Titre de section
SECTION_ITA_6_1
I tempi dell’Olive
a Michel Jeanneret
Ogni discorso sull’olive1non potrà che interrogarsi, in primo luogo, sul rapporto col modello, che per comune consenso è il canzoniere di Francesco Petrarca. Sennonché a me pare che tale esercizio critico imponga un forte zelo di distinzione. Dire petrarchismo non basta : si tratterà di esaminare in parallelo le due opere, verificando come nel cinquecentista francese si attui una cosciente depressione istituzionale del modello di canzoniere lirico che la tradizione aveva imposto.
1. petrarca e du bellay
1. 1. Si passa da Laura a Olive, e di conseguenza dal patrocinio di Apollo a quello di Minerva : dal lauro all’olivo, in grazia della rinuncia a corone poetiche più prestigiose (non solo di lauro, ma anche di edera o di mirto) :2
je ne quiers pas la fameuse couronne,
sainct ornement du dieu au chef doré,
ou que du dieu aux indes adoré
le gay chapeau la teste m’environne.
encores moins veulx-je que l’on me donne
le mol rameau en cypre decoré :
celuy qui est d’athenes honoré,
seul je le veulx, et le ciel me l’ordonne.
(i, 1-8)
1. 2. L’imitazione ben temperata del modello petrarchesco comporta il trapasso da una silloge di più metri, incluse canzoni e sestine (di stile alto), a una di soli sonetti, forma metrica mediocre. Sainte-Beuve, lettore esigentissimo e acuto, ha frainteso il senso dell’operazione : « Dans cette série enchaînée de sonnets si inférieurs à leur modèle toscan, et qui n’en ont guère que les défauts, je ne sais si on trouve à en détacher un seul digne en entier d’être cité : c’est docte et dur ».3Il tipico canzoniere italiano – dal Petrarca, al Bembo, al Sannazaro, al Casa – comprende, come è noto, testi in più metri, e segnatamente canzoni e sonetti, una dittologia che nella nostra tradizione è anche un titolo, sonetti e canzoni. Modello dell’omogeneità metrica dell’olive è, a quanto pare, la Délie (Lyon, Constantin, 1544) di Maurice Scève, anch’essa composta d’individui con lo stesso schema, anche se di dizains4e non di sonetti si tratta. I versi impiegati nell’olive sono décasyllabes, una misura che sarà accantonata nelle antiquitez de rome e nei regrets a favore degli alessandrini. Scève è lodato in esprit divin, que la troupe honnorée (105) :un omaggio che ha un senso all’interno del canzoniere perché serve a esplicitare il nome, se non di un maestro, almeno di un precursore.
1. 3. Da 366 testi si scende a 115, cioè a meno di un terzo. Il modello petrarchesco, quantitativamente ingombrante, non era riproducibile nella sua amplissima misura se non da imitatori incontinenti : da un Lodovico Paterno (1533-1575), poniamo, nel contestatissimo nuovo petrarca (Venezia, Valvassori, 1560) e in le nuove fiamme (ibid., 1561), o dal suo conterraneo Ferrante Carafa marchese di San Lucido (1509-1587), tra l’austria (Napoli, Cacchi, 1573) e la carafé (L’Aquila, Cacchi, 1580). Gli altri poeti, tra Italia e Francia, s’industriano nel Cinquecento a produrre canzonieri più agili e meno grevi, magari su scala ridotta fatte salve le proporzioni, come il Della Casa.5Petrarchisti sì, ma con juicio.
1. 4. Olive, a differenza di Laura, non muore,6 e il canzoniere francese non è diviso in due parti. Né riprende dal modello petrarchesco il motivo dell’ascesi e del pentimento, talché in du Bellay non si dà, all’inizio, l’equivalente di voi ch’ascoltate in rime sparse il suono (rvf. 1), né, alla fine, un surrogato della canzone alla Vergine (rvf. 366). Vige invece nell’olive una fiducia classica nell’immortalità elargita dalla poesia e un sentimento amoroso scevro da postuma « vergogna » (« et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto, / e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente / che quanto piace al mondo è breve sogno », Rvf. i, 12-14). In effetti l’olive « ne débouche pas sur une conversion qui tournerait le dos à la passion analysée au long d’une centaine de sonnets antérieurs » : pare a Rousset che vi si delinei invece « une ample trajectoire, qui suggère une téophanie », talché « derrière la divinité féminine s’en profile une autre, qui n’est rien de moins que le Christ », alla luce del platonismo imperante.7
credo che la giusta intuizione di Rousset debba essere vagliata a norma dei due sistemi di aggregazione che dominano la costruzione del libro e che sono da ravvisare, a mio parere, nei calendari astrologico e liturgico, che Joachim du Bellay, nuovo Petrarca ridotto di mole, persegue. Inoltre, come si vedrà, il Cristo immanente al finale dell’opera si dovrà laicizzare, alla luce del « soleil », dell’« astre nouveau » che sorge dal « Vandomois » (115, 1-4) : presenza nuova e tutt’altro che episodica, che cambia radicalmente lo statuto del canzoniere, trasformandolo da testo esclusivamente lirico a opera mista di amore e di profezia.
1. 5. Il libro del Petrarca si denomina rerum vulgarium fragmenta, senza allusione onomastica a Laura. I fragmenta nelle prime stampe, tra Quattro e Cinquecento, vanno sotto il titolo originale o sotto quello di li soneti et canzone, le cose o le opere uolgari, canzoniere, le rime o il petrarca.8Girolamo Malipiero intitolerà la sua riscrittura devota il petrarca spirituale (Venezia, Marcolini, 1536). Senza nome d’autore (ma il Short-title catalogue of books printed in italy and of italian books printed in other countries from 1470 to 1600 now in the british museum insinua imperterrito il nome laura [de sade ?])è la replica i sonetti, le canzoni, et i triomphi. in risposta di f. petrarcha (Venezia, Comin da Trino, 1552).
Il canzoniere di du Bellay invece deve il suo titolo al nome dell’amata. Si ha dunque ragione di credere che modello alla denominazione dell’olive non sia stato l’originale, ma semmai la laure d’avignon (Paris, Jacques Gazeau, 1548), « extraict du poète Florentin Françoys Petrarque : Et mis en François par Vaisquin Philieul de Carpentras ».9Non sempre, negli imitatori, il petrarchismo è di prima mano, e non sono solo le antologie e i canzonieri dei cinquecentisti italiani a dettar legge. Anche se la materia è molto italiana, un titolo come l’olive rinvia a un precedente vicino nel tempo, tutto e solo francese. Lo si ripeta ancora una volta : non tutto il petrarchismo discende dal Petrarca.
1. 6. I rerum vulgarium fragmenta, sono un libro unico, esclusivo, l’opera di una vita. La composizione dell’olive invece dura una breve stagione, a ridosso del 1550. Non mancano riprese più tarde, anche se frammentarie, di quell’esperimento lirico ; ma nelle opere seguenti l’atteggiamento di Joachim du Bellay, come è noto, è piuttosto di relativo distacco dalla materia erotica e dalla maniera giovanile. Si dànno, è ben vero, i xiii sonnetz de l’honneste amour,10in cui l’ispirazione che era dell’olive si decanta in platonismo esigente e puro. Nonché la collana di sonetti les amours,11composta nel 1559 e uscita postuma : ripresa minore di quella stessa temperie, sempre negletta, per non dire stroncata, dalla critica.12Ma assai più famoso di queste prove è il componimento contre les pétrarquistes (1553),13che, comunque lo si interpreti, segna un ripudio della maniera prima.
1. 7. Infine, nel caso del Petrarca l’innamoramento si verifica il giorno di Venerdì santo, festa mobile ; mentre per du Bellay l’inizio della storia coincide con il Natale, festa fissa, come si narra nel quinto sonetto dell’olive :
c’etoit la nuyt que la divinité
du plus hault ciel en terre se rendit,
quand dessus moy amour son arc tendit
et me fist serf de sa grand’ deité.
(5, 1-4)
ci si chiede a questo punto : dato che du Bellay intende realizzare una sorta di canzoniere minor rispetto al modello italiano, c’è un rapporto tra le 366 poesie del Petrarca (un testo proemiale, più tanti testi quanti i giorni di un anno) e i 115 sonetti di du Bellay ? Ossia, il parametro temporale che vale per l’uno, vale, riadattato, anche per l’altro ? Non si tratta di trovare per l’olive la chiave astuta, finora insospettata, che apra ogni porta e sciolga ogni nodo del senso : ma, alla luce di quanto precede, sarebbe strano che il libro di du Bellay non obbedisse, al pari del prestigioso archetipo, a una struttura forte. E si dica senz’altro a una struttura temporale.
2. l’iscrizione del tempo nell’Olive
Si assegni, a norma dell’esemplare petrarchesco (una poesia al giorno),14un giorno a ogni poesia, a partire dal sonetto 5, coincidente col 25 dicembre. Si arriva così, dopo centodue sonetti, ai cinque del Venerdì santo (sus, sus, mon ame, ouvre l’œil, et contemple [107],15oseigneur dieu, qui pour l’humaine race [108], pere du ciel, si mil’ et mile fois [109], dieu, qui changeant avec’ obscure mort [110] e voicy le jour que l’eternel amant [111]), corrispondenti, a norma della progressione lineare che si è detto, al 9 aprile (o ai giorni che vanno dal 9 al 13, se il computo dei giorni, dopo 107, continua regolarmente fino a 111).
Questo è quel che il calendario suggerisce. E se, oltre alla corrispondenza biunivoca e continua di giorni e di sonetti, si cerca anche una verisimiglianza di calendario, si dovrebbe pensare a un anno in cui la Pasqua (due giorni dopo il Venerdì santo) cada l’11, o tra l’11 e il 15 aprile, se il sonetto 113 si ascrive alla Pasqua. Sennonché i sonetti dell’olive sono 115, e allora :
1) o si dànno, alla fine del canzoniere, più sonetti per ogni giorno della settimana di Passione tra la morte di Cristo e la domenica di Pasqua, sull’esempio del Venerdì santo che ne conta cinque (107-111) ;
2) o, come sembra preferibile supporre, si ferma il computo al Venerdì – giorno fatale per il Petrarca (quello in cui, paradossalmente, s’innamorò di Laura), che qui cambia funzione, posto alla fine invece che all’inizio della vicenda –16 e si considerano gli ultimi quattro sonetti come un appendice non estranea alla Pasqua di resurrezione, ma sottratta alla logica del calendario.
In effetti, la conclusione del tempo liturgico è sancita da questi versi famosi, che dicono la fuga irreparabile del tempo e insieme la sua ciclicità :
Si nostre vie est moins qu’une journée
en l’eternel, si l’an qui faict le tour
chasse noz jours sans espoir de retour,
si perissable est toute chose née,
que songes-tu, mon ame emprisonnée ?
(113, 1-5)
ma nessuno degli anni in cui la Pasqua cade l’11 aprile o nei giorni successivi fino al 15 può esser preso in considerazione.17Per il 13 aprile, ad esempio, spettano alla vita del nostro poeta il 1533 e il 1544, e per il 14 il 1555, postumo alla raccolta. Sicché, alla resa dei conti, l’eventuale, studiata identità di millesimo e di cronologia interna del libro appare illusoria : per questa via non si ricaverebbe un parametro perentorio.
Il conto si può fare anche a partire dagli anni vicini alla data di composizione dell’olive. L’arco che va dal sonetto 5 (Natale) a 107 (Venerdì santo), periodo che corrisponde alla parte più nobile del calendario liturgico, comprende 103 sonetti. D’altra parte gennaio, febbraio e marzo assommano a 90 giorni (31+28+31), o 91 se l’anno è bisestile ; e dal Natale al nostro Capodanno18ce ne sono 7, per un totale di 97 (98 nei bisestili) : dunque si deve aggiungere un certo numero di giorni per arrivare, il Venerdì santo, alla somma che si è detto (103 sonetti-giorni). A norma dei calendari del 1549 e 1550, i millesimi di stampa delle due olive, si dà una misura prossima a quella ricercata, non però coincidente con essa : nel 1549 la Pasqua cadeva il 21 aprile, e nel 1550 il 6, anni non bisestili. Si aggiunga per completezza che nel 1547 era Pasqua il 10 ; nel 1548*, bisestile, secondo centenario della morte di Laura, il 1 ; e nel 1551 addirittura il 29 marzo.
Dunque, facendo i conti :
1547 : 97 + 10 = 107 - 2 = 105
1548* : 98 + 1 = 99 - 2 = 97
1549 : 97 + 21 = 118 - 2 = 116
1550 : 97 + 6 = 103 - 2 = 101
1551 : 97 - 2 = 95 - 2 = 93
nessuno di questi anni comprende, tra Natale e Venerdì santo, tanti giorni quanti sonetti l’olive (salvo aggiustamenti che mi ripugna di operare come pretestuosi). Anche per questa via si conferma che tra il calendario di questi anni e la compagine del canzoniere di du Bellay si dànno approssimazioni numeriche a vario titolo interessanti, ma non perfette coincidenze. In conclusione : l’olive non è il diario poetico di un preciso millesimo di metà Cinquecento.
3. il calendario astrologico, quello liturgico e l’Olive
A dispetto delle dissimmetrie che si sono denunciate, tuttavia va affermato che, nell’olive augmentée, il calendario come sistema di aggregazione testuale funziona benissimo, è la struttura o la strategia d’autore messa in atto nellaraccolta (come del resto l’esempio del Petrarca doveva indurre a supporre). valgano a riprova i sonetti si longue foy peult meriter merci (88),
or cesse donq’ l’hiver de mes douleurs,
et vous plaisirs, naissez avec’ les fleurs
au beau soleil, qui mon printemps rameine,
(88, 12-14)
e zephire soufle, et sa dame raméne (89)– dove è la ripresa di rameine/raméne, come in un caso di coblas capifinidas – che salutano l’inizio della primavera.19È confortante notare che ad essi corrispondono le date del 19 e 20 marzo (come è noto, l’equinozio di primavera è il 21).
Nimphes, meslez voz plus vermeilles roses (75), corrispondente al 6 marzo, dice nelle terzine (vv. 9-12), rivolto al Sole :
Et toy, qui fais du monde le grand tour,
bien que tu n’ay’s au taureau faict retour,
en mile fleurs et mil’ et mil’ encore
peins mes ennuiz :
(75, 9-12)
e in effetti il Sole il 6 marzo, nonché in Toro (o almeno in Ariete, primo segno dello Zodiaco), è ancora nel dodicesimo, i Pesci.
Anche le gran flambeau gouverneur de l’année (31), che si ascrive al 20 gennaio, vigilia dell’entrata del Sole in Aquario, risulta astrologicamente pertinente,
Puis de son char la roüe estant tournée
vers le cartier prochain du capricorne,
froid est le vent, la saison nue et morne,
et toute fleur devient seiche et fenée,
(31, 5-8)
come anche tout ce qu’ icy la nature environne (32), sonetto aggiunto nel 1550.
Alla luce di queste constatazioni si possono trarre altre conseguenze. Se il punto d’inizio della storia è il sonetto 5, che si riporta a una data certa (Natale), a ritroso anche il secondo, d’amour, de grace et de haulte valeur, che celebra la nascita di Olive, segnerà una data precisa, il 22 dicembre, tre giorni prima di Natale :
tout estoit plein de beauté, de bonheur,
la mer tranquille, et le vent gracieulx,
quand celle là naquit en ces bas lieux,
qui a pillé du monde tout l’honneur.
(2, 5-8)
il 22 dicembre20è insomma il giorno in cui du Bellay fa nascere Olive, che sarà anche non più che un flatus vocis, un’espressione nominale senza soggetto, ma che entro il canzoniere, come personaggio, ha una sua nascita. Inoltre il sonetto proemiale, je ne quiers pas la fameuse couronne (1), si potrà assegnare al 21 dicembre, che è il giorno del solstizio d’inverno, tempo dunque di buon cominciamento.
Per altro verso, non pare che all’altezza di altre date che si presumono importanti, come ad esempio la festa dei Tre Re (6 febbraio) per j’ay veu, amour, (et tes beaulx traictz dorez (17),21il mercoledì delle Ceneri (il 27 o il 28 febbraio) per l’enfant cruel de sa main la plus forte (69)o per Cent mile fois et en cent mile lieux (70)e l’Incarnazione (25 marzo)per Ce bref espoir, qui ma tristesse alonge (92)– si diano indizi testuali significativi. E un sonetto come sacré rameau, de celeste presage (49), ascrivibile al 7 febbraio, non allude ad altro che all’olivo, non certo alla domenica delle Palme (Rameaux), che precede immediatamente quella di Pasqua.22
il fatto è che la serie dei giorni è liturgica agli estremi, Natale e Venerdì santo (o, tutt’al più, Pasqua), ma astrologica in ogni altro punto saliente (solstizio d’inverno o equinozio di primavera). I calendari insomma sono due, localmente e puntualmente efficaci.
4. la forma della prima Olive e le rime riprese dal principio alla fine
il discorso che si è fatto finora vale per la seconda olive : ma che ne è di quella del 1549 ? La prima olive, composta di 50 sonetti (il sottotitolo specifica appunto cinquante sonnetz à la louange de l’olive), cominciava con je ne quiers pas la fameuse couronne (1)e finiva con moy, que l’amour a faict plus d’un lëandre (59, già 50). Non mi par di vedere in questa prima silloge altra norma compositiva o dispositio che quella numerica di una serie di cinquanta componimenti omometrici. O almeno il calendario, che è una scoperta della seconda olive, qui non ha ancora prestigio o efficacia di paradigma. Noto peraltro che l’autore mette in opera altri espedienti architettonici, anch’essi passati finora inosservati. Il sonetto 1 ha le parole rima prendre e rendre (vv. 10 e 13) e simmetricamente l’ultimo, 59 (già 50), apprendre e rendre (vv. 5 e 8). Anche la seconda olive lascerà intravedere una simmetria (tematica, questa volta) tra i punti estremi della silloge : il verso finale del primo sonetto è « Egal un jour au Laurier immortel » (1, 14) e quello finale dell’ultimo « Jusq’à l’egal des Lauriers tousjours verds » (115, 14).23questo parametro della coincidenza di inizio e di fine, cioè del punto alfa e omega del canzoniere, come altra volta ho scritto,24grazie alla ripresa di sistemi di rime (o perfino di parole rima) identici, è efficace altrove, specialmente nei treize sonnetz e nelle amours, e si rivela anche per du Bellay una norma costruttiva costante. Nella sequenza dei treize sonnetz, le rime asia del primo, sia del’ultimo, sono sempre su -ure, con ripresa di « vaine peinture » (1, 1)in « vive peinture » (13, 8). E le quartine del primo e dell’ultimo sonetto delle amours sono collegate da rime in -ace, dato che al verso « les sepulchres de Thrace » (1, 6)corrisponde « le sainct harpeur de Thrace » (29, 5), a chiudere idealmente il cerchio. Il che comporta che anche nei Treize sonnetz e nelle amours si faccia luce una volontà d’autore di mettere insieme una collana compatta di testi o, se si preferisce, di costruire un piccolo canzoniere. Anche a du Bellay importano più gli orli del tessuto compreso tra essi, i limiti estremi piuttosto che il limitato.
Non sarà poi un caso che nell’olive augmentée la specificazione à la louange de l’olive sia stata soppressa. Nella seconda redazione della silloge la strategia di du Bellay si fa più complessa. Accanto a quello di Olive s’impone il mito di Ronsard, talché l’heureuse branche à pallas consacrée (4)perde il monopolio lirico del canzoniere. È vero che « Les sainctz rameaux de ma plante divine » (61, 2)sono cantati in più sonetti, ma è il « divin Ronsard » (60, 1)che apre e chiude la giunta nei sonetti 60 e 115. L’olive augmentée depuis la première édition non solo si giova di un incremento quantitativo (sessantacinque sonetti in più), ma è anche il frutto di una poetica nuova : pur sempre amorosa, ma non aliena da un’ispirazione metatestuale di vanto letterario, o anzi, scrivevo più sopra, di profezia di una poesia a venire, quella delle amours ronsardiane. « Paulo maiora canamus » : Cassandra è la nuova presenza femminile dominante della scena letteraria. In proposito si è tentati di citare una terzina petrarchesca non imitata da du Bellay, inquietante per l’esito infausto : « L’oliva è secca, et è rivolta altrove / l’acqua che di Parnaso si deriva, / per cui in alcun tempo ella fioriva » (rvf. 166, 9-11). Comunque sia, il credito dell’« umile » Olive, già presagito dal Petrarca in quel verso, « Non lauro o palma, ma tranquilla oliva / Pietà mi manda » (rvf. 230, 12-13),nel 1550 è ancora intatto, anche se Cassandra incalza.
Se ho visto bene, nelle poesie che compaiono la prima volta nell’olive augmentée si menziona Olive, esplicitamente (il che accade in un solo caso : 76, 1-2) o con perifrasi, non meno di undici volte : « Les sainctz rameaux de ma plante divine » (61, 2) ; « Qui voudra voir le plus precieux arbre / Que l’orient ou le midy avoüe » (62, 1-2) ; « Ce voile blanc [...] Pour vostre nom, porte l’heureuse branche / De l’arbre sainct dont je suis couronné » (72, 1-8) ; « Quand la fureur, qui bat les grandz coupeaux, / Hors de mon cœur l’Olive arachera » (76, 1-2) ; « Suis-je donq’ veuf de mes sacrez rameaux ? » (84, 12) ; « Soubs les rameaux d’une divine Plante » (85, 3) ; « Rendez encor’ ce doulx nom à son arbre » (91, 12) ; « S’il a dict vray, seiche pour moy l’ombrage / De l’arbre sainct, ornement de mes vers » (98, 1-2) ; « Mais quel hiver seiche la verde souche / Des sainctz rameaux, ombrage de ma vie ? » (103, 1-2) ; « Soutien aussi, vierge Tritonienne, / De ton vieulx tige une branche nouvelle : / Toy, qui sortis de la saincte cervelle, / Sage Pallas, Minerve Athenienne » (104, 5-8) ; « Mon Loire aussi, demydieu par mes vers, / Bruslé d’amour etent les braz ouvers / Au tige heureux, qu’à ses rives je plante » (105, 12-14).
Nel primo canzoniere Olive era celebrata in un numero più ridotto di testi, anche se con più distesa eloquenza. In tutto il sonetto proemiale (dove le terzine, « o tige heureux [...] donne moy hardiesse, / De te chanter, qui espere te rendre / Egal un jour au Laurier immortel », mi pare che realizzino, per compenso, un gioco di parole che allude a Olive, taciuta nel resto del componimento : o tige è un acquisto del 1550, dato che la prima olive leggeva « oarbre heureux ») ; « L’heureuse branche à Pallas consacrée, / Branche de paix, porte le nom de celle / Qui le sens m’oste » (4, 1-3) ; « si appeller tu m’oys / Olive Olive : et Olive est ta voix » (24, 6-7) ; « Sacré rameau, de celeste presage » e « Heureux rameau, soubz qui gist à l’ombrage / La doulce paix icy tant desirée » (49, 1 e 5-6).
La prima menzione esplicita di Olive si situa dunque piuttosto avanti nel canzoniere che a lei s’intitola, nella seconda quartina del sonetto sull’Eco, Piteuse voix qui écoutes mes pleurs (24). Laura invece, nelle forme ricomposte laureta, laureo laurea, figura precocemente nei rvf., già nel quinto sonetto, quando io movo i sospiri a chiamar voi. Modello della triplice iscrizione del nome di Olive in 47, 7 è forse l’invocazione di Euridice fatta per tre volte dalla testa mozza di Orfeo, che galleggia sulle onde del fiume Ebro, amico di Eagro, padre del poeta, che rende così un postumo omaggio al cantore ucciso dalle Menadi :
Tum quoque, marmorea caput a cervice revulsum
gurgite cum medio portans oeagrius hebrus
volveret, Eurydicen vox ipsa et frigida lingua
a miseram Eurydicen ! anima fugiente vocabat,
eurydicen toto referebant flumine ripae,
(Georg. iv 523-527)25
anche se in du Bellay si tratta di un’eco, e non di un’invocazione iterata (in comune è solo la ripresa triplice).
5. la struttura della seconda Olive
Di gran lunga più curata e importante è la struttura che l’autore ha conferito alla seconda olive. Un caposaldo decisivo è dieu, qui changeant avec’ obscure mort (110), penultimo dei cinque sonetti per il Venerdì santo.26costruito su due sole parole rima antitetiche, mort e vie,27è singolare anche per lo schema abbaabbaababab, che solo è suo. Ecco la simmetria che si delinea agli estremi dell’olive (quattro poesie liminari, la sostanza del canzoniere e quattro poesie finali).
1. Je ne quiers pas la fameuse couronne (abbaabbacdecde), sonetto proemiale, 21 dicembre, solstizio d’inverno.
2. D’amour, de grace et de haulte valeur (abbaabbacdcede), in nascita di olive, 22 dicembre.
3. Loyre fameux, qui ta petite source (sullo stesso schema di 1), promessa di immortalità fatta alla loira in grazia di olive, 23 dicembre.
4. L’heureuse branche à Pallas consacrée (abbaabbaccdeed), elogio di olive, 24 dicembre.
il gruppo dei sonetti 5-111 (centosette in tutto), disposti in una serie che (come si è detto) è insieme liturgica e astrologica, dal Natale al Venerdì santo.28
112. Dedans le clos des occultes Idées. si è giustificati solo da cristo, « le juste seul ses eleuz justifie » (v. 9). questo sonetto – il cui modello (come rivelò per primo r.v. merril)29 è uno di veronica gambara, Scelse da tutta la futura gente30 – spetta al giorno della discesa di cristo agli inferi, che di norma si colloca al sabato santo ? e a norma del contesto, gli « eleuz » (v. 9) sarebbero dunque, con perfetta ortodossia, patriarchi, profeti e altri eletti del vecchio testamento in attesa di essere liberati da cristo redentore ?
113. Si nostre vie est moins qu’une journée. desiderio di morte, che altro non è che una liberazione dell’anima (e qui il ciclo si chiude : « si l’an qui faict le tour / chasse noz jours sans espoir de retour », vv. 2-3). questo, che è detto anche il sonetto dell’Idée, studiato in memorabili saggi da spitzer e da jakobson,31 è la conclusione edificante e platonizzante del canzoniere. perché, a mio parere, i sonetti finali (114 e 115) indicano un percorso tutt’altro e suggeriscono una conclusione diversa.
114. Arriere, arriere, ô mechant Populaire ! (abcdefghijlmno, sequenza di 14 endecasillabi sciolti).32il poeta, « humble prestre des muses » (v. 4), alla luce della riscrittura virgiliana che il testo attua e di cui si dà conto qui, sottolineata dalla forma metrica « inusitée » (v. 14), affrancata com’è dalla rima (v. 12), appare nella veste di una nuova sibilla. du bellay chiede a olive di rendere immortali i suoi versi e prepara la venuta di un nuovo astro poetico, che si farà luce nell’ultimo sonetto.
arriere, arriere, ô mechant populaire !
o que je hay ce faulx peuple ignorant !
doctes espris, favorisez les vers
que veult chanter l’humble prestre des muses.
te plaise donc, ma roine, ma déesse,
de ton sainct nom les immortalizer,
avec’ celuy qui au temple d’amour
baize les piez de ta divine image.
o toy, qui tiens le vol de mon esprit,
aveugle oiseau, dessile un peu tes yeux,
pour mieulx tracer l’obscur chemin des nues.
et vous, mes vers, delivres et legers,
pour mieulx atteindre aux celestes beautez,
courez par l’air d’une aele inusitée.
come fonte di questo sonetto la bibliografia in genere menziona orazio, Carmina Iii i 1-4 : « Odi profanum vulgus et arceo. / Favete linguis : carmina non prius / audita musarum sacerdos / virginibus puerisque canto ». modello ovvio, ma non il solo che si possa produrre. per l’energico attacco anaforico, « arriere, arriere, ô mechant populaire ! », va citato il monito della sibilla nel sesto dell’Eneide, « procul, o, procul este, profani » (Aen. vi 258). anzi, il modello virgiliano è rivelatore, perché addita in Arriere, arriere un sonetto profetico, proferito dalla sibilla. perché mai questo sonetto non ha rime ? bisognerà trovare una ragione elegante a questo fatto eccezionale, non ci si potrebbe contentare della semplice ipotesi di un artificio tecnico inaudito, fatto come per capriccio. la ragione per cui i versi non sono legati da rime è invece strutturale : l’assenza di vincoli di rima allude alla dispersione di sentenze tipica del vaticinio sibillino, alla programmatica mancanza di ordine nei responsi della sibilla. si rammenti la famosa terzina dell’ultimo canto del Paradiso dantesco :
così la neve al sol si disigilla ;
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di sibilla.
(Par. 33, 64-66),
che a sua volta riscrive un passo del terzo libro dell’Eneide : « huc ubi delatus cymaeam accesseris urbem / divinosque lacus et averna sonantia silvis, / insanam vatem aspicies, quae rupe sub ima / fata canit foliisque notas et nomina mandat. / quaecumque in foliis descripsit carmina virgo, / digerit in numerum atque antro seclusa relinquit. / illa manent immota locis neque ab ordine cedunt ; / verum eadem verso tenuis cum cardine ventus / impulit et teneras turbavit ianua frondes, / numquam deinde cavo volitantia prendere saxo / nec revocare situs aut iungere carmina curat. / inconsulti abeunt sedemque odere sibyllae » (Aen. iii 441-452). che si tratti proprio della sibilla cumana è confermato da un sonetto, ottavo dei XIII Sonnetz de l’honneste amour, che riscrive questo stesso tratto :
non autrement que la prestresse folle,
en grommelant d’une effroyable horreur,
secoüe en vain l’indomtable fureur
du cynthien, qui brusquement l’afolle :
mon estomac gros de ce dieu qui vole,
espoüanté d’une aveugle terreur
se faict rebelle à la divine erreur,
qui brouille ainsi mon sens & ma parole.
mais c’est en vain : car le dieu, qui m’estrainct,
de plus en plus m’eguillonne & contrainct
de le chanter, quoy que mon cœur en gronde.
chantez le donq, chantez mieux que devant,
o vous mes vers ! qui volez par le monde,
comme feuillars esparpillez du vent.33
e si aggiunga il sonetto 5 di Les Amours (vv. 1-4 : « lors qu’apollon vient troubler sa prestresse / de son divin et sainct affollement, / son teinct, sa voix il change horriblement / et de mortel en elle rien ne laisse »).34
115. De quel soleil, de quel divin flambeau (abbaabbaccdeed, stesso schema di 112 e 113, nel quale ultimo però eriprende a).sonetto in lode di ronsard, vate e astre nouveau che qui è figura di redentore, dato che il calendario suggerisce l’associazione con la domenica di pasqua.
de quel soleil, de quel divin flambeau
vint ton ardeur ? lequel des plus haulx dieux,
pour te combler du parfaict de son mieulx,
du vandomois te fist l’astre nouveau ?
quel cigne encor’ des cignes le plus beau
te prêta l’aele ? et quel vent jusq’aux cieulx
te balança le vol audacieux,
sans que la mer te fust large tombeau ?
de quel rocher vint l’eternelle source,
de quel torrent vint la superbe course,
de quele fleur vint le miel de tes vers ?
montre le moy, qui te prise et honnore,
pour mieulx haulser la plante que j’adore
jusq’à l’egal des lauriers tousjours verds.
ronsard è destinato a far rinascere la poesia morta (« Ma qui la morta poesì resurga », purg. 17)come un Cristo risorto : tant’è vero che è detto divin nel capoverso di 60 (divin ronsard, qui de l’arc à sept cordes) e divin flambeau in questo. Divino, nelle lettere e nelle arti della penisola era, per i contemporanei, Michelangelo Buonarroti (« Michel, più che mortale, Angel divino », Ariosto, orlando furioso xxxiii 2, 4), oltre a Pietro Aretino, per propria proclamazione : nell’olive invece divino è anche Maurice Scève, Esprit divin, que la troupe honnorée (105). Il mito di Ronsard è solare, apollineo, in tacita opposizione e con promozione certa rispetto a quello che rivendica a sé du Bellay, posto sotto l’emblema ostentatamente umile di Pallade. Non s’insisterà mai abbastanza sulla precocità di questo generoso e veramente profetico riconoscimento : Ronsard, di un paio d’anni più giovane di du Bellay (1522-1560), a quella data non aveva pubblicato che una parte di quella che sarà la sua opera,35 e soprattutto i primi quattro libri delle odes. Se l’olive, in virtù di questo finale d’eccezione, da libro erotico si trasforma in libro profetico, non è senza significato che du Bellay abbia precocemente fatto il nome di Cassandra, primo amore di Ronsard, che ha il nome della figlia di Priamo vanamente amata da Apollo e titolare di un vaticinio inascoltato.36
6. gli omaggi a ronsard
nell’olive augmentée, sia il primo dei sonetti aggiunti alla compagine della prima raccolta, divin ronsard, qui de l’arc à sept cordes (60), sia l’ultimo, de quel soleil, de quel divin flambeau (115), sono composti in onore del poeta di Vendôme. E quello che era l’ultimo sonetto della prima Olive, moy, que l’amour a faict plus d’un lëandre (59, già 50) dialoga, al v. 2, « De cest oyseau prendray le blanc pennaige », con l’ultimo della seconda, de quel soleil, de quel divin flambeau (115), di cui si vedano i vv. 5-6, citati più sopra. Il sonetto 59, moy, que l’amour, non è propriamente il centro di un canzoniere di 115 sonetti, dato che il ruolo di testo centrale è da riconoscere semmai al contiguo 58, cet’ humeur vient de mon œil, qui adore (57 sonetti lo precedono e 57 lo seguono), ma il legame è pur sempre significativo, chiaro indizio della volontà d’autore di realizzare un’architettura testuale complessa, fondata su sottili richiami interni. Un altro componimento in lode di Ronsard, anch’esso una novità della seconda Olive, onoble esprit, des graces allié (106), esplicita le ragioni di voler lodare il poeta delle amours, il cui spirito è « Avec le mien etroitement lié ! / O de mon cœur la seconde moitié ! » (vv. 4-5).
a sua volta, esprit divin, que la troupe honnorée (105) contiene, come si è detto, l’elogio di Scève, designato con una perifrasi che s’ispira al fiume eponimo Saône (« Et ta Delie enfle ta Saone lente », v. 11). E le terzine di qui voudra voir le plus precieux arbre (62) elencano un gruppo composito di poeti contemporanei,
Encor’ dira que la touvre et la seine
avec’ la saone arriveroient à peine
a la moitié d’un si divin ouvrage :
ne cetuy là qui naguere a faict lire
en lettres d’or gravé sur son rivage
le vieil honneur de l’une et l’autre lire,
(62, 9-14)
nei quali si riconoscono Mellin de Saint-Gelais (touvre), Antoine Héroët (seine), Maurice Scève (saone) e il Ronsard autore delle odes (vv. 12-14). Nel già citato sonetto 60, anche Ronsard era designato con una perifrasi fluviale,
Fameux harpeur et prince de noz odes,
laisse ton loir haultain de ta victoire,
et vien sonner au rivage de loire
de tes chansons les plus nouvelles modes,
(60, 5-8)
dove è evidente il gioco di parole tra Loir (che di norma è l’emblema poetico di Ronsard) e Loire.
7. la metrica dei sonetti37
dalla prima alla seconda olive, con l’eccezione di esemplari unici, du Bellay ha disciplinato la sua tecnica, mortificando l’originario polimorfismo dei sonetti. Nelle terzine si atterrà soprattutto alle due figure canoniche del cosiddetto « sonnet régulier » messo in auge da Marot, per cui si parla di « tercets marotiques », cioè abba abba ccdeed38e abba abba ccdede. Sono dieci gli schemi di sonetto impiegati nell’olive39
1 (abbaabbaababab) con un solo esemplare (110) che è nell’Olive augmentée e segna metricamente l’eccezionalità del giorno, il venerdì santo.
2 (abbaabbaccdede) e 3 (abbaabbaccdeed) sono gli schemi meglio rappresentati, rispettivamente con 29 (18 nel 154940+ 11 nel 1550) e 50 (15 + 35) individui. il sonetto 56, inserito nella compagine della prima Olive a partire dalla seconda, si attiene allo schema 2, mentre altri sei (23, 32, 40, 50, 53 e 58), che appaiono per la prima volta nell’Olive augmentée mescolati a quelli della prima quasi come ‘falsi d’autore’ retrodatati, a 3. dato che, misti alla prima Olive, si dànno in tutto nove sonetti, questi sette che si sono enumerati costituiscono la maggioranza.
4 (abbaabbacdcdcd) con quattro (18, 38, 44, 69) : uno (44) è interposto tra i testi già della prima Olive e uno (69) è senz’altro tra gli aggiunti della seconda.
5 (abbaabbacdcddc) con tre (27, 31, 86) : ne aveva due la prima Olive, il terzo (86) è stato aggiunto nella seconda.
6 (abbaabbacdcdee) con due (11, 55), compare nella prima Olive e non sarà più ripreso.
7 (abbaabbacdcede) con nove (2, 13, 21, 45, 57 e poi 79, 84, 98, 106) : i primi cinque erano già nella prima Olive.
8 (abbaabbacdceed) con quattro (20, 33, 34, 36), compare nella prima Olive e non sarà più ripreso.
9 (abbaabbacdecde) con tredici, ne contava dieci nella prima Olive (1, 3, 5,4110, 12, 15, 24, 41, 43, 54), uno (46) è stato inserito tra quelli, mentre 63 e 82 sono nuove giunte.
10 (abcdefghijlmno) con un solo esemplare (114), sequenza di endecasillabi sciolti disposti in forma di sonetto.
8. la giunta dell’Olive augmentée
Ci si può e deve chiedere (ma sembra che tale questione sia stata sempre elusa) perché nove dei sessantacinque sonetti aggiunti nell’olive augmentée siano stati mescolati a quelli della prima,42che non patisce alcuna diminuzione e neppure è stata sottoposta a spostamenti nella successione dei testi : testi che, nella lezione loro, presentano non più che tenui ritocchi, come documenta lo scarno apparato.43Questi nove sonetti sono
Si des beaux yeux, où la beaulté se mire (23)
tout ce qu’icy la Nature environne (32)
si des saincts yeulx que je vois adorant (40)
au goust de l’eau la fievre se rappaise (44)
lequel des Dieux fera que je ne sente (46)
si mes pensers vous estoient tous ouvers (50)
voyant au ciel tant de flambeaux ardens (53)
amour voulant hausser le chef vainqueur (56)
cet’ humeur vient de mon œil, qui adore (58).
anzitutto è da dire che l’attacco su periodo ipotetico (si ...) che ricorre in tre sonetti (23, 40 e 50) è una trovata della seconda olive, dato che sarà impiegato anche in altri quattro (74, 88, 98 e 113), senza esser presente nella prima raccolta : la dispersione a ritroso di 23, 40 e 50 sembra avere la funzione di retrodatare questo stilema. Altrettanto non potrebbe dirsi della presenza, rara, di gerundi nel capoverso, che è in voyant au ciel (53) e amour voulant hausser (56).
S’indovinano a volte ragioni tematiche per il raggruppamento abnorme di alcuni dei nuovi sonetti : ad esempio, si des beaux yeux (23) fa coppia col precedente, o doulce ardeur, que des yeulx de ma dame (22), formando con esso un dittico sugli occhi di Olive. E tout ce qu’icy la nature environne (32) è stato collocato dopo le grand flambeau gouverneur de l’année (31) forse per rinforzare il messaggio astrologico di quello. Ed è un dittico sulla cruauté quello che realizza voyant au ciel tant de flambeaux ardens (53, « ta grand’ cruauté », v. 10) insieme con mere d’amour et fille de la mer (52, « qui a trop plus que Mars de cruauté », v. 14). cruauté rima, in entrambi i luoghi, con beauté : sarà stata considerata una sconvenienza, questa ripetizione ? Ad ogni buon conto, tale coppia ricorre in rima anche altrove, come a 66, 1 e 4, 82, 10 e 13, 106, 10 e 13 (e, fuori rima, ad esempio anche a 4, 3-4).
In altri casi invece parrebbero imporsi le ragioni del significante. Rime -agenelle terzine (lignage e courage in 39, orage e courage in 41) collegavano già, nella prima olive, i sonetti 39 e 41, allora contigui, tra i quali è stato inserito si des saincts yeulx que je vois adorant (40) al fine di esaltare la desinenza, in grazia di dommage e hommage ai vv. 11 e 14, e insieme – suppongo – per spezzare la continuità delle parole rima identiche courage, ripetute due volte nella stessa sede (39, 13 e 41, 13).44Viceversa au goust de l’eau la fievre se rappaise (44) è stato incluso tra penser volage et leger comme vent (43) e ores qu’en l’air le grand dieu de tonnerre (45) forse per attenuare la vicinanza di sistemi di rima contigui, connotati dalle molte parole rima in comune (terre, erre, guerre, erre nelle quartine di 43, tonnerre, terre, desserre, erre in quelle di 45) ; movimento non contraddetto, ma certo relativizzato, dal caso opposto, che si verifica in si mes pensers vous estoient tous ouvers (50), dove le parole rima b (usaige, visaige, raige, couraige) continuano la serie adel precedente (presage, message, ombrage, rage) ; o da amour voulant hausser le chef vainqueur (56), le cui rime b (sequelle, elle, cruelle, perpetuelle) anticipano il sistema edelle terzine di qui a nombré, quand l’astre, qui plus luit (57), excelle e elle.
Per le connessioni intertestuali di rime del tipo descritto, non si dà in effetti, a quanto pare, una precisa, programmatica norma : al punto che il censore dell’olive che si nasconde sotto la sigla q.h. (quintil horatian), travestimento di Barthélémy Aneau – a proposito di face le ciel (quand il vouldra) revivre (19), che nelle rime a (revivre, livre, cuyvre, suyvre) riprende dal precedente, le chef doré cestuy blasonnera (18),la serie d (poursuyvre, cuyvre, revivre) – critica l’autore in questi termini :
En ces deux sonnetz continuelz suyvans, tu fais redite de revivre et de cuyvre en moins de six vers et en semblable sentence, laquelle encore avec les mesmes motz tu repetes en la 5. ode.45
uno studio – a mia notizia, mai effettuato – delle serie di rime dell’olive, sonetto per sonetto, sarebbe assai utile : mi pare, ad esempio, che il reimpiego delle rime -éda un individuo all’altro sia un connettore di primaria importanza.
Quanto infine all’inserzione di lequel des dieux fera que je ne sente (46) e di cet’ humeur vient de mon œil, qui adore (58) nel posto abbastanza eterodosso che è il loro entro la compagine originaria della prima Olive, non saprei che ragioni invocare : anche se per cet’ humeur è notevole la ripresa di due parole rima indiziate quali beaulté e cruaulté (58, 11 e 14).
9. italiani e pléiade
È tempo di documentare non solo gli influssi della poesia italiana sulla Pléiade, di cui son piene le carte, ma anche di delineare il cammino inverso, per arduo e problematico che sia. Non sappiamo quanti in Italia leggessero, e intendessero imitare, la lirica nata in terra di Francia, parallela a quella egemone della penisola. Ma l’eventuale assenza di notizie precise non può essere un freno allo studioso. Un nuovo compito attende i comparatisti. Cronologia alla mano, si tratterà d’illustrare anche quanto i poeti transalpini possono aver insegnato agli italiani. Ad esempio i cento sonetti, sillogi di rime edite nel Cinquecento sia da Alessandro Piccolomini (1508-1579) nel 1549, sia da Antonfrancesco Rainerio (ca. 1515-1557/1561)46nel 1553, sono libri di poesia coevi o anche più tardi della prima olive, che ne annovera cinquanta. Omometria dei pezzi e misura ridotta del canzoniere, di cinquanta poesie o di un centinaio, fanno, a quanto pare, prove precoci proprio nella poesia transalpina.47Non dico che la matura poesia italiana dovesse per forza appoggiarsi a modelli contemporanei in altra lingua : ma è pensabile che, nel comporre un canzoniere dell’età nuova, petrarchisti italiani e francesi dovessero affrontare gli stessi problemi strutturali. Esperienze e invenzioni degli uni potevano giovare anche ad altri. Chi ha ricostruito la storia di quel curioso sottogenere che sono i blasons du corps féminin ? I blasons, che occupano tutta una sezione del vecchio, ma significativo volume della « Pléiade » sulla poesia francese del Cinquecento48e che, come il loro nome dichiara, ebbero fortuna specialmente Oltralpe. Io li lessi per la prima volta in lingua toscana nella stampa raineriana dei cento sonetti del 1553, al tempo della mia tesi di laurea : ne conservo vivo il ricordo, anche se perdura in me l’ignoranza della loro storia nelle nostre lettere.
Riguardo alle « fonti » italiane dell’olive converebbe poi distinguere i modelli con più rigore di quanto in genere si fa. Certi prestiti sembrano normali, altri risultano sconcertanti a chi se ne intende. Una riscrittura dal Bembo lirico (occorre dirlo ?)non è la stessa cosa che una dall’orlando furioso. È legittimo chiedersi perché si diano tante riprese dal furioso, che è un poema in ottave, non un canzoniere. Si annoverano non meno di una decina di « fonti » derivate dal poema dell’Ariosto :49je ne croy point, veu le dueil que je meine (25) verrebbe da orlando furioso xxiii 125-126 ; forse ce que je sen’, la langue ne refuse (28) da orlando furioso xxxiii 63 ; les cieux, l’amour, la mort et la nature (29) da orlando furioso xliv 65-66 ; le gran flambeau gouverneur de l’année (31) da orlando furioso xlv 38 ; me soit amour ou rude ou favorable (35) da Orlando furioso xliv 61-62 ; celle qui tient par sa fiere beauté (37) da orlando furioso xxxii 19 e 21 ; plus ferme foy ne fut onques jurée (37) da orlando furioso xliv 63-64 ; les chaulx soupirs de ma flamme incongnue (42) da orlando furioso xxiii 127 ;le doulx sommeil paix et plaisir m’ordonne (47) da orlando furioso xxxiii 63-64 ; le crespe honneur de cet or blondissant (71) da orlando furioso vii 11-14 ; qui a peu voir la matinale rose (97) da orlando furioso I 42-43. Come è evidente, le parti liriche del poema, studiosamente ricercate e riscritte in francese, sono un modello attivo soprattutto nella prima Olive. E il prestigio dell’Ariosto poeta è confermato da molte riscritture dalle Rime (la cui princeps postuma è del 1546), stimate da du Bellay più di quanto fossero disposti a fare, in Italia, i contemporanei. Ma a conferire autorità al furioso credo che sia decisiva soprattutto la metrica. A ben vedere, il furioso è costruito nello stesso modo dell’olive, è una sequenza conforme di ottave anziché di sonetti. L’affinità formale deve aver agevolato la ripresa dell’uno nell’altra : tra il lungo poema italiano e l’aristocratico canzoniere transalpino c’è una simpatia metrica, mediata probabilmente dal precedente dei 449 dizains della delie obiect de plus haulte vertu (1544) di Maurice Scève.
Anche per la serie di cinquanta testi della prima olive, se si esclude il Bembo delle stanze, gli esempi italiani noti sembrano posteriori alla data fatale del 1549.50Al prestigio del numero avrà contribuito anche il titolo cinquante pseaumes di Clément Marot, la cui princeps è del 1543.
E francese, prima che italiano, è l’uso di denominare un canzoniere lirico dal nome di una donna, un segno di esclusività che titoli quali rime, sonetti e canzoni, cento sonetti o la bella mano evitano di ostentare. l’olive, nonché la délie, precedono libri di poesia quali il ben divino del Pigna,51composto per la ferrarese Lucrezia Bendidio e rimasto inedito a suo tempo. Se pure i titoli francesi al femminile, in onore della dama, non sono un cavallo di ritorno di certe novità napoletane di primo Cinquecento, declinate al maschile come proiezione dell’autore, come l’argo (1506) di Giovanni Francesco Caracciolo o l’endymione a la luna (1506) del Chariteo.
Resta infine da chiarire l’efficacia di Alessandro Piccolomini sui regrets (1558), data per certa da Vianey e contestata da altri.52Sarebbe stato il letterato senese, di cui si cita la lunga prefazione al canzoniere, a indurre du Bellay a comporre sonetti di materia altra che amorosa, fino a confezionarne un canzoniere nei regrets.53I numeri (cento sonetti54e cinquante sonnetz à la louange de l’olive, giusto la metà, secondo un procedimento di riduzione tipico di du Bellay), che li collegano nello stesso anno 1549, sollecitano un supplemento d’inchiesta per i più tardi regrets. Che a loro volta non si sottraggono alla logica dei cento pezzi.55Raccolgono 161 sonetti sotto una dizione che, nella sua integralità, è les regrets et autres œuvres poétiques. Gli ultimi editori moderni, Jolliffe e Screech,56hanno proposto intuitivamente d’isolare entro i 161 la porzione 31-130 come quella che formerebbe i regrets veri e propri, distinti dalle « altre opere » senza che la stampa originale conferisca alla separazione alcun rilievo tipografico. Il vezzo di mettere insieme cento sonetti, caro a certa tradizione lirica italiana di medio Cinquecento, potrebbe portare all’ipotesi dei moderni editori dei regrets una conferma strutturale inaspettata. La partita di dare e di avere tra poesia cisalpina e transalpina in queste rencontres des muses, per citare la suggestiva formula del libro di Jean Balsamo, è forse più ricca e varia di quanto si crede.
____________
1 Joachim Du Bellay, L’Olive, texte établi avec notes et introduction par E[rnesta] Caldarini, Genève, Librairie Droz, 1974, da cui si cita con qualche modifica nell’uso delle maiuscole (i criteri d’edizione sono dichiarati, purtroppo in modi sommari, alle pp. 36-37). Una minuziosa descrizione delle due stampe è fornita da Jean Paul Barbier, Ma Bibliothèque Poétique, Troisième Partie. Ceux de la Pléiade, avec un Tableau chronologique des œvres de Joachim du Bellay, Genève, Librairie Droz, 1994 (in particolare, una Notice biographique è alle pp. 77-83 ; L’Olive del 1549 è descritta alle pp. 90-96 ; L’Olive augmentée del 1550 alle pp. 100-04 ; i Regrets del 1558 alle pp. 112-25 ; il Tableau chronologique a c. di Thierry Dubois è alle pp. 487-525). Nonostante il carattere fastidiosamente sistematico della trattazione, è pur sempre capitale Henri Chamard, Histoire de la Pléiade, Paris, Didier, 1939, 19612 (4 volumi). Preciso che una versione francese del presente saggio è stata da me esposta a Ginevra, in una seduta del Groupe d’études sur le XVIe siècle, il 25 marzo 202, data ab Incarnatione.
2 Naturalmente la critica non ignora che l’« oliva », che ha precedenti oraziani (nella sua Introduction, p. 9, la Caldarini cita Carm. I vii 5-7, « Sunt quibus unum opus est intactae Palladis urbem / carmine perpetuo celebrare et / undique decerptam fronti preponere olivam »), fa parte anche della flora petrarchesca, per cui basta rinviare a « Non lauro o palma, ma tranquilla oliva / Pietà mi manda » (Rvf. 230, 12-13).
3 Citato da Guido Saba, La poesia di Joachim du Bellay, Messina-Firenze, D’Anna, 1962, p. 37, studio ancora di qualche utilità, specie per la storia della critica (ai nostri fini valgono specialmente le pp. 33-109, Il poeta d’amore). Saba distingue la posizione di Charles-Augustin Sainte-Beuve nel Tableau historique et critique de la poésie française et du théâtre français au XVIe siècle, uscito nel 1828, e nei saggi del 1840 e del 1867 (da cui è tratta la citazione).
4 La morfologia canonica del dizain di Scève è ababbccdcd, ma undici individui sono del tipo abbaaccdcde quattro ababbccddc : cfr. The ‘Délie’ of Maurice Scève, edited with an Introduction and Notes by I. D. Mc Farlane, Cambridge, At the University Press, 1966, pp. 43-46 (Versification).
5 Specialmente al Casa, che opera nel suo una riduzione omologa a quella del canzoniere petrarchesco, si applica il saggio di Silvia Longhi, Il tutto e le parti nel sistema del canzoniere, in « Strumenti critici », XIII (1979), 39-40, pp. 265-300. Cfr. ora Giovanni Della Casa, Rime, a c. di Giuliano Tanturli, Fondazione Pietro Bembo, Parma, Guanda, 2001.
6 Si allude, beninteso, a una morte letteraria che non ha luogo nel libro. L’identità di Olive (come quella di Laura) ha appassionato i contemporanei del poeta e i vecchi studiosi, anche sulla scorta dei versi « Et mon Olive (soit ce nom / D’Olive véritable ou non) » (A Olivier de Magni sur les perfections de sa dame, vv. 109-110, in Joachim Du Bellay, Divers Jeux Rustiques, édités par V[erdun]-L[ouis] Saulnier, Nouvelle édition augmentée, Paris, Librarie Minard- Genève, Librarie Droz, 1965, p. 63). Una lista di identificazioni (ma il resoconto non è esaustivo) è presso Chamard, Histoire cit., I, pp. 231-33.
7 Cfr., anche a fini più generali, il saggio pionieristico di Jean Rousset, Les recueils de sonnets sont-ils composés ?, in The French Renaissance and Its Heritage. Essays presented to A. Boase, London, Methuen and Co. Ltd., 1968, pp. 203-15, poi rifuso in Jean de La Ceppède et la chaîne des sonnets, in L’intérieur et l’extérieur. Essais sur la poésie et sur le théatre au XVIIe siècle, Paris, Corti, 1976, pp. 13-43 (per du Bellay, le pp. 14-16, da cui cito). Alla base della lettura ascetica e platonizzante dell’Olive, sta il saggio di V[erdun]-L[ouis] Saulnier, Du Bellay, Paris, Hatier, 19684, pp. 62-63.
8 Basti consultare uno strumento d’uso quale il Short-title Catalogue of Books printed in Italy and of Italian Books printed in other Countries from 1465 to 1600 now in the British Museum, London, Trustees of the British Museum, 1958.
9 È quanto sostiene anche Jean Balsamo, Les rencontres des muses : italianisme et anti-italianisme dans les Lettres françaises de la fin du XVIe siècle, Genève-Paris, Slatkine, 1992, pp. 222-23. La Laure è descritta da Barbier, Ma Bibliothèque cit., Première Partie. De Guillaume de Lorris à Louise Labé, 1973, pp. 149-50. Sul nome e sui presunti anagrammi di Olive dispersi nel canzoniere (Viole, voile, viol, vol) fa testo l’analisi di François Rigolot, Poétique et onomastique. L’exemple de la Renaissance, Genève, Librarie Droz, 1977, specie le pp. 127-54 (Polysémie du surnom pétrarquiste chez Du Bellay).
10 Editi per la prima volta tra le Autres œuvres de l’invention du translateur aggiunte a Le Quatriesme Livre de Eneide de Virgile, traduict en vers François, Paris, Vincent Certenas [sic], 1552, si leggono nell’ed. Chamard delle Œuvres poétiques (S.T.F.M., Paris, Édouard Cornély et Cie, 1908), I, pp. 137-49 : una nuova edizione è « mise à jour » a c. di Yvonne Bellenger, Paris, Nizet, 1982.
11 Editi per la prima volta nell’edizione postuma di Les œuvres Francoises de Joachim Du Bellay [...], Paris, Federic Morel, 1569 [ma 1568], si compongono di 29 sonetti, 2 dei quali già editi nel 1561. Si leggono nella cit. ed. Chamard, II, pp. 233-52.
12 Basti dire Chamard, Histoire cit., II, p. 335 : « Les vingt-neuf sonnets des Amours sont un retour inattendu, mais déplorable, au pétrarquisme ». E si dovrebbe dire anche del du Bellay latino, su cui si stendono molti pregiudizi, non adeguatamente valutato in rapporto alla produzione francese.
13 Cfr. J’ay oublié l’art de pétrarquizer, in Du Bellay, Divers Jeux Rustiques cit., pp. 70-82 (xxii). La prima stampa dell’ode risale al 1553 (nel Recueil de Poesie, Paris, Guillaume Cavellat, 1553), col titolo di A une Dame : fu poi riproposta con varianti e rimaneggiamenti nella princeps dei Divers Jeux Rustiques (1558), sotto l’etichetta Contre les Petrarquistes.
14 La somma di 366 poesie suggerisce nei Rvf. la corrispondenza di una poesia al giorno, a partire da Era il giorno ch’al sol si scoloraro (3) fissato al Venerdì santo (6 aprile 1327, con distorsione di date ? o 10 aprile, a norma del calendario di quell’anno ? Per la controversa questione rinvio a Francesco Petrarca, Canzoniere, edizione commentata a c. di Marco Santagata, Milano, Mondadori, 1996, pp. 17-18). Non mi risulta che nella lettura dei Rerum Vulgarium Fragmenta si sia mai assegnata a ogni singolo testo questa corrispondenza di quotidianità lirica.
15 Al v. 2 « L’arc triomphal de l’amour supernel, [Qui pour laver ton peché paternel / Porta le faix de ta perte si ample] » è una perifrasi che designa la Croce. Il v. 10, « S’il a purgé mes pechez de son sang », attesta che si è già, nella settimana di Passione, al Venerdì santo. Il ciclo dei sonetti per la morte di Cristo si chiude con « Qui en mourant triomphe de la mort » (111, 14).
16 Sul testo iniziale e finale come elementi costitutivi del canzoniere lirico, rinvio al mio saggio Il libro di poesia nel Cinquecento [1987], in Metrica e analisi letteraria, Bologna, il Mulino, 1993, pp. 193-204.
17 Per questi calcoli rimando a A[driano] Cappelli, Cronologia, Cronografia e Calendario perpetuo [...], Milano, Hoepli, 19693. Si avverta che, a quest’altezza cronologica, si è ancora in regime di calendario giuliano, con tutte le sfasature del caso, che la riforma gregoriana del 1582 intenderà sanare.
18 Per du Bellay, lo stile per cominciar l’anno, detto « francese », era quello del giorno di Pasqua, in ritardo di un’unità sul moderno, con cui coincide dalla Pasqua al 31 dicembre.
19 Il sonetto Ores qu’en l’air le grand Dieu du tonnerre (la data che si presume corrispondente è il 3 febbraio), che pure proclama « Or’ que des ventz le gouverneur desserre / Le doux Zephire » (45, 5-6), non dà propriamente un annuncio primaverile : serve solo da antitesi a quel che vive il poeta, « Or’ que [...] Un triste hiver sen’ en moy renaissant » (vv. 5-14). L’inverno come metafora dell’anima in preda al peccato è in Pere du ciel, si mil’ et mile fois, « Toy, qui du cœur les abismes congnois, / Ains que l’hiver ait ma force ravie » (109, 5-6).
20 Per curiosità si rammenti che il Martyrologium Romanum registra una santa Oliva vergine il « III Non. Ian. », cioè il 3 gennaio, che è anche la festa di santa Geneviève, patrona di Parigi.
21 Non darei rilievo al rapporto che si può vedere tra la cometa dei Magi e il mito astrale della prima terzina, « Puis s’en voler de chascun œil d’icelle / Jusques au ciel une vive etincelle, / Dont furent faictz deux astres clers et beaux » (17, 9-11).
22 Fonte del sonetto, che rievoca la colomba di Noè che porta nel becco un rametto di olivo, è – come ha ben visto la critica – uno di Tomaso Castellani, O sacro ramo, che con verdi fronde (si legge ora nella ristampa delle Rime diverse di molti eccellentissimi autori (Giolito 1545), a c. di Franco Tomasi e Paolo Zaja, Torino, Edizioni RES, 2001, p. 39). Dal modello non è ripreso il messaggio di pace tipico dell’oliva, « Io lietamente, o santa e schietta Oliva, / T’accetto e ’nchino or che salute e pace / Prometti al grave e travagliato spirto » (vv. 9-11), ma forse è proprio da questa così esplicita terzina che du Bellay trasse spunto per la sua invenzione dell’Oliva.
23 È una constatazione che si legge anche presso la Caldarini, p. 11, che non si cura d’illustrare a quale parametro obbedisce la costruzione della seconda Olive, di cui pure viene esaltata la « structure unitaire et concertée » (p. 12) : per la moderna editrice, come già per Saulnier, il modello sarebbe l’« inspiration ascético-chrétienne dont il [Pétrarque] a donné le cliché », che è un’astrazione vuota di senso. E cfr. Rousset, Jean de La Ceppède cit., pp. 14-16.
24 Cfr. Gorni, Il libro di poesia nel Cinquecento, in Metrica cit., p. 194.
25 Nella latinità si dà anche il finale del XII e ultimo libro della Tebaide di Stazio, dove si invoca per tre volte l’« Arcada » Partenopeo (vv. 805-807), uno dei sette a Tebe, o la triplice menzione di Icaro nei distici di Ovidio, Ars am. II 93-95. Ne discuto, a proposito della triplice invocazione di Virgilio in Purg. 30, 49-51, nell’Introduzione a Dante Alighieri, Vita Nova, a c. di Luca Carlo Rossi, Milano, Mondadori, 1999, pp. V-XL (alle pp. XXVIIIXXX).
26 L’impiego di più sonetti su uno stesso tema non è una pratica isolata nell’Olive : all’inizio del libro c’è il trittico sui capelli (8-10) o il dittico sugli occhi (11-12) ; e, alla fine, i due sonetti sulla gelosia (99 e 100) o i due sull’oro (101 e 102).
27 Il modello italiano (ed. Caldarini, pp. 160-61) è un sonetto anonimo ripescato nella seconda antologia giolitina (1547), Sommo Signor, che con sì oscura morte. Anche il sonetto di esordio della storia, C’etoit la nuyt (5) ha, simmetricamente, uno schema singolare (vedi la nota 41).
28 A norma del tema che è il loro, qualcuno raggruppa i sette sonetti 107-113 in una serie effimera di sonetti « cristiani » di conversione. Ma si è visto che l’approdo al Venerdì santo è preparato da altre ragioni strutturali interne.
29 Referenze presso l’ed. Caldarini, pp. 161-62. Un ultimo pregevole intervento si deve a Anna Bettoni, Il sonetto di Veronica Gambara sulla predestinazione in Du Bellay, presentato nella Giornata di studi su Antologie liriche del Cinquecento presso l’Università di Padova, 15 febbraio 2002, ora edito in « Italique », V (2002), pp. 35-52. Du Bellay non riprende dalla fonte le parole fatali opra (« Fides sine operibus mortua est », in un famoso, contestato passo dell’epistola di Giacomo 2, 20) e predestinati (che pure è in un incipit, Puis que les cieux m’avoient predestiné, 20), che rinviano al tema scottante della giusticazione per fede : approdando a qualche ambiguità di dettato, dato che il Juste (v. 9) non può essere che Cristo e dunque mal si concilia con quanto segue, à son Filz (v. 11).
30 Edito con commento in Poeti del Cinquecento. I. Poeti lirici, burleschi, satirici e didascalici, a c. di Guglielmo Gorni, Massimo Danzi e Silvia Longhi, Milano-Napoli, Ricciardi, 2001, p. 258.
31 Leo Spitzer, The Poetic Treatment of a Platonic Christian Theme (Du Bellay’s Sonnet of the Idea) [1954], in Romanische Literaturstudien (1936-1956), Tübingen, Niemeyer, 1959, pp. 130-59 e Roman Jakobson, « Si nostre vie ». Observations sur la composition & structure de motz dans un sonnet de Joachim Du Bellay, in Questions de poétique, Paris, Éditions du Seuil, 19732, pp. 319-55. Un rapido cenno bibliografico è nella ristampa (1982) del vol. I dell’edizione Chamard, a c. di Yvonne Bellenger, pp. 201-03.
32 La Caldarini non ne dice nulla ; Chamard nella sua edizione, p. 1236, segnala i « vers blancs » rinviando alla Deffence II vii, che cita in proposito le sestine del Petrarca « et de notre tens le seigneur Loys Aleman, en sa non moins docte que plaisante Agriculture » (si veda l’annotazione in Joachim de Bellay, La Deffence et Illustration de la Langue Francoise, édition critique par Henri Chamard, Paris, S.T.F.M., Albert Fontemoing, 1904, pp. 265-66). A risarcimento, si noti l’alternanza di uscite femminili e maschili.
33 Ed. Chamard, I, p. 144. Non è una baccante, come interpreta taluno, bensì la Sibilla posseduta da Apollo (« le Cynthien »), come si capisce dal finale, per cui cfr. Aen. VI 74-75 e 77-78 : « foliis tantum ne carmina manda, / ne turbata volent rapidis ludibria ventis [...] At Phoebis nondum patiens immanis in antro / bacchatur vates, magnum si pectore possit / excussisse deum ».
34 Ed. Chamard, II, p. 237.
35 Un modo elegante per accertarlo è consultare la lista delle prime stampe possedute dal bibliofilo autore fornita in Barbier, Ma Bibliothèque cit., Deuxième Partie. Ronsard, 1990, pp. 11-27 (otto lemmi bibliografici fino al 1550). Delle Odes (Les quatre premiers livres des Odes, Paris, Guillaume Cavellart, 1550) del « Fameux harpeur et prince de noz odes » è puntuale ricordo in 60, 5, che cito anche più oltre.
36 Si dà notizia dei versi per Cassandra (ancora inediti all’altezza della seconda Olive, dato che usciranno solo nel 1552) nella terzina « Ainsi d’Amour le feu puisse descendre, / Pour amolir cet’ humble cruauté, / En l’estommac de ta froide Cassendre » del sonetto 106 (vv. 12-14). Per le Amours valga il rinvio all’edizione economica, ma ben documentata, Pierre de Ronsard, Les Amours et Les Folastries (1552-1560), édition établie, présentée et annotée par André Gendre, Le livre de poche, Paris, Librairie Générale Française, 1993.
37 Fanno ancora testo in materia, e difatti son state ristampate anche ai giorni nostri, le vecchie monografie di Hugues Vaganay, Le sonnet en Italie et en France au XVIe siècle. Essai de bibliographie comparée, in due tomi, New York, Franklin, s. a. (Lyon 1903) e di Max Jasinski, Histoire du Sonnet en France, Genève, Slatkine, 1970 (Douai, Bruyère e Dalsheimer, 1903), che valgono soprattutto come repertori eruditi.
38 Sarà questo lo schema di gran lunga predominante nelle Antiquitez e nei Regrets (1558), dove è pure presente, minoritario, lo schema affine abbaabba ccd ede e due altri soltanto, ciascuno con un individuo. Per altro verso, i Treize Sonnetz si attengono ai due schemi canonici, con otto esemplari abba abba ccd ede e cinque abba abba ccd eed, mentre i 29 di Les Amours sono tutti su abba abba ccd eed, con la sola eccezione di 23 su abba abba ccd ede.
39 Un bilancio puntuale, ma puramente statistico e descrittivo, è operato per i poeti della Pléiade da Chamard, Histoire cit., IV, pp. 93-103 (La structure du sonnet). Un’analisi originale, anche se non sempre sul fondamento di dati esatti, è tentata da Jakobson, « Si nostre vie » cit., pp. 342-46. Manca in genere, negli studi di metrica che si applicano alle lettere francesi, il senso della storia delle forme.
40 Includo nel computo Par un sentier inconneu à mes yeux, sonetto liminare a Margherita di Valois-Angoulême, sorella di Francesco I.
41 In C’etoit la nuyt que la Divinité (5), le cui quartine presentano solo rime maschili, le rime -édi asono riprese in c, talché il sonetto ha propriamente schema abba abba acd acd. Così -éerima nelle sedi aed edi O de ma vie à peu près expirée (12), dunque di schema abba abba cda cda, e di Si nostre vie est moins qu’une journée (113), perciò ridotto a schema abba abba ccd aad.
42 Che du Bellay si desse gran cura dell’ordinamento dei testi, ossia della loro dispositio entro un canzoniere, lo si ricava anche dall’epistola prefatoria Au lecteur, dove si tratta dell’« ordre » che si deve rispettare in un insieme (cfr. ed. Caldarini, p. 53).
43 A quanto si presume, non dissimile è il comportamento del Petrarca nelle forms individuate del suo canzoniere. Viceversa il Bembo, (la princeps delle cui Rime è del 1530, ristampata in Poeti del Cinquecento cit, pp. 39-189), rimescola le carte e interviene abbondantemente sulla lezione da un’edizione all’altra.
44 La desinenza -agecollega anche, in sede a, i due sonetti contigui O fleuve heureux, qui as sur ton rivage (77) e La Canicule au plus chault de sa rage (78).
45 Citato da Caldarini, p. 74. È una censura che si potrebbe eventualmente ripetere a proposito di altri luoghi : basti dire la ripetizione di ame a 10, 4 e a 11, 9 ; di divine(s)/Angevine(s) a 60, 11 e 13 e a 61, 2 e 3 ; di Dieux a 79, 14 e a 80, 12 ; appelle/belle a 103, 9-10 e a 104, 3 e 2. Per non parlare dei tre sonetti finali del gruppo del Venerdì santo, 109, 3 e 110, 2 e versi seguenti collegati da vie, 110, 1 e versi seguenti e 111, 14 da mort (si rammenti che 110 è costruito solo su queste due parole rima) : vie sarà poi in rima anche a 112, 10. Infine la stessa parola rima, j’adore, è condivisa da 113, 14 e da 115, 13. Per parte sua Saba, La poesia cit., p. 69 denuncia la ripetizione quasi alla lettera di un intero verso, « Car ceste ardeur, dont mon ame est ravie » (22, 12), in 25, 12 (sempre con rimante vie) e di « Et eclersir tout ce tenebreux voile » (41, 14) in 61, 10 (sempre con rima etoile) : casi così evidenti, da far sospettare una ripresa formulare, con valore metatestuale nel caso di voile/olive.
46 Cfr. la scelta fornita da ultimo in Poeti del Cinquecento cit., pp. 533, 539-40, 564-70.
47 Rinvio al mio volume di Metrica cit., in più punti, nonché al saggio Un’ecatombe di rime. I « Cento sonetti » di Antonfrancesco Rainerio, in « Versants. Revue suisse des littératures romanes », numero dedicato a Prologues au XVIe siècle, a c. di André Gendre e Michel Jeanneret, 15, N.S., 1989, pp. 135-52 (pp. 139-40). La « collection consisting exclusively of sonnets » ha colpito anche Spitzer, The Poetic Treatment cit., p. 135 (« In such a collection of sonnets the high points are not marked by any outward metrical distinction »). Non è pertinente in proposito il caso di Lorenzo il Magnifico col Comento de’ miei sonetti, sia perché si tratta di un prosimetro, sia perché la princeps di quest’opera è l’aldina del 1554.
48 Cfr. Blasons du corps féminin, in Poètes du XVIe siècle, édition établie et annotée par Albert-Marie Schmidt, Paris, Gallimard, 1953, pp. 293-364.
49 Si segnalano al riguardo specialmente lo studio di Alice Cameron, The Influence of Ariosto’s Epic and Lyric Poetry on Ronsard and His Group, Baltimore, Johns Hopkins Press, 1930 e quello di Alexandre Cioranescu, L’Arioste en France des origines à la fin du XVIIIe siècle, Paris, Les éditions des Presses modernes, 1939, nel primo dei 2 volumi.
50 Cfr. Gorni, Metrica cit., p. 129, e per l’unicità della donna cantata, le pp. 122-23. Di cinquanta sonetti, come la prima Olive, sarà la prima parte delle Rime del senese Luca Contile, « divise in tre parti » (Venezia, Francesco Sansovino e compagni, 1560).
51 Giovan Battista Pigna, Il ben divino, inedito a c. di Neuro Bonifazi, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1965, ampio canzoniere monotematico con didascalie che risale al biennio 1571-1572.
52 Joseph Vianey, Le Pétrarquisme en France au XVIe siècle, Genève, Slatkine Reprints, 1969 (Montpellier, Coulet, 1909), p. 339 e s., in uno studio certo capitale, ma teoricamente elementare, posseduto dall’assillo positivistico di trovar « fonti » a tutti i costi. Il suo rovescio, più smaliziato, dall’imitazione alla creazione originale, è l’opera, parimenti monumentale, di Henri Weber, La Création poétique au XVIe siècle en France de Maurice Scève à Agrippa D’Aubigné, Paris, Librarie Nizet, 1956.
53 Cfr. Joachim Du Bellay, Les Regrets et autres œuvres poëtiques, suivis des Antiquitez de Rome plus un Songe ou Vision sur le même subject, Texte établi par J. Jolliffe, Introduit et commenté par M[alcom] A. Screech, Genève, Librairie Droz, 19742. Il sonetto 31, presunto primo dei Regrets, è Heureux qui, comme Ulysse, a fait un beau voyage, e l’ultimo Et je pensois aussi ce que pensoit Ulysse (130), simmetrico a quello (« Nous suggérions de considérer les soixante sonnets suivants comme les autres œuvres que nous promet le titre original des Regrets », p. 205).
54 L’efficacia della formula ha lunga durata, se nel 1902 si possono registrare i Cento sonetti in vernacolo pisano di Neri Tanfucio, anagramma di Renato Fucini. Sul numero cento come connettore, rinvio a Metrica cit., pp. 129-30.
55 È stato notato che il Petrarca nella seconda parte dei Rvf., da 264 a 366, tende a formare una raccolta di circa cento individui, misura di conio dantesco a norma dei canti della Commedia.
56 M. A. Screech, Introduction cit., pp. 29-30 : « La page de titre des Regrets de 1558 nous promet Les Regrets et autres œuvres poëtiques. Il ne s’agit pas d’une simple négligence, puisque les éditions postérieures gardent le même titre. Faut-il conclure que les Regrets proprement dits ne forment qu’une partie du recueil ? [...] Nous placerions volontiers la fin des Regrets proprement dits au sonnet 130. Quelle belle fin ce serait ! Dans ce sonnet, qui rappelle volontairement le beau sonnet 31, Du Bellay revenu en France se sent un Ulysse déçu, souffrant d’une nouvelle nostalgie, pour le pays de son banissement ».