anteriore a quelle come a questi, ma forse per certe connessioni ben riconoscibili incamminata sulla stessa strada. Sia essa frammentaria o appartenga a un diverso più breve disegno, s’è preferito accantonarla, restringendo l’esame alle due più ampie di ne di m,nel contenuto delle quali si riconoscono per intero differenti fasi del progetto consegnato alle stampe t55 e t57. Si considerano, dunque, queste con la coscienza che altre testimonianze manoscritte sulla genesi delle due stampe esistono e che il quadro potrà essere integrato anche di molto.

Il II viii 143, della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (n),11 di provenienza Rinuccini, è un codice cartaceo del XVI secolo, di cm. 27×17, di 192 carte numerate originariamente e esattamente a pagine, cominciando dalla terza, pp. 1 e 2, fino alla centottantacinquesima, pp. 365 e 366, le seguenti, come la prima, sono bianche, salvo un’annotazione di mano cinquecentesca sul verso dell’ultima : « carte [?] 169 », come anche la p. 366, a parte la nota che registra l’entrata in Magliabechiana del codice dalla biblioteca Rinuccini in data « V Id. Mart. [11 marzo] 1850 ». Sono dodici fascicoli d’otto fogli ciascuno, non numerati e senza richiamo ; raccolti già nella biblioteca dell’autore in una legatura membranacea a busta, che porta scritto all’esterno del piatto anteriore in grafia cinquecentesca : « G sonetti con risposte ». La lettera g, difatti, sembra trovare corrispondenza nell’inventario de’ libri del varchi (Filze Rinuccini 11, inserto 49, cc. 265-344), c 335r, ossia la sezione di rime del varchi in penna in 4° per l’a.b.c., dove sotto gsi registra : « 1° libro in carta pecora in 4°» (in cartapecora s’intenderà la legatura). C’è una mano fondamentale seppure con variazioni anche accentuate, che scrive il testo dei sonetti, due per pagina, corretti, oltre che dalla stessa, da una scrittura più calligrafica e rigida, d’impostazione e con caratteristiche più arcaiche, che mette anche gran parte dei nomi degli autori ai sonetti di risposta o di proposta, o da una corsiva ben riconoscibile per quella dell’autore, che intervengono anche reciprocamente l’una su correzione dell’altra. Quindi anche le scritture di per sé non riconducibili all’autore sono da lui guidate e controllate

Sul recto della seconda carta c’è il sonetto con attribuzione a « M. Michelagnolo Vivaldi » voi che leggete in varii suoni eletti, che invita a esaltare lo stile d’un innominato, dalle evidenti caratteristiche del Varchi poeta, scritto dalla mano fondamentale, anche se più allentata (viene a occupare due terzi della pagina) e la seconda terzina, scancellata, è riscritta, variata, dalla scrittura più calligrafica delle correzioni ; in fine m. mi, sbarrato con due freghi (s’era ricominciato a scrivere il nome dell’autore ?). Sul verso il titolo riferito sopra in capitali sistemato al centro della pagina, sicché il sonetto i della prima parte a stampa, cioè di t55, quel ch’amor mi dettò, viene a occupare la parte inferiore libera, riducendo il margine. Sembra che in origine la pagina prevedesse solo il titolo e che questo sonetto proemiale vi venisse aggiunto in un secondo tempo. La pagina i e quindi il corpus originario comincia col sonetto iii e prosegue nelle successive con due sonetti per pagina, fuor che la 317 che n’ha uno. Sulla 204 fu incollato con gocce di ceralacca (ora s’è staccato) un foglio delle stesse dimensioni su cui fu ripetuto il numero e furono ricopiati, inserendo a testo le correzioni, i due sonetti (proposta e risposta della par. 2acxxi). Il nome dell’autore della proposta, Mattio Franzesi, che era, come per solito, della scrittura calligrafica d’alcune correzioni, nella seconda copia è della mano dei testi. Lo stesso avviene a p. 191 solo per la metà inferiore (risposta a Bernardino Tomitano, par. 2aclviii). Tracce di ceralacca anche su p. 188 ; ma non trovo la carta che vi potrebbe esser stata sovrapposta. Da p. 317 alla fine la scrittura si fa nettamente più trasandata, dilatandosi verso il margine inferiore e quelli laterali. Sono le pagine degli ultimi due fascicoli, scalettate sul margine esterno e, fino a p. 353, contrassegnate da una lettera dell’alfabeto (da Aa v, senza k), come le nostre rubriche, forse predisposti per un indice alfabetico e poi usati per altri sonetti. Un mutamento analogo, benché più contenuto, di scrittura e anche d’inchiostro s’avverte alle pp. 168-72 e 274-79, meno p. 278. I sonetti contenuti in queste pagine non sono contrassegnati da un numero, che, come si vedrà, deve riferirsi a un loro riordinamento, eccetto l’unico di p. 317, e i due, ai quali fu depennato, di p. 278. A p. 129 si nota un altro cambiamento nell’inchiostro e anche un certo ricompattarsi della scrittura e i sonetti delle pp. 124a-29b non hanno il numero, meno quello di p. 128a. Da qui, cioè da p. 129, a p. 168 c’è il primo blocco di corrispondenza con proposta dell’autore e risposta (prima ce ne sono solo tre, alle pp. 109-10 e 124) ; il secondo blocco col Varchi in veste di risponditore occupa le pp. 173-273. Altro sonetto suo con risposta, senza numero, a p. 276, uno di Lucantonio Ridolfi, Parmi, varchi, ogni dì più di mille anni, con due risposte alle pp. 280-81a L’arbor gentil che forte amai molti anni e nell’altrui dolci rime i tristi (su vostri) affanni ; altri scambi di sonetti alle pp. 282 (senza numero di riordino), 311, 315 (senza numero di riordino) e non pochi da p. 318 in poi, tutti senza numero. Fra i due blocchi maggiori e le pagine che precedono e seguono e nell’intervallo che li separa, come s’è visto, si osservano variazioni di scrittura e d’inchiostro. Il sonetto di p. 128b (cclxvii) e quello di p. 281b, Hor che due volte cinque lustri intorno, portano l’annotazione autografa « ultimo », questo spicca anche per la scrittura di modulo più piccolo e più serrata. Altra decisa variazione d’inchiostro distingue quello di p. 292b (cclxviii), che non ha numero, come il precedente (ccxxi), a p. 292a. In queste pagine segnate da variazione d’inchiostro e di grafia e dall’assenza del numero di riordinamento i nomi dei corrispondenti sono sempre della mano dei testi, invece che della corsiva d’impostazione più calligrafica e rigida, cui spettano tutti gli altri, compreso il nome di Lucantonio Ridolfi a p. 280 e, con qualche dubbio, di Lelio Bonsi a p. 311 ; inoltre i sonetti non seguiti da risposta, che nelle altre e anche in gran parte di queste non sono preceduti dal nome di colui al quale si rivolgono, alle pp. 274a (valido anche per quello di 274b, al medesimo Giovanbattista Tedaldi), 277a, 279b, 283a, 288a, 288b, 292a, 292b, 294b, 333a, 333b, 345a, 348a, lo portano scritto dalla stessa mano del testo. Se la medesima differenza distingue la prima pagina 204 dalla seconda incollata sopra, è probabile che anche in queste altre tradisca un momento successivo della copia. La stessa differenza e la stessa deduzione s’estendono anche a alcune pagine contigue in cui non si apprezza con sufficiente chiarezza variazione d’inchiostro e scrittura e i numeri di riordinamento per solito accompagnano i sonetti, cioè alle pp. 167, 273, 286a (completato dalla corsiva del Varchi), 317 coinvolgendo potenzialmente quelle intermedie. S’avverta, tuttavia, che a p. 295a « Alla Signora Donna Giovanna d’Aragona » per cxciii è supplito dalla corsiva del Varchi. Insomma, al di sotto della superficie, cioè la situazione finale del codice, piuttosto caotica, sembra d’intravedere uno strato anteriore di sonetti, che, dopo il titolo di c. iv, cominciava di sicuro a p. 1 col iii, in cui probabilmente erano state lasciate alcune pagine o mezze pagine bianche, che furono riempite in seguito, come gli ultimi due fascicoli, destinati, parrebbe, a un incipitario. Se la struttura della silloge che costituisce lo strato originario, togliendo il sonetto i, quelli delle pp. 124-28 e 168 (anzi probabilmente già 167)-72, appare abbastanza definibile fino a p. 272 e, dopo altre pagine bianche, pp. 280a-81b, benché si debba ritenere aperta, per l’ipotesi, ora formulata, di queste pagine in origine bianche, in seguito sfuma e il codice da copia a pulito, pur fortemente rivista, dopo aggiunte plurime e stratificate assomiglia alla fine e in certi punti, almeno gli ultimi due fascicoli, fin da subito a un deposito di materiale da ordinare. È possibile che esaminando la composizione di nnella più ampia dinamica redazionale che coinvolge m, t55 e t57 si possa determinare in modo meno vago anche la distinzione fra quello ora definito primo strato e i successivi, o meglio, fra ciò che presumibilmente appartiene a una trascrizione in ordine e il materiale da ordinare collocato in carte disponibili. Ma l’esame delle scritture o l’osservazione di altre costanti esterne non permettono d’essere più precisi.

Alcuni sonetti soprattutto di quello che pare individuarsi come primo strato furono espunti e talvolta riscritti più o meno variati altrove con o senza avvertenza o con avvertenza generica o incompleta, di regola in pagine successive, più spesso verso la fine, quindi in una parte del codice che non pare mai appartenuta a una trascrizione in ordine, ma adibita fin da principio a deposito. Per esempio, cxxxv, cassato a p. 32b, è riscritto senza avvertenza a p. 283b ; lxxvi è a p. 46b scancellato con l’avvertenza autografa : « scritto a 356 », dove, infatti, si ritrova ; nessuno dei due è mai accompagnato dal numero di riordino. lxxvii era a p. 49a con numero di riordino, fu sbarrato e spostato secondo indicazione autografa a p. 356b. cliii, espunto a p. 42b con l’indicazione autografa « a carte », si ritrova a p. 313 col numero di riordino 123. Solo il xlix della parte seconda, che è scritto con la risposta a p. 282, si ritrova da solo e scancellato a p. 294b, mai accompagnato dal numero di riordino, senza varianti che permettano di stabilire quale delle due copie preceda. Sopra s’è rilevato qualche indizio che nessuna delle due pagine appartenga al primo strato. C’è anche il caso d’un sonetto che compare due volte senza essere espunto mai : il lxxviii della parte seconda si trova col numero di riordino e con la risposta a p. 167, senza l’uno e l’altra a p. 288b. Ma stavolta ci sono varianti che fanno ritenere questa copia anteriore a quella. A p. 288 ci sono le seguenti correzioni autografe (in tondo le parole scancellate ; non si ripete ciò che resta invariato) : 4 « Si stan qual bronzo, in ben fondata basa » « o marmo in ferma salda » ; 7 « Di virtù, scaltro ingegno, e mente intera » « senno et eloquenza intera » ; 14 « Gli altri son foschi e torbidi splendori » « falsi ». A p. 167 le correzioni sono tutte inserite a testo, con una sola piccola incertezza : a 4 « salda » è sostituito a margine con « ferma », la prima soluzione, superata inter scribendum, del margine di p. 288. Pare, allora, confermato che la p. 167 era stata lasciata bianca e vi fu inserito in ordine un sonetto, con la risposta, che attendeva in pagine adibite a deposito. Altri furono spostati in punti del codice in cui, invece, non c’era posto per ritrascriverli interamente o con indicazione precisa del punto, per esempio il xcv da p. 19 a p. 16a dopo il xciv (nel senso, quindi, di t55), dove il Varchi annotò : « qui s’ha a scrivere o di candido e terso a 19 » ; o con indicazione della sezione : cxlv a p. 48a, non depennato, ha l’avvertenza : « ne’ morti » ; cxxii è cassato a p. 65a e ha l’avvertenza della scrittura più calligrafica d’alcune correzioni : « fra le malattie » ; al clxvi, p. 89a, non espunto, fu annotato : « tra quei di morte ». In questi casi i numeri essendo segnati ora accanto alla trascrizione espunta o comunque superata (lxxvii) ora accanto alla seconda (par. 2alxxviii), significherà di per sé che gli spostamenti avvennero ora dopo ora prima del riordino ; quando non vi siano mai, significherà che lo spostamento avvenne prima e che il sonetto piuttosto che spostato fu accantonato e rimase in sospeso finché il Varchi lavorò su n. Ci sono anche sonetti scancellati e non ritrascritti in questo codice e che nemmeno mi resultano mai recuperati, come, per esempio, a p. 9b s’a sì rara beltà voglie e costumi. L’altro codice, (m) Magl. VII 1073 (provenienza Strozzi, in 4°, 133, già 237), è cartaceo del secolo XVI, di cm. 27,7×16, di carte viii, 187, numerate modernamente ; numerazione originaria a pagine con inizio a c. 1 fino a 370, che omette di numerare le due facciate delle cc. 95 e 98 e ne corregge e sostituisce altre interrotte prima della fine (i testi saranno di regola indicati con riferimento a questa, non alla cartulazione moderna). Si tratta di quattordici fascicoli. Il primo, ternione, è costituito dalle cc. ii-vii ; il secondo, setternio, da viii a 13, cui è unita da una braghetta i ; seguono altri cinque setterni, cc 14-83, un fascicolo d’otto fogli, cc. 84-99, quattro setterni, cc. 100-55, e due fascicoli d’otto fogli, cc. 156-87. Tutti i fascicoli hanno richiamo in fine fuor che il primo e gli ultimi tre. Al settimo, c. 113, un primo varc[hi]fu rettificato in Bench[è]. Probabilmente fu una banale svista : col vocativo « varchi », messo in evidenza dalle capitali, comincia il secondo verso del sonetto di c. 114r (p. 223a), la proposta di Girolamo Mentovato, par. 2aclxxxvii. Il codice è scritto da una sola mano, la stessa del II viii 143 (n), che qui esegue anche la gran parte delle correzioni, non di banali sviste di copia, ma di portata redazionale e avverte di sonetti da inserire in questo o quel punto ; altre correzioni ai testi e disposizioni strutturali sono nella corsiva tipica del Varchi. La scrittura d’impostazione più calligrafica e rigida, che corregge l’altro codice, in questo sembra riconoscersi alle pp. 353-69, di certo nell’estesa correzione a p. 340, ma con minor sicurezza anche in altre qua e là più circoscritte. Anche qui la corsiva del Varchi e la mano base intervengono reciprocamente l’una su correzioni dell’altra almeno nel sonetto di p. 220b. Ma, oltre questa circostanza, l’ampiezza e la qualità delle correzioni conferma ancora in modo evidente che, se la scrittura base di questo come dell’altro codice non appartiene all’autore, che assumerebbe in modo forse troppo deciso e poco credibile caratteri più formalizzati, è d’un segretario o collaboratore che scrive sotto dettatura o sotto il controllo stabile di lui.

Nel codice si distinguono nettamente tre sezioni : la più estesa e centrale è quella delle cc. 1r-151r (pp. 1-297), seconda nell’ordine, preceduta sul verso di c. viii dal titolo in capitali, a eccezione d’alcune e, minuscole ingrandite, riferito sopra, non esattamente centrato, ma appena spostato verso il primo terzo della pagina. I sonetti riconducibili a questa sezione, due per facciata, cominciano con 1 a p. 1. In fondo a p. 297, dopo il sonetto hor che due volte cinque lustri intorno è scritto in capitali, con la solita e minuscola ingrandita, ilfine. La p. 142 è lasciata bianca e alla successiva cominciano i sonetti di corrispondenza con risposta o proposta. Propriamente la p. 142 intatta non è, portando scritto in cima : « la proposta di questo è all’ultima faccia » ; nella quale un sonetto di proposta c’è, del Varchi a Michelangelo Vivaldi, par. 2axxxi. Difficile è capire a quale si riferisca questo che sarebbe la risposta ; non certo a quello che precede a p. 141b, ccclxxvi. Pur con questo piccolo mistero è indubitabile la funzione di quella pagina sostanzialmente e intenzionalmente bianca di segnare il passaggio fra la serie continua dei sonetti del Varchi, che vengono prima, e quelli di corrispondenza con proposta o risposta, che segue, quasi altrettanto compatta, con pochi scompagnati : sei tutt’insieme a p. 188 (c. 94v)-c. 95v, altri quattro a c. 98r-v. Quello di Lucantonio Ridolfi, Parmi, varchi, ogni dì più di mille anni, ha due risposte, l’arbor gentil che forte amai molti anni e nell’altrui dolci rime i tristi affanni (pp. 296-97a) come in n,e, come in n,è seguito da hor che due volte e il fine. La scrittura di questa sezione, come in genere anche quella delle altre due, è regolare e uniforme ; solo quella del sonetto lxxxvi a p. 127b è più serrata e di modulo più piccolo ; meno accentuata, ma apprezzabile la riduzione del modulo a p. 188 e alla seguente c. 95 ; la scrittura di c. 98 appare meno accurata, specie nel tenere l’allineamento delle righe, e si dilata verso i margini superiore e inferiore.

La sezione seguente, terza nell’ordine, cc. 151v-187v (pp. 298-370), ancora con due sonetti per facciata, fuor che l’ultima, che n’ha uno, scritto largamente e cominciato a circa un terzo della pagina, ha sul margine superiore della prima l’avvertenza : « Questi sottoscritti sonetti s’hanno a scrivere tra gli altri a’ luoghi loro come si vedrà di mano in mano ». E ciò di suo designa la sezione centrale come trascrizione in ordine. Nella quale, difatti, vi sono inseriti tutti col richiamo dell’incipit e indicazione della pagina in cui si trovano fino a p. 330, con l’eccezione del cclxi, p. 319b ; in seguito sempre meno, finché da p. 342b nessuno è recuperato, fuor che la risposta al xxxvi della par. 2a, p. 353a. S’indicherà come mi la sezione centrale e in ordine aggiornata con questi inserimenti. Invece ci sono diversi sonetti lì cassati e riscritti qui, a partire da p. 342, ora punto ora più o meno mutati. Si dà anche il caso d’uno, la proposta della par. 2alxiii, scancellato a p. 113a, riscritto con la risposta a p. 342, quindi reinserito in ordine a p. 160, facendo un viaggio d’andata e ritorno. Questa sezione delle pagine finali appare rispetto a quella centrale e in ordine come una specie di retrobottega o deposito con materiale in attesa d’essere messo, diciamo così, in mostra e in cui ne viene appoggiato altro che per il momento n’è tolto. Anche in ns’è rilevato lo stesso fenomeno, di sonetti scancellati e riscritti più avanti, verso la fine, dove il codice non ha più l’aspetto di copia nemmeno in origine a pulito, ma di deposito di materiale da ordinare. La differenza è che qui, in m, si distingue bene e nettamente il passaggio fra quella che è venuto di chiamare mostra e quello che s’è chiamato e si seguiterà a chiamare deposito ; mentre lì, in n, al posto d’un chiaro confine e tangibile, come una parete divisoria, s’avverte un passaggio graduale e uno stato di maggior movimento. Lì la mostra e il deposito oltre che entità ravvisabili nello spazio, cioè nelle carte del codice, sono situazioni che si succedono nel tempo : quella che in origine era mostra, cioè trascrizione in ordine, affiancata da un deposito, gradatamente specie nell’area prossima al confine si confuse con questo, tanto che s’è parlato di strati.

Ritornando a m, resta da dire della prima sezione, priva della numerazione originaria a pagine, le cc. i-viii, contenenti sonetti del Varchi di regola due per facciata, diversi con risposta o proposta, solo la c. i n’ha uno sul recto e un altro sul verso, scritti abbastanza largamente da non lasciare spazio a un secondo. Senz’altro proseguendo questa trascrizione a carattere provvisorio, come quella delle pp. 298-370, fu impiegata la parte inferiore di c. viiiv, quella destinata al titolo. Lo mostra con chiarezza la scrittura, meno formalizzata e controllata di quella di p. 1, che gli sta a fronte, e delle successive, con gli “in fuori” in principio di quartina e terzina, che non isolano, come lì, la sola iniziale maiuscola, ma vi sono subito attaccate le lettere seguenti. Questa sezione, dunque, si configura come un secondo, più piccolo deposito di sonetti non ancora in ordine ; nessuno dei quali resulta richiamato e inserito nella sezione centrale e in ordine.

Già da questa descrizione si percepisce mcome posteriore a no almeno più definito e in quella sezione centrale delle pp. 1-297, chiusa da il fine, più assestato, seppure soggetta a espunzioni e inserimenti (mi). Certo è che l’elaborazione dei singoli sonetti disegna in modo chiarissimo e senza equivoci la direzione da na ma t55, t57, assumendo per solito ml’ultima elaborazione di ne t55 o t57 l’ultima di m. Si dà qualche esempio indicando con ne mil testo base dei due codici e con na, nb, ma, mb le successive varianti (l’interpunzione e l’uso delle maiuscole sono posti secondo l’uso moderno). xxv (np. 7b ; mp. 9b ; t55 p. 15) 5-8 : « Da indi in qua come si pianga e canti, / S’arda insieme e s’agghiacce, viva e mora / Provato ho sempre, e come in men d’un’hora / Mille varietà soffran gli amanti » n m, « In te bel monte, che di te t’ammanti / E col tuo Biviglian vagheggi Flora, / Mirai quel tronco giovinetto allhora, / Di cui sempre convien ch’io pense o canti » ma t55 ; ii « crebbe la pianta » nm, « Scors’io la p. » ma t55 ; 12-13 « Qui lieti un dì, s’al ver presago sono, / Spargeran fiori e fronde i pastor toschi » n, « Qui lieti un dì, s’alme presaghe sono, / Spargeran latte e fiori i pastor toschi » na mt55. xlvii (np. 17a ; mp. 13a ; t55 p. 26b) 5-8 : « In te lungi dal mondo e dagl’inganni / Farò, sicuro omai, dolce soggiorno, / Ridendo hor lungo un rivo hor sotto un’orno / Il folle vaneggiar de’ miei primi anni » n, « In te lungi dal mondo e da suo inganni / Farò, sicuro omai, dolce soggiorno, / Pensando hor lungo un rivo hor sotto un’orno / Quanto chi ’l ciel non segue invan s’affanni » na, « In te lungi dal mondo e da suo [suoi m] inganni / Farò sicuro omai dolce soggiorno / Pensando hor lungo un rivo hor sotto un’orno / Quanto chi segue non il ciel s’inganni » nbmt55. civ (np. 28a ; mp. 35a ; t55 p. 54b) 5-8 : « E se ben Signor mio varcato ho ’l segno / Amando eguale a te cose mortali, / Perdonami Signor, che con queste ali / Volo anche spesso al tuo stellante regno » n, « E se forse tal’hor varcato ho ’l segno, / Amando oltra il dever cose mortali, / Ben sai tu, Signor mio, che con quell’ali / Sole men volo al tuo stellato regno » na, « E se forse tal’hor varcato ho ’l segno, / Amando oltra il dever cose mortali, / Ben sai tu, Signor mio, che sol queste ali / Ho da volare al tuo stellato regno » nbm, « E se pare ad alcun ch’io varche il segno, / Amando, come te, Fronde mortali, / Ben sai tu che sol queste e non altre ali / Ho da volare al tuo stellato regno » ma t55. clxxiv (np. 66a ; mp. 74a ; t55 p. 89b) 5-8 : « Non v’incresca per me, ch’alto pensiero / Mi tira e dolce natural disio, / Dove spero apparar, non pur disio, / La cagion delle cose e ’l sommo vero » n, « Non v’incresca per me, ch’alto pensiero / Mi spigne e » na, « Non v’incresca per me, ch’alto pensiero / Mi sprona, e sferza natural disio / Spregiar quel ch’altri cerca e gir dove io / Appari oprare il buon, sapere il vero » nbm, « Non v’incresca .... / Appari oprare il ben » ma t55. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi, e di molto ; ma basteranno questi a segnare con certezza la direzione delle varianti e a scandire la cronologia relativa delle testimonianze redazionali, che naturalmente tollera eventuali recuperi. S’aggiunga solo questo, in cui la correzione riguarda il computo d’un anniversario e si configura proprio come aggiornamento cronologico : xxviii (np. 7a ; mp. 9a ; t55 p. 16b) 11 : « Già s’avvicina il quindicesimo anno » n m, « Già s’avvicina il sestodecimo anno » ma t55. S’è detto che in nquasi tutti i sonetti sono accompagnati da un numero, che solo qualche volta è progressivo. È facile constatare che essi corrispondono all’ordinamento di mcon pochi e piccoli aggiustamenti (soprattutto sonetti che o non si trovano in no vi si trovano senza numero e evidentemente furono inseriti nel libro organizzato soltanto con m) e con scarsi errori : qualche numero saltato o ripetuto ; in due casi la ripetizione è di un’intera decina, 340-349 e 360-369 ; più singolare il caso d’una decina saltata, da 220 a 230, non in sé, ma perché in mi nove sonetti corrispondenti ci sono, alle pp. 110b-14b (sono ccxcix, ccxciii, proposta di par. 2alv, ccxlvi, ccxlvii, proposte di par. 2alxiii e par. 2aclvii, ccxcv, cclxvii), tutti provenienti da pagine di Nnon coperte dalla trascrizione in ordine. È come se quel buco fosse stato lasciato in ni col proposito di riempirlo ; oppure il riordinamento di ni e la conseguente trascrizione in ordine in mfurono contemporanei o quasi e per quei dieci sonetti fu saltato il primo passaggio ? In ogni modo è sicuro che l’ordinamento di mnasce, nella sostanza, come trascrizione a pulito dei mutamenti e della maturazione intervenuti in nsia nella lezione sia nella struttura (ni). Ben chiaro e indubbio, dunque, in che modo le testimonianze e le fasi redazionali che se ne possono ricostruire si succedano : n, ni, m, mi, t55/t57.

Tralasciando in un corpus tanto esteso l’evolversi del dettato, se non quando serva a capire come si succedano le copie d’uno stesso sonetto, avvertito solo qui e in generale che non pochi a carattere epistolare, ma senza risposta, mutano destinatario, si può vedere un po’ più da vicino, scorrendo i codici e soffermandosi in qualche punto a titolo d’esempio, come si determini a partire da n l’ordinamento, che approda alle due parti separate di t55 e t57, con le rispettive scansioni, nella prima su base tematica, illustrate in principio e che ora bisognerà tenere costantemente presenti e talvolta richiamare a rischio di qualche ripetizione. Già in nil Varchi pensava secondo categorie del genere, viste le annotazioni ricordate sopra, descrivendo il codice, per spostare cxlv da p. 48 « ne’ morti » e di cxxii da p. 65 « fra le malattie ». Il dato è portante, perché autorizza a leggere la storia dell’ordinamento fin da nsecondo quelle categorie, che, semmai, a quell’altezza potevano non essere predominanti, ma che di certo esistevano. Né è difficile ravvisarvele, anche se con assai minore nettezza, oltre che differenza nella composizione dei nuclei. Netto fin da n (pp. 1a-4b), a dare la direzione e l’impressione del canzoniere per il Lauro, l’avvio nel suo nome, ad laurum, de lauro, iii, iv, vi-viii, x, xi, lxiii, richiamando subito anche la peculiarità, se non lo scandalo di quell’amore (« Arsi a me saggio altrui folle ed ardito / [...] / Quindi ogni altra mia speme, ogni disio / Di santo e bello oprar hebben radice ; / Che dica o pensi il volgo audace e rio », iii 7, 12-14, np. 1), accennando ben presto anche allo snodarsi d’una vicenda : un allontanamento (x), un anniversario indeterminato (xi). Vi s’aggiungeva il lxiii, toccando d’un altro episodio, la dimora padovana, anzi il nono anniversario della sua fine, per far ritorno alla « pianta del sol » (4), e nel contempo replicandone le lodi (« O sacre foglie ... » 12-14), ragione della sequenza, che così pertanto si chiudeva. Questa, compreso il lxiii, resterà stabile fino a m(pp. 2b-6a), inserendosi solo il v in ni col numero 5, lì dove rimarrà per sempre, e in coda (ni 12 e mp. 6b) il xvi, che in nera poco sotto in queste pagine iniziali (p. 15a). mi v’aggiunge il ix (p. 4b1), xiii e xii, in quest’ordine (p. 5b1, 5b2), e il xv (p. 6a1) ; anche altri (xvii, xviii, xx), ma in altre pagine seppure iniziali, confermando che queste costituiscono una sezione di base tutta sull’amore del Lauro, scandita in sottoinsiemi. Fra quello ad asinarum (pp. 5a-8b) xxi-xxiv, xxviii, xxv-xxvii e il successivo ad montes (pp. 10a-11a) xxxii, xxxiv, xxxv, strettamente collegati secondo un procedimento estensivo, naveva due sonetti né all’uno né all’altro omogenei : il xix, che alla fine, in t55, finirà con buona ragione in quello iniziale, ad Laurum, de lauro, e uno che comincia s’a sì rara beltà voglie e costumi, subito soppresso. Similmente fra la terna ad montes e quella ad fluvios fontes, xliii, xliv, xc (pp. 12a-13a) s’inseriva l’lxxxix (p. 11b) sul ritorno della primavera e dell’amore. Né sarà facile a xix e lxxxix trovare un posto plausibile. In ni i due sonetti, numerati 41 e 42, e m(p. 21a-b) s’annideranno nel successivo interstizio, dopo fiumi e fonti e prima dei temporali idest d’anni. Il secondo, anzi, non lo troverà mai ; in mprima fu cassato, quindi recuperato, annotandovi l’autore : « scrivasi », e in t55 finì a p. 47a12 in compagnia d’altri non riducibili sotto generale etichetta, cioè lxxxv (p. 45a)-ci (p. 51b).

S’è parlato per n(pp. 12a-13a) di terna ad fluvios, formata da xliii e xliv, enumerazione di corsi d’acqua del bacino dell’Arno : « Sieve, Era, Elsa, Mugnon, Bisenzio et Arno », ripetuta a mo’ d’anadiplosi e cerniera nell’ultimo e nel primo verso dei due sonetti. Il terzo, xc, porta, invece, lontano, cominciando : « Adice e Po, che ’l fral di me portate ». Questo in ni, col numero 39, e in m(p. 20a) rimarrà unito al gruppo aperto dagli altri due e nel frattempo accresciuto con xxxvii, xli, xlii, xxxviii e xxxix, numeri 34-38 di ni e pp. 17b-19b di m, su altrettanti torrentelli o rigagnoli della destra dell’Arno (quelli che identifico), dal Terzolle alla Mensola ; ma in t55 finirà in quella medesima serie varia delle pp. 45a-51b. La sorte è condivisa dal xci, rivolto agli euganei altero venda e ruvolon, che ni aveva recuperato dal deposito delle carte finali di n(p. 291a) dandogli il numero 31 in coda ai sonetti sui poggi che contornano Firenze sulla destra dell’Arno, xxxii, xxxiv, xxxv di n, 28-30 in ni ; e m(pp. 14b-16a) aveva confermato. Ma è chiaro che xc e xci non potevano stare in quella che oltre il pretesto o i pretesti legati al Lauro e all’amore per lui (che di per sé giustificava la presenza di questi due e dell’lxxxix) si configura come una sorta di guida di quei dintorni fiorentini.

A questi sempre più o meno si legano dei sonetti incentrati sul tema del ritorno al luogo dell’innamoramento, cioè monte Senario, in un caso, a Fiesole, negli altri, che nei più si determina dopo l’assedio del 1529-30 e si fa contemplazione dei suoi effetti su quel paesaggio. Si tratta nella sistemazione finale di t55 dei xlv-l, dietro la sequenza fiumi e fonti, xxxvi-xliv, a chiudere così l’intera sezione dei luoghi. Il nucleo, poco mutato l’ordine (xlvi, xlix, xlviii, xlvii, l) e assente xlv (inserito in mi a p. 10 dopo xxvii, tratto dal deposito di m, p. 337a, e di n, p. 351a), era in ni (23-27) e m(pp. 12a-14a) fra le sequenze ad asinarum, xxi-xxiv, xxviii, xxv-xxvii (ni 13-20, mpp. 7a-10b) e ad montes, xxxii, xxxiv, xxxv (ni 28-30, mpp. 14b-15b) : già, dunque, saldamente inserito nei luoghi, anzi nella parte di questi più omogenea, quella dei poggi. Anche i due che qui immediatamente seguono ad Asinarum, xxxi e xcii (ni 21-22, mp. 11a-b) facevano parte del gruppo. Il primo, xxxi, tolto dal deposito di n(p. 310a) è precisamente un soggiorno di « dodici e dodici hore » (13) a Fiesole e apre benissimo l’argomento ; può resultare, semmai, sacrificato nella più anonima collocazione di t55, secondo su Fiesole e della serie ad montes (xxx-xxxv). Il secondo, xcii, è un’allocuzione ai « forti guerrier’ » al tempo dell’assedio acquartierati sul « bel poggio » che nel 406 aveva visto la sconfitta di Radagaiso, cioè Fiesole, e aveva buone ragioni d’essere subito prima dei sonetti che gli effetti dell’assedio contemplano sul paesaggio fiesolano. Purtroppo, vien da dire, t55 lo sentì estraneo e lo relegò in quella specie di ripostiglio interno occupato da lxxxv-ci. Anche in Nquesto gruppo c’era, aperto proprio dal xcii e composto inoltre da xlvii, xlvi, xlix, xlviii (pp. 16b-18b) ; non ancora, però, così strettamente legato alla sequenza sui luoghi, essendone separato da quella dei, per allora solo tre, sonetti d’anniversario, temporali idest d’anni liii, lviii, lxi (pp. 13b-14b), uno sul Lauro xvi (p. 15a), due lodi di poeti xcvi (p. 15b) per Vittoria Colonna, xciv (p. 16a) per Ludovico Martelli. Lo seguivano (p. 19a-b) due per Ugolino Martelli, xcv e se da grandine e pioggia, cassato. Dopo questi e assai lontani dai loro tre compagni di pp. 12a-13a (xliii, xliv, xc), o, per meglio dire, da quelli che diventeranno in ni, m, t55 loro compagni, s’incontrano due sonetti su corsi d’acqua, il Terzolle e il Rimaggio (o un Rimaggio, data la frequenza di quest’idronimo intorno a Firenze e in Toscana), xxxvii e xli (p. 20a-b) ; ai quali presto s’aggiungeva xlii con un’avvertenza sul margine inferiore della p. 20 di n, diciamo na : « Qui s’ha scrivere il sonetto Vezzoso fonte .316. », tratto appunto dal deposito di p. 316b. In queste prime venti pagine di n, in definitiva, si ritrovano i germi di tutte quelle che saranno le sequenze iniziali di t55 ; ma, se non si tenesse conto di questo punto d’arrivo, difficilmente potrebbero ravvisarsi, per essere mescolate fra loro e a sonetti d’altro soggetto. Il momento in cui questi germi vengono isolati e prendono a svilupparsi come i segmenti in cui s’articola la prima sezione della raccolta è ni. Ciò avviene creando necessariamente quella specie di cassa di compensazione che in t55 è formata da lxxxv-ci e in ni-mera ancora un piccolo nucleo : ni63-66, mpp. 63a-66b (xciv-xcvi, clxix).

E così anche nelle pagine successive di nsequenze tematiche omogenee possono trovarsi divise e intersecate da altre. Così quella di donne nobili : d’amore vede un primo troncone alle pp. 21a-24a, costituito da lxxii, lxx, lxxi, lxxviii, furia crudel, deh, dimmi, amor, altera e vaga, e un secondo alle pp. 45a-52b, costituito da lxxiii-lxxvi, lxxxiii, ccccxcii, cxlv, Donna ch’a singular, lxxvii, cxciii, cxc, lxxix, lxxx, lxxxi, xciii, lxxxii. Fra i due s’interpongono sonetti o più facilmente coppie di sonetti, clxix, xcvii, xcviii, xclxii, cclxiii, cii-civ, ccclxxvii, ccclxxviii (pp. 24b-29a), d’argomento, come si capisce anche dalla definitiva numerazione, disparato ; e soprattutto la serie compatta di rime funebri, cxxviii-cxxxiii, cxxxv, cxxxiv, cxxxvi, cxxxvii, clxii, cxxxviii, cxliii, cxxxix-cxlii, cvlii, cxliv, cxlvi, cxlvii, cccxliv, cxlviii, cxlix, cliv, cli, cliii, clvi, cl, clvii, clv (pp. 29b-44b). Tuttavia anche quelle d’amore erano, pur divise, due sequenze ben individuate e omogenee ; eppure già in nsottoposte a parziale dispersione e revisione, che strettamente si collega e si congiunge a ni e m. Furono scancellati da ne per sempre deh, dimmi, amor e altera e vaga (che era per Piero Alberti) nella prima (pp. 23b, 24a), donna ch’a singular nella seconda (p. 48b). lxxvi fu depennato da p. 46b, annotatovi « scritto a 356 », dove verosimilmente fu trascritto a quel momento in una lezione che non muterà più ;13 il sonetto, difatti, rimarrà accantonato anche in M(p. 348b) per essere reintegrato proprio nel nucleo donne nobili : d’amore da t55. A cxlv (p. 48a) fu annotato « ne’ morti » e qui lo colloca subito ni col numero 114, m(p. 58a) e infine t55. cxciii fu cassato da p. 49b con rinvio generico « a carte » e si ritrova depositato a p. 295a, dove fu recuperato da nicol numero 152, trascritto in ma p. 77a, pervenendo in t55 in quella sezione centrale che s’è definita genericamente di corrispondenza e in una sottosezione, clxxxix-cxciii, di corrispondenza con donne, già delineata in nie m. Anche cxc riceve in niil numero 153, andando in ma p. 77b e rimanendo in t55 a far compagnia a cxciii. lxxvii e xciii furono cassati alle pp. 49a e 52a con l’avvertenza, rispettivamente, « scritto a 356 » e « a carta 360 », e alle pp. 356a e 360b si trovano in lezione assai diversa.14 Gli altri, più questi ultimi, riordinati in nicome 47-62, secondo la successione lxxv, lxxiii, lxxiv, lxxii, lxx, lxxi, lxxviii, furia crudel, lxxix, lxxx, lxxxi, xciii, lxxxii, lxxvii, lxxxiii, ccccxcii vanno a occupare le pp. 24a-31b di m. Due sono eliminati qui : furia crudel, non recuperato, e ccccxcii, ripescato nella sezione estrema delle novità e, appunto, dei recuperi di t55. Altri sono accantonati nel deposito : lxxii, corretto, è espunto a p. 25b, annotatovi : « Questo sonetto è scritto a 355 », e a p. 355a è ricopiato con le correzioni ; xciii e lxxvii sono anche qui, come nell’altro codice, sbarrati con l’avvertenza, rispettivamente, « questo e riscritto a 348 » e « questo è riscritto a 341 », dove, pp. 348a e 341b, si ritrovano con le stesse varianti e minimi aggiustamenti.15 È facile vedere che quanto resta, meno xciii, ma compresi lxxii e lxxvii, formeranno in t55 la sequenza continua donne nobili : d’amore, riassunto anche lxxvi, di cui sopra, e inserito il solo lxxxiv. Si è cercato di seguire, così, pezzo per pezzo la storia d’un segmento della raccolta. E ciò valga, non potendo farlo per tutti, come caso esemplare. Ma, almeno questa volta, la vicenda fu ancor più travagliata e meno lineare di quanto fino a ora potrebbe apparire e, osservando certi movimenti interni alle singole e ben delineate fasi, si può arguire anche qualche generale deduzione. I numeri (si danno nell’ordine in cui si dispongono in ni e m) lxxv, lxxiii, lxxiv, lxxviii, lxxxi in mfurono espunti e recuperati con l’annotazione « questo non ha essere scancellato » (lxxv, lxxiii, lxxiv) o « questo si scriva » (lxxviii, lxxxi) : normale ripensamento. Ma anche nel II viii 143, cioè nprima del riordinamento, ni dopo, lxxv è cassato e in margine a lxxiii, lxxiv, pur non sbarrati, e lxxv (ordine di n, pp. 45a-46a) si legge rispettivamente « questo si scriva », « e questo », « e questo ». Il fenomeno è in tutto analogo a quello descritto sopra per xciii e lxxvii. Che cosa vuol dire ? Che, in un caso, i sonetti furono due volte accantonati e recuperati, come, nell’altro, xciii e lxxvii furono depennati da ni, che aveva assegnato loro il numero 58 e 60, quindi da mrecuperati e di nuovo accantonati ? Oppure, e piuttosto, il Varchi, anche dopo aver riordinato i sonetti nel II viii 143, ni, e fatti trascrivere secondo il nuovo ordine in m, non chiuse il primo codice, ma, saltuariamente, fece la stessa operazione sull’uno e sull’altro in parallelo ? Simile movimento in parallelo si dà nelle pagine finali di deposito dei due codici : a p. 346b di N e a p. 329b di M si trova la proposta della par. 2axvi, cassata in tutt’e due e in tutt’e due riscritta identica con la risposta a p. 350 di N e 334 di M ; ugualmente la proposta di par. 2axxiii si trova scancellata a p. 347b di N e a p. 333b di M e riscritta con la proposta a p. 353 di N e 338 di M, intervenendo qui una correzione a 10-11 che in parte (s’è detto : saltuariamente) è applicata su tutt’e due i codici.16 Solo le pagine estreme di M, da 361 alla fine, le carte iniziali, i-viii, in cui s’è ravvisato un secondo deposito, la p. 188 con la successiva c. 95 e la c. 98, che, come si capirà, erano state lasciate bianche, si possono ritenere scritte quando ormai il II viii 143 era stato chiuso, visto che nulla del loro contenuto compare anche in questo codice.

Ripigliando a sfogliare N e soffermandosi sui nuclei definiti, si trova, preceduto alle pp. 53a-59b da molti dei sonetti, o spirituali o improntati a interna sofferenza o nostalgia (cxv, cxiv, cviii, cvi, cvii, cxiii, cix, cx, cxv, cxix, cxvii, cxviii, par 2axli, cxxi), che lo precederanno anche in seguito fino a t55, quello breve, ma già lì definito « malattie » (pp. 60a-62a) : cxxiii-cxxvii. Questo perverrà intatto a t55, passando per Ni e M (pp. 46a-48a) aggiuntovi in testa (p. 45b) il cxxii, che in N era poco lontano, a p. 65a. Tuttavia il suo viaggio fu più lungo e non in tutto chiaro. Il sonetto fu sbarrato e spedito « fra le malattie » ; ma si ritrova a p. 289a in una versione di molto variata e solo qui contrassegnata dal numero 88, primo, appunto, di questa sequenza, del riordinamento di Ni, quindi trascritto in M a p. 45b. Qualcosa c’è da rilevare anche nella numerazione di Ni, nella quale, dopo 88, di cui s’è detto ora, si trovano 90, 93, 94, 95 a margine di cxxiv, cxxv, cxxvi, cxxvii ; l’89 non c’è, e andrà immaginato accanto a cxxiii, che non ha numero ; ma nemmeno di 91 e 92 trovo traccia e non posso pensare a altro che a un salto materiale. cccxxxix, per una malattia del duca, in N a p. 307a, fu inserito nel gruppo da Ni col numero 94, assegnato anche al cxxvi, e da M sistemato in coda, p. 48b ; in t55 fu assunto fra i ducali.

La differenza da N alle successive fasi è più forte nella combinazione dei segmenti. In Ni, M, t55 la lunga serie dei morti succederà secondo l’ordine di natura alle malattie o infermi, mentre in N, s’è visto, precedeva alle pp. 29b-44b non solo le malattie, ma il secondo spezzone delle donne nobili : d’amore, mentre al suo interno era già ben definita. Sembra d’avvertire, semmai, una certa disponibilità di N a includervi sonetti che nemmeno apparissero in morte di qualcuno. Difatti il clxvi posto a p. 89a, lontano da questa sequenza, descrive, in origine al Molza, sostituito già in N dall’« Arbor del sol », uno stato d’animo dolente in sintonia con una primavera piovosa ; c’è anche un accenno non chiaro a « lei, che tutti ancide e null’ascolta », cioè la Morte, al massimo allusione indiretta e implicita a qualche recente perdita, per nulla vincolante (se mai c’era), visto il cambio di destinazione. Eppure vi fu annotato : « tra quei di morte ». Ma non se ne fece di nulla ; clxvi rimase fino in t55 in quel lungo tratto vario e vago, in cui si trovava in N e la serie dei morti lì e in seguito netta e concretamente in morte di definite persone. Nella parte ordinata di N e di M ancora mancavano rispetto a t55 clviii e clix, che erano nel deposito di M (p. 363a-b) ; clx e clxiii, che erano sia in quello di N (pp. 362b e 363a) sia in quello di M (p. 359a-b) ; clxiv e clxv, che non erano nemmeno nei depositi (piangono la perdita recente, 23 aprile 1554, di Gaspara Stampa). clxi si trovava solo in M in pagine verosimilmente, come si vedrà, rimaste bianche fra quelle destinate alla corrispondenza con risposta o proposta, c. 98vb. Il cxlv per una signora Lucrezia da Pistoia già in N fu dirottato dal secondo troncone delle donne nobili : d’amore (p. 48a) « ne’ morti », dove Ni gli diede il numero 114 e M la p. 58a. Tutti gli altri e in più cccxliv, in morte di Maria Salviati, che t55 sposterà fra i ducali, erano fin da principio in N e passeranno tramite Ni, che presenta o dei banali incidenti o forse pentimenti di scarso rilievo, in M con qualche diversità nell’ordine fra loro e rispetto a t55 (quello di N, pp. 29b-44b, s’è riportato sopra ; ecco quello di M, pp. 49a-64a : cxxviii-cxxxviii, cxliii, cxxxix, cxl, clxii, cxli, cxlii, cxliv, cxlv, cccxliv, cxlvi, cxlvii, clii, cliv, cxlviii, cxlix, cl, cliii, clvi, clvii, clv) e qualche ripensamento. Il cxxxv, in morte dell’Ariosto, s’interponeva in N (p. 32b) fra il penultimo e l’ultimo in morte di Giuliano Gondi, cxxxiii e cxxxiv ; fu depennato e posto in aspettativa notevolmente variato a p. 283b, donde lo trasse direttamente M per porlo (p. 52b) dopo l’ultimo sul Gondi. Il clxii, a Veronica Gambara, chiedendole di consolare insieme al Varchi il Bembo per la morte della sua donna, veniva in N a p. 34b dopo il cxxxvii ; anche questo fu cassato e riscritto, ma in ordine, più avanti a p. 107b, in quella sezione centrale che, precorrendo l’assetto di t55, è apparsa dominata dal tono epistolare ; fu recuperato alla serie mortuaria da Ni, che lo collocò col numero 110 fra il cxl e il cxli, dove lo trascrive M (p. 56a). Il cli in morte di Giovanni Mazzuoli detto Stradino e il cliii in morte del Tribolo venivano l’uno dietro l’altro a p. 42 di N dopo il cliv in morte di Gismondo Martelli a Simone Strozzi, e furono tutt’e due espunti. Sul primo fu annotato : « Questo è scritto a carte 169 », dove si trova con la sirima assai variata, in pagine che s’interpongono fra due blocchi di corrispondenza con risposte o proposte e che un po’ si isolano per inchiostro e aspetto della scrittura. Ni lo ignorò e M lo trascrisse nelle pagine finali di deposito (p. 309a). Mi lo riportò in ordine fra i morti, annotandone l’incipit e scancellandolo, sia a p. 60 proprio dopo cliv, che lo precedeva anche in N, sia a p. 59 dopo cxlvii, in morte del Bembo ; infine gli trovò pace a p. 58 dopo quello in morte, quindi all’ombra della sua protettrice Maria Salviati, cccxliv. Ma quando questo in t55 fu ricongiunto agli altri per la famiglia ducale, il povero vecchio e bizzarro soldato si trovò fra una signora, una Lucrezia da Pistoia, « Non men di quella antica o casta o bella » cxlv e cxvlvi un cardinale, e che cardinale, Gaspero Contarini, sicché dovette rimettersi in marcia, fino a trovar posto confacente in ragione del mestiere dietro a un gran capitano, anzi tre : Stefano Colonna, Giovan Battista Savelli, Pirro Colonna, cxlviii-cl. Meno affannoso l’andirivieni del cliii in morte del Tribolo : posto in attesa, variato, a p. 313a di N, qui lo recuperò subito alla serie Ni col numero 123 e M lo trascrisse a p. 62b per intanto fra il cl e il clvi ; t55 lo riporterà avanti a quel cliv dietro il quale si trovava in N.

Infine in questa sequenza dei morti si dà un caso curioso e forse istruttivo. Nel deposito di N a p. 316a e 317 aspettavano due sonetti, il primo comincia Quanto dianzi alta, oimé, chiara e gentile, il secondo, intitolato « a mons. D’Arezzo », comincia Quanto stato per me fora il migliore e sarà il cccclxiv di t55, cioè fra i sonetti « parte ritrovati nello stampare e parte aggiunti di nuovo ». Ni li segnò coi numeri, rispettivamente, 128 e 127. Ma M, invece d’inserirli semplicemente nella serie dei morti, come richiedevano quei numeri, all’ultimo e penultimo posto, li trascrisse per intero in una delle pagine finali (301a-b) nella stessa successione di N. Tuttavia fra i morti furono trascritti (pp. 64b e 65a) ancora in quest’ordine, non in quello richiesto da Ni, i soli incipit, in piena pagina, non in margine, e lasciando in bianco lo spazio per il resto. Difatti gli incipit furono coperti con freghi di penna e sostituiti coi sonetti, interi, cccxcii e cccxciii ; che in t55 finiranno fra i pastorali (riguardano Giulio della Stufa, Carino, rivolgendosi il primo ai suoi « terrestri soli / D’angioletto mortale », il secondo direttamente a lui) e in M non chiudono, s’intende, la serie dei morti, che resta chiusa come in N dal clv compianto di Pierino da Vinci, ma aprono la sezione centrale, varia e in prevalenza epistolare. La ragione di quegli incipit senza seguito è chiara, se si legge in che modo il primo Quanto dianzi alta, oimé continua in N (p. 316a) o in M (p. 301a) e si capisce che piange la morte di Michelangelo : « Pianga l’Arte e rallegrisi Natura, / che quell’angel divino all’alte ruote / Tornato nulla più del mondo cura » (12-13) ; e difatti troverà debito posto nelle Esequie del divino Michelagnolo Buonarroti [...], in Firenze, appresso i Giunti, 1564, c. b[4]v. Del personaggio compianto nel secondo non so dir nulla, se non dedurre che nel 1555 fosse effettivamente morto, ma da poco, se il sonetto per lui fu stampato in t55 nell’appendice di cui s’è detto. Certo, Michelangelo nel ’55 non era morto, tantomeno prima al tempo in cui si lavorava su N e M. I due sonetti, allora, erano nati da falsi annunci e furono a buon conto tenuti in serbo o erano proprio quelli che in gergo giornalistico si chiamano “coccodrilli” ? Nei fatti lo furono. È un caso limite e palmare, ma forse non straordinario d’uso “giornalistico” del sonetto.

Tornando ai codici, s’è arrivati al lungo tratto centrale, da p. 62b a p. 110b di N, in cui già trovavano posto di regola i sonetti che costituivano il corrispettivo del tratto di t55 (e già di Ni, numeri 129-220, e M, pp. 64b-114b), debitamente allungato, clxvi-ccci. Ci sono delle eccezioni a questa regola, ma sono proprio quelle che la confermano, o, meglio, confermano con somma chiarezza l’unica regola o denominatore comune individuato, considerando l’assetto definitivo di t55, a questa sezione centrale, di riunire, cioè, sonetti epistolari. Difatti quasi tutti quelli che erano in N e che in seguito saranno levati sono sonetti di proposta che saranno ricongiunti alla risposta nella seconda parte : par. 2axxxv, par. 2axxxvi (pp. 77b-78a), par. 2ali (p. 91b), par. 2axxxiv (p. 95b). Due sono di risposta già qui preceduti dalla proposta, d’Agostino Beaziano, par. 2aclxix, e di Lodovico Dolce, par. 2aclxxix (pp. 109-10) : sarebbero un caso estremo e strano ; ma queste pagine sono la carta che precede la serie compatta dei sonetti pastorali dedicati al Caro e i testi non hanno il numero di riordinamento di Ni ; e perciò è possibile che la carta fosse stata lasciata bianca e venisse adoprata come spazio di deposito. Il cccxxxi (p. 105b) a Sforza Almeni, cameriere del duca, che pertanto andrà, ma solo in t55, a aprire i ducali è un sonetto epistolare alla seconda persona.

Di questa lunga sezione e dei suoi movimenti non si può render conto in modo capillare e completo. Oltre coppie e terne che resisteranno unite fino alla fine, in N vi s’isolano già definiti nel numero e nell’ordine i Bembi (ccx-ccxvi, pp. 85a-88a) che in t55 faranno da nocciolo a un gruppo di letterati o ad litteratos (ccii-ccxxiii) e intorno ai quali già tendono a gravitare sonetti con questa destinazione : ccviii e ccix a Claudio Tolomei e Trifon Gabriele (p. 84), cciii e cciv a Sperone Speroni e Girolamo Muzio (pp. 81b-82a), ccvii al Molza (p. 88b), ccv e ccxvii a Luigi Alamanni e Bernardo Capello (pp. 89b-90a) ; più distanti, alle pp. 93a e 106b, i cci a Alberto Lollio e ccxviii al Trissino. Il primo passo di Ni consisterà nello sceverare in queste pagine ciò che era per letterati da ciò che non era, determinandone la sequenza, comprensiva al suo interno dei Bembi (fra parentesi i numeri arabi del riordinamento, avvertendo che quelli mancanti mi resultano, salvo errore, saltati) : cciii (164), cciv (165), ccviii (166), ccix (167)-ccxvi (173), ccvii (174), ccxvii (178), ccv (180), ccxviii (181). M la trascrive alle pp. 83b-90b con l’inversione ccxvii (p. 89a)-ccvii (p. 89b). Il cci continua a orbitare vicino senza entrarvi : col numero 189 in Ni e ap. 94b in M. t55 non farà che riordinare il gruppo, saldarvi in principio cci e aggiungervi ccii a Girolamo Ruscelli, un secondo sonetto, ccvi a Luigi Alamanni, e alla fine i tre a Giovanni della Casa ccxix-ccxxi, con una sorta d’appendice al nipote di lui, Annibale Rucellai, ccxxii, a cui segue il ccxxiii al segretario del Bembo, Cola Bruno. Quest’ultimo già gravitava vicino al gruppo dei letterati in Ni (160) e in M (p. 81a), mentre in N era ancora nelle carte di deposito (p. 286a). ccii e ccxix inNerano insieme a p. 104a-b. Il primo, ignorato dal riordinamento di Ni, fu deposto nelle carte finali di M (p. 308a).Ma ap. 104, nello spazio fra i due sonetti ccxcv e cclxvii fu annotato rapidamente con penna grossa « Ferrino », cioè ccxcvii, per il medico Tommaso Ferrini, e « Ruscello », cioè ccii. Il secondo, numerato da Ni 215, fu trascritto in M ap. 107b e Mi v’aggiunse di seguito gli incipit di ccxx, ccxxi e ccxxii, traendoli dal deposito di M pp. 298a (Np. 127a), 298b (N p. 292a), 318a (Np. 343a).

Precedeva in N i letterati, ben visibile, un drappello d’uomini d’arme (soldati ; ad duces et milites), pp. 71b-74a : cclxxxi al conte Claudio Rangone, cclxxxii a Stefano Colonna, cclxxxiii a Giordano Orsini, cclxxxviii a don Garzia di Toledo, cclxxxiv a Carlo Orsini, cclxxxvi a don Pietro di Toledo ; che in Ni e M, accresciuto di due (cclxxxvii a Iacopo d’Appiano e cclxxxix a Gabriele Moles, già accoppiati in N, p. 103a-b), passerà dietro, tenendosi ancora abbastanza vicino ai letterati, ma diviso in due tronconi e con due infiltrati nel primo : Ni 187 (cclxxxi), 188 (cclxxx, primo infiltrato, a Giorgio Bartoli ; ma parla dell’autore, non di lui), 189 (cci, secondo infiltrato, a Alberto Lollio), 190 (cclxxxii), 191 (cclxxxiii), 192 (cclxxxiv), 211 (cclxxxviii), 212 (cclxxxvi), 213 (cclxxxvii), 214 (cclxxxix) ; M (pp. 93b-96a, 105b-107a) in tutto uguale a Ni. In questo caso si deve dire di queste due fasi coincidenti ciò che altre volte s’è detto di N, che senza questo e t55 sarebbe difficile e poco legittimo riunire la sbandata soldataglia. Ma il drappello si ricompatta in t55 e cresce d’altri due (cclxxxv a Chiappino Vitelli dal deposito di N, p. 362a, e di M, p. 353b, ccxc a Mario Savorgnan, che s’aggirava nei paraggi degli altri sia in N p. 82, sia in Ni 199, e in M p. 99b), presentandosi in ordinata formazione cclxxxi-ccxc, ormai lontano dagli uomini di lettere.

Si tralasciano più sparute compagnie, come, per esempio, alle pp. 96b-97b di N (Ni 182-84, M pp. 91a-92a) ccxxxiii, ccxxxiv, ccxxxv rivolti a Scipione Bianchini, presentato come un dotto amico del Bembo, a Fabrizio Garzoni, bolognese, presentato come studioso d’Aristotele e d’Ippocrate, al medico e botanico bolognese Luca Ghini, che arriverà compatta in t55, aggiunto in testa da Mi, p. 90, il ccxxxii, attingendo al deposito di M, p. 302b (e cfr. N p. 279b), per un altro bolognese, il filosofo aristotelico Ludovico Boccadiferro. Piuttosto si rileverà in N una corona meno trascurabile di cinque sonetti per Piero Alberti, che subito precedeva alle pp. 93b-95b : clxxxv, a lui stesso, e, su di lui, Se da leggiadra impresa alto valore a Ventura (?) Strozzi, ccxlv e ccxliv a Simone della Volta, par. 2axxxiv proposta a Filippo Angeni ; che progressivamente s’impoverisce e disperde, rinunciando già in N a Se da leggiadra impresa, anticipando in Ni clxxxv al numero 135, p. 68b di M, riducendosi così agli ultimi tre elementi, 200-202 di Ni, pp. 100a-101a di M, e alla solo coppia a Simone della Volta in t55. Si rammenti che a p. 24a era stato scancellato un altro sonetto per l’« Altera e vaga e pura e chiara Petra, / Che sopra l’Arno al destro lato splende », cioè lo stesso Piero Alberti. Si dà anche il caso di nucleo, piccolo, di N, che si disfà, ma poi si riaggrega su un diverso equilibrio in t55. Descrivendo questo, s’è rammentata la terna clxxix-clxxxi su Michelangelo, l’amico suo Tommaso Cavalieri e il terzo sonetto che, con bella mossa, Lenzi, voi dite il ver, se tali e tante, disegna una conversazione fra l’autore e il proprio amico appunto sull’Aurora e la Notte della Sagrestia Nuova. In N alle pp. 62b-63b la terna era, nell’ordine, clxxxi, Più non mi par Bettin del dritto fore,17 sul medesimo tema, clxxix ; clxxx, lontano a p. 80b, non era in causa. clxxxi e Più non mi par furono depennati ; a p. 128 fu riscritta la fronte del primo, seguita dalla sirima del secondo. Con le parti che avanzavano dell’uno e dell’altro se ne sarebbe potuto montare un secondo, ma qui non l’ho ritrovato, né in M, né in t55, sicché pare che di due ci si rassegnasse a farne uno. In Ni e M clxxix, il nuovo clxxxi, come clxxx, sono dispersi coi numeri 161, 181 e 147 e alle pagine 81b, 92b, 74b. In t55 si ricostituisce la terna che s’è visto, spostando così il peso e l’argomento prevalente dalla celebrazione della Sagrestia Nuova a quella dell’amor platonico : sono le ragioni del canzoniere.

Degli altri più o meno definiti e visibili nuclei della sezione centrale di t55 quello dei ccxxvii-ccxxxi, che parlano dell’assedio del 1530 e la conseguente diaspora dei repubblicani fiorentini non consisteva minimamente in N (ccxxvii a p. 75b, ccxxviii a p. 172b, ccxxix a p. 92b, ccxxx a p. 64b, cassato per essere riscritto a p. 290b, e che prima era inviato a Baccio Tasio e prima ancora, pare, a qualcun altro che non riesco a leggere sotto la cancellatura di p. 64b, ccxxxi a p. 278b) ; ma già quagliava con almeno tre in Ni 155 (ccxxvii), 156 (ccxxix), 157 (ccxxx), e quattro in M pp. 78b-80a (a p. 80a c’è l’ultimo, ccxxxi, che in Ni aveva ricevuto il numero 278, cassato e non sostituito da altro, ma nel riordinamento il 158, che gli toccherebbe, non è assegnato a nessuno). In Mi il nucleo era già completo, annotato l’incipit del ccxxviii dopo il ccxxvii a p. 78b, con rinvio alle pagine finali, dove, p. 305b, è trascritto.

Nessuna traccia in N e nemmeno in M della serie di cinque sonetti ccxxxix-ccxliii artefici nobile ; ad artifices nobiles. Anzi solo il primo, al Bronzino, e il terzo, a monsignor Giovan Battista Ricasoli sul Perseo del Cellini erano trascritti in ordine (N pp. 79a, 105a ; Ni 196, 218 ? cassato e sostituito con 220 ; M pp. 98a, 110a). Il secondo a Alessandro Allori fu inserito, dal deposito di M p. 308b (era anche in quello di N p. 333b) in Mi, ma in altra compagnia, a p. 114a : segno che a quella squadra ancora non si pensava. Gli altri due attesero nei depositi di N, pp. 361b, 358a, e di M, pp. 352b e 351b.

Invece i Lelii e gli Oradini, cioè i sonetti per Lelio Bonsi e Lucio Oradini ccxlviii-cclx, benché ignorati oltre che da N, anche da Ni e M, aspettavano, sì, nei depositi, ma già vi si stavano schierando in formazione. Alle pp. 329a-32a di N e 310a-13a di M si trovavano sette Lelii nella medesima sequenza : ccxlviii, cclii, ccl, ccli, ccliii, ccliv, cclvii. In N questo è il massimo della loro aggregazione ; mentre gli altri vagano nei paraggi da soli, cclviii a p. 328a (ma precedevano alle pp. 326 e 327 proposta e risposta della par. 2acxlvi e cxlvii), cclx a p. 342b, o in coppia, cclix e ccxlix a 338a-b, o in tre, alle pp. 345b-46b, cclv, cclvi e la proposta della par. 2axvi (cassata e ricopiata con la risposta a p. 350). Ma in M oltre p. 313a seguivano compatti e senza stacco da 313b a 317a altri due Lelii cclv e ccxlix, il corrispettivo di questi fra gli Oradini cclix (i sonetti sono, mutato indirizzo, variazione stretta l’uno dell’altro : Mirate, Lelio, ove quei verdi et alti, Mirate, Lucio, ove quell’alta e verde e così di seguito), due Oradini della seconda parte, proposta e risposta, cxlvi e cxlvii, e un altro della prima cclviii. Unici spersi, il cclx a p. 327b, e, a p. 329a-b, cclvi e la proposta della par. 2axvi, scancellata e ricopiata con la risposta a p. 334. Infine a margine di cclvii (p. 313a) è annotato : « questo ha esser l’ultimo di quei di Lelio », accantonando, se non era casuale, l’idea di far convergere le due squadre sul contrappunto di ccxlix e cclix. Certo è che questa volta il deposito, almeno quello di M, è usato come uno spazio per le prove. Mi inseriva tutti quelli che saranno della prima parte a p. 112b dopo ccxlvii a Giovambattista Tedaldi, che, chiamando in causa il Bonsi (« Deh, come volentier vosco e col mio / bonsi, cui tanto già Minerva deve, / Colà verrei, tedaldo, ove ’l bel Sieve / Accresce l’Arno con non picciol rio », 1-4), offriva l’aggancio : « Qui vanno i nove sonetti, cioè qui sotto Deh come, Non sa, Lelio [ccxlviii] a 310 a 314 [si dovrà intendere i nove da 310a a 314a, fino a ccxlix] e 319 [aggiunto in interlinea ; cioè cclvi] e poi i due Mirate, Lucio a 314 [cclix] e Lucio a 317 [cclviii] e poi Lucio a 327 [cclx] » ; seguiva inchiostrato e reso illeggibile : « e poi Lucio a ... » (ripetizione per errore o si riferiva alla risposta di par. 2acxlvi a p. 315 ?).

In t55 oltre la zona mediana di tono epistolare s’è visto che riprendevano i segmenti consistenti, ben riconoscibili e nettamente definiti col cccxiii : cccxiii-cccxx Farnesi, cccxxi-cccxxx Mendozzi, cccxxxi-cccli Ducali. Nemmeno questi avevano ancora preso posizione in N. I Farnesi, tuttavia, erano bell’e pronti nel suo deposito (pp. 296b-300a) quasi nell’ordine definitivo : cccxiii-cccxvii, cccxix, cccxx, cccxviii, e entravano in quest’ordine in Ni (230-37) solo anticipato il cccxviii in penultima posizione ; e così furono trascritti in M (pp. 115a-118b). Mi ha un parziale ripensamento, annotando l’incipit di cccxiii, che si rivolge a Fiesole, a p. 14, come primo dei monti, e scrivendo a p. 115a, sul margine « 14 », ma senza toccare il sonetto ; che, difatti, qui alla fine rimase.

Anche dei Mendozzi alcuni, non tutti e non tutti riuniti, aspettavano nel deposito di N : cccxxi a p. 355a, cccxxix a p. 357b, cccxxx e cccxxv alle pp. 358b-59a, cccxxvi, cccxxviii, cccxxvii alle pp. 363b-64b. E tutti, anzi due e una proposta in più, dovranno aspettare anche in quello di M, senza entrare in ordine, col primo cccxxi a p. 341a, i quattro seguenti cccxxii-cccxxv riuniti alle pp. 344a-46b, racchiudendo anche la proposta al cardinal Mendoza e la risposta della par. 2alxiv (pp. 344b-45a), a p. 351a il cccxxix, a p. 352a il cccxxx, alle pp. 356a-57b cccxxvi, cccxxvii, la proposta della par 2alxxvi a Domenico Venier, invitato, 9-11, a dedicare tempo e poesia al cardinale, anche avvertendo che « la risposta di questo è a 360 », cccxxviii. Anche il primo dei Mendozzi, a Fiesole era proposto da Mi a p. 14 di seguito al cccxiii allo stesso modo e con lo stesso esito.

Dei ducali la gran parte stava insieme già nelle carte finali di N (pp. 301a-309b) nell’ordine cccxxxii, cccxlv, cccxliii, cccxxxiii-cccxxxv, cccxxxvii, cccxxxviii, cccxlvii, cccxlviii, cccxxxvi, cccxl, cccxxxix, cccxlvi, cccxlii, cccxlix, cccl, erano trascritti in ordine in altro contesto il cccxxxi al cameriere Sforza Almeni a p. 105b, il cccxliv per la morte di Maria Salviati a p. 40a, nei morti. Ni li inseriva in ordine, numerando 237-43 (237 ripetuto : era già assegnato al cccxx) i cccxxxii-cccxxxviii, 244 il cccxlii, 245 e 246 il cccxl e il cccxli, 247 il cccxliii, 248-53 i cccxlv-cccl e in questo numero e successione li registrava M alle pp. 119a-27a. S’è visto che cccxxxix, per una malattia del duca, era stato spostato nel gruppo su questo argomento e che lo recuperò a questo t55, che aggiunse in fine il cccli. Prima della svolta decisa ai sonetti pastorali, che in t55 saranno preceduti da questo esplicito titolo, M inseriva il sonetto al Sonno lxxxvi (p. 127b). La scrittura, più serrata, lo isola in modo netto : potrebbe essere inserito da ultimo su spazio bianco. In N, subito prima di questo passaggio ci sono due sonetti di corrispondenza seguiti da risposta del Varchi : par. 2aclxix e clxxix ; ma s’è visto che si tratta o di due coppie trascritte provvisoriamente in una carta lasciata bianca o degli ultimi della sezione centrale, dalla quale in esso si passa direttamente ai pastorali.

La cui serie consisteva qui, pp. 111a-23b, di ccclii-ccclxiv, ccclxxiv, ccclxvii-ccclxix, ccclxxii, ccclxxi, ccclxv, ccclxvi, ccccxcvi, ccclxx, ccclxxv, ccclxvi, ccccxcvi, ccclxxiii, ccclxxvi. Ni, 254-79 (non si dà conto di certi suoi piccoli incidenti di numerazione) e M, pp. 128a-41b, l’assumevano, ritoccando oltre ccclxiv l’ordine e collocandovi i due sonetti epitalami ccclxxvii e ccclxxviii (Ni 268, 269, M p. 135a-b) da N (pp. 28b e 29a) : ccclii-ccclxv, ccclxxvii, ccclxxviii, ccclxvi-ccclxix, ccclxxi, ccclxxii, ccclxx, ccccxcvi (cassato in M), ccclxxiii-ccclxxvi. Dei rimanenti e successivi sonetti della prima serie pastorale di t55, tutti inattestati in qualsiasi parte di N, uno, ccclxxix, viene dalle carte finali di M (p. 360b) ; due, ccclxxxvi e ccclxxxviii, da c. 95ra-b ; un quarto, cccxc, da c. 98ra (carte, queste, interne alla parte riservata alla corrispondenza poetica con risposta o proposta, che nella descrizione del codice si sono viste isolarsi e sulle quali si tornerà) ; due altri ancora, cccxcii e cccxciii, aprivano in M (pp. 64b-65a) la sezione centrale a carattere e tono epistolare ; un buon numero aspettava in quelle carte iniziali, i-viii, di M, non numerate a pagina, usate come quelle finali per deposito, forse secondo deposito, frammisto a sonetti di corrispondenza con risposta o proposta nell’ordine : ccccxviii, ccccxvii, par. 2axxix risp., ccclxxx, ccclxxxiv, cccxcv, ccclxxxv, cccxciv, par. 2axcix, ccclxxxiii, ccclxxxix, par. 2alxv, par. 2axix, par. 2aci, ccclxxxi, ccclxxxvii, cccxcvi, ccclxxxii, par. 2axxv, Varchi immortal, che quanto sete raro di Giulio della Stufa e risposta Ch’a voi, Stufa gentil, ch’a paro a paro, par. 2axxx, cccxci. Di tutti gli altri, cccxcvii-ccccxvi e ccccxix-ccccxx, come dell’intera seconda serie intitolata Sonetti pastorali a messer Giovanvettorio Soderini non trovo traccia in ordine né nei depositi così di N come di M. Si tocca qui il punto di maggior distanza fra M (a maggior ragione N) e t55, per la cui costruzione si deve presumere un consistente apporto da alte carte.

Di seguito ai pastorali in N ci sono alcune pagine, 124-28, con materiale vario : par. 2aclxxiv proposta e risposta p. 124, ccxcix p. 125a, ccxcv p. 125b, cassato e riscritto in altra versione, quella che sarà a stampa, di seguito, p. 126a, ccxciii p. 126b, ccxx p. 127a, par. 2alxiii proposta p. 127b, clxxxi p. 128a, cclxvii p. 128b che, come detto, porta a margine l’annotazione autografa : « ultimo ». L’impressione è che siano sonetti appoggiati qui in modo provvisorio alla fine di quella che sarà e che già in N si configurava come la prima parte. Alcune peculiarità della scrittura e dell’impaginazione avevano fatto pensare, descrivendo il codice, che potessero essere carte restate bianche riempite in un secondo tempo. Ora si può dire una cosa scontata e certa, che quando si decise di cassare la prima versione di ccxcv, p. 125b, e riscriverlo in una seconda, la seguente p. 126 era libera, se poté ospitarla. Solo il clxxxi sarà considerato dal riordinamento di Ni col numero 181, che, però, è assegnato anche al ccxviii (che è a p. 106b di N). Tenendo conto del posto che i due sonetti occuperanno in M, ci si sarebbe aspettati per il clxxxi il numero 185. Tutti gli altri, ignorati da Ni, saranno collocati in ordine direttamente da M, fuor che ccxx, che, deposto a p. 298a di M, aspetterà Mi per essere inserito in ordine, come s’è visto, a p. 107b. In M dopo i pastorali è lasciata una pagina bianca, che viene a separare con più nettezza di quanto ora (ma non probabilmente in origine) non appaia in N ciò che in tutt’e due i codici segue, vale a dire i sonetti di corrispondenza accompagnati da risposta o proposta e che costituiranno t57.

Questi già in N, quindi in Ni e M, hanno la distinzione principale fra le proposte del Varchi seguite dalla risposta (N pp. 129-66 ; Ni 280-319 ; M pp. 143-87) e le proposte d’altri a lui e sua risposta (N pp. 173-272 ; Ni 320-402 ; M pp. 189-297a). Si sarà notato che fra l’una e l’altra sequela in tutt’e due i codici c’è un intervallo ; che non è fatto, almeno ora, di pagine bianche, ma occupate da sonetti di varia natura, d’alcuni dei quali già è capitato di parlare. In N da p. 167 a p. 172b si succedono par. 2alxxviii e risposta, par. 2axviii e risposta, cli, ccxci, la risposta di Dionigi Lippi a par. 2axli, lxxxviii, ccxcvi, ccxciv, xx, ccxxviii. Un altro vario drappello si trova in questo codice fra la serie compatta dei sonetti di corrispondenza col Varchi risponditore e la proposta di Lucantonio Ridolfi, Parmi, Varchi, ogni dì con le due risposte, che (ricordo) hanno il nome del proponente e le due r delle risposte della corsiva più calligrafica e rigida diversa da quella dei testi, come avviene nel primo strato del codice, e Hor che due volte contrassegnato dalla nota autografa « ultimo », alle pp. 280a-81b, cioè quelli delle pp. 273-79b : par 2acxxxix (proposta e risposta), ccxlvi, ccxlvii, lx, xiii, par. 2axxii (proposta e risposta), clxxvi, xii, ccxxiv, ccxxxi, c, ccxxxii. Non deve ingannare la presenza anche in questi due gruppi di pagine di sonetti con proposta o risposta : s’è visto che esse si isolano o in genere per l’aspetto grafico o perché ci sono (contro al solito) i nomi dei destinatari e dei corrispondenti della stessa mano del testo ; s’è potuto, anzi, appurare che il sonetto par. 2alxxviii fu certamente riscritto in seconda redazione con la risposta a p. 167, che perciò doveva essere bianca. Si deve allora ribadire il sospetto e quasi trasformarlo in certezza che tutte quelle pagine 167-72 e 273-79 fossero state lasciate bianche, forse in attesa d’altre coppie di corrispondenza, e effettivamente ricevendone alcune, come appunto par. 2alxxviii, ma anche usate alla stregua di quelle finali che si son dette di deposito. Come almeno per alcuni sonetti s’è visto, poco materiale qui depositato fu messo in ordine già da Ni : par. 2alxxviii col numero 319, par. 2acxxxix col numero 382 ; e sono proprio le coppie collocate ciascuna nelle prime pagine, 167 e 273, dei due intervalli che si sono supposti bianchi (anche ccxxiv e ccxxxi, p. 278a-b ebbero i numeri 272, mal leggibile, e 278, poi depennati). Altri furono trascritti in ordine direttamente da M o riposti nel suo deposito, per esserne quasi tutti tratti da Mi. Allora (ciò che importava il più possibile chiarire) questa sezione, che diventerà la seconda parte dei sonetti, t57, era già nel disegno iniziale di N destinata tutta e soltanto alla corrispondenza accompagnata da proposta o risposta.

Forse non si sarebbe aspettato che analoghi intervalli adibiti a piccolo deposito di materiale, che andrà in ordine solo in t55 o in t57, venissero a riprodursi entro la stessa sezione in M. Eppure anche qui, come segnalato poco sopra e prima descrivendo il codice, dopo i sonetti del Varchi seguiti da risposta e prima di quelli preceduti da proposta ce ne sono sei scompagnati : p. 188 (=c. 94v) a-b lxvii e lxviii ; c. 95r-v ccclxxxvi, ccclxxxviii, proposta di par. 2axxix, lvi. Un secondo intervallo è poco lontano, dopo p. 192 (=c. 97v), a c. 98r-v occupata da cccxc, proposta di par. 2alxvii, cccxi, clxi. Si son dovute indicare le carte e non le pagine, fuor che la prima, perché dopo 188 era stato segnato 189, 190 191 ..., ma le cifre furono depennate, 191 sostituita con 189 e così via, saltando le due facciate di c. 95. L’altra carta occupata da sonetti scompagnati fu subito saltata dalla numerazione a pagine. Si volle segnalare che i testi di quelle carte erano fuori ordine ? Si tratta di sonetti scritti in tempi diversi, come dimostra il carattere della scrittura e la sua disposizione sulla pagina, avvertiti nel descrivere il codice, su carte lasciate bianche per della corrispondenza poetica, che poi non vi fu depositata ? Probabilmente l’una e l’altra cosa.

Isolandosi con nettezza in tutt’e due i codici ciò che alla sezione non pertiene, di questa si osserverà che a aprirla in N (par. 2ai-iii) come in Ni e M (par. 2ai-iv) fino, come illustrato all’inizio, in t57 tocca a sonetti inviati a Annibal Caro, al quale si rivolge in tutt’e quattro le medesime fasi anche il primo dei pastorali. La posizione in vista goduta fin da principio dall’amico vorrà riconoscere anche il legame stretto da lui intrattenuto con Lorenzo Lenzi- Lauro come precettore. E, come in t57, agli scambi di sonetti col Caro, che trattano dell’amore per il Lauro, già in M e Ni ne seguono subito due (par. 2av e vi) e uno in N (par. 2av) col Lauro stesso ; nel cui nome, dunque, fin dall’origine la sezione di corrispondenza con risposte e proposte, che diventerà t57, s’apre. A chiuderla era in N e in M la proposta di Lucantonio Ridolfi con due risposte del Varchi. E così forse sarà da intendere anche in Ni, seppure, posto il numero 402 alla seconda risposta, né la prima né la proposta ce l’hanno ; tuttavia il 401, che le toccherebbe, non mi resulta assegnato a nessuno. Invece né in fine né in altra parte di t57, tantomeno di t55, ci sarà traccia di questo particolare e finale scambio di corrispondenza. Eppure anche la prima risposta al Ridolfi cominciava nel nome del Lauro : L’arbor gentil che forte amai molti anni ; e la rima a riproponeva due parole in rima, anni e danni, di i, che è tale da Ni. La causa che avrà fatto sparire, non spostare, questa corrispondenza sarà altra e sostanziale ; ma nella prospettiva del libro unico ribadire quel richiamo e far risonare la stessa rima e le stesse parole in rima aveva un effetto forse non primario, ma apprezzabile, che nell’autonomia della seconda parte non aveva più ragion d’essere. Anche il Molza, che in N p. 173, Ni numero 320, M p. 189, apriva la sequela dei sonetti d’altri al Varchi, come degno corrispettivo del Caro, cominciava con lo stesso, forse ovvio, richiamo : « Mentre che lieto vi godete all’ombra, / Varchi, del vostro casto amato Lauro ... ». In t57 questa corrispondenza recederà al centocinquantesimo posto a vantaggio d’un amico di giovinezza, Lodovico Martelli, e della sua memoria, che permette lo stesso di cominciare nel nome dell’alloro : « Se quella virtuosa altera fronde ... » (par. 2alxxx 1), benché ancora non fosse il Lauro amato e cantato dal Varchi, ma la più generale insegna dei poeti e facesse, nel caso, piuttosto da premonizione. Insomma, una volta che questa sezione del libro unico di N e M diventò la seconda parte dei sonetti in libro separato, t57, la presenza del Lauro, non in generale, ma nei punti strategici, sembra attenuata. Il suo libro in forma di canzoniere era l’altro, t55 ; questo è principalmente l’epistolario poetico.

Entro questi estremi e posta la distinzione di base, N rivela qui un ordine ancora parecchio provvisorio. Nemmeno vi erano sempre riunite in unica serie le corrispondenze con la stessa persona. Dopo, per esempio, i primi tre sonetti mandati al Caro (sempre s’intenda, anche se d’ora in poi non importerà più dichiararlo, colle risposte) alle pp. 129-31 il quarto, che Ni metterà in successione, si trovava lontano a p. 160, seppure una nota a margine già disponeva il ricongiungimento « cogli altri al medesimo ». Similmente il sesto al Lenzi, che seguiva a p. 161, era indirizzato « cogli altri ». E si sarebbe dovuto dire : con l’altro, perché un altro solo, il quinto è, e rimarrà, inviato al Lauro, p. 132 : segno, appunto, di quanto vago e aperto fosse lo stato di N per questa sezione. Simile riunione è comandata per i sonetti di Michelangelo Vivaldi, par. 2axciv di p. 236 e xcviii di p. 272, rispettivamente prima e dopo quello di p. 261, xcvii ; così per quello del Bronzino, par. 2acxiii di p. 271, dopo al cxii di p. 244. Né ci sono sempre avvertimenti del genere : non per l’altro del Bronzino, par. 2acxi che si trova a p. 230 ; eppure alla lettura questi tre e anche il quarto (par. 2acxiv), che pur apparirà solo in t57, appaiono strettamente collegati e conseguenti ; non per i sonetti del Lasca dislocati alle pp. 210-11, par. 2axcii-xciii, a p. 229 lxxxviii, e alle pp. 240-42 lxxxix-xci ; non per i due di Trifone Benci, par. 2acxci e cxcii, uno a p. 233 e l’altro a p. 270.

In Ni anche questi si riuniscono e si determina qualche altra superiore aggregazione, come di par. 2alxxvii a Giovanni della Casa e lxxviii a Francesco Nasi, che al Casa si riferisce, e perciò si succedono coi numeri 318 e 319, mentre in N si trovavano vicini, ma separati, alle pp. 162 e 167. Ben è vero che la trascrizione di par. 2alxxviii con la risposta in N è resultata tardiva e perciò sistemata dove era possibile in pagine lasciate bianche. Così par. 2axxxvii al Berni, che in N si trovava a p. 136 fra il ix a Giovambatista Strozzi e il x a Ugolino Martelli, n’è tolto, lasciandoli strettamente congiungere, e col numero 294 andrà a precedere il xxxviii a Pietro Aretino ; e così diversi altri casi ; ma non tutti. Difatti, se le risposte al figliolo (Battista Alamanni par 2acv e cvi) erano unite con quelle al padre (Luigi cviii-cx) fin da N (pp. 174-78) e rimarranno in Ni (numeri 321-25) e in M (pp. 190-94) e in t57, aggiungendosi cvii (Battista), non altrettanto semplice cura ebbe per le proposte a questo (par. 2alix, lx) e l’unica, per allora, a quello (lxii) N, che le scrisse alle pp. 140-41 e 164, ma nemmeno Ni, che le segnò dei numeri 300-301 e 314, né M, che le lasciò separate alle pp. 163-64 e 179 ; ci pensò solo t57 che anche trasse l’altra proposta e relativa risposta di Battista, par. 2alxi, dai depositi di N (pp. 348b e 357a) e di M (pp. 331b e 350b). Poco o nulla per questa sezione Ni andrà a pescare dal deposito di N : par. 2axvii a Lelio Bonsi, da p. 311, riunendolo col numero 305 agli altri due per lui, che soli N schierava in ordine alle pp. 151 e 152. Qualcosa di più M, ma non tanto. Senza entrare in particolari, basterà tener conto che dai centoquarantuno scambi di sonetti di N, calcolando anche par 2alxxviii e cxxxix inseriti in pagine bianche (167 e 273) in tempo perché Ni potesse considerarli, e scesi subito a centotrentanove, scancellati par. 2aclxvi a p. 188 (recuperato da M a p. 295) e cii a p. 212 (sarà recuperato da Mi a p. 261), M, che ne lascerà cadere un altro, quello col Guglia, di N, p. 228 (Ni 352), Varchi, l’invitto vostro alto valore e Guglia, c’habbia di me nel vostro core (non più recuperato), arriverà a ordinarne centocinquantatré, attingendo sia al deposito sia richiamandone qualcuno disseminato in N nelle precedenti sezioni. Ben più lungo sarà il passo di t57 sia nell’organizzazione, su cui s’è fatto qualche cenno in principio, sia nell’estensione, raggiungendo dugentodiciannove scambi, in piccola parte anticipato da Mi che ne inserisce nove : par. 2alxiii p. 160, xvi p. 168, lv p. 175, clxxxix p. 229, cii p. 261, cxlvi e cxlvii p. 280, ccxv e ccxvi pp. 294 e 295. Solo due saranno abbandonati da t57, il sonetto di Benedetto Cipello, Quell’aura onde Helicona il vostro altero e le due risposte Ben m’è caro e giocondo, ma nel vero (M p. 216) e Caro Cipello mio, se così vero (M p. 327). Mi aveva prima ricongiunto la seconda risposta alla prima a p. 216, quindi spostato tutto a p. 295,18 prima dell’altra proposta, di Lucantonio Ridolfi, con due risposte ; anche queste abbandonate da t57.

La lezione, invece, tende a restare stabile da M a t57, mentre era in tanti sonetti mutata fra N e M, o, meglio, in N, su cui sono fatte la gran parte delle correzioni. Ma su queste, come promesso sopra, non ci s’intrattiene, se non per rilevare che la penna del Varchi s’esercita non solo sui propri ma anche sui sonetti altrui. Si ritoccano in modo anche esteso risposte o proposte del Lenzi, del Bonsi, dell’Oradini e di tanti altri. Qualche esempio : nella risposta del Lenzi, par. 2av 8 (N p. 132) « Volga le spalle per contrario vento » è corretto dalla corsiva del Varchi in « s’arreste, o tema invidioso vento » ; in una di Lelio Bonsi, par. 2axv 5 (N p. 152) « Per questo, ch’io ho preso alpestro, e fero / Cammin » è mutato in « Per questo, che preso ho spinoso, e fero / Cammin » ; nella proposta di Lucio Oradini, par. 2acxlv 3-4 (N p. 254) « Tale ha beltate in sé, tanta honestate, / Ch’a tutte l’altre, ogni altra lode invola », dove beltate faceva rima interna con b e altra bisticcio con altre, è corretto in « Tale ha bellezza in sé, tanta honestate, / Ch’a tutte l’altre, ogni alta lode invola ». Con questi più giovani amici si può capire che per il Varchi fosse difficile in qualsiasi momento lasciare i panni del maestro. Lo stesso può valere anche verso il coetaneo Bronzino, che a lui sembra guardare con altrettanta reverenza di discepolo, sicché all’incipit di par. 2acxi « Varchi, ch’a par de’ più rari e migliori », accettò di buon grado la variante « saggi » (prima s’era proposto « dotti » N p. 230) e così il sonetto comincia nel codice delle sue rime, II ix 10 della Nazionale di Firenze, c. 33v. Appare meno facile da comprendere che non si tenesse a freno la penna davanti alla risposta, par. 2ax (N p. 137) d’un personaggio più giovane ma poeta rispettato come Ugolino Martelli, cui, invece, è rifatto un verso (8, ma pare coinvolta tutta la giuntura di 7-8) : « Voi ’l devete acquetar col vostro caro / Cui meco tanto a tal ragion amate », che diventa : « Voi ’l devete acquetar col vostro caro / Annibal, ch’a ragion sì forte amate ». Ma anche alla risposta dello stesso Caro, par. 2ai ii (N p. 129), la « Fortuna ingiuriosa » diventa a margine « Destino invidioso ». Qui la mano che corregge invece che l’inconfondibile corsiva del Varchi è quella più rigida e calligrafica, ma che (sia sua o d’altri) scrive di certo sotto il suo controllo. Se in teoria il Caro avrebbe potuto approvare o anche proporre la variante, il Molza non più. La sua proposta, par. 2acl (N p. 173) leggeva ai vv. 1-2 : « Mentre che lieto vi godete all’ombra, / Varchi, del vostro caro (?) amato (?) Lauro », e la corsiva del Varchi mutò l’aggettivazione in « casto amato ». Si sa quanto la castità dell’amore per il Lauro fosse essenziale e irrinunciabile alla raccolta dei sonetti. La correzione dice che a far aggio su tutto è l’unità e coerenza del libro, che significa una chiara e unitaria impostazione e responsabilità, anche quando vi s’inglobano cose d’altri.

Ritornando al libro, dei due codici preparatori, o ai libri, delle stampe del 1555 e 1557, e provando a tirare un po’ le fila, la gestazione, come s’è visto, fu una sola e il parto, per continuare la metafora, gemellare, anche se i gemelli videro la luce a distanza di due anni, per nulla eccessiva (fuori metafora). I due manoscritti considerati hanno permesso di seguirla da una fase già abbastanza avanzata, quella della trascrizione in ordine di N, che sempre più è venuta a identificarsi, determinandolo a sua volta, con quello che da indizi esterni, grafici e d’impaginazione, appare il primo strato della sua scrittura, fino al 1553-54. Questa data si cava dal sonetto Hor che due volte, che nell’uno e nell’altro suggella la sezione di quelli scritti in ordine (N p. 281b, Ni numero 403 e M p. 297b) e che corrisponde nella sostanza e ufficio, benché nella formulazione sia tutto diverso, al dxxxiv, riportato sopra, conclusivo della prima parte o t55. Ecco il sonetto nei due codici, un sonetto che per il posto e la funzione che ha merita d’esser considerato un po’ di per sé, senza precipitarsi e tuttavia arrivando ben presto alle deduzioni cronologiche che offre :

Hor che due volte cinque lustri intorno
Girato ha ’l ciel dal dì che prima il sole
Mirai e, quasi augel che ratto vole,
Non può molto tardar l’ultimo giorno,

Come nocchier, ch’estremo danno e scorno
Tema, fuggir dall’onde al porto suole,
Da queste humane, a dir propio, ombre e fole
A vera gloria e ben celeste torno,

Lungi dalle città, prendendo a vile
Ciò ch’altri agogna più, fuor d’ogni inganno,
Senza speme o timor, che ’l meglio invola,

Dietro quell’alma fronde, per cui sola
Vivo, già volge il venzettesimo anno,
Caro a me stesso, altrui forse non vile.

Questo il testo base, identico nei due manoscritti, non toccato in N, mentre in M tutto il v. 8 è sostituito a margine con « A te, vero del ciel Signor, ritorno », il secondo emistichio di 10 con « fuor d’ira e d’inganno », a 13 « volge » con « cade ». Le prime due correzioni sono della scrittura del testo, la terza della corsiva tipica del Varchi. Nessuna incide sul tono generale, che è sempre quello del congedo e consuntivo, che sarà del dxxxiv in t55. Come quello chiuderà la prima parte dei sonetti, quella che sola nelle stampe assume i tratti del canzoniere, così questo chiude in Ni e in M il libro unico dei sonetti che anche s’apriva con i, tipico testo iniziale di canzoniere. In N l’uno e l’altro appaiono aggiunti, in tempo, tuttavia, per il riordinamento di Ni. A quell’altezza, dunque, il canzoniere era quell’unica lunghissima raccolta di sonetti trascritti in ordine nei due codici, comprensiva di un’estesa sezione di corrispondenze accompagnate da risposta o proposta, che andrà a costituire t57. In Hor che due volte c’è di più e di diverso rispetto a dxxxiv un accenno di contrizione e proposito di mutar vita (5-11), che non coinvolge, e non poteva coinvolgere per le ragioni dette all’inizio, l’amore per il Lauro ; anzi, la conversione è « Dietro quell’alma fronde » (12). Nelle correzioni di M (8) il sonetto di tono spirituale, venendo a rivolgersi a Dio, diventerà esplicita preghiera e mostrerà i segni ancora più palesi, forse scontati, della conclusione d’un percorso lirico che voglia essere unitario, per intendersi convenzionalmente, d’un canzoniere. In t55 la preghiera sarà, è parso per coerenza, solo di ringraziamento e messa in principio, a ii, un sonetto che entrerà in Ni, ma che la trascrizione in ordine di N ignorava.

Dunque la chiusura in N e M del libro onnicomprensivo, Hor che due volte, porta due riferimenti cronologici. L’autore ha compiuto i cinquant’anni : « due volte cinque lustri intorno / Girato ha ’l ciel dal dì che prima il sole / Mirai » (1-3) ; essendo nato nel marzo 1503, doveva aver passato il marzo 1553 ; e questo è univoco. Rispetto all’incontro col Lauro si parla di ventisette anni : « già volge [poi cade] il venzettesimo anno ». L’evento è fissato dal sonetto xxxvi (9-11) alla fine d’agosto del 1527 : « Ventisette anni e cinquecento havea / Dopo il mille girato il sole ed era / Nel quinto grado della bella Astrea ». Per dire che volgeva o cadeva il ventisettesimo anno dall’agosto del 1527 probabilmente bastava che quell’anno fosse in corso, cioè si fosse passato l’agosto 1553. Se si volesse intendere che ventisette anni erano compiuti, bisognerebbe aspettare la fine d’agosto del 1554, quando il Varchi ne contava ormai più di cinquantuno, anche se nulla l’obbligava a precisarlo e che n’avesse passati cinquanta rimaneva comunque vero. Sembrerebbe, tuttavia, un po’ da preferire la prima ipotesi, anche perché in N e in M è presente, ultimo effettivo della serie dei morti, il sonetto clv per la perdita di Pierino da Vinci, avvenuta, pare, nel 1553, ma in nessuna parte di nessuno dei due compaiono clxiv e clxv, che piangono quella di Gaspara Stampa, 23 aprile 1554, e entrano solo, a chiudere la serie, in t55. Anche questa data, certo, è un terminus post quem e i due sonetti di per sé potrebbero essere stati scritti dopo diversi mesi ; sicché la loro assenza non può collocare M (e N) prima di quel giorno preciso, piuttosto e verosimilmente o prima o non tanto dopo. In ogni modo, ricordato ancora che i e Hor che due volte sembrano proprio aggiunti in N e precisato, quindi, che il corpo del libro vi fu sbozzato prima della data ricavabile da questo sonetto (ma s’è visto ora che clv, trascrittovi in ordine a p. 44b, dovrebbe portare già al ’53), la definizione del tutto in N, in Ni e in M si collocherà dopo il marzo 1553, nel corso di quell’anno e del successivo. Il 12 giugno del 1555, s’è detto in principio, è datata la dedica a Francesco de’ Medici di t55. E difatti il sonetto finale, dxxxiv, corrispettivo di Hor che due volte, si data e aggiorna la prima parte dei sonetti « al ventottesimo anno » (4) dall’incontro col Lauro, alla lettera dall’inizio della poesia che n’è scaturita, cioè nel corso di quell’anno, che si sarebbe compiuto solo con gli ultimi d’agosto. Ma anche si sa per certo da una lettera del Varchi che nel febbraio ’55 il libro era in tipografia.19 In quei mesi, poco più o poco meno di dodici, maturò la decisione, che sarà stata persuasa anche dalla misura, già grande e che sempre più s’ingrandiva, di separare l’unico libro canzoniere dall’epistolario poetico, che, visibile e definito, v’era stato racchiuso, e di dare a ognuno piena autonomia : l’uno pubblicato a stampa subito, l’altro due anni dopo. Ci si rese conto infine, in quei mesi, che se non s’interveniva sul feto, si sarebbe partorito una cosa, certo, mai vista, ma forse mostruosa, in tutto analoga a quelli che oggi si chiamano gemelli siamesi. I gemelli, invece, poterono così venire alla luce debitamente separati, ma gemelli nell’autonomia raggiunta rimasero. Furono chiamati De’ sonetti di m. Benedetto Varchi parte prima e De’ sonetti di m. Benedetto Varchi colle risposte e proposte di diversi parte seconda, per avvertire di quell’intimo e ben visibile legame, che la separazione infine sopravvenuta non aveva cancellato, solo impedito che diventasse reciproco e insopportabile impaccio.

Appendice

la tavola serve a rintracciare in N, in N1, in M e M1i sonetti di t55 e di t57, incolonnati a sinistra, cui seguono in orizzontale le pagine dei codici in cui ciascuno compare e il numero d’ordine assegnatogli in N1. la freccia, , indica correzioni o spostamenti interni, la sbarra, /, un’alternativa, la lineetta, –, significa che il sonetto non c’è, il numero a esponente l’ordine nel quale un incipit è inserito nella pagina. le parole in tondo di seguito ai numeri sono annotazioni dei codici. si pongono in fine gli incipit in ordine alfabetico dei sonetti presenti nei codici e non stampati in t55 o t57.

t55NNIMMI
ic. iivn. 1p. 1a
iip. 312a21b
iii-iv1a-1b3-42a-2b
v314b53a
vi-viii2a-3a6-83b-4b
ix347a-330ap. 21a1 4b1
x-xi3b-4a9-105a-5b
xii277b-304b5b2
xiii275b-303b5b1
xiv---
xv334a-324b102b122a761a
xvi15a126b
xvii341b-333a20b2
xviii32b-332a20b3
xix9a4121a
xx172a-305a22b3 21a3
xxi-xxiv5a-6b13-167a-8b
xxv-xvii7b-8b18-209b-10b
xxviii7a179a
xxix---
xxx337a-323a13a1
xxxi310a2111a
xxxii10a2814b
xxxiii335b-324a14b1
xxxiv-xxxv10b-11a29-3015a-15b
xxxvi334b-325a16a1
xxxvii20a417b
xxxviii314a3719a
xxxix293b3819b
xl359b-347a
xli20b3518a
xlii316b20b13618b
xliii-xliv12a-12b32-3316b-17a
xlv351a-337a10b1
xlvi17b2312a
xlvii17a2613b
xlviii18b2513a
xlix18a2412b
l310b2714a
li293a4020b
lii337b-332b20b1
liii13b4322a
liv339b-320a22a1
lv339a-320b22a2
lvi--c.95vb
lvii340a-p.321a22a3
lviii14a4422b
lix335a-323b22a8 22b1
lx275a-303a22b2cass.
lxi14b4523a
lxii285b4623b
lxiii4b116a
lxiv336b-322b22a6 21a2
lxv340b-321b22a4
lxvi336a-322a22a5
lxvii-lxviii--188a-188b
lxix291b726b
lxx-lxxi21b-22a51-5226a-26b
lxxii21a5025b cass., 355a
lxxiii-lxiv45a-45b reint.48-4924b-25a cass. e reint.
lxxv46a cass. E reint4724a cass. e reint
lxxvi46b cass., 356b-348b
lxxvii49a cass., 356a6030b cass., 341b
lxxviii22b5327a cass. e reint.
lxxix-lxxx50b-51a55-5628a-28b
lxxxi51b5729a cass. e reint.
lxxxii52b5930a
lxxxiii47a55 6131a
lxxxiv---
lxxxv360a-347b
lxxxvi--127b
lxxxvii328b-330b35a1
lxxxviii170b-328a109a1 21a4
lxxxix11b4221b cass., reint., 354a
xc13a3920a
xci291a3116a
xcii16b2211b
xciii52a cass. 360b5829b cass., 348a
xciv16a6332a
xcv19a16a16432b
xcvi15b6533a
xcvii-xcviii25a-25b70-7135b-36a
xciv294a7337a
c279a-304a108a1
ci--355b
cii-civ27a-28a67-6934a-35a
cv--354b
cvi-cvii54b-55a74-7537b-38a
cviii54a7638b
cix56a7839b
cx56b7739a
cxi108b8040b
cxii108a7940a
cxiii55b79 8141a
cxiv53b cass., 313b80 31341b
cxv53a cass., 285a8142a
cxvi57a8242b
cxvii-cxviii58a-58b83-8443a-43b
cxix57b8745a
cxx351b-337b44b1
cxxi59b8644b
cxxii65a cass. fra le malattie,
289a8845b
cxxiii60a-46a
cxxiv60b9046b
cxxv-cxxvii61a-62a93-9547a-48b
cxxviii-cxxx29b-30b97-9949a-50a
cxxxi-cxxxii31a-31b98-99 100-10150b-51a
cxxxiii32a10251b
cxxxiv33a10352a
cxxxv32b cass., 283b-52b
cxxxvi-cxxxvii33b-34a104-10553a-53b
cxxxviii35a10654a
cxxxix-cxl36a-36b108-10955a-55b
cxli-cxlii37a-37b111-11256b-57a
cxliii35b10754b
cxliv38b11357b
cxlv48a ne'morti11458a
cxlvi-cxlvii39a-39b116-11759a-59b
cxlviii-cxlix40b-41a120-12161a-61b
cl43b12262a
cli42a cass., 169a-309a60b1 59b158b1
clii38a11860a
cliii42b cass., 313a12362b
cliv41b11960b
clv44b12664a
clvi43a12463a
clvii44a12563b
clviii-clix--363a-363b
clx362b-359a
clxi--c. 98vb
clxii34b cass., 107b11056a
clxiii363a-359b
clxiv-clxv---
clxvi89a tra quei di morte 12965b
clxvii69b13066a
clxviii68a14071a
clxix24b6633b71a1
clxx67b14171b
clxxi342a-317b71b1
clxxii---
clxxiii92a cass., 284a14414372b
clxxiv66a14674a
clxxv64a14573b
clxxvi277a-302a74a1
clxxvii-clxxviii325a-325b-307a-307b66a2-66a3
clxxix63b16181b
clxxx80b14774b
clxxxi62b cass., 128a18192b
clxxxii66b cass., 284b14473a
clxxxiii75a13166b
clxxxiv79b13267a
clxxxv93b13568b
clxxxvi98a13769b
clxxxvii68b cass. 290a13468a
clxxxviii71a14975b
clxxxix28615076a
cxc50a15377b
cxci90b15478a
cxcii91a15176b
cxciii49b cass., 295a15277a
cxciv74b cass., 289b15980b
cxcv80a14875a
cxcvi99a20102b
cxcvii-cxcviii99b-100a203-204101b-102a
cxcix76a cass. 107a210105a
cc81a13870a
cci93a18994b
ccii104a-308a114a5
cciii-cciv81b-82a164-16583b-84a
ccv89b18090a
ccvi348a-331a
ccvii88b17489b
ccviii-ccxvi84a-88a166-17384b-88b
ccxvii90a17889a
ccxviii106b18190b
ccxix104b215107b
ccxx127a-298a107b1
ccxxi292a-298b107b2
ccxxii343a-318a107b3
ccxxiii286a16081a
ccxxiv67a cass., 278a272 ? cass.82a
ccxxv-ccxxvi70a-70b162-16382b-83a
ccxxxii75b149 15578b
ccxxxviii172b-305b78b1
ccxxxix92b15679a
ccxxx64b cass., 290b15779b
ccxxxi278b278 cass.80a
ccxxxii279b-302b90b1
ccxxxiii-ccxxxv296b-97b182-18491a-92a
ccxxxvi-ccxxxvii101a-101b206-207103a-103b
ccxxxviii295b209104b
ccxxxix79a19698a
ccxl333b-308b114a3
ccxli105a218 ? 220110a
ccxlii361b-352b
ccxliii358a-351b
ccxliv95a201100b
ccxlv94b200100a
ccxlvi-ccxlvii274a-274b-112a-112b
ccxlviii329a-310a112b1
ccxlix338b-314a112b2
ccl-ccli330a-330b-311a-311b112b3-112b4
cclii329b-310b112b5
ccliii-ccliv331a-331b-312a-312b112b6-112b7
cclv345b-313b112b8
cclvi346a-329a112b10
cclvii332a-313a112b9
cclviii328a-317a112b12
cclix338a-314b112b11
cclx342b-327b112b13
cclxi341a-319b
cclxii-cclxiii26a-26b193-19496b-97a
cclxiv83a19899b
cclxv343a-319a99a1
cclxvi106a217 219109b99a2
cclxvii128b-ultimo114b
cclxviii292b-328b109a2 66a1
cclxix287a218 217108b
cclxx102a200 217109b
cclxxi83b19798b
cclxxii---
cclxxiii333a-318a111b1
cclxxiv102b13870b
cclxxv-cclxxix---
cclxxx65b cass., 312b18894a
cclxxxi71b18793b
cclxxxii-cclxxxiii72a-72b190-19195a-95b
cclxxxiv73b19296a
cclxxxv362a-353b
cclxxxvi74a212106a
cclxxxvii103a3106b
cclxxxviii73a211105b
cclxxxix103b214107a
ccxc82b19999b
ccxci169b-309b66b cass.
ccxcii100b208104a
ccxciii126b-111a
ccxciv171b-306b113b1
ccxcv125b cass. 126a-114a
ccxcvi171a-306a114a1
ccxcvii354a-340a114a4
ccxcviii345a-325b114a2
ccxcix125a-110b
ccc77a19597b
ccci--364a
cccii-cccx---
cccxi--c. 98vb
cccxii---
cccxiii296b230115a114a1
cccxiv-cccxvii297a-298b231-234115b-117a
cccxviii300a236118a
cccxix299a235117b
cccxx299b237118b
cccxxi355a-341a114a2
cccxxii--344a
cccxiii-cccxxiv--345b-346a
cccxxv359a-346b
cccxxvi363b-356a
cccxxvii364b-356b
cccxxviii364a-357b
cccxxix357b-351a
cccxxx358b-352a
cccxxxi105b216108a
cccxxxii301a237119a
cccxxxiii-cccxxxv302b-303b238-240119b-120b
cccxxxvi306a241121a
cccxxxvii-cccxxxviii304a-304b242-243121b-122a
cccxxxix307a9448b
cccxl306b245123a
cccxli308b246123b
cccxlii308a244122b
cccxliii302a247124a
cccxliv40a11558b
cccxlv301b248124b
cccxlvi307b249125a
cccxlvii-cccxlviii305a-305b250-251125b-126a
cccxlix-cccl309a-309b252-253126b-127a
cccli---
ccclii-ccclxiv111a-117a254-266128a-134a
ccclxv120b267134b
ccclxvi122a-136a
ccclxvii-ccclxix118a-199a270-272136b-137b
ccclxx121a275139a
ccclxxi120a273138a
ccclxxii119b274138b
ccclxxiii123a277140a
ccclxxiv117b276 277140b
ccclxxv121b278141a
ccclxxvi123b279141b
ccclxxvii-ccclxxviii28b-29a268-269135a-135b cass. ?*

*[sulla pagina c’è un tratto di penna che taglia in diagonale il ccclxxviie tocca l’incipit del ccclxxviii. per solito i sonetti da espungere sono sbarrati almeno con due diagonali incrociate.]

ccclxxix--360b
ccclxxx--c. iirb
ccclxxxi--vira
ccclxxxii--vivb
ccclxxxiii--ivra
ccclxxxiv--iiva
ccclxxxv--iiira
ccclxxxvi--95ra
ccclxxxvii--virb
ccclxxxviii--95rb
ccclxxxix--ivrb
cccxc--98ra
cccxci--viiiv
cccxcii-cccxciii--pp. 64b-65a
cccxciv--c. iiirb
cccxcv--iivb
cccxcvi--viva
cccxcvii-ccccxvi---
ccccxvii--iv
ccccxviii--ir
ccccxix-cccclxiii---
cccclxiv317127p. 65a incipit cass., 301b
cccclxv-ccccxci---
ccccxcii47b6231b cass.
ccccxciii-ccccxcv---
ccccxcvi122b276139b cass.
ccccxcvii-dxxxiv---
t55NN1MM1
i-iii129-131280-282143-145
iv160 cogli altri al medesimo283146
v132284147
vi161 cogli altri285148
vii-ix133-135286-288149-151
x-xii137-139289-291152-154
xiii150-165
xiv151303166
xv152-167
xvi346b prop. cass., 350-329b prop. cass., 3341691 1681
xvii311305168
xviii168-169
xix--c.vv
xx-xxi153-154306-307171-172
xxii276-170
xxiii347b prop. cass. 353-333b prop. cass., 338
xxiv352a prop. 354b risp. con reciproco richiamo-339
xxv--c. viir
xxvi157308173
xxvii159311176
xxviii--367
xxix--c. 95va prop. c. iira risp.
xxx--c. viiir
xxxi--p. 370 solo prop.
xxxii---
xxxiii355b solo prop.-340b solo prop.68b1 cass.
xxxiv95b solo prop.202101a solo prop.
xxxv77b prop. cass., 166312177
xxxvi78b solo prop.13367b prop. con richiamo alla risp., 353a risp.
xxxvii136294157
xxxviii148295158
xxxix143293156
xl139292155
xli59a prop., 170a risp. con reciproco richiamo8544 prop. cass., 187
xlii---
xliii149298160
xliv156309174
xlv145316182
xlvi288-183
xlvii283a prop, 361a risp.-113b prop. cass., 343
xlviii165315180
xlix282, 294b prop. cass.-181
l---
li91b solo prop.142 solo prop.72a prop. 350b risp con richiamo reciproco
lii--349
liii158319175
liv---
lv287b solo prop.-iiib prop. cass., 3361751
lvi--362
lvii-lviii146-147298-299161-162
lix-lx140-141300-301163-164
lxi348b prop. 357a risp-331b prop. 350b risp.
lxii164314179
lxiii127b prop. 352b risp.-113a prop. cass. 3421601
lxiv--344b-345a
lxv--c. ivv
lxvi---
lxvii--98rb
lxix-lxxiv---
lxxv155313p. 178
lxxvi365-357a prop. 360a risp.
lxxvii162318184
lxxviii288b solo prop. 167319185
lxxix163-186
lxxx---
lxxxi231313231
lxxxii223374264
lxxxiii-lxxxvi200-203345-348224-227
lxxxvii235349228
lxxxviii229362242
lxxxix-xci240-242363-365243-245
xcii- xciii210-211366-367246-247
xciv236 2611396290
xcv--369
xcvi--368
xcvii261397291
xcviii272 2613398292
xcix--c. iiiv
c---
ci--c. vv
cii212 cass., 318-2992611
ciii213371262
civ315 cass. 212/213*-263

*[ap. 315 in alto a destra è scritto : « a carte 212 », a sinistra : « a 213 » ; nel margine inferiore di p. 212 sotto p. 2aciii è scritto e cassato : « qui s’ha a scrivere il sonetto, che comincia arsi con dura, insopportabil sorte colle risposte, ch’è in questo a carte 315 », tutto di mano del varchi.]

cv-cvi177-178324-325193-194
cvii---
cviii-cx174-176321-323190-192
cxi230365255
cxii244366256
cxiii271244367257
cxiv---
cxv232354232
cxvi243-233
cxvii*---

*[c’è qui un incidente nella successione e numerazione di benedetto varchi, Opere, pp. 947-48 : alla coppia cxvi, p. 121 di t57, deve succedere, ivi, p. 122, la proposta del medesimo simone della volta, L’altera e bella donna cui tanto ama e la risposta Tai furon l’opre sue, tanta è la fama, cui si assegna il numero cxvii(non cxviii), quindi, p. 123, la proposta di carlo strozziVarchi s’ad alcun mai pianto e dolore e la risposta Ben conosco il mio folle e vano errore, cxviii(non cxvii), infine, p. 124, la proposta del medesimo L’erto sentiero, onde si poggia al monte con la risposta Carlo che con gran passi a fuggir l’onte, cxix.]

cxviii207360250
cxix206361251
cxx205362252
cxxi204363253
cxxii260387281
cxxiii---
cxxiv267346215
cxxv262392286
cxxvi263389283
cxxvii258388282
cxxviii197343212
cxxix208368248
cxxx259393287
cxxxi-cxxxv247-251377-381267-271
cxxxvi319-272
cxxxvii321-273
cxxxviii320-274
cxxxix273382275
cxl322-276
cxli---
cxlii252383277
cxliii255386278
cxliv-cxlv253-254384-386279-280
cxlvi-cxlvii326-327-315-3162811-2802
cxlviii-cxlvix---
cl173320189
cli-clii186-187333-334202-203
cliii192338207
cliv181328197
clv183329198
clvi-clviii189-191335-337204-206
clix-clxii193-196339-342208-211
clxiii-cliv---
clxv217344213
clxvi188 cass. 324-295
clxvii182345214
clxviii199369260
clxix109-259
clxx180326195
clxxi179327196
clxxii245375265
clxxiii--361
clxxiv124-254
clxxv--365
clxxvi---
clxxvii-clxxviii184-185330-331199-200
clxxix110-201
clxxx264368258
clxxxi216349218
clxxxii215348217
clxxxiii-clxxxv218-220340-342219-221
clxxxvi221373222
clxxxvii222344223
clxxxviii226350229
clxxxix323-3002291
cxc227351230
cxci233356235
cxcii270-236
cxciii234355234
cxciv-cxcvi237-239359-361239-241
cxcvii209369249
cxcviii198370261
cxcix225357237
cc224358238
cci246376266
ccii--358
cciii---
cciv--366
ccv-ccviii---
ccix-ccx265-266394-395288-289
ccix-ccxii256-257390-391284-285
ccxiii-ccxiv268-269399-400293-294
ccxv344-3262941
ccxvi349-3352951
ccxvii-ccxix---

Incipit in ordine alfabetico dei sonetti presenti nei codici e non stampati in t550t57

NN1MM1
Altera e vaga e pura e chiara Petrap. 24a cass.--
ben m’è caro e giocondo, ma nel vero con la prop. di benedetto cipello
quell’ aura onde helicona il vostro altero2143472162953
caro Cipello mio, se così vero seconda risp. a b.cipello
quell’aura onde Helicona296a-327a21612953
cASA, ove i miglior frutti e’ più bei fiori69a cass.--
ch’a voi, Stufa gentil, ch’a paro a paro con la prop. di giulio della stufa
varchi immortal, che quanto sete raro--c. viiv
deh, dimmi, Amor, se quelle ardenti stelle23b cass.--
donna, ch’a singular bellezza havete48b--
furia crudel, che dal più basso loco23a5427b cass
Già so io ben ch’un amoroso ingegno98a cass.--
giovambatista e Giovanni, che quella76b cass.--
guglia, c’habbia di me nel vostro core
Con la proposta del guglia
varchi, l’invitto vostro alto valore228352-
hor che due volte cinque lustri intorno281b403297b
l’arbor gentil che forte amai molti anni
Con la prop. di lucantonio ridolfi
parmi, Varchi, ogni dì più di mille anni280-296
nell’altrui dolci rime i tristi affanni seconda risp. a l.ridolfi
parmi, Varchi ogni dì281a402297a
nuova del nostro mar vaga sirena78b18693a cass.
or ... vedi Hor ...
parmi, Varchi, ogni dì prop. di lucantonio ridolfi a l’arbor gentil che forte
Più non mi par, Bettin del dritto fore63a cass.--
quanto dianzi alta, oimé, chiara e gentile316a128301b, 64b incipit cass.
quell’aura onde Helicona prop. a
ben m’è caro e giocondo
S’a sí rara beltà voglie e costumi9b cass.--
sacro, ben nato, avventuroso fiore300162/163-
se da grandine o pioggia o sole o vento19b cass.--
se da leggiadra impresa alto valore94a cass.--
urban mentre che voi d’ombre e di fumi96a136p. 69 cass.
varchi, l’invitto vostro prop. A
guglia, c’abbia di me Varchi immortal, che quanto prop. a
ch’a Voi, Stufa gentil

____________

1  Al soggiorno accenna anche Umberto Pirotti, Benedetto Varchi e la cultura del suo tempo, Firenze, Leo S. Olschki editore, 1971, p. 50, nota 5.

2  I numeri romani coi quali saranno indicati i sonetti, quando necessario preceduti dall’indicazione parte 2a (altrimenti, se non è esplicito dal contesto, s’intende la prima), sono apposti, rispettando il contenuto e l’ordine delle prime edizioni cinquecentine citate, nelle Opere di Benedetto Varchi, ora per la prima volta raccolte con un discorso di A. Racheli intorno alla filologia del secolo XVI e alla vita e agli scritti dell’autore, aggiuntevi le lettere di Gio. Battista Busini sopra l’assedio di Firenze, Trieste, Lloyd austriaco, 1858-1859. Nella seconda parte il numero è comprensivo di proposta e risposta.

3  Cfr. Pirotti, Benedetto Varchi cit., p. 35.

4  Vanni Bramanti, Ritratto di Ugolino Martelli, in « Schede umanistiche », 1999, pp. 17 e 29.

5  Sul senso di questa corrispondenza e la circostanza cfr. Silvia Longhi, Della Casa, Varchi,Bembo e la vera gloria (Scheda per il sonetto Feroce spirto), in « Studi e problemi di critica testuale », XIX (1979), pp. 127-34.

6  La prima parte dei sonetti è studiata da Bernhard Huss, “Cantai colmo di gioia, e senza inganni”. Benedetto Varchis Sonetti (parte prima) im Kontext des italianischen Cinquecento-Petrarkismus, in « Romanistisches Jahrbuch », LII (2001), pp. 133-57.

7  Cfr. Pirotti, Benedetto Varchi cit., p. 7.

8  Se è giusta la proposta di Silvano Ferrone, esperto di cose varchiane e fiesolane, in Benedetto Varchi, Epigrammi a Silvano Razzi, Introduzione, edizione critica con commento e traduzione a cura di S. Ferrone, Fiesole 2003, p. 10, uno di questi sonetti di ritorno a Fiesole, il xlvii, sarebbe da collocare verso l’estate del 1525.

9  Il cclxi è detto per Lucio Oradini nella tavola dei destinatari, per Lionardo Marinozzi d’Ancona in quella degli incipit.

10  Su questi sonetti del Varchi, sull’opera e altre celebrazioni letterarie cfr. Simone Albonico, Il Ruginoso Stile. Poeti e poesia in volgare a Milano nella prima metà del Cinquecento, Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 258-59.

11  Il codice è censito e brevemente descritto, con indicazione sommaria del contenuto e rilevandone le « correzioni autografe », nel volume XI di Giuseppe Mazzatinti e Fortunato Pintor, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, Forlì, Casa editrice Luigi Borandini, 1901, p. 250.

12  In questa peregrinazione, in coincidenza della quale anche fu rielaborata la seconda terzina, ai vv. 9-14 prima si oscurò la sintassi e il senso, guastandosi la rima dell’ultimo ; infine sintassi e senso furono recuperati, anche se ardui, ma rimase sacrificata la rima. Così le terzine del sonetto in t55 : « Gl’huomini, gl’animai, gl’arbori e l’herbe, / E quanto scalda il sol, d’amare invoglia / Virtù, che ’l terzo ciel benigno piove. / Sol quelle sempre dolci e sempre acerbe, / Cui folgore non tocca, o vento muove, / Non cangian mai color, se mutan, foglie » ; si potrebbe sospettare almeno per la rima imperfetta fra 10, invoglia, e 14, foglie, della stampa, che, invece, è incolpevole. In N p. 11b e in M p. 21b, i vv. 12-14 erano : « Sol quelle sempre verdi, e sempre acerbe / Frondi, cui vento mai né folgor muove, / Non cangiano color, né mutan foglia », con sintassi e senso limpidi e rime tutte perfette ; ma sul margine e nell’interlinea di M nell’inconfondibile corsiva del Varchi diventarono : « Sol quelle sempre dolci, e sempre acerbe, / Cui folgore non tocca o [corr. su né fulgore mai né] vento muove / Non cangian mai pensier né mutan voglie », e così furono trascritti nel deposito di p. 354a. L’autore si sarà reso conto che non c’era un sostantivo cui riferire il pronome femminile quelle ; intervenne di suo pugno restaurando sia color al posto del pensier sia foglie al posto di voglie, ma al plurale. La sintassi tornò in sesto con un forte, ma anche mirabile iperbato, se non fosse stato per quel mutan, da prendere come tautologico di cangian, ma che denunciava il rappezzo. Con la stampa si rimediò anche a questo, sostituendo con se e la coordinata con un’ipotetica. Ma alla rima o non si fece caso o si rinunciò.

13  In verità per il v. 9 a p. 356b il testo legge : « Che rimirargli sempre e di lor sempre » (con rimirargli in interlineo), e il margine corregge : « Se non sempre mirargli e di lor sempre », che è la lezione a testo di p. 46b ; ciò che indurrebbe a ritenere questa trascrizione posteriore a quella. Ma può benissimo trattarsi di una variante del testo di p. 356 rientrata. D’altra parte è costante l’allineamento della p. 356b di N, di M e di t55 contro la p. 46b di N : vv. 6-8, « così dolce i duoi / Lumi volgeansi, onde a me nulla poi / Non piacque o piacerà poco né molto » N p. 46b, corretto a margine in « piacque, né p. », « così dolce i duoi / Occhi volgeansi e tal che nulla poi / Mi piacque o piacerà poco né molto » N p. 356b, M, t55 ; v. 12, « E s’a voi il languir mio » N p. 46b, corretto a margine in « penar », « E s’a voi l’arder mio » N p. 356b, M, t55.

14  Il lxxvii 5-11 è così a p. 49a : « Bench’io, poi ch’ogn’hor più m’inaspro e ’nduro / Del duol, cui lungi a voi fo larga strada, / Della mia pena sola, non pur rada / Fra quante hor sono al mondo, e quante furo ; / Devrei trovar pietà, ch’asprezza uguale, / O più selvaggia, e soletaria vita / Non sentì mai né visse alcun mortale », e così a p. 356a : « Ben ch’io poi ch’ogn’hor più m’innaspro, e ’nduro / In questa horrida alpestra, herma contrada / Del duol cui [corr. in interl. su che] lunge a voi fo larga strada / E dall’Arbor che sol nel mondo curo / Devrei trovar pietà, ch’asprezza uguale / Né più selvaggia, o soletaria vita / Non sentì mai, né visse alcun mortale » (che sarà la lezione di t55). A p. 52a il ciii 5 a testo legge : « Se del [corr. a marg. d. bel] casto, cortese, alto disio », corretto sul margine superiore : « Se di sincero e ... [parola illeggibile sotto la cassatura] casto disio », quindi : « Se di cortese affetto alto disio », a p. 360b : « Se d’honesta beltà casto disio » ; la sirima è tutta diversa, così a p. 52a : « Ma voi, che sì lontan da terra sete, / E sì vicino al ciel, Voi, che monarca / Nel mezzo del mio cor sempre sedete, / Perché quel che con gl’occhi ogn’hor vedete, / Speme [corr a marg. s. in Alma] d’honesto Amore [corr.a marg. d. in foco], e fede carca, / Per mia morte a voi stesso non credete ? », e così a p. 360b : « Dunque sarà, che la rea turba, e ’l vile / Stuolo, che contra i Buon sempre bisbiglia / Al maggior ben, che sia quaggiù mi scioglia ? / Certo non fia, che non ben si consiglia / Quando per falsa tema un cor gentile / Del suo proprio tesor se stesso spoglia ». t55 starà con la versione di p. 360b.

15  Il xciii 5 a p. 29b ha subito la lezione definitiva di N a p. 52a ; al v. 13 « Alma » è ricorretto a margine in « Speme » ; sul margine di p. 348b è introdotta la correzione « Dal maggior » al posto di « Al maggior ».

16  La lezione del secondo emistichio di 10 e di 11, che a testo alle pp. 347 e 353 di N, come 333 di M era : « così virtù vera / Vincer le voci del rio volgo suole », alla p. 353 di N, soprascrivendo, e in margine di p. 333 di M porta la correzione al v. 10 : « sì virtute intera » ; la frase riportata così a p. 338 di M fu corretta nel margine nel modo in cui compare anche in t57, cioè : « così salda, e ’ntera / Virtù vincer le voci e ’l volgo suole ».

17  Nelle Due lezioni di m. Benedetto Varchi .... In Fiorenza appresso Lorenzo Torrentino Impressor ducale MDXLIX, alle pp. 118-19 i due sonetti erano stati stampati sotto la rubrica : « Due sonetti fatti già quando si scoperse la cappella di San Lorenzo a m. Lorenzo Lenzi e a m. Bartolomeo Bettini » ; erano stati stampati, si suppone, perché presentando in N Più non mi par Bettin una correzione all’ultimo verso, da « Perché l’arte non ceda alla Natura » a « per ch’arte vaglia quanto può natura », la stampa ha ancora la versione prima.

18  Per la precisione a p. 216 è annotato : « questo colle 2 risposte si scriva dopo il son. Quanto il contento a 295 », a p. 295 dopo il sonetto di risposta a Filippo Valentino, che comincia Quanto il contento, par. 2a clxvi è scritto : « Dopo questo va il son. Quell’aura a 216 colla risposta ». È facile che il singolare risposta sia o una svista o un’indicazione approssimativa, anche se non si può escludere l’intento d’inserirne una sola.

19  La lettera, che può leggersi in Benedetto Varchi, Opere, II, p. 828, è datata, secondo lo stile fiorentino, 6 febbraio 1554 (cioè ’55) e si rivolge al Torrentino, dicendo che « In quelle tavole e sonetti che voi mi mandaste a casa, non sono alcuni sonetti che io dei a m. Giovannantonio [...] sì che vi piacerà fare che io abbia il mio libro così sdrucito, che andrò rinvergando il tutto », precisando, tra l’altro, il titolo e il frontespizio, così come di fatto si legge, che intanto l’editore potrà « far ristampare » (dunque in una prima bozza era diverso), così come il sonetto ccxlviii, indicato col numero della carta e con l’incipit. Di questo furono corretti solo nell’errata corrige, ossia nella lista degli errori più notabili, posta nell’ultima carta del volume, i vv. 7-8 (l’errata corrige dice, per errore, ottavo e nono) e 12. Ma si deve avvertire che a 7-8 la correzione da « Non s’accorge la stolta, che sue brami / Non son cosa mortal che tosto passa » a « Ahi stolta, e non t’accorgi quel che brami / Esser cosa mortal che tosto passa », che sembra opportuna quant’altra mai, si applica non solo alla p. 126 di t55, ma anche a M e a N e quindi, andrà supposto, al testo mandato in tipografia. E questo a discarico d’almeno una delle tante colpe riversate sui tipografi. L’attenzione sull’importante documento mi è stata richiamata da Vanni Bramanti, che ringrazio.