Revue Italique

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Le rime spirituali di Vittoria Colonna e Bernardino Ochino

Giovanni Bardazzi

Vittoria Colonna non era certo la sola, nella seconda metà degli anni trenta, ad ammirare la figura di Bernardino Ochino e ad apprezzarne le prodigiose capacità oratorie. Il quaresimale romano del 1935 in San Lorenzo in Damaso, scrive Agostino Gonzaga alla marchesa Isabella d’Este, è tenuto da « uno ex.mo predicatore de l’ordine de quelli Capuccini di S.to Francesco chiamato fra Bernardino da Siena, homo di santissima vita et molto dotto ».1 Intento, nelle sue dichiarazioni dell’evangelo, ad « insegnare come se habbi da caminare per la via del Paradiso », dotato di « un fervor mirabile » cui si accompagna « una voce perfettissima », egli punta, fermo e chiaro, alla riprensione dei vizi senza risparmiare i potenti : « Reprende eccellentissimamente como si deve, né guarda di dir tutto quello che sente ch’abbi ad essere per la salute de chi l’ode, et tocha principalmente li Capi ». Tra curiosità e sincero coinvolgimento penitenziale, fitto è l’uditorio, di popolo e di alti prelati : « [...] vi concorre tutta Roma. Il R.mo de Medici [cioè il cardinale Ippolito] non ne lassa predica, et molti altri de questi R.mi che solevano andar a S.to Agostino se sono redutti qui, talché non è mai giorno che non habbi una bona parte del Colleggio ». Nella quaresima successiva, a Napoli, in San Giovanni Maggiore, già i teatini guardavano al frate con sospetto, sensibilissimi nel percepire in anticipo una « volpina fraude » e un « veleno » ancora nascosti a tutti, coperti abilmente « con l’austera vita, che mostrava, con l’habito asprissimo, con il gridar contra’ vitii ».2 Attratto dalle doti esibite dal predicatore proprio in quell’occasione napoletana, il Viceré di Sicilia don Ferrante Gonzaga ne vagheggiava un prossimo soggiorno a Palermo : « il desiderio d’haverlo », osservava Nino Sernini, « gli è stremamente cresciuto ».3 Durante il quaresimale del ’37, secondo il cronista cappuccino Boverio, « F. Bernardinus senensis, celebris huius tempestatis concionator », inviato a Ferrara, « ingenti omnium utilitate divini verbi semina perfundit »,4 così come poi accade anche a Bologna nell’autunno seguente, dove, informa il Diario di Iacopo Rainieri, il frate, « vestido de bixe e uno scapucin aghuzo in testa », predicò con plauso generale in un San Petronio giorno dopo giorno sempre più gremito.5 Nell’agosto del ’37 Giovanni Guidiccioni dichiarava, in una lettera al Caro, di avere udito a Lucca, « pochi dì sono », fra Bernardino, « veramente rarissimo uomo », e di avergli perfino indirizzato due sonetti encomiastici.6 Tre, in verità, sono i sonetti in lode del frate, tutti e tre composti, presumibilmente, sotto l’impressione delle prediche lucchesi riportate in luce dal McNair.7 Stando ai sonetti cxxi e cxxii, ispirati a una pietà, soprattutto, paolina, il « messaggier di Dio » che, in « bigia vesta », dispregia « l’oro e i terreni onor », è capace di imprimere « nei cuor duri [...] il sermon santo » e di infiammare « i freddi pensieri ».8 E, nel sonetto cxxiii, il « dicitor celeste » adorna con tale dolcezza i « merti » della fede, della speranza e della carità, che un prospettare ed evocare tanto intenso getta le basi per una integrale renovatio del cuore :

O sante figlie de l’eterno Sire,
Fede, Speranza e Carità, ch’avete
spesso assalito il core, or pur sarete
vittoriose del suo folle ardire.

[...]

De le repulse che vi die’ moleste
il cor, che ardì soverchio e vide poco,
duolsi e v’inchina con divote emende.

Emende, è probabile, non estranee agli effetti della predica quinta : « ti voglio fare buon cristiano e puonere il fondamento nel cuor tuo di viva fede, di speranza e carità perfetta, senza le qual virtù l’opere tuoi non sono meritorie [...] ».9 Nel febbraio del ’39 Ottaviano Lotti stilava, a beneficio del cardinale Ercole Gonzaga, una rassegna di predicatori romani, attribuendo, per meriti e demeriti, a ciascuno il suo. Quel « Siciliano che predica a S.to Apostolo », spiegava il Lotti, indulge ora meno, fortunatamente, in « quei piati et quei fiori et quel cantar versi » ; fra Cornelio, in San Lorenzo, pur avendo « dottrina et memoria grande », dà l’impressione che tutte le sue prediche « sian state composte da lui molti mesi sono », e per questo « non move » ; il predicatore della Minerva invece « move assai » ma esagera nella pronuntiatio e negli allettamenti del porgere, con quel suo « storcersi » e fare « in pergolo dui maniere di voci che alcuni vogliono dire che paia Rosso buffone ». « Et questo », cioè l’ultimo della serie, « è quel che manco dispiace alla Marchesa de Pescara », informava lo scrivente, per ribadire alla fine (« non bisogna pensare che niuno arrivi a quel segno di Fra Bernardino ») un giudizio netto preliminarmente formulato : « di poi che padre Fra Bernardino predicò tutti li altri che vi son capitati fan conoscere più la excellentia del suo predicare ».10 Non diversa graduatoria, a proposito della quaresima veneziana del 1539, costituiva il Bembo scrivendo alla Colonna : « Ragiona molto diversamente et più christianamente di tutti gli altri, che in pergamo sian saliti a’ miei giorni et con più viva charità et amore et migliori et più giovevoli cose. Piace a ciascuno sopra modo, et stimo ch’egli sia per portarsene, quando egli si partirà, il cuore di tutta questa città seco ». E, in un’altra lettera, con un’enfasi ormai al calor bianco : « Il nostro frate Bernardino, che mio il voglio da hora innanzi chiamare alla parte con voi, è hoggimai adorato in questa città ; né vi è huomo né donna, che non l’alzi con le laudi fino al cielo. O quanto vale, o quanto diletta, o quanto giova ! ».11 Consuonano le missive, veneziane, di Pietro Aretino del 20 marzo e del 21 aprile 1539, traboccanti di mimetica sensibilità in tema di cose devote. Nella prima, a Giustiniano Nelli, si sottolinea, del frate senese, l’efficacia nella mozione degli affetti (« con il piacevole de l’amonizioni e con il terribile de le minaccie, rintenerisce e spaventa »), l’émpito apostolico che promana da una actio ben controllata (« Lo schietto e il puro di san Paolo rimbomba ne gli organi de le sue esclamazioni, a tempo formate e a tempo interrotte »), l’abilità nell’intessere l’Evangelo con le « disgressioni » e nel muoversi con agio tra i due Testamenti (« Con che lucide e con che vive catene ch’egli lega insieme il vecchio e il nuovo Testamento, servando sempre i lor sensi sacrosanti ne la dovuta religione »), la coesistenza di virtù morali e tecnicoretoriche : « forza di eloquenza, grazia di dire, profondità di scienzia, eleganzia di lingua, suono di voce, grado di fama, maestà di presenza, nobiltà di patria, lodi di vita, providenza di etade e sincerità di animo », cui sono da aggiungere frugalità del vitto (« Mangia di ciò che se gli pone inanzi ») e ascetica austerità del vestire (« l’aspro del romagniuolo, che cinto di corda gli ricopre le carni »).12 Nella seconda, a Paolo III, il mittente chiedeva perdono a Sua Santità per la ingiuria arrecata dalla « stoltizia » dei suoi scritti, dietro una resipiscenza indotta dalle parole del « tanto umile quanto buono fra Bernardino da Siena ». Grazie a lui il mistero trinitario gli si era manifestato in tutta la sua pienezza : « ho visto », asseriva, « nel predicare egli, la essenza de la eternità, il Padre in voce, il Figlio in carne e lo Spirito santo in colomba ».13 Il « lunedì di carnevale » del 1541 c’era, nel duomo di Modena, ad ascoltare le prediche del frate, « tanta gente che apena se ge poteva stare » : testimonianza, questa di Tommasino Lancillotti, confermata da Giovanni Domenico Sigibaldi in una lettera al Morone : « E tanta confidenza, amor e devotione in Christo lassò in questo curioso popolo quanto ne capeva el domo, che fece piangere ducento homini marmorei, tal che ogni homo lo desidera ».14 Quattro prediche, inoltre, « dignissime di lui », di cui l’ultima « divinissima », tenne egli in Casale, ai primi di maggio dello stesso anno,15 e « divine » furono anche le prediche bolognesi ai primi del 1542,16 l’anno del colpo di scena, della fuga a Ginevra, gettato il saio alle ortiche.

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Quel che contraddistingue il rapporto tra Vittoria Colonna e l’Ochino è, anzitutto, l’« intrinsichezza » – avrebbe detto il Carnesecchi17 – della marchesa con lui : essa ne calca geograficamente le orme, lo previene e lo segue, incontrandolo, zelantissima ascoltatrice, a Ferrara nel ’3718 nonché a Pisa, a Firenze e a Lucca nel ’3819. L’Ochino, da parte sua, si ferma a render visita alla Colonna in Arpino ed in Roma.20 Ai buoni uffici di Vittoria è opportuno talora fare appello per essere inseriti nel fitto calendario degli impegni ochiniani : Nino Sernini pensa che, per far andare fra Bernardino in Palermo secondo i desideri del Viceré Ferrando Gonzaga, « non vi sia miglior mezzo che V. S. Ill.ma [il card. Ercole Gonzaga] et la S.ra Marchesa di Pescara » (lettera da Roma del I giugno 1537) ;21 Carlo Gualteruzzi prega la marchesa di intercedere presso l’Ochino a proposito di una eventuale tappa veronese, caldeggiata dal vescovo Giberti : « non ho anchora perduta del tutto la speranza della dimanda di Mons. di Verona, et in gran parte l’ho fermata sul favor di V. Ex. ch’abbia ad aiutarmi seco, quando pur habbiamo ad haver bisogno d’intercessione et di mezzo appresso di lui » (lettera da Roma del 4 giugno 1537) ;22 il Bembo, rivolgendosi alla Colonna a nome di « alquanti gentili huomini » veneziani in vista della quaresima del ’39, si dichiara certo del potere suasorio della mediatrice : « priego il più caldamente che io posso et con quella riverenza, che si conviene, V. Ill.ma S.a a farne degni di questa gratia, sicuro che quanto vorrà la vostra bontà et virtù che egli faccia, tanto egli farà » (lettera da Venezia del 6 aprile1538) ;23 e, svoltasi la faccenda secondo i voti, così manifesta la sua gratitudine : « Di tutto ciò si hanno immortali gratie a V. S., che ce l’havete prestato ».24

Ma l’amicizia con l’Ochino, al di là della confidente frequentazione, va poi inquadrata entro la pluriennale strategia d’appoggio (e talora di vera e propria difesa) dell’ordine dei cappuccini da parte di Vittoria. Quando essi, nella primavera del ’34, vennero banditi da Roma, la Colonna e Caterina Cibo duchessa di Camerino (futuro personaggio dialogante entro gli ochiniani Dialogi sette) attivamente operarono per favorirne il ritorno.25 A proposito del divieto imposto ai cappuccini di accogliere nella regola frati dell’osservanza o di altri ordini, formulato da Paolo III il 18 dicembre 1534, abrogato il 12 gennaio del ’35 e rimesso in vigore il 14 d’agosto,26 la Colonna esortava a reagire : « però V. S. Rev.ma bisogna pugni per li servi del Signore ». Il destinatario è probabilmente il cardinale Ercole Gonzaga,27 sollecitato, il 29 dicembre del ’35 (con il coinvolgimento di Giovan Matteo Giberti vescovo di Verona), a prendersi a cuore la causa dei cappuccini : « Scrissi al Vescovo di Verona perché V. S. sapessi che io li diceva la verità, che doveva aiutarsi questi padri r.di della santa et vera vita de San Francesco ».28 Poche settimane prima (novembre) si era concluso a Roma il capitolo dell’ordine, durante il quale Bernardino da Asti veniva nominato vicario generale al posto di Ludovico da Fossombrone. Nella decisione, da parte del renitente Ludovico, di convocare finalmente il capitolo, aveva avuto un ruolo determinante, pare, Vittoria Colonna :

At Ludovicus Victoriae auctoritatem ac potentiam veritus, tandem cedere se simulat, capitulumque se celebraturum pollicetur. Hac pollicitatione, a Victoria dimissus Romam redit, ubi pluribus elapsis diebus, cum nulla a Ludovico de capitulo celebrando mentio fieret, Victoria eius rei ab Ochino certior facta statim ad Pontificem advolat, qui Victoriae ac fratrum zelum commendans per Episcopum Ludovico mandat, ut comitia generalia primo quoque tempore in conventu S. Euphemiae convocanda curet.29

Un nuovo capitolo, nel quale vennero ribadite le decisioni già prese, indetto su pressione dell’estromesso e non rassegnato Ludovico, si tenne nell’aprile del ’36, e un ulteriore capitolo, che condusse poi all’espulsione del riottoso confratello, ebbe luogo nell’ottobre successivo.30 A questo si aggiunge il fatto che l’Ochino, collaboratore in quell’anno nella stesura delle nuove costituzioni cappuccine e nominato, due anni dopo, generale dell’ordine,31 comincia a essere oggetto, fin dal ’31, di maldicenze e attacchi più o meno velati riguardanti l’ortodossia delle sue posizioni teologiche.32 Vittoria segue con partecipazione le travagliate vicende della regola : non come semplice spettatrice, ma come fiancheggiatrice energica e piena di zelo, spinta tanto dall’amicizia e dall’ammirazione quanto da un bisogno sincero di rinnovamento spirituale, e decisa a sfruttare fino in fondo, nelle pubbliche relazioni, tutto il peso del proprio rango. La duchessa d’Urbino Eleonora Gonzaga, i cardinali Contarini, Gonzaga e Trivulzio, Ambrogio Recalcati segretario personale del pontefice (almeno secondo quel che resta delle lettere) vengono coinvolti in varia misura e talvolta direttamente mobilitati a favore di Ochino e dei « septecento frati veri mendicanti » che hanno « la bulla de le piaghe di Christo nel core et li brevi delle stigmate di S. Francesco ne la mente ».33 Anch’egli attratto da una « vera, simplice et non fucata religione », il vescovo di Verona Giberti, con una compitissima formula epistolare, in nient’altro oserà paragonarsi alla Colonna se non nella comune devozione alla causa cappuccina : « dove io posso, non potendo assimigliarmi a Vostra Signoria in altro, mi sforzo di assimigliarmele in questo ch’io mostro di conoscere di quanto honore et favore sia degna la lor vita innocente ».34

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Presa la decisione di « non andare » a Roma (dov’era stato convocato con documento del 15 luglio 1542, precedente di poco la bolla Licet ab initio del 21 luglio istitutiva dell’Inquisizione)35 e anzi intenzionato ormai a « fuggire » lontano, l’Ochino volle comunicare pubblicamente la sua scelta anzitutto a Vittoria Colonna, in una lettera da Firenze, del 22 agosto, drammatica ma anche ponderata. L’alternativa, inevitabile nel caso di un epilogo romano, tra « negar Christo o esser crocifisso », veniva elusa con la fuga, che andava interpretata sulla base dell’esempio neotestamentario del sottrarsi ai persecutori e come unico mezzo per poter annunciare la parola in maniera diretta, senza bisogno di dissimulare il vero e di mascherarlo :

[...] non potrei se non negar Christo o esser crocifisso. El primo non vorei fare, el secondo sì, con la sua gratia, ma quando lui vorrà Andar io alla morte voluntariamente, non ho questo spirito hora. Dio quando vorrà mi saprà trovar per tutto. Christo m’isegnò a fuggire più volte, in Egitto [Mt 2 13] et alli Samaritani [Lc 9 51-56], et così Paulo, immo mi disse che io andassi in altra città quando in una io non ero ricevuto [Mt 10 14 e 10 23]. Dapoi che farei più in Italia ? Predicar sospetto et predicar Christo mascarato in gergo ? Et molte volte bisogna bestemiarlo per satisfare alla superstitione del mondo.36

Nel corso del 1542 l’Ochino tornerà più volte sui motivi di una scelta tanto clamorosa e radicale : in una lettera al Giberti da Morbegno, del 31 agosto, in un’altra al cardinal Farnese da Ginevra, del 2 d’ottobre, e infine nel proemio alle Prediche ginevrine edite con data (figurante nel frontespizio) « die xOctobris ».37E lo farà utilizzando la stessa linea argomentativa, e perfino le stesse formule della lettera alla Colonna : « mi bisognava o negar Christo et perseguitarlo o metterci la vita » (al Giberti) ; « mi bisognava stando in Italia tacere, imo mostrarmi inimico dell’Evangelio o morire » (Prediche) ; « andare voluntariamente alla morte è un tentar Dio, il quale, quando vorrà, mi troverà per tutto » (al Farnese) ; « non havendo [...] particulare spirito d’andare voluntariamente alla morte, per non tentare Dio elesse partirmi » (Prediche) ; « Christo con l’essempio mi insegnò a fuggire et con le parole quando disse, che non essendo ricevuto in una città fuggissimo in altri, et lui piccolo fuggì in Egitto et dipoi in Samaria et in Galilea » (al Giberti) ; « Christo anche più volte fuggì et si ascose, et Paolo et degli altri santi » (al Farnese) ; « [...] sì come m’ha insegnato Christo et con la dottrina et con l’essempio, che ancho lui fuggì più volte, et in Egytto et in Samaria et in Galilea et piu` volte si nascose » (Prediche) ; « andando in Roma non haverei possuto più predicare, o predicare Christo in maschera et parlare in gergo » (al Giberti). La lettera alla Colonna associa dunque, alla priorità cronologica, lo statuto privilegiato di documento-base, fissando una volta per tutte l’immagine che Ochino avrebbe voluto dare di sé : di uomo di Dio alieno da compromessi, esule e libero. Il legame personale con la marchesa (e con Reginald Pole) è poi ribadito nel congedo,38 quando viene evocata la consuetudine di conversazioni private che gli eventi hanno bruscamente interrotto : « Mi sarebbe stato sopra modo gratissimo parlarvi et havere el vostro giuditio et di Mons. R.mo Polo o una lettera vostra ; ma è più d’un mese che non ho vostre lettere ». I contatti erano dunque continuati almeno fino al luglio precedente.

Nell’epistola ai Signori di Balìa della città di Siena (da Ginevra, I novembre 1543), quando ormai la strategia difensiva ha lasciato il posto alla riflessione dottrinale e all’attacco, Ochino dichiara di essersi trovato nell’obbligo di giustificare la fuga « in più resposte le quali sonno in luce » :39 le tre « resposte » polemiche, cioè, al servita lucchese Girolamo Amadei, all’abate benedettino Marco da Brescia e a Girolamo Muzio.40Attraverso le pagine al Muzio, la « partita » dall’Italia veramente diviene l’esito coerente di un itinerario autobiografico tutto teso, per progressiva chiarificazione interiore, al servizio di Dio, fino al taglio con il « regno d’Antechristo » e le sue « impie et diaboliche superstitioni ». E ancora una volta, nella Responsio, nel corso di una evocazione che si arricchisce di tratti e di colori nuovi, risuonano le parole indirizzate l’anno prima a Vittoria Colonna : « [...] non mi si mostrò alcun modo di vivere nel quale potessi per all’hora più honorare Dio, che servirmi di quella maschara dell’habito et di quella estrinseca et apparente santità di vita, in predicare la gratia, l’Evangelio, Christo et il suo gran benefitio. [...] Dicevo a me stesso : [...] tu puoi et debbi con Paulo et con gli altri santi, imo con Christo, fuggire, sì come con l’essemplo et con le parole t’ha insegnato fare in simili casi, dicendo : “se vi perseguitano in una città, fuggite in un’altra” ».41 A proposito della giustificazione per fede, del purgatorio, dei voti « invalidi et impij » e della chiesa di Roma come « Babillonia d’Antechristo », l’ex cappuccino rinviava poi alle raccolte di prediche, frutto di un’attività davvero indefessa, già pubblicate o in corso di pubblicazione a Ginevra :

Hor io ho chiarito tutto nelli primi venti sermoni che già sonno in luce, ho apertamente mostrata la giustificatione per Christo et per tanto ho gittato per terra, quanto al foro spirituale, l’humane satisfationi et meriti, l’indulgentie, il purgatorio et l’altre impie blasfemie della dottrina d’Antechristo repugnanti alla gratia, all’Evangelio et alla giustificatione per Christo. Nell’altri venti che anco sonno in luce, ho fatto vedere chiaro come i voti de religiosi humani et primi membri d’Antechristo sonno invalidi et impij, et che non c’è altra vera religione al mondo che quella di Christo. Et negli altri seguenti che hora s’imprimano, si vedrà come quella che havete per Chiesa di Christo è la vera Babillonia, nella quale colui che tiene il principato è esso Antechristo, et voi l’havete per Vicario di Christo.42

Maschere e veli erano ormai caduti : il contenzioso con Roma prendeva corpo in un linguaggio durissimo. Il sunto si riferisce alle seguenti tre raccolte (di cui forniamo qui sotto, per esteso, anche i sommari), rispettivamente del 10 ottobre 1542, del 25 gennaio 1543 e dei mesi precedenti all’aprile 1543 (poiché la lettera a Girolamo Muzio che vi fa accenno è datata « al septimo d’Aprile mdxliii ») :43

Prediche di Bernardino Ochino da Siena / Si me persequuti sunt, et vos persequentur sed, Omnia vincit veritas / 1542 die x octobris

[1] Che cosa è el iustificarsi per Christo. [2] Chome el credere che siamo iustificati per Cristo è cosa sicurissima. [3] Chome la iustificazione per Cristo è iniustamente persequitata e falsamente calunniata. [4] Se ’l credere che siamo iustificati per Cristo è inventione humana o cosa divina. [5] Donde procede la difficultà che è nel credere che siamo iustificati per Cristo. [6] Chome ci iustifichiamo per Cristo, e non per le opere. [7] Del modo che deba tener el peccatore per iustificarsi. [8] Delli effecti che fa la iustificatione per Cristo. [9] Come doveremo respondere al demonio quando ci tenta : e particularmente nell’ultimo della vita nostra. [10] Come si debba respondere al tribunal di Dio. [11] Come Christo ha satisfacto per li peccati nostri, e ci ha acquistato el paradiso. [12] Del matrimonio spirituale infra Christo e l’anima. [13] Del modo per escir de peccato. [14] Della confessione. [15] Delle satisfactioni umane. [16] Delle indulgentie. [17] De’ casi reservati. [18] Del Purgatorio. [19] Del modo da far delle opere buone, assai e presto. [20] Delle opere et virtù morali.

Sermones Bernardini Ochini senensis / Ioan 12 Nisi granum frumenti cadens in terram mortuum fuerit, ipsum solum manet : si autem mortuum fuerit, multum fructum affert / 25 Iannuarii 1543.

[1] Del testamento che deba fare el christiano. [2] Del modo da diventare ricchi spiritualmente. [3] Se la legge di Dio può da noi observarsi. [5] Perché Dio dè legge al mondo. [6] Se li precetti umani delli Signori temporali obligano al peccato. [7] Se li precetti humani ecclesiastici obligano a peccato mortale. [7] In che modo ci ha liberati dalla legge. [8] Della vera libertà Christiana. [9] Se Dio oltra li precepti ha dato consigli. [10] In che consiste la perfectione del homo. [11] Del pacto che doverebbe farsi da noi con Christo. [12] De’ voti. [13] Del voto della povertà. [14] Del voto della obedientia. [15] Del voto della castità. [16] Delli voti che si fanno di ieiunare, non mangiar carne, e simili. [17] Del voto della clausura. [18] Se quelli, che hanno facto voto nelle religioni, debban partirsi, per subvenire al proximo, maxime alli parenti. [19] Del voto che fanno d’andare in peregrinaggio. [20] Della vera religione christiana, e delle falxe, delli ipocriti. [21] Del modo per salire al celo.

Sermones D. Bernardini Ochini senensis / 2 Thess 2 Dominus Iesus interficiet Antichristum spiritu oris sui : et destruet illustratione adventus sui / 1543

[1] Se la Chiesa di Roma può errare. [2] Se è stato bene el moltiplicar tanti articoli di fede : e se siamo obligati crederli. [3] Delle excomunicationi. [4] Delle simonie. [5] Delle invalide scuse circa ’l credere di quelli che viuano sotto l’impio regno di Antechristo. [6] Delli inganni di Antechristo e membri suoi. [7] Del modo per liberarsi dalla confusione di tante fedi, secte, e modi di vivere. [8] Delli maggiori inimici di Christo. [9] Che la nostra è la più felice, e la più misera età che sia stata, sarà, o possi essere al mondo.

I libretti, stampati da Jean Gérard, erano piccoli e maneggevoli, adatti al trasporto clandestino. Occhiuta era la sorveglianza su « balle, casse, fachotti, o altri inviluppi di libri », e tassativa l’interdizione su « scritture et libretti in modo di prediche et altre littere missive di frate Bernardino Ochyni, alias capucino, nelle quali si contengono molte opinioni lutherane ».44 Ma gli scritti riuscivano talora a sfuggire al sequestro e ad arrivare ai lettori italiani.45 Scipione Bianchini, come risulta da una lettera a Ludovico Beccadelli del 16 gennaio 1543, ebbe ad esempio l’occasione di leggere il primo opuscolo ginevrino, che inizialmente comprendeva dieci sole prediche.46 Questa raccolta (probabilmente nella forma minore in dieci unità) era pervenuta anche tra le mani di Vittoria Colonna, il 4 dicembre, espressamente inviatale dall’Ochino. Al libretto era allegata una lettera : il tutto « in un pligho dato alla posta qui [Viterbo] da una staffetta, che veniva da Bologna ». Non sappiamo se Vittoria allontanasse sdegnosamente da sé il plico o non piuttosto sfogliasse e leggesse, attratta e incuriosita. Certo è che, dietro consiglio di Reginald Pole, inviò subito (« oggi ») il materiale al cardinale Marcello Cervini, badando bene di prendere le distanze dall’apostata : « Mi duole assai che quanto più pensa scusarsi, più se accusa, et quanto più crede salvar altri da naufragii, più li expone al diluvio, essendo lui fuor dell’Arca, che salva et assicura ».47

Si tenga inoltre presente che vi sono altre due raccolte risalenti al ’43, l’una incentrata sul tema della elezione e l’altra sul tema della contemplazione della Croce :

Sermones Bernardini Ochini senensis / Ioan. 5. Quomodo vos potestis credere, qui gloriam ab invicem accipitis, et gloriam que a solo Deo est, non queritis ? / Stampato in Geneva. 1543. Die tertia Novembris.

[1] Se doverebbe parlarsi, scriversi, o pensarsi della predestinatione. [2] Quanto è excellente la nostra electione. [3] Delli effecti che fa el spirito di Dio, quando entra in una anima. [4] Se potiamo sapere nella presente vita di essere in gratia di Dio, e delli suoi electi : e in che modo. [5] Se è bene o male el credere che siamo delli electi. [6] Se per salvarci è necessario credere che siamo delli electi. [7] Se li electi si possano damnare. [8] Se è bene el cercare di voler sapere, perché Dio ha alcuni electi, e alchuni reprobati. [9] Perché Dio ci ha electi. [10] Delli varii effecti che opera nelli homini, el credere che la nostra electione sia tutta in mano di Dio, e da lui solo penda. [11] Chome doverebbe respondersi a quelli che si lamentano, che Dio li habbi creati, prevedendo la loro damnatione. [12] Del perché. [13] Chome Dio dispensa le sue gratie. [14] Se l’homo è libero o no : e in che modo. [15] Se Dio aggrava, indura e aceca li homini : e in che modo. [16] Chome Dio ha cura e providentia di tutto. [17] Chome Dio governa el tutto optimamente. [18] Della armonia del mondo. [19] Del felice governo di Dio. [20] Chome l’homo doverebbe lassarsi governare da Dio. [21] Delli mali, nelli quali sonno incorsi li homini, per non lassarsi governar da Dio. [22] Dell’arte del ben vivere. [23] In che modo doveremo imitar Christo. [24] Del modo per cognoscere le divine inspirationi, e sequitarle. [25] Del modo per honorare Dio supremamente.

Sermones Bernardini Ochini senensis / Matt. 11 [in realtà 10 32] Omnis qui confitebitur me coram hominibus, confitebor et ego eum coram patre meo qui in caelis est / 1543

[1] Che cosa è Dio. [2] Del modo per cognoscere Dio per le creature. [3] Se la philosophia serve alla vera theologia e in che modo. [4] Chome doveremo servirci delle Scripture Sacre per cognoscere Dio. [5] Delli inconvenienti che sonno nati, e nascano di continuo dalli homini, per non saper servirsi delle scripture sacre. [6] Se per essere buon theologi sonno necessarie le scientie humane. [7] Chome debba pregarsi chi vuol studiare le Scripture sacre : e contemplar Cristo in esse, e in su la Croce. [8] Che si doverrebbe studiare, per sapere in breve tempo, e facilmente, tutte le cose utili, e necessarie alla salute. [9] Per che Christo non scripse alchuna cosa. [10] Come delle cose soprannaturali Cristo è l’unico maestro. [11] Come Dio non si può da noi cognoscere a sufficientia, se no in Cristo e per Cristo. [12] Che cosa è Cristo, e perché venne al mondo. [13] In che modo si doverebbe legger Christo in Croce. [14] Chome non è buon theologo, né vero Christiano se non chi sente in spirito vivamente Dio. [15] Se alchuno si salva senza Cristo. [16] Della via secura per andare a Dio. [17] Delle lamentazioni. [18] Qual fu quella cosa che constrense Cristo a morir in croce. [19] S’el fu expediente che Christo morisse in su la croce. [20] Chome è vero che Dio ponesse in Christo le nostre iniquità. [21] Chome doverebbe meditarsi la passione di Christo. [22] Del triompho e gloria del crucifixo. [23] Dell’ordine che dovrebbe tenersi in predicarsi. [24] Che cosa è predicar lo Evangelio. [25] Chome, ben che Cristo sia stato, e sarà sempre, sommo scandalo al mondo, nientedimeno, non dè mai, né darà alcuno scandalo. [26] Come li perfecti cristiani non debbano mai scandalizzarsi.

Il corpus delle prediche fino a tutto il 1543 è dunque completo, con la preliminare inclusione, ovviamente, di quelle stampate in Italia e anteriori alla fuga, le lucchesi tenute nel 1538 e le veneziane tenute nel ’39 :

Prediche Predicate dal R.. Padre Frate Bernardino da Siena dell’ordine de Frati Capuccini. Ristampate Novamente. Et giontovi un’altra Predica, Venetia per Bernardino de Viano de Lexona Vercellese, Anno Domini mdxxxxi. Adì xvi Marzo.48

Prediche nove predicate dal reverendo Padre Frate Bernardino Occhino Senese, Generale dell’ordine di frati Capuzzini nella Inclita Città di Vinegia : del mdxxxix Che fu la prima la Domenica di passione [sulla confessione]. La seconda il Martedì [sull’Annunciazione e l’Incarnazione]. La terza il Venerdì [sulla necessità della crocifissione]. La quarta il Sabato dopo la detta Domenica di passione, avanti la Domenica dell’Olivo [sulla contemplazione di Cristo crocifisso]. La quinta il Lunedì santo [sul sacramento dell’eucaristia]. La sesta il Giovedì santo [sulla sapienza mondana, la legge mosaica e la legge evangelica]. La settima il Lunedì di Pasqua [sulla vera divinità di Cristo]. La ottava il di` della Maddalena [sulla Maddalena, indicata alle donne come esempio]. La nona il dì di S. Nicolò alli scolari in Perugia [sui libri dell’umana sapienza e sul libro di Cristo crocifisso]. Nuovamente date in luce, e con grandissima diligenza stampate. mdxli. [nel colophon :] In Vinegia, per Nicolò d’Aristotile da Ferrara, detto il Zoppino. Negli anni del nostro Signore mdxli Del Mese di Maggio.49

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Spostiamoci ora sul versante testuale della Colonna. Quale fu l’opinione dei contemporanei sulle dottrine religiose presenti nelle rime spirituali di lei ? Nell’estate del 1540 il gran connestabile Montmorency intercettò « un libro di sonetti scritti a mano della signora Marchesa di Pescara » che un non altrimenti menzionato « gentilhuomo », tramite l’ambasciatore estense Alberto Sacrati, inviava a Margherita di Navarra. A detta del Montmorency, in quei sonetti « v’erano di molte cose contro la fede di Gesù Christo ».50 Pietro Carnesecchi, agli inquisitori romani che lo interrogavano, tra il novembre del ’66 e il febbraio del ’67, sulle posizioni dottrinali della Colonna, rispose che gli pareva « havere compreso, legendo qualche suo sonetto, che ella tenesse la predestinatione assolutamente », pur non sapendo dire « a ponto » in che modo, e che inoltre « tenesse l’articulo della giustificatione per la fede », considerata l’« intrinsichezza » da lei avuta prima con l’Ochino e poi col Priuli e col Flaminio, « oltre all’inditio, che di ciò danno i sonetti composti et stampati di detta signora ».51 « Dalli suoi ragionamenti conosceva che ella haveva hauto amicitia con frate Bernardino da Siena et dubito che havesse anco havuto delle sue opinioni », ammette, senza però chiamare in causa le rime, il cardinal Morone, entro il processo inquisitoriale intentatogli nel corso degli anni ’50.52 Se le voci bibliografiche sulla spiritualità della Colonna sono assai numerose,53 variamente articolate tra i due estremi dell’eterodossia e dell’ortodossia, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda i rapporti specifici rime-Ochino, come se gli storici della sensibilità religiosa esitassero ad affrontare il campo della testualità letteraria e gli storici della letteratura preferissero non troppo addentrarsi in un’area che non è di loro stretta competenza. La riflessione sulla poesia religiosa del Cinquecento richiede invece, per così dire, una disponibilità statutaria allo sconfinamento disciplinare.54 Utili prospettive esegetiche sono ad esempio aperte, per quanto riguarda le risonanze valdesiane entro le rime di Vittoria, da Carlo Ossola nell’introduzione a Lo Evangelio di San Matteo di Juan de Valdés.55 Per Ochino, gli unici nomi da menzionare, se non ho visto male, sono quelli di Domenico Tordi e di Emidio Campi, all’inizio e alla fine del secolo. Il Tordi, illustrando nel 1900 la raccolta inviata alla regina di Navarra, corredava di parchi riferimenti ochiniani alcuni sonetti (gli attuali S1 121, S2 34 e S2 31 dell’edizione Bullock).56 Il Campi (1994), nel corso di un’analisi dottrinale comparativa Ochino-Colonna articolata intorno ai due nuclei tematici della cristologia e della mariologia, suggeriva un puntuale contatto, di ordine lessicale, per S1 22.57 Elemento comune, nei raffronti elencati, il riferirsi alle Prediche nove, veneziane, edite nel ’41.

Intanto è opportuno chiedersi se è possibile individuare, all’interno della produzione religiosa della Colonna (le sezioni, cioè, S1 e S2 del Bullock), fasi temporalmente distinte. La suddivisione in tre periodi suggerita dal più che benemerito editore (ante 1538, con prevalenza del tema amoroso ; post 1540, con prevalenza del tema religioso ; coesistenza dell’uno e dell’altro nel 1538-40),58 se può valere come formula compendiosa, è però, nei fatti, troppo « rigida e schematica », inadatta a dar conto di una vicenda spirituale unitaria quanto complessa, dai primi incontri con l’Ochino ai contatti negli anni ’40 con l’ecclesia viterbiensis.59 Una prima indicazione temporale è fornita da una lettera di Carlo Gualteruzzi a Cosimo Gheri del 12 giugno 1536 : « La Signora Marchesa di Peschara ha rivolto il suo stile a Dio et non scrive d’altra materia, sì come per l’incluso sonetto potrà vedere, il quale mando per una mostra di questo suo cangiato stile ».60 Dedizione esclusiva alla tematica spirituale, dunque, almeno a partire dal ’36. Altri appigli cronologici potranno essere offerti dalla tradizione manoscritta e a stampa. Una, tra le numerose tabelle del Bullock, risulta particolarmente utile : quella, alle pp. 463-85, che registra da quali stampe e manoscritti sia tràdito ogni singolo componimento, e che permette di ricavare quali componimenti ogni testimone trasmetta. I sonetti spirituali offerti dalla prima raccolta a stampa (la parmense del ’38 allestita dal Pirogallo)61 risultano pertanto i seguenti :

(rime 1538) S1 1, S1 2, S1 5, S1 7, S1 24, S1 51, S1 88, S1 93, S1 95, S1 99, S1 100, S1 111, S1 114, S1 115, S1 121, S1 139, S2 1, S2 35.

Figurano invece per la prima volta nella stampa fiorentina « del mese di Luglio » 1539, « ad instantia de Nicolò d’Aristotile, detto il Zoppino, da Ferrara »,62 i numeri

(rime -3 1539) S1 8, S1 10, S1 18, S1 54, S1 55, S1 83, S1 92, S1 124, S2 11, S2 22.

Nel ’40, con la raccolta veneziana « per Comin de Trino » ad istanza, ancora una volta, « de Nicolò d’Aristotile detto Zoppino »,63 la serie spirituale si arricchisce di

(rime 1540) S1 6, S1 12, S1 13, S1 50, S1 52, S1 53, S1 57, S1 84, S1 98, S1 132, S2 5, S2 36.

Altre stampe si aggiungono, tra il ’40 e il ’46 (tra cui la scelta commentata di Rinaldo Corso, del ’43), senza fornire incrementi.64 Incremento decisivo e capitale, nel ’46, Le rime spirituali « non più stampate da pochissime in fuori », edite in Venezia « appresso Vincenzo Valgrisi » : 180 poesie di cui, in effetti, 145 inedite.65 Le date delle varie raccolte forniscono insomma, in mancanza di meglio, almeno un limite ante quem per la redazione di alcuni dei componimenti.

Qualche indicazione ulteriore si può forse ottenere facendo ricorso ai manoscritti. A proposito della silloge allestita per Margherita di Navarra, individuata dal Tordi nel Laurenziano Ashburnamiano 1153 (in sigla, L), Dionisotti osservava come « una raccolta stranamente disordinata e difettosa dei sonetti di Vittoria Colonna, messa insieme nel 1540 da un gentiluomo che era “compatre” di Alberto Sacrati, oratore estense in Francia, e conseguentemente inviata a Margherita di Navarra tramite quello stesso oratore », facesse pensare « a una provenienza ferrarese [...] e al lungo soggiorno che poco prima, nel 1537-8, Vittoria Colonna aveva fatto a Ferrara ».66 Sembrerebbe legittimo, in tal caso, pensare che i sonetti religiosi tràditi dal testimone risalgano appunto ai mesi del soggiorno ferrarese della poetessa :67

(L) S1 1, S1 2, S1 11, S1 17, S1 18, S1 19, S1 22, S1 23, S1 24, S1 25, S1 27, S1 29, S1 30, S1 50, S1 51, S1 52, S1 53, S1 54, S1 55, S1 56, S1 57, S1 83, S1 84, S1 88, S1 92, S1 93, S1 95, S1 98, S1 99, S1 100, S1 101, S1 103, S1 104, S1 105, S1 107, S1 108, S1 110, S1 111, S1 112, S1 113, S1 117, S1 121, S1 123, S1 124, S1 129, S1 132, S1 133, S1 134, S1 139, S2 2, S2 3, S2 19, S2 22, S2 23, S2 25, S2 30, S2 31, S2 32, S2 34.

Certo, il fatto che il manoscritto (esplicitamente datato 1540 e giunto sotto l’occhio sospettoso del Montmorency già nell’estate) venisse presumibilmente allestito a cavallo tra il ’39 e il ’40, rende possibile l’impiego, da parte dell’ignoto artefice, tanto di rime 1538 quanto di rime-3 1539.68Ma, quand’anche si sottraggano dalla lista i componimenti già a stampa, il restante e consistente manipolo resta ascritto a merito dell’anonimo compilatore :

(L) S1 11, S1 17, S1 19, S1 22, S1 23, S1 25, S1 27, S1 29, S1 30, S1 50, S1 52, S1 53, S1 56, S1 57, S1 84, S1 98, S1 101, S1 103, S1 104, S1 105, S1 107, S1 108, S1 110, S1 112, S1 113, S1 117, S1 123, S1 129, S1 132, S1 133, S1 134, S2 2, S2 3, S2 19, S2 23, S2 25, S2 26, S2 30, S2 31, S2 32, S2 34.

C’è infine l’insieme dei 103 sonetti (dei quali solo 25 già editi) presenti nel codice Vaticano Latino 11539 (in sigla, V2), inviato dalla Colonna a Michelangelo e risalente al ’40-’41 :69

(V2) S1 1, S1 3, S1 4, S1 5, S1 7, S1 8, S1 9, S1 10, S1 11, S1 12, S1 14, S1 17, S1 18, S1 19, S1 20, S1 21, S1 22, S1 23, S1 25, S1 26, S1 27, S1 28, S1 29, S1 30, S1 32, S1 33, S1 34, S1 35, S1 36, S1 50, S1 51, S1 52, S1 53, S1 54, S1 55, S1 56, S1 57, S1 58, S1 59, S1 60, S1 61, S1 62, S1 63, S1 64, S1 65, S1 67, S1 76, S1 77, S1 78, S1 79, S1 80, S1 81, S1 82, S1 83, S1 84, S1 85, S1 89, S1 92, S1 93, S1 94, S1 95, S1 97, S1 98, S1 100, S1 101, S1 103, S1 104, S1 105, S1 106, S1 107, S1 108, S1 110, S1 112, S1 113, S1 116, S1 117, S1 118, S1 119, S1 121, S1 122, S1 123, S1 124, S1 125, S1 129, S1 130, S1 131, S1 132, S1 133, S1 134, S1 137, S1 141, S1 145, S1 179, S2 2, S2 3, S2 12, S2 19, S2 22, S2 23, S2 30, S2 31, S2 32, S2 34.

Per i componimenti spirituali che non figurino registrati nelle precedenti tavole dobbiamo accontentarci del 1546 come generico termine ante quem, che è la data della stampa Valgrisi. Non è questa la sede per trarre conseguenze di ordine testuale, implicanti l’eventuale riconoscimento, nella tradizione, di varianti d’autore e di direzioni elaborative ; ci basti l’aver tentato di distribuire nel tempo, intorno a date certe o probabili, elementi che appaiono al lettore appiattiti nella sincronia della stampa veneziana del ’46. Premessa, questa, indispensabile per una ricostruzione dell’ultimo decennio dell’operosità di Vittoria, anche al di là dei legami specifici con l’Ochino.

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Tentiamo ora un raffronto per così dire stratigrafico tra prediche ochiniane e sonetti. L’accostamento tra il poco che mi è disponibile delle prediche lucchesi del 1538 e rime-3 1539 più rime 1540 mette in evidenza qualche scheggia di terminologia in comune : il « dono » dall’alto, il « tesoro » elargito, il non « confidare » e il « disfidare » in sé e nelle proprie opere, il « dolce e soave » intervenire di Cristo.70 Ma è il caso, anche, di tener conto della geografia e della strategia editoriale. Il fedele acquirente, infatti, delle stampe veneziane dello Zoppino, o ad istanza di lui, negli anni ’40-’41, avrebbe potuto allineare sul tavolo tanto i Dialogi del frate, prima quattro e poi sette (1540), dal contenuto spirituale subito sciorinato nel lunghissimo titolo,71 quanto le Rime de la diva Vettoria Colonna de Pescara inclita Marchesana novamente aggiuntovi xxiiii sonetti spirituali, e le sue stanze, e uno triompho de la croce di Christo non più stampato con la sua tavola (rime 1540). L’anno successivo, la biblioteca si sarebbe arricchita delle Prediche nove predicate dal reverendo Padre Frate Bernardino Occhino Senese [...] nella Inclita Città di Vinegia, e quello ancora seguente, 1542, i ritardatari avrebbero potuto procurarsi una ristampa degli esauriti Dialogi.72 Se il Pirogallo (rime 1538) aveva reso pubblici diciotto componimenti spirituali della riluttante marchesa, Nicolò d’Aristotile detto Zoppino aveva elargito ai suoi lettori, oltre ai diciotto, dieci pezzi in più attraverso rime-3 1539, nonché un supplemento di dodici in rime 1540 ; a tutto questo si aggiungevano, nel maggio del ’41, gli interventi quaresimali di Ochino in una Venezia che due anni prima, a dire del Bembo, l’aveva adorato. Era il segno, chiaro, di nuovi orientamenti nel gusto del pubblico, sensibile, ora, ai richiami dell’attualità religiosa. « Anche la presentazione editoriale », osserva Dionisotti a proposito di rime 1540, « era fatta per dare risalto alla giunta spirituale : sul frontispizio, fra il titolo e la data, una figura di donna in abito monacale inginocchiata davanti al Crocifisso ; nel verso, altra figura con la Crocifissione ».73 L’immagine della devota assorta in preghiera poteva essere facilmente accostata, nel frontespizio delle Prediche e, già prima, dei Dialogi, all’immagine di un frate barbuto dall’ampio saio e dal largo cappuccio, la tonsura scoperta, le mani giunte, gli occhi rivolti a un crocifisso raggiante, del quale l’incisore ha saputo rendere con linee fitte il sovrabbondare di luce. Una lettura in parallelo, dei Dialogi e delle rime 1540, permette di aggiungere qualche altro elemento alla lista comparativa sopra abbozzata : la « luce inaccessibile » di cui Dio si circonda, le « fiamme accese » del cuore, il « transformarsi in Dio » attraverso il disprezzo del mondo, il « peregrinare » anelando alla « patria » vera, la « guida » dell’angelo « per diritta via » :

« lo intelletto nostro è [...] in questo carcere del corpo tenebroso incluso [...]. Et [...] in tante tenebre imperfettamente veggiamo Dio, il quale, sì come è scritto, habita una luce inaccessibile [I Tim 6 16], vestito di lume : ha posto le tenebre al suo latibulo », p. 49 (« Signor, che ’n quella inaccessibil luce, / quasi in alta caligine, T’ascondi, / [...] / Risguarda me, Ti prego, in questo centro / terrestre afflitta », S1 88, vv. 1-10) ; « le parole che vengano dal cuore sono come fiamme accese », p. 53 (« quella accesa / secreta fiamma ch’ogni gel consuma », S1 10, vv. 10-11) ; « il disprezzo del mondo nasce in noi dal amore di Iddio », p. 48 ; « Bisogna adunque lasciare se stesso et tutto, chi vuole andare a Giesù Christo », p. 54 ; « Vogli vostra signoria essercitarsi in tali essercitii, annihilando se stessa in transformarsi in Dio », p. 58 (« il mondo e se medesmo sdegna / colui che chiude a l’ombra ed apre il seno / al raggio puro che ’l trasforma in Dio », S1 13, vv. 13-14) ; « Mi truovo in questo mondo peregrina e so che in questo mondo non è la patria mia), p. 99 (« e se non ch’ella, peregrina, è indegna / del ben di tanta patria [...] », S1 1, vv. 9-10) ; « a me bisognarebbe una buona guida ; e perché io non saprei trovar meglio che l’Angelo, qual ha di me custodia e sempre mi fa compagnia, però io voglio un poco parlar con esso lui », pp. 99-100 ; « Fa che sempre vadi per diritta via », risponde l’Angelo, p. 103 (« Da Dio mandata, angelica mia scorta, / guida per dritto calle al Ciel la mente », S1 7, vv. 1-2).74

Per quanto riguarda le Prediche nove, chi ne sfoglia le pagine insieme alle rime 1540 vede subito che le zone più rischiose del testo, quelle dove la teologia ancora prudente e un po’ astratta dei Dialogi comincia a tradursi, pur sotto la maschera, in puntate aggressive e in impeto verbale, non hanno riscontro nella Colonna. In lei non compaiono né censure ai « prelati » che « si pensano salvare dicendo messa, stare in chiesa al vespero con fare a’ secolari qualche adornamento, paramenti, e qualche sepolchro bello, e simile cose esteriori »,75 né attacchi ai costumi curiali (« Hor vatene a Roma in Cancellaria, e in penitentiaria, e troverai che Christo abscondit se, et exivit de templo »),76 né spunti polemici contro « distintioni », « argomenti », « questioni », « figure », « confusioni », « astutie » della pretenziosa « theologia humana » o « paragrafi, titoli, digesti e codici » che ottenebrano la legge di Cristo,77 né affermazioni più o meno ambigue e velate circa il primato della coscienza, la confessione, l’obbedienza al pontefice, il purgatorio, i voti, il valore memoriale dell’eucaristia, l’importanza della contemplazione del Crocifisso rispetto al sacramento dell’altare.78 La parola « beneficio », emblematica della nuova spiritualità e destinata a larga fortuna grazie al libello del ’43,79 già largamente impiegata da Ochino,80 non fa parte del vocabolario poetico della Colonna, registrante piuttosto i « doni », le « grazie », la « benigna alta mercede » (cfr. ad esempio S1 15). Ciò che invece è presente, tanto nell’una come nell’altro, è l’assoluta centralità della meditazione sulla croce.81 Il pregare a mani giunte davanti ad essa, postura devota del cappuccino nel frontespizio dei Dialogi e delle Prediche nove, è subito rappresentato anche nel « triompho de la croce » che apre rime 1540 : « Sugli omer santi [...] / [...] io vidi il segno / ch’a pianger sempre il primo error m’invita, / quel del nostro gioir sicuro pegno / ch’adorar con le man giunte si deve / perché sostenne il nostro ver sostegno » (S2 36, vv. 109-14). E il soverchiante sfolgorare è tradotto in parole già ad inizio di libro : « vengano a mille in me calde quadrella / da l’aspre piaghe » (S2 5, successivo al Trionfo, vv. 12-13) ; « Chiari raggi d’amor, scintille accese / di pietà viva escon dal sacro lato » (S2 5, terzo componimento, vv. 1-2). Del resto anche le Prediche si riconnettevano a quanto suggerito dall’incisione : le grazie celesti a noi elargite sono « tante scintile immo fiamme d’amore » (c. 37r) ; dal corpo del Cristo « tu ne vederai uscire [...] scintille, immo fiamme » (c. 42r). Progredendo nella lettura, l’affinità di linguaggio tra rime e prosa, solo in parte indotta dalle comuni ascendenze scritturali, si conferma.82 Il Signore muore « per le nostre empie colpe », S1 6 (secondo), v. 2 (« Christo [...] venne a sodisfare [...] per tutte le colpe nostre », c. 12v) ; sdegna sé stesso e il mondo colui che si apre « al raggio puro che ’l trasforma in Dio », S1 13 (quinto), vv. 12-14 (« il spirito mio desidera [...] trasformarsi veramente in Dio per amore », c. 2r ; la carità « violenta l’huomo a trasformarsi in Dio », c. 49r ; sulla scorta, tutto questo, dello slancio mistico bonaventuriano : « oportet quod relinquantur omnes intellectuales operationes, et apex affectus totus transferatur et transformetur in Deum ») ; 83il cuore, traboccante di letizia, contempla ad una ad una, « per viva fede », le grazie divine, S1 50 (sesto), vv. 1-4 (« con una viva fede [...] e con gli occhi d’il corpo serrati per meglio potere contemplare [...] », c. 29v) ; Dio è « Di vero Lume abisso immenso e puro », cui sono insensibili i « saggi del mondo », S1 93 (ventunesimo), vv. 1-4 (all’abisso dei nostri peccati si oppone « l’abbisso [...] della bontà della misericordia de Dio », c. 7r ; per il « savio del mondo » è stoltezza credere nella divinità del Cristo crocifisso, c. 28v) ; il « cibo » da cui Vittoria è « nutrita » permette di « far glorïose prede » in cielo « per forza d’un sol puro acceso affetto », S1 18 (ventiseiesimo), vv. 1-8 (« Alcuni anchora vanno in Cielo con Christo : e tanto sono uniti per via di charità che più non stanno in terra [...] cibandosi, e nodrendosi di quelli pretiosissimi cibi di quella Regal mensa », c. 45r) ; il vegliardo Simeone (Lc 2 25-35), contento di morire dopo aver tenuto in braccio il bambino Gesù, benedice e profetizza, S1 114 e 115, trentaquattresimo e trentaseiesimo (« Inesplicabile letitia vediamo in Simeone, quando nel tempio sostenne Giesù piccolino nelle sue braccia [...] », c. 27r) ; il Signore si nasconde « ’n quella inaccessibil luce, / quasi in alta caligine », S1 88 (centoventinovesimo), vv. 1-2 (« e entra in quella santa caligine, in quella dotta ignorantia [...] », c. 29v).84 Dedicati, infine, a Maria Maddalena sono tanto il sonetto S1 121, centocinquantaquattresimo e penultimo, quanto la predica ottava (cc. 63v-73v), nella quale la peccatrice voltasi a diuturne macerazioni è proposta « per specchio e norma d’ogni penitente ».85 Il buon seme di Ochino non cadeva, certo, su terreno refrattario, se anche Vittoria conferiva un valore esemplare alla santa donna (« ond’io mi specchio e tergo / nel bello exemplo », S1 121, vv. 6-7), a lei attribuendo il ruolo, soprattutto, di rappresentare le facoltà mistico-ascetiche femminili al più alto grado. Stimolo remoto nel tempo, forse, il dibattere nel Cortegiano tra Gaspare Pallavicino, per il quale « l’anime delle donne » sono meno « versate nelle contemplazioni » rispetto a quelle maschili, e il magnifico Giuliano, che ricorda come Maria Maddalena, « non con minor grazia che san Paulo », fosse « molte volte rapita dall’amor angelico al terzo cielo » (IV, lxxii). Tale culto non appare comunque mai dismesso dalla marchesa : una Maddalena penitente dipinse Tiziano per lei nel 1531,86 e un’altra Maddalena le venne inviata da Isabella Gonzaga due anni dopo ;87 documentano inoltre un non sopito interesse la lettera al cardinal Morone del 22 giugno 1544 (Carteggio, pp. 277-79) e quella, anteriore al 1545, a Costanza d’Avalos Piccolomini duchessa d’Amalfi (pp. 299-302), estesa meditazione sulle « due gloriose donne » Maddalena e Caterina d’Alessandria. Al lungo soggiorno penitenziale della santa in una « spelonca » nei pressi di Marsiglia, raccontato dalla Legenda aurea, fanno riferimento sia Ochino, diretto conoscitore della regione (« questo luogo detto la Bauma appresso Marsilia, dove sono stato io »),88 sia la Colonna di S1 121, desiderosa, come risulta da un breve papale del ’37, di visitare la chiesa « Santi Maximini in provincia Provinciae, in qua Beatae Mariae Magdalenae corpus reconditum esse creditur ».89 Ancora Maria Maddalena evocano il sonetto S1 155 (che appare solo nella stampa Valgrisi del 1546) e il Trionfo S2 36, primo componimento di rime 1540. Il prosternarsi e il piangere è gestualità peculiare, registrata in S1 155 (a proposito della visita al sepolcro e dell’incontro col Risorto) come nel Trionfo (dove la penitente è, sul carro, china davanti alla croce) : « Ai santi pie’ colei che simil nome [di Maria] / onora vidi, ardendo d’amor, lieta / risplender, cinta da l’aurate chiome. / La mosse a pianger qui ben degna pieta, / [...] » (S2 36, vv. 124-27). Nella fattispecie la prosa di Ochino, posteriore rispetto a un testo risalente ai primi anni ’30,90 poteva fungere, dal punto di vista del lettore, da amplificante sottolineatura :

E però sempre tu vedi Maddalena alli piedi di Christo : alla predica alli piedi di Christo : in casa del Phariseo alli piedi de Christo : in casa sua alli piedi di Christo : alla Croce alli piedi di Christo : alla sepoltura alli piedi di Christo. Et in ogni luogo finalmente dove si trova sempre piange : pianse alla predica di Christo nella sua conversione : pianse in casa sua nel dispregiare le pompe : pianse in casa del Phariseo : pianse alla morte di Lazzaro suo fratello [...] pianse alli piedi della Croce : pianse al deponer Christo di Croce [...] piange hora in Cielo gli peccati delli miseri peccatori (c. 71rv).

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Con altro, della Colonna, le Prediche nove possono essere messe proficuamente in contatto. Paolo Simoncelli ha dimostrato come la manoscritta Meditatione del venerdì santo, conosciuta a stampa con il titolo di Pianto della Marchesa di Pescara sopra la Passione di Christo,91 sia una lettera-trattatello inviata ad una « Reverentia Vostra » che è legittimo identificare in Ochino.92 Ai luoghi probanti del Simoncelli aggiungo qualche altro reperto. Il catalogo delle virtù di Cristo (« Poi considerava anzi vedeva nel Divin volto depinto i vestigij della charità, della obedientia, della humiltà, della pacientia, et della pace »)93 è abbreviatura rispetto a Prediche nove e Dialogi sette : « tutte le virtù imparerai da Christo : e dalla sua humiltà scacciarai la superbia : dalla sua liberalità l’avaritia : dalla sua patienza la desperatione : dalla sua benignità la tua malitia : dalla sua prudentia scacciarai la tua stultitia : dalla sua fortezza la tua accidia ») ; « La sua profonda humiltà, l’alta et sublime sapientia, la estrema povertà, la longa patientia, l’humile obedientia, l’ampla carità, dolce pietà, aspra penitentia, vigilie, abstinentie, ferventi orationi et altre sue virtù [...] ».94 Di questi elenchi il sonetto S1 77, vv. 9-11, fornisce l’adattamento poetico : « Pazïenza, umiltà, vero obidire / con l’altre alme virtù furon le stelle / ch’ornaro il sol de la Sua caritade ». Tra i moti dell’animo della Madonna si registra il « liquefarsi » interiore, nella Meditatione del venerdì santo davanti alla croce e, nelle Prediche, davanti all’angelo dell’Annunciazione : « li pareva che a lei sola appartenesse el grand’offitio de supplire a tanto debito [cioè onorare Dio Padre dopo la morte del Figlio], onde havria voluto liquefarsi, consumarsisi anzi farsi ultima nel fuoco dell’amore et ne le lacrime de la compassione [...] » ;95 « è da credere che la Madonna [...] si riempiessi di tanto contento, di tanta dolcezza che io mi imagino, se non fusse stata la man dell’immenso Dio, che la sosteneva, che la si saria liquefatta, annihilata per dolcezza, e amore [...] ».96 Maria « tocca » con « riverenza » (Colonna) le membra del Cristo deposto : « Credo anchora che andava con la mente et con la mano cercando con summa Reverentia i luochi più nobili onde habitava quel’anima santa, et toccava il cuore parendoli a ogn’hora se movessi [...] ».97 « Riverenza », insegna Ochino, comune a tutti coloro che ebbero il privilegio di « toccare » Cristo fatto uomo : tra i quali, oltre alla Madonna, Giuseppe di Arimatea, Nicodemo, Giovanni apostolo e Giovanni Battista, Simeone ; e « riverenza » anche nostra, di cristiani contemplanti, che assumono a modello di contemplazione proprio la vergine Maria : « Hor se con tanta riverenza, e con tanto honore tutti questi hanno toccato, e maneggiato Christo in carne, e mortale, e passibile, molto con maggiore riverenza dovemo, e siamo obbrigati noi a riverire, a honorare, a ringratiare questo Christo sul legno della croce, e dovvi questa buona nuova questa mattina, che noi trovaremo la via, e il modo da contemplar Christo in Croce con il spirito d’una viva fede, con una ardente charità, com’io son certo che sopra ogn’altra creatura la Madonna fece ».98 Per Maria, capace di trascendere il dolore umano, il « contento » risiede nell’accettare pienamente il Sacrificio del figlio, consapevole del ruolo salvifico di Lui. Colonna : « ben sapeva ove era l’anima beata [di Cristo], né da sì degna opera l’havrebbe voluta rivocare per nisciun suo contento, anzi de quel che summamente se doleva la ringratiava assai ».99 Più estesamente Ochino : « piamente è da credere, che la dicessi [dopo l’annuncio dell’angelo] : Signor mio io son contenta d’esser la serva tua, e medesimamente del tuo figliuolo : [...] e mi contento stentare con lui xxxiii anni in questo mondo, e patire fame, e sete, freddo, e caldo, e ogni altra pena sol per la gloria tua. [...]. E mi contento anchora deposto della Croce haverlo nelle mie braccia [...]. E poi me contento tornarmene a casa priva del mio figliuolo : e tutto quel tempo, che più vorrai che viva, essercitarmi in lodarti, in ringratiarti di tanto beneficio della salute nostra ».100 Accompagna la Meditatione del venerdì santo la Meditatione (nel testo a stampa : Oratione) sopra l’Ave Maria, commento alla preghiera parola per parola, secondo un procedere già abbozzato nella seconda delle Prediche nove :

Venne l’Angelo a salutare la Madonna, dicendoli : Ave gratia plena dominus tecum : benedicta tu in mulieribus. Dio ti salvi piena di gratie, e veramente piena : perché in se conteniva tutte le gratie del Cielo, havendo conceputo il figliuol di Dio : e però Dominus tecum : che tutta la trinità habitava con lei, e meritamente sei benedetta fra tutte le altre donne : perché non è stata, né mai sarà nissuna, che habbia meritato d’esser madre de Dio, habitacolo dello Spirito santo.101

Anche per sonetti che non siano compresi entro il perimetro di rime 1540 è talvolta adeguata la chiave esegetica delle Prediche veneziane. L’uomo, ad esempio, è soggiogato dal « primo inganno » del serpente ; « ma s’a mirar sarà dal vero spinto / in croce quel celeste eneo dolce Angue », potrà affrancarsi e librarsi in alto (S2 7). All’« eneo dolce Angue » costruito da Mosè per sollecitazione del Signore (Num 21) fa riferimento la predica prima, c. 7v : come gli Israeliti « quando erano feriti da i serpenti [...] si specchiavano e contemplavano in quel serpente eneo, il quale gli guariva, e gli sanava dalle infirmità sue, così debbi far tu ».102 Umiltà e innocenza sono virtù detenute da Cristo in opposizione alla nostra superbia e malignità, all’interno di un elenco (ancora nella predica prima, c. 4v) simile a quello che abbiamo sopra citato : « sarai sforzato [...] conoscere [...] dalla sua humiltà, la tua superbia : dalla sua innocentia, la tua malignità : [...] dalli innumerabili beneficii, la tua ingratitudine : e finalmente tutte le virtù, tutte le bontà vedrai risplendere in quello innamorato Christo ». Si legano l’« innocenzia » e l’« umiltà » alla loro umana antitesi anche in S1 59, vv. 1-6 (« L’innocenzia da noi per nostro errore / veggio punire [...]. / Veggio offender con odio il vero amore / e ferir l’umiltà con fiero sdegno »), mentre l’« ingratitudine » viene registrata come risposta al largo donare di Dio in S1 15, vv. 1-4 : « Deh ! potess’io veder per viva fede, / lassa ! con quanto amor n’ha Dio creati ! / con che pena riscossi ! e come ingrati / semo a così benigna alta mercede ! ».103 Il sonetto si conclude nell’auspicio di poter fruire del perdono divino (« la sua grande misericordia a perdonarti tanti, e tanti peccati », predica prima, c. 4v), con la consapevolezza di quanto sia inadeguata l’umana capacità di elevazione : « Ma poiché per mia colpa non si stende / a tanta altezza il mio basso pensero, / provar potess’io almen com’Ei perdona ! ». Limite del pensiero e dell’intelletto, nel contemplare la croce, sanabile unicamente per fede :

Questo vèr noi maraviglioso effetto
di morir Dio su l’aspra croce excede
ogni umano pensier, onde no ’l vede
con tutto il valor suo nostro intelletto ;

ma se del bel misterio in mortal petto
entra quel vivo raggio, che procede
da sopra natural divina fede, immantenente il tutto avrà concetto
(S1 78, vv. 1-8)

Concisamente : « l’intelletto nostro non arriva, e non è capace di quella tanta altezza, e bene » (predica ottava, c. 69r) ; in maniera più argomentata : « a quel modo, che potrò, diremo di questo inenarrabile, di questo incomprensibile, di questo inexplicabile sagramento : che con il senso nostro non lo potremmo intendere : ma più presto con una viva fede, e con l’occhio vivo del cuore, per ecceder sopra l’intelletto nostro » (predica seconda, c. 11r). E il discorso, nella letizia dell’avvenuta annunciazione e incarnazione, continua così : « Adunque diremo : Che hoggi Christo è per noi incarnato. O felice giorno, o giocondo giorno è questo per noi : gran festa dobbiamo far tutti, grande allegrezza doverria nascer ne’ cuori humani [...]. Questo fu quel giorno, che fu creata la pura anima di Christo [...]. Questo è quel giorno, che [Dio] a noi ha mostrato la sua infinita liberalità in farci participi de tutte le celesti gratie. E poi ultimamente questo è stato il giorno, che ci ha aperto il Cielo [...] ». Manifestano analogo tripudio S1 22, vv. 1-3, e S1 23, vv. 1-12 : « Felice giorno, a noi festo e giocondo, / quando offerse il Signor del sacro e puro / corpo nudrirne » ;104 « Aprasi il Ciel, e di Sue grazie tante / faccia che ’l mondo in ogni parte abonde, / [...] / per adornar il giorno aventuroso / che ne die’ il parto eternamente eletto / per apportar vera salute a noi ». L’incarnazione fu il mezzo piu` adatto per redimere l’umanità : « Vedea l’alto Signor, ch’ardendo langue / del nostro amor, tutti i rimedi scarsi / per noi s’Ei non scendea qui in terra a farSi / uomo, e donarci in croce il proprio sangue » (S1 30, vv. 1-4 ; vedi predica seconda, c. 12v : « non era mezzo alcuno tanto sofficiente, che havesse potuto sodisfare ad una cosa infinita [cioè all’offesa verso la divina clemenza], se non questo Dio, e huomo : cioè Christo posto in Croce »).105 Al tema dell’Annunciazione (e dunque sempre alla seconda predica) sono legati i sonetti S1 131 e S2 24. Generico l’accenno a « umiltà » e « carità » di Maria nel primo (vv. 10-11 : « l’umil risposta e quel casto timore, / l’ardente carità [...] » ; « Nota grande humiltà della Madonna, e che gran charità », cc. 16v-17r) ; della compresenza di letizia e dolore nell’evento dell’Annunciazione, puntato verso l’epilogo cruento della croce, parla il secondo (« Oggi la santa sposa or gode or geme / del principio e del fin di quella vita / ch’eterna a noi la diede, onde ne ’nvita / a dolce gaudio e amaro pianto inseme », vv. 1-4), da leggere sulla scorta di quanto Ochino afferma sopra l’accettazione mariana del piano salvifico, ivi compresa la sofferenza ventura.106 La domanda a Maria, che verte, nella predica terza, sulla crocifissione (« Se domandasse la Madonna : Sei tu contenta, che ’l tuo figliuol sia morto sul legno della Croce. Diria de sì », c. 26r) riguarda, in S1 103, la tenerezza del rapporto madre-fanciullo.107 Ma l’artificio vivacizzante della sermocinatio, a integrazione immaginativa del racconto sacro, coinvolge nel finale della predica terza anche gli angeli, gli apostoli, il Padre eterno e Cristo. Di tale fittizio interloquire si riporta il primo e l’ultimo caso :

Se io havesse domandato a gli Angeli : Saresti voi contenti che Christo morì su la Croce : che vi ha fatto tanti intelligenti delle divine cose, e tanto infiammati del suo evidente amore : harebbero ditto : Sì : perché Nos legem habemus, et secundum legem debet mori [Io 19 7]. Noi havemo questa legge di charità, che ’l bisogna che ’l mora per salvare l’humana generatione. [...] Se io domando a Christo : Sei tu contento di morire su la Croce. Che dirria : Sitio [Io 19 28]. Io non sitisco altra cosa, né altro bramo, se non salvare le anime. E però io dissi : Deus meus, Deus meus, ut quid dereliquisti me [Mt 27 46]. Dio eterno tu me hai abbandonato. E questo perché io non mi contento per lo amore ardente ch’io porto alle creature di stare sul legno della Croce a patire tanti crociati, e dolori per spatio di tre hore : ma io vorrei stante la mia charità che questa mia pena, e questa passione durasse sopra il corpo mio più de tre mila anni e più per fino il giorno dil Giuditio : accioché gli peccatori havessero più tempo de indolcire, e da intenerire gli suoi indurati cuori : e che vedendo ch’io continovamente stillo il mio sangue per loro, e il mio costato vedendolo sempre aperto, anchora loro apriscono il cuore suo dalle obstinationi (cc. 25v-26r).

La convinzione angelica della necessità del Sacrificio si mescola, nel sonetto S1 42, alla compassione e alla compartecipazione : « Gli angeli ardendo insieme di morire / mostrar desio, ma carità maggiore / fu giusto freno a sì pietoso ardire, / dicendo : “Ristorar non può il mio onore / altri, né per amor tanto patire, / né lavar altro sangue un tanto errore” » (vv. 9-14). Per quanto riguarda il protratto soffrire di Cristo e il suo paziente sopportare, nella percezione di un « dolore grandissimo » per « la durezza e la ostinatione di molti peccatori »,108 si impone alla lettura l’intero S1 89 (in corsivo qualche affioramento lessicale) :

Dimmi, Lume del mondo e chiaro onore
del Cielo, or che ’n Te stesso il Tuo ben godi,
qual virtù Ti sostenne, o pur quai nodi
T’avinser nudo in croce cotant’ore ?

Io sol Ti scorgo afflitto, e dentro e fore
offeso, e grave pender da tre chiodi.
Risponde : « Io legato era in mille modi
dal mio sempre vèr voi sì dolce amore,

lo qual al morir mio fu schermo degno
con l’alta ubidïenza, ma l’ingrato
spirto d’altrui più che ’l mio mal m’offese,

ond’io non prendo il cor pentito a sdegno,
già caldo e molle, ma il freddo indurato
ch’a tanto foco mio mai non s’accese ».

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Tra i sonetti di rime1540 messi da noi in rapporto con le Prediche veneziane tenute nel ’39 ve ne sono alcuni già presenti in rime-3 1539 (S1 18), in rime1538 (S1 93, S1 114, S1 115, S1 88, S1 121) e nel manoscritto L (S1 50) : testi che, variamente legati alle Prediche, sono dunque, in realtà, ad esse cronologicamente anteriori. A questo manipolo aggiungerei altri sonetti estraibili dai precedenti scrutini : S1 22, S1 23, S1 30, S1 103. Imparentati anch’essi, tematicamente o lessicalmente, con le Prediche, ma estranei a rime1540, sono tràditi da L : gravitanti (è presumibile) intorno agli anni ’37-’38 e al soggiorno ferrarese di quel periodo. Particolarmente inquietante (a meno di non ammettere l’insussistenza dell’ipotesi cronologico-topografica formulata per L) è il caso, si ricordi, di S1 22, Felice giorno, a noi festo e giocondo, con quell’incipit così perfettamente calettato sulla predica seconda. Altro caso meritevole di attenzione è S1 1 : proemiale (per ruolo intrinsecamente adatto) nel codice vaticano (V2), è presente in rime 1540 e, prima ancora, in rime 1538. Il progetto di riconversione sacra dell’attività poetica ivi registrato è così espresso ai vv. 5-8 : « i santi chiodi omai sieno mie penne, / e puro inchiostro il prezïoso sangue, / vergata carta il sacro corpo exangue, / sì ch’io scriva per me quel ch’Ei sostenne ». Per « inchiostro » e « penne » l’autorizzazione è neotestamentaria : « nolui per atramentum et calamum scribere tibi » (3 Io 13 e 2 Io 12) ; perfeziona la lista Petrarca : « Ingegno, tempo, penne, carte e ’nchiostri » (Rvf. 309, 8). E paolina è la metafora scrittoria : « Epistola nostra vos estis, [...] scripta non atramento, sed Spiritu Dei vivi : non in tabulis lapideis, sed in tabulis cordis carnalibus » (2 Cor 2-3). Ma ochiniana è la mediazione, vicina, vicinissima all’esito in versi, anche se scrivente è l’“io” lirico e non Cristo : « Christo adunque, trenta tre anni, continuamente spirando lume, e amore, e particularmente in su la croce, scrivendo sempre in spirito, usò per carta el core delle persone : per inchiostro lacrime, sudore, e sangue : per penna li chiodi, la lancia, e la croce ».109 Sennonché il brano appartiene alla raccolta dei Sermones ginevrini del 1543 con motto « Omnis qui confitebitur me [...] » : una raccolta, certamente non letta dalla Colonna, dove, accanto all’intensa devozione cristocentrica, esplicito è l’intento di « dannare la pessima vita e molto più la falsa, eretica e pestifera dottrina di quelli che governano la chiesa di Antechristo » (Sermone 25, c. Rr). Che cosa concluderne ? Non si tratta di “fonti” in senso tradizionale, ma spesso non si tratta neanche di coincidenze poligenetiche imputabili alle comuni matrici scritturali o ad una comune spiritualità valdesiana. L’ipotesi più probabile mi pare quella di un lento assorbimento, da parte della Colonna, di moduli espressivi, tematico-lessicali, ochiniani : percepiti di frequente, attraverso le parole ufficiali del pulpito o le private della conversazione, da un orecchio quanto mai ricettivo ed emotivamente partecipe, per affetto e condiviso sentire. Una trasmissione, dunque, imputabile all’« intrinsichezza » : eminentemente orale, da persona a persona. Tanto basta per autorizzare una ricognizione anche su ciò che Vittoria non lesse, ma che in qualche modo era già a lei familiare. Ci si limiti alla raccolta del ’43 citata sopra :

Sermone 2 : « [...] bastandoli per premio l’esser visti e reputati docti dal ceco, stolto e frenetico mondo », c. B1r (« onde metter convien noi stessi in bando / del cieco mondo », S1 19, vv. 12-13 ; « render l’uom sicuro / di star sempre con Lui nel cieco mondo », S1 22, vv. 3-4) ; « [...] lassar col core el mondo, se stesso, e tutto [...] », c. B2r (« il mondo e se medesmo sdegna / colui [...] », S1 13, vv. 12-13).

Sermone 3 : « La ragione naturale, non sanata per fede è frenetica e stolta. La philosophia adunque sta giù bassa, nella oscura valle dei sentimenti e non può alzar la testa alle cose alte e sopra naturali alle quali è al tutto cieca », c. B5r (« Quanto è più vile il nostro ingordo frale / senso terren de la ragion umana / tanto ella poi riman bassa lontana / da lo spirto divin, che sempre sale. / Non han principio, fin, né mezzo equale ; / la ragion par col senso infermo sana / ma con lo spirto eterno è un’ombra vana, / ché con quel lume il suo poter non vale », S1 148, vv. 1-8).

Sermone 4 : « el ci bisogna spirito e lume sopra naturale e che Dio col suo favore ci apra la mente e cele facci penetrare divinamente », c. C1r (« Duo lumi porge a l’uomo il vero Sole : / [...] / Col primo natural [...] ; / con l’altro [soprannaturale] il mondo e se medesmo sdegna / colui che chiude a l’ombra ed apre il seno / al raggio puro che ’l trasforma in Dio », S1 13, vv. 1-14) ; in Cristo vengono « adempite tutte le promesse e verificate tutte le prophetie, ombre, figure, e Scripture del vechio Testamento », c. C1rv (« largo, Signor, apristi il Cielo, / il Limbo, i sassi, i monumenti, e ’l velo / del tempio antico, e l’ombre, e le figure », S1 94, vv. 2-4).

Sermone 5 : si attaccano coloro che « non si humiliano a Dio a domandarli di core adiuto, lume, e gratia » e che, « studiando le Scripture sacre, senza spirito, viva fede, e lume sopra naturale, non sonno cresciuti nella vera cognitione della bontà di Dio, e delle loro miserie ; imo quanto più hanno studiato, senza spirito, tanto più per quelle aride, e morte litere, sonno diventati cechi di Dio, e di se stessi », c. C5r (« per verace umiltà si rende certo / de’ sacri detti, anzi col cor li sente / colui che poco studia e molto crede », S1 164, vv. 12-14).

Sermone 6 : « la vera e sopra natural theologia è una scientia infusa : un dono e lume sopranaturale, che vien su da Dio per gratia : talché non colui che ha miglior ingegno, più studiato, e è più docto, è miglior theologo : ma colui che ha più fede, vivo lume, e sentimento di Dio », c. C7r (cfr. ancora il citato S1 164 ; inoltre : « ma se del bel misterio in mortal petto / entra quel vivo raggio, che procede / da sopra natural divina fede, / immantenente il tutto avrà concetto. / Quei ch’avrà sol in Lui le luci fisse, / non quei ch’intese meglio, o che più lesse / volumi in terra, in Ciel sarà beato », S1 78, vv. 5-11).

Sermone 7 : « non si può far dal viatore cosa più alta, honesta, ricca, e felice, che contemplar Dio, con lume claro di fede, e sopranaturale, nelle scripture sacre, e in Christo crucifixo, dove si scuopre, chome in propria faccia, con somma bontà », c. D2v (« Doi modi abbiam da veder l’alte e care / grazie del Ciel : l’uno è guardando spesso / le sacre carte ov’è quel Lume expresso / ch’a l’occhio vivo sì lucente appare ; / l’altro è alzando del cor le luci chiare / al libro de la croce, ov’Egli stesso / si mostra a noi sì vivo e sì da presso / che l’alma allor non può per l’occhio errare », S1 165, vv. 1-8) ; « Però è necessario partirsi e allontanarsi con la mente dal mondo e da se stesso et che lassi le oscure valli delle creature et con le ale della fede, speranza e charità in spirito ti elevi in alto », c. D3v (« onde metter convien noi stessi in bando / del cieco mondo », S1 19, vv. 12-13 ; « l’alma fedel [...] fatta è rubella / del mondo e di se stessa », S1 45, vv. 6-7 ; « Padre nostro e del Ciel, con quanto amore / [...] / dal mondo e da se stesso l’uomo snodi / acciò libero a Te rivolga il core ! », S1 95, vv. 1-4 ; « Talor l’umana mente alzata a volo / con l’ali de la speme e de la fede, / [...] », S1 66, vv. 1-2 ; « l’ale de la speranza e de la fede / fan volar alto l’amorosa mente », S1 164, vv. 10-11) ; « la superbia, risguardando sempre in alto alle grandezze non vede l’humil crucifixo : imo si offende in esso e se ne scandaliza », c. D5r (« onde sol meraviglia e grande orrore / diede al superbo quell’alta mercede / di dar per nostro cibo a noi Se stesso », S1 22, vv. 9-11) ; « Di poi per intenderlo bene non basta el nostro ingegno, li nostri studii, forze, industrie, discorsi, indicii né tutto el lume naturale ; non bastan li libri, li doctori, li homini, né li angeli : bisogna Cristo luce del mondo », c. D6r (« Non sprona il corso nostro industria o ingegno ; / quel corre più sicuro e più vivace / ch’ha dal favor del Ciel maggior sostegno », S2 15, vv. 12-15).

Sermone 8 : « Et io dico, che senza tante fadiche, in breve tempo, si può diventare doctissimo : e che basta un libro solo : cioè Christo in su la croce, nel quale, chome in uno compendio, sonno tutte le verità, utili, e necessarie alla salute », c. D8v (per il « libro » della croce cfr. i vv. 1-8 di S1 165 cit. a proposito del sermone 7 ; ai quali si aggiungono qui i versi restanti, dove alla via mediata e lunga della lettura si oppone quella « certa e veloce » della contemplazione : « Con quella scorta [la lettura cioè dei sacri testi] ella se ’n va sospesa, / sì che se giunge al desïato fine / passa per lungo e dubbioso sentero ; / ma con questa [la contemplativa lettura del libro della croce] sovente, da divine / luci illustrata e di bel foco accesa, / corre certa e veloce al segno vero ». « Libro », quello della croce, pieno quant’altri mai di dottrina, come risulta da S1 136, vv. 12-13 : « qua giuso altrove / più dotto libro mai non vi s’aperse »).

Sermone 9 : siccome le virtù « non si possono imprimere, scrivere in carte né in tavole, ma solamente nel cor et nello spirito [...] Christo fiammeggiando amore scripse sempre, et singularmente in croce, nel cor delle persone, la sua legge di spirito et di carità [...] Moisè mostrò in carte quello che era l’obligo nostro : ci dè la legge, ma non la gratia di poter fare ; ma Christo col suo spirito, ci ha illustrata la mente, e impresso nel core epsa charità : dalla quale pende tutta la legge », cc. E3r-E4v (« in carte questa legge non si scrisse, / ma con la stampa Sua nel cor purgato / col foco de l’amor Gesù l’impresse », S1 78, vv. 12-14) ; « Christo adunque, trenta tre anni, continuamente spirando lume, e amore [...] », c. E3v (« oh liberal pietade / che ne scoperse grazia, lume, amore ! », S1 94, vv. 13-14).

Sermone 12 : « Lui è un libro nel quale sono ascosti tutti li tesori della sapientia et scientia di Dio », c. F6r (cfr. le precedenti citazioni a proposito dei sermoni 7 e 8) ; « el giogo di Moisè fu grave e aspro e intollerabile e quel di Cristo suave e leggiero », c. G2r (« non vuol con l’aspra croce al sentier erto / ma col giogo soave e peso leve / [...] », S1 49, vv. 9-10).

Sermone 13 : « Cristo ci ha liberati da tali e tanti inextricabili laberinti [...] », c. G8v (« Ma questo labirinto obliquo ed empio / il cieco veder nostro ognora intrica », S1 61, vv. 12-14 ; « Per labirinti o reti non s’intrica / il vostro pie’ », S1 130, vv. 5-6) ; « [Cristo] non fu mai tanto dolce sì chome in su la croce : imperò che alhora aperse el seno, el pecto, e el costato delle sue divine gratie : si apersono alhora li fonti, li pelaghi, li abissi, e le cataracte de’ celi », c. H2r (« il salutifer sacro divin fonte, / anzi il mar de le grazie alor s’aperse, / e furo entro ’l gran sen l’ire disperse / già ne l’antica legge aperte e conte », S1 42, vv. 5-8) ; « chi sa leggere questo divin libro, diventa presto, con facilità, e delecto, doctissimo », c. H4v (cfr. sermone 7 e connesse citazioni).

Sermone 14 : il « lume naturale non basta : bisogna revelatione, e lume sopranaturale », c. H7r (cfr. S1 13 cit. a proposito del sermone 4).

Sermone 16 : « se [il pellegrino] per fede è certo di essere nella via di Dio, con le ale della fede, speranza, e charità, con facilità se ne va volando a Dio », c. lz1v (cfr. S1 66 e S1 164 citt. a proposito del sermone 7) ; « preghiamo adunque Dio, che ci dia vivo lume di Christo, e ci facci veder che per lui solo siamo salvi : e non per le opere nostre ; imo per epse siamo damnati quando senza Christo fussen discusse dalla divina iustitia », c. L2r (« Cieco è ’l nostro voler, vane son l’opre, / cadono al primo vol le mortai piume / senza quel di Gesù fermo sostegno », S1 45, vv. 12-14).

Sermone 18 : « Volse ancho morire in su la croce per humiliarci », c. M6r (« in Se stesso volse / insegnarne umiltate in tutti i modi », S1 30, vv. 13-14).

Sermone 22 : « [Cristo] nudo et con la fragil carne in una sola guerra per sempre vinse tutti li inimici suoi », c. O5v (« Ivi si vede aver, nudo ed exangue, / disarmati i nimici », S1 30, vv. 5-6) ; « [...] con humiltà, patientia, charità, liberalità, modestia, mansuetudine, et con le altre sue divine virtù sbatter per terra tutti li inimici di Dio », c. O6v (« Pazïenza, umiltà, vero obidire / con l’altre alme virtù furon le stelle / ch’ornaro il sol de la Sua caritade, / onde ne l’aspra pugna [...] », S1 77, vv. 9-11).

Bisognerebbe naturalmente, entro la bruta schedatura, discriminare e gerarchizzare : misurando caso per caso la distanza, nella Colonna, dallo stereotipo, dal riferimento vetero e neotestamentario, dai luoghi comuni del sentire valdesiano, e verificando al tempo stesso pertinenza e spessore della mediazione di Ochino, senza escludere le altre raccolte ginevrine del ’42 e del ’43. Prediche e Sermoni forniscono comunque, espunti i toni bellicosi e della polemica diretta, materiale ideologicamente e linguisticamente compatibile con il poetare religioso di Vittoria, servendo a chiarire il contesto e a rivelare ciò che è implicito anche al di là di una dipendenza testuale accertabile. Vedi il caso di S1 45 (« Vanno i pensier talor carghi di vera / fede al gran Figlio in croce, ed indi quella / luce, ch’Ei porge lor serena e bella, / li guida al Padre in glorïosa schiera »), in cui, più che la generica variazione sul tema dell’andare a Dio per Cristo,110 importa l’aggettivo (« carghi »), anòdino di per sé ma che recupera le sue implicazioni devozionali, di richiamo a un totale e rinnovato coinvolgimento, quando venga messo in rapporto con il dibattere, nei Sermoni ginevrini, su « Chome doverebbe meditarsi la passione di Christo » : dove il modello negativo è appunto quello offerto da coloro che, meditando sulla Crocifissione, « ne hanno certi pensieri leggieri, che svolazano sopra ’l cervello : ma non ne hanno dentro ne l’intime parti del core un vivo sentimento, né una ferma fede, chome di cosa certa ».111 Che è poi il « volare » e « fluitare », agostiniano, dell’anima vagabonda.112 E colpisce, talvolta, l’affinità in qualcosa d’altro rispetto ai motivi dottrinali o ai vocaboli forti della nuova spiritualità : l’uso ad esempio del dimostrativo (« quel celeste eneo dolce Angue », « ’n quella inaccessibil luce »), o certi minimi snodi sintattici (« alor s’aperse », « ov’Egli stesso / si mostra », « non quei ch’intese meglio »), in un far proprie perfino le inflessioni di un parlare memorabile. Certo è che un confronto sistematico mostra bene quale sia l’estensione quantitativa del fenomeno. Il distendersi ampio della patina ochiniana, probabilmente anche oltre il limite del ’42 segnato dalla fuga, non deve però impedire la percezione di altri colori : quelli della tradizione lirica, risemantizzata in senso sacro ; quelli delle letture devote che accompagnano l’affinamento spirituale : l’Imitazione di Cristo, libro capitale della devotio moderna e caro a un Flaminio,113 o, lungo una linea francescana, l’Itinerarium mentis in Deum di Bonaventura. Delle mescolanze che ne risultano si forniscono in chiusura due campioni, S1 164 e S1 41 (con il complemento di S1 172). In S1 164, v. 5 (« Che giova il volger di cotante carte ? »), la materia paolina della meditazione sulla vana scienza del mondo (1 Cor 1, 18-31) si plasma sulla mossa interrogativa petrarchesca di Rvf. 264, 81 o di Rvf. 270, 73 (« Che giova, Amor, tuoi ingegni ritentare ? ») sommata a Rvf. 28, 77 (« Volte l’antiche et le moderne carte »). Ochino sembra autorizzare la ripresa lirica (« Che giova speculare di Iddio ogni cosa possibile a intendersi e nollo amare ?) »,114 senza bisogno della Imitazione di Cristo (« Quid prodest magna cavillatio de occultis et obscuris rebus [...] ? »).115 Proprio l’Imitazione permette invece di chiosare puntualmente il v. 9 e sgg. : « L’occhio sinistro chiuso, il destro aperto, / l’ale de la speranza e de la fede / fan volar alto l’amorosa mente ». I figli di Dio, infatti, « stant super praesentia et speculantur aeterna, [...] transitoria intuentur sinistro oculo, et dextro coelestia ».116 Ancora il sermone dedicato a « Chome doverebbe meditarsi la passione di Christo », nel quale si esorta a « ruminar li chiodi, la lancia, le spine [...] », con la consapevolezza che « quelli chiodi [...] sonno le tue triste opere, [...] la lancia, è l’odio che hai al proximo, le spine, li pessimi tuoi pensieri e desiderii, lo aceto e fele, sonno le tue crapule e ebrietà »,117 rientra in circolo a proposito di S1 41, vv. 1-8 :

Quando in se stesso il pensier nostro riede
e poi sopra di sé s’erge la mente,
sì che d’altra virtù fatta possente
vivo ne l’aspra croce il Signor vede,

sale a cotanto ardir che non pur crede
esser Suo caro membro, anzi alor sente
le spine, i chiodi, il fele e quella ardente
Sua fiamma in parte sol per viva fede.

Così Bonaventura evoca l’incapacità della mente di penetrare nei recessi dell’interiorità : « mens humana, sollicitudinibus distracta, non intrat ad se per memoriam ; phantasmatibus obnubilata, non redit ad se per intelligentiam ; concupiscentiis illecta, ad se ipsam nequaquam revertitur per desiderium suavitatis internae et laetitiae spiritualis. Ideo totaliter in his sensibilibus iacens, non potest ad se tanquam ad Dei imaginem reintrare ».118 Il recupero dell’interiore godimento del Vero, è detto subito dopo, non può avvenire « nisi mediante Christo », e con il sussidio di fede, speranza e carità : « supervestienda est igitur imago mentis nostrae tribus virtutibus theologicis ». L’anima pertanto, rinvigorita, « credens, sperans et amans Iesum Christum », acquista nuova capacità sensitiva, « recuperat spiritualem auditum et visum, auditum ad suscipiendum Christi sermones, visum ad considerandum illius lucis splendores ». È l’ascetico volo, verso un intimo e dolce « internarsi », delineato anche in S1 172 :

Mosso ’l pensier talor da un grande ardore,
nudrito in noi per fede e speme ardente,
vola con tanto ardir ch’entra sovente
ove scorger no ’l pote altro ch’amore.

Ivi in Colui s’interna, il cui valore
arma di tal virtù l’accesa mente,
che vede l’orma, ode la voce e sente
l’alto Suo aiuto in questo cieco errore ;

e, se ben trae dolcezze e brevi e rare
dal Fonte sacro, oh qual porge virtute
una sol stilla in noi del Suo gran mare !

Son poi tutte le lingue a narrar mute
come quel dolce infra quest’onde amare
manda a l’infermo cor vera salute.119

Non era certo una chiusa, questa, che letterariamente rendesse giustizia alla proclamata intensità del rapimento estatico. Né forse i « ratti » di Vittoria erano così soggioganti, proprio nelle stesse quaresime e settimane sante, come quelli, a Prato, della giovane Caterina de’ Ricci. Ma al cuore era presente l’idea, non semplicemente libresca, che « parum dandum est linguae, et plurimum internae laetitiae »,120 che la parola si spenge (Dionigi) in quel silenzio che occultamente insegna.

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1  La lettera è riportata da A. Luzio, Vittoria Colonna, « Rivista storica mantovana », I (1885), p. 26(anche per le citazioni seguenti). La stessa Colonna era presente : « Essa S.ra di Pescara alloggia cum le sore di S.to Silvestro, né vole che alcuno la visiti et quando va per Roma va sconosciuta, in un habito abiettissimo. Queste due mattine è stata alla predica in S.to Lorenzo in Damaso ».

2  Vita e Gesti di Gio : Pietro Caraffa cioè di Paolo IIII Pont. Mass. Raccolti dal P. D. Antonio Caraccioli, in Roma 1613, Ms. Pal. 638della Biblioteca Palatina di Parma, c. 109v, cit. in G. Fragnito, Gli « spirituali » e la fuga di Bernardino Ochino, cap. IV del vol. Gasparo Contarini. Un magistrato veneziano al servizio della cristianità, Firenze, Olschki, 1988, p. 253nota 7. Il contributo ochiniano era precedentemente apparso in « Rivista storica italiana », LXXXIV (1972). Fa riferimento al Caracciolo, a proposito dei sospetti di eresia nutriti dai Padri teatini in ambito napoletano, anche P. Simoncelli, Evangelismo italiano del Cinquecento. Questione religiosa e nicodemismo politico, Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1979, p. 171nota 25.

3  Lettera di Nino Sernini al cardinale Ercole Gonzaga da Roma, I giugno 1537, in A. Luzio, Vittoria Colonna cit., pp. 33-34nota 2.

4  Il passo degli Annales ordinis Minorum Sancti Francisci qui Cappuccini vocantur, Lugduni, 1632, di Zaccaria Boverio è riportato in A. Luzio, Vittoria Colonna cit., p. 29nota 3.

5  Il Diario bolognese di Iacopo Rainieri, a cura di O. Guerrini e C. Ricci, Bologna, Regia tipografia, 1887, è citato da B. Nicolini, Sui rapporti di Bernardino Ochino con le città di Bologna e di Lucca, in Aspetti della vita religiosa politica e letteraria del Cinquecento, Bologna, Tamari, 1963, p. 14. « A dì 6[settembre 1537] », scrive il Rainieri, « andò assai gente alla predicha e ogni homo romaxe contento. E a dì 7[...] andò asaisima gente, più che non fe’ el giorno inanzo [...]. E a dì 8[...] li fui più gente che non fu alle due prediche inanze. E a dì 9ditto, in domenigha, [...] fe’ una belissima predicha e fu molto lodata da ogni omo ».

6  Cfr. Giovanni Guidiccioni, Le lettere, edizione critica con introduzione e commento di M. T. Graziosi, Roma, Bonacci, 1979, vol. II, p. 12 : « Ho udito in Lucca pochi dì sono fra’ Bernardino da Siena, veramente rarissimo uomo, e mi piacque tanto che gli ho indirizzato due sonetti, dei quali ne mando uno ; l’altro che feci ieri, ve lo manderò per le prime mie ».

7  I tre sonetti si leggono in Giovanni Guidiccioni – Francesco Coppetta Beccuti, Rime, a cura di E. Chiorboli, Bari, Laterza, 1912, pp. 76-77(cxxi, cxxiie cxxiii). Il sonetto cxxiO messaggier di Dio, che ’n bigia vesta è edito anche in Poeti del Cinquecento, tomo I, Poeti lirici, burleschi satirici e didascalici, a cura di G. Gorni, M. Danzi e S. Longhi, Milano-Napoli, Ricciardi, 2001, p. 543. Per le prediche lucchesi, di cui forniremo più avanti l’esatta indicazione bibliografica, cfr. Ph. McNair - J. A. Tedeschi, New Light on Ochino, « Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance », XXXV (1973), pp. 289-301 ; P. Simoncelli, Evangelismo cit., pp. 92-98 ; E. Campi, Michelangelo e Vittoria Colonna. Un dialogo artistico-teologico ispirato da Bernardino Ochino e altri saggi di storia della Riforma, Torino, Claudiana, 1994, p. 21e pp. 81-86 (ove, della rarissima stampa, viene riportata la prima parte della predica quinta).

8  L’imprimersi nel cuore, giusta 2 Cor 33(« epistola [...] scripta non atramento, sed Spiritu Dei vivi : non in tabulis lapideis, sed in tabulis cordis carnalibus »), è tema anche di Vittoria : « in carte questa legge non si scrisse, / ma con la stampa Sua nel cor purgato / col foco de l’amor Gesù l’impresse » (dove Paolo è attinto, come vedremo a suo luogo, proprio attraverso Ochino). Cfr. Vittoria Colonna, Rime, a cura di A. Bullock, Bari, Laterza, 1982, sonetto S178, vv. 12-14, p. 124.

9  In E. Campi, Michelangelo e Vittoria Colonna cit., p. 83.

10  La lettera, del 24febbraio 1539, è in A. Luzio, Vittoria Colonna cit., p. 37. Su Ottaviano Lotti cfr. M Firpo, Il processo inquisitoriale del Cardinal Giovanni Morone, vol. I, Il « compendium », Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1981, p. 322nota 161.

11  Lettere, da Venezia, rispettivamente del 23febbraio e del 4aprile 1539, in Vittoria Colonna, Carteggio, raccolto e pubblicato da E. Ferrero e G. Müller, seconda edizione con supplemento raccolto e annotato da D. Tordi, Torino, Loescher, 1892, p. 169e p. 174. Della propria nomina a cardinale il Bembo aveva parlato con l’Ochino il 15di marzo, aprendogli « tutto il cuore e pensier » suo, come « dinanzi a Gesù Cristo » (la lettera alla Colonna, p. 172, è di quello stesso giorno). Fanno riferimento a queste lettere Ph. McNair - J. A. Tedeschi, New Light cit., p. 298e C. Dionisotti, Appunti sul Bembo e su Vittoria Colonna, in Miscellanea Augusto Campana, Padova, Antenore, 1981, vol. I, p. 274.

12  Cfr. Pietro Aretino, Lettere. Il primo e il secondo libro, a cura di F. Flora, con note storiche di A. Del Vita, Milano, Mondadori, 1960, pp. 537-39.

13  PietroAretino, Lettere, p. 545.

14  La Cronaca modenese di Tommasino De Bianchi, detto Lancillotti, è riportata in B. Nicolini, Sui rapporti cit., p. 13e in M. Firpo – D. Marcatto, Il processo inquisitoriale del Cardinal Giovanni Morone, vol. II, Il processo d’accusa, Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1984, parte II, p. 949, dove è anche pubblicata la lettera del Sigibaldi del 1marzo 1541.

15  La notizia è ricavabile da una lettera del 5 maggio 1541 di Sigismondo Fanzino, governatore di Casale Monferrato, alla duchessa di Mantova Margherita Gonzaga, in A. Luzio, Vittoria Colonna cit., p. 38nota 1. Contro il Fanzino, protettore dell’inviso Niccolò Franco, si scaglia l’Aretino proprio in questo periodo (cfr. Pietro Aretino, Lettere, pp. 775-76e pp. 833-34).

16  In B. Nicolini, Sui rapporti cit, p. 19, si veda la lettera inviata dai Quaranta del Reggimento di Bologna al cardinale Farnese il 4 gennaio 1542, nella quale si auspicava che l’Ochino si trattenesse in città anche per la quaresima, « a seminare negli animi [...] il verbo divino ».

17  Pietro Carnesecchi parlerà appunto, davanti agli inquisitori, di « intrinsichezza » che la Colonna ebbe prima con fra Bernardino e poi col Priuli e il Flaminio (cfr. Carteggio, p. 335)

18  Le lettere documentano un soggiorno a Ferrara della marchesa almeno dal 2 giugno 1537 al 10 gennaio 1538 (cfr. Carteggio, p. 145e p. 153). A Ferrara l’Ochino predicò durante l’avvento 1537, anche grazie all’intervento di Vittoria presso Ambrogio Recalcati, segretario di Paolo III. Vedi, su questo, la lettera ferrarese della Colonna, al Recalcati, del 3dicembre 1537, in B. Nicolini, Cinque lettere inedite, in Ideali e passioni nell’Italia religiosa del Cinquecento, Bologna, Palmaverde, 1962, pp. 147-50.

19  È a Pisa e a Firenze nel marzo del 1538. Cfr. la lettera ad Ercole II d’Este duca di Ferrara, da Pisa, del 26marzo (« [...] hebbi risposta da madamma [Margherita d’Austria, vedova di Alessandro de’ Medici] qui che faceva predicar el padre [Ochino] in Pisa, non in Firenza ; così voltai le redine [...] ; ma infin quando più godeva delle mirabili prediche, è stata tanta la instantia de Firenze che contra la voluntà de madamma ha bisognato remandarlo a quella cità [...]. El padre fra Belardin [...] partì, che fu ieri [...] ; certo qui per tutto è adorato, et son tutte burle, se non le sue prediche de quaresima », Carteggio, pp. 156-58) e la risposta di Piero Carnesecchi, davanti all’Inquisizione, sui suoi rapporti con Vittoria : « Di poi la reviddi a Fiorenza, essendo lei capitata in quelle bande per andare alli bagni di Lucca [...]. Mi ricordo esser stato alli bagni di Lucca nel tempo medesimo che vi era la marchesa, et d’haverla qualche volta visitata, [...] et questo fu nell’anno 1538 » (in Carteggio, p. 160, nota 1). La serie lucchese è aperta da una lettera del 9aprile 1538(ad Ercole d’Este) e chiusa da una del 3ottobre (al cardinale Agostino Trivulzio). Cfr. Carteggio, pp. 159-66.

20  Sono, queste, le visite ochiniane esplicitamente documentate dal Carteggio : « Essendo in Arpino passò dellì il padre fra Ber.no » (V. Colonna al cardinale Ercole Gonzaga, 22 aprile 1537, p. 138) ; « il R.do fra Belardino, passando de qui per andar a predicar in Napoli [...] » (ancora al Gonzaga, 16gennaio 1540, p. 183).

21  Cfr. A. Luzio, Vittoria Colonna cit., p. 33nota 2.

22  Carteggio, p. 143.

23  Carteggio, p. 159.

24  Lettera da Venezia del 23febbraio 1539, in Carteggio, p. 169.

25  Cfr. A. Reumont, Vittoria Colonna. Vita, fede e poesia nel secolo decimosesto, versione di G. Müller ed E. Ferrero, Torino, Loescher, 1883, pp. 146-47 ; Carteggio, pp. 93-94 nota 1; G. Patrizi, voce Vittoria Colonna, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 27, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1982, p. 450a. Su Caterina Cibo Varano, « in cuius domo » Ochino « laicalem habitum suscepit », vedi M. Firpo, Il processo cit., vol. I, p. 184e pp. 266-67 nota 52.

26  Cfr. B. Fontana, Documenti vaticani di Vittoria Colonna Marchesa di Pescara per la difesa dei Cappuccini, « Archivio della R. Società Romana di Storia Patria », IX (1886), pp. 348-49e Carteggio, pp. 93-94 nota 1.

27  La lettera, legittimamente databile agosto 1535, fu inviata, secondo il parere non esente da perplessità dei curatori del Carteggio (cfr. nota cit.), al cardinale Gasparo Contarini. « Ci rimane però sempre qualche dubbio », scrivevano Ferrero e Müller, « nel giudicarla mandata al Contarini, dacché questi non venne a Roma che nel principio del settembre [...]. In fatti può sembrare non troppo naturale che da lui, lontano e appena allora entrato nel sacro collegio, Vittoria potesse sperare appoggio per i suoi protetti ». In effetti il Contarini, nominato cardinale il 21maggio 1535e trascorsa l’estate a Venezia, solo nel settembre si trasferì a Perugia e poi a Roma, dove il 15si incontrò con il papa (vedi G. Fragnito, Gasparo Contarini cit., pp. 37-39). Più opportuno, forse, pensare al cardinale Ercole Gonzaga, di nomina meno recente (1527 : cfr. Carteggio, p. 100nota 1), il fratello del quale, Ferrante, avrebbe di lì a poco richiesto Ochino a Palermo.

28  Carteggio, p. 100.

29  Si tratta degli Annales del Boverio, in A. Luzio, Vittoria Colonna cit., p. 28nota 6.

30  Cfr. B. Fontana, Documenti vaticani cit., p. 352 e Carteggio, p. 108 nota 4, p. 110 nota 1, p. 114 nota 1.

31 Bernardino Ochino, I « Dialogi sette » e altri scritti del tempo della fuga, edizione, introduzione, e apparato iconografico a cura di U. Rozzo, Torino, Claudiana, 1985, p. 9e p. 11 dell’Introduzione.

32  Vedi l’Introduzione di U. Rozzo ai I « Dialogi sette », pp. 10-12.

33  La citazione è dalla lettera a Gasparo Contarini dell’estate 1536, in Carteggio, p. 111e p. 114. Molte le pagine che testimoniano l’impegno della marchesa : pp. 106-22, pp. 137-40, pp. 143-45, pp. 164-66.

34  Vedi Carteggio, p. 182. Lettera datata « verso 1539 » dai curatori.

35  Cfr. G. Fragnito, Gli « spirituali » cit., p. 252.

36 Bernardino Ochino, I « Dialogi sette », p. 123.

37  Testi tutti disponibili entro Bernardino Ochino, I « Dialogi sette », alle pp. 124-28.

38  G. Fragnito parla, in proposito, di « gesto imprudente dell’Ochino », Gli « spirituali » cit., p. 264 ; per M. Firpo « l’Ochino tentava di coinvolgere l’antica patrona e tutto quanto il gruppo viterbese nella sua ardua scelta, quasi scusandosi degli imbarazzi che inevitabilmente – ne era ben consapevole – avrebbe loro creato », Vittoria Colonna, Giovanni Morone e gli « spirituali », in Inquisizione romana e controriforma. Studi sul cardinal Giovanni Morone e il suo processo d’eresia, Bologna, Il Mulino, 1992, p. 165, precedentemente apparso in « Rivista di storia e letteratura religiosa », XXIV [1988], n. 2.

39 Bernardino Ochino, I « Dialogi sette », p. 137.

40  Sulle circostanze da cui nacquero queste risposte cfr. B. Nicolini, Bernardino Ochino esule a Ginevra (1542-1545), in Aspetti della vita religiosa cit., pp. 51-53.

41  Lettera a Girolamo Muzio (Responsio ad Mutium Iustinopolitanum), in I « Dialogi sette », p. 131 e p. 133. Ricostruisce la diatriba (fino a Le mentite ochiniane del 1551) tra l’Ochino e il Muzio, severo censore della lettera di quello alla Colonna, B. Nicolini, Una polemica tra Girolamo Muzio e Bernardino Ochino, in Ideali e passioni cit., pp. 45-78.

42  Lettera a Girolamo Muzio, cit., p. 135.

43  Abbiamo distinto u da v e sciolto le abbreviature ; si è introdotto accenti e apostrofi secondo l’uso moderno e ritoccato l’interpunzione solo quando indispensabile. Un buon fondo ochiniano, cui abbiamo attinto, è alla Bibliothèque Publique et Universitaire di Ginevra.

44  Si cita da una grida milanese dell’8gennaio 1543contro l’introduzione nel dominio di libri ereticali, in B. Nicolini, Una polemica cit., pp. 77-78. Vedi, per altri provvedimenti atti a contrastare la diffusione e detenzione dei libelli ochiniani, l’Introduzione di U. Rozzo a I « Dialogi sette », pp. 19-21.

45  Sulla diffusione degli scritti di Ochino in Italia cfr. B. Nicolini, Bernardino Ochino cit., p. 38e p. 49nota 14.

46  « Il libretto ha questo titolo. Prediche di Bernardino Ochino da Siena. Poi, sotto, si me persequuti sunt, et vos persequentur, sed omnia vincit veritas. Queste prediche sono X ». Vedi G. Fragnito, Gli « spirituali » cit., p. 284e p. 305. Un esemplare della prima tiratura venne letto, a Roma, anche dal Seripando e da altri cardinali, come indica B. Nicolini, Bernardino Ochino cit., pp. 53-54nota 16. Al termine della decima predica, c. F8v, vi è in effetti la parola « finis ».

47  Lettera di Vittoria Colonna al cardinale Marcello Cervini, da Viterbo, 4dicembre 1542, in Carteggio, pp. 256-57. Sulla reazione della Colonna cfr. G. Fragnito, Gli « spirituali » cit., p. 264 ; M Firpo, Vittoria Colonna, Giovanni Morone cit., pp. 166-67 ; C. Bianca, Marcello Cervini e Vittoria Colonna, « Lettere italiane », XLV (1993), pp. 428-31.

48  Cfr. Ph. McNair - J. A. Tedeschi, New Light cit. Per questa rara edizione ho potuto contare, purtroppo, solo sugli excerpta riportati dalla bibliografia indicata alla nota 7.

49  Ho consultato l’esemplare presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, con segnatura Banco Rari 250. Di questa raccolta esiste un’altra stampa veneziana : Prediche del Reverendo Padre Frate Bernardino Occhino Senese Generale dell’ordine di frati Capuzzini, predicate nella Inclita Città di Vinegia, del MDXXXIX. In Vinegia MDXLI [nel colophon :] per Francesco di Alessandro Bindoni & Mapheo Pasini compagni. Del mese di Decembrio. Nelli anni della Incarnatione del Signore MDXLI(il frontespizio è riprodotto in I « Dialogi sette » come quarta illustrazione fuori testo e in E. Campi, Michelangelo e Vittoria Colonna cit., come tredicesima).

50  Cfr. il dispaccio di Alberto Sacrati al duca di Ferrara del 14agosto 1540, da Joinville, riprodotto in Carteggio, pp. 204-205 nota 1. D. Tordi identificò il « libro di sonetti » nel codice Ashburnham 1153 della Laurenziana, dal Bullock siglato L, Il codice delle rime di Vittoria Colonna marchesa di Pescara appartenuto a Margherita d’Angoulême regina di Navarra, scoperto ed illustrato da Domenico Tordi, Pistoia, Lito-tipografia G. Flori, 1900. Per i rapporti tra la marchesa e la regina cfr. V. L. Saulnier, Marguerite de Navarre, Vittoria Colonna et quelques autres amis italiens de 1540, in Mélanges à la mémoire de Franco Simone. France et Italie dans la culture européenne, I, Moyen Âge et Renaissance, Genève, Slatkine, 1980, pp. 281-95e S. M. Pagano – C. Ranieri, Nuovi documenti su Vittoria Colonna e Reginald Pole, Città del Vaticano, Archivio Vaticano, 1989, pp. 72-74(il capitolo, dedicato all’illustrazione della parte documentaria, è redatto dalla Ranieri).

51  Cfr. gli estratti del processo inquisitoriale presenti in Carteggio, p. 333e p. 335. Su Pietro Carnesecchi, anche per quanto riguarda i suoi incontri con la Colonna, è ampia e documentata la voce di A. Rotondò in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 20, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1977, pp. 466-76.

52  Cfr. M. Firpo - D. Marcatto, Il processo inquisitoriale cit., vol. II parte I, p. 501.

53  Vedine una rassegna, corredata di sintetiche chiose valutative, in M. Firpo, Vittoria Colonna, Giovanni Morone cit., pp. 173-74nota 204. Da aggiungere S. M. Pagano - C. Ranieri, Nuovi documenti cit., con le riflessioni di G. Fragnito, Vittoria Colonna e l’Inquisizione, « Benedictina », 37(1990), pp. 157-72.

54  Colloca l’esperienza cinquecentesca delle rime spirituali sullo sfondo del « contrastato influsso dell’evangelismo erasmiano e valdesiano, nonché della Riforma in Italia » e della « risposta delle istituzioni cattoliche », dal punto di vista del commentatore di testi lirici, S. Prandi, in Antologia della poesia italiana, diretta da C. Segre e C. Ossola, vol. II, Quattrocento-Settecento, Torino, Einaudi-Gallimard, 1998, p. 766.

55  Cfr. Juan De Valdes, Lo Evangelio di San Matteo, a cura e con introduzione storica di C. Ossola, testo critico di A. M. Cavallarin, Roma, Bulzoni, 1985, pp. 82-87.

56  Cfr. D. Tordi, Il codice delle rime cit., p. 32, p. 36, p. 40.

57  Cfr. E. Campi, Michelangelo e Vittoria Colonna cit., p. 41. Generiche le indicazioni di M. Mazzetti, La poesia come vocazione morale : Vittoria Colonna, « La Rassegna della Letteratura italiana », 77(1973), pp. 75-83e A. Valerio, Bibbia, ardimento e crisi femminile : Vittoria Colonna, in Cristianesimo al femminile. Donne protagoniste nella storia delle Chiese, Napoli, D’Auria, 1990, p. 158.

58  Vedi l’edizione Bullock, p. 227.

59  Di « spartizione rigida e schematica », per quanto riguarda l’esperienza religiosa della marchesa di Pescara, parla G. Fragnito, Vittoria Colonna e l’Inquisizione cit., p.163. Ricostruisce l’ambiente religioso del circolo di Viterbo M. Firpo, Valdesianesimo ed evangelismo : alle origini dell’Ecclesia viterbiensis (1541), in AA. VV., Libri, idee e sentimenti religiosi nel Cinquecento italiano, Modena, Panini, 1987, pp. 53-71.

60  In G. Fragnito, Vittoria Colonna e l’Inquisizione cit., p. 165

61  Vedila descritta a p. 258dell’edizione Bullock. È indicata come rime 1538.

62  La stampa, in sigla rime-31539, è descritta a p. 260dell’edizione Bullock.

63  Descritta alle pp. 260-61dell’edizione Bullock, è siglata rime 1540.

64  L’elenco è riportato nell’edizione Bullock, alle pp. 261-63. Mette in evidenza i criteri di scelta e di ordinamento adottati dal Corso M. Bianco, Rinaldo Corso e il « canzoniere » di Vittoria Colonna, « Italique », I (1998), pp. 35-45.

65  Sopra la raccolta rime-11546(descritta alle pp. 263-64) si fonda la sezione spirituale dell’edizione Bullock.

66  C. Dionisotti, Appunti sul Bembo cit., p. 281.

67  I sonetti religiosi tràditi da L si ricavano dalla tavola alle pp. 469-73dell’edizione Bullock.

68  Sul « rapporto di parentela tra L e rime 1538 » cfr. T. R. Toscano, Appunti sulla tradizione delle (Rime amorose » di Vittoria Colonna. In margine a una sconosciuta raccolta napoletana di sonetti in morte di Francesco Ferrante d’Avalos, in Letterati corti accademie. La letteratura a Napoli nella prima metà del Cinquecento, Napoli, Loffredo, 2000, p. 56.

69  Sul Vaticano Latino 11539, che Bullock descrive alle pp. 245-46, cfr. E. Carusi, Un codice sconosciuto delle « Rime spirituali » di Vittoria Colonna, appartenuto forse a Michelangelo Buonarroti, in Atti del IV Congresso nazionale di Studi romani, Roma, Istituto di Studi romani, 1938, pp. 231-41e C. Dionisotti, Appunti sul Bembo cit., p. 283. I sonetti presenti in V2si ricavano ancora una volta dalla tavola di Bullock.

70   « Dio [...] ci si è donato con tutti i suoi tesori », « Dio [...] ha sostenuto la croce e donatosi sé, con tutti i suoi tesori », « Ma quando tu ricevi il dono [...], entri subito in possessione di Christo, del paradiso e del tesoro celeste », « Confidati adunque in Dio e non in te [...]. Non ti confidare adunque, cristiano mio, in te, nelle tuoi forze e opere », cfr. E. Campi, Michelangelo e Vittoria Colonna cit., pp. 84-85 ; « Che giunga a l’infinito opra mortale / Vostro dono è » (S110, vv. 5-6), « a l’alme umili con secreta chiave / apre il tesoro suo » (S154, vv. 12-13), « [...] ne mostra la via dritta al bel tesoro / da Te serbato a noi » (S198, vv. 13-14), « nuda bramo il celeste oro, / [...] / e quanto in sé disfida tanto spera / l’alma in quel d’ogni ben vivo tesoro, / [...] / onde con questi doni e questo ardire / [...] » (S152, vv. 3-9). « Dolce, soave et tanto buono », « dolce, soave, benigno e innamorato dell’umana natura » è Cristo Gesù, cfr. E. Campi, Michelangelo e Vittoria Colonna cit., p. 27e p. 81, dolcemente e soavemente operante in noi anche per la Colonna, S154, vv. 9-10 : « Con la piagata man dolce e soave / giogo m’ha posto al collo ». Il punto di partenza evangelico (« Iugum enim meum suave est », Mt 1130) è recuperato attraverso un Petrarca (« Et a me pose un dolce giogo al collo », Rvf. 197, 3) religiosamente legittimato dal predicare ochiniano.

71  Cfr. l’introduzione di U. Rozzo a I « Dialogi sette », p. 22.

72  Dei Dialogi è da registrare, nel ’42, anche la concorrente ristampa presso Bindoni e Pasini. Cfr. l’introduzione di U. Rozzo a I « Dialogi sette », p. 22.

73  C. Dionisotti, Appunti sul Bembo cit., p. 282.

74  Ancora l’Angelo, a p. 103 : « fa pur c’habbi sempre diritta la intentione, ferma pur l’occhio a Dio » ; che è prosastico punto di partenza, con quel che si è citato, per S217, vv. 1-4 : « Fermo al Ciel sempre col fedel pensiero / l’uomo, qui peregrino, esser devria, / s’a l’alta patria vuol per dritta via / col favor di là su correr leggiero ».

75 Bernardino Ochino, Prediche nove, c. 21v.

76 Bernardino Ochino, Prediche nove, c. 9v. Ma l’aspirazione ad una renovatio che si opponga al costume presente prende corpo soprattutto, al di là di rime 1540, in S134, S144e S191.

77 Bernardino Ochino, Prediche nove, cc. 78v-79v.

78 Bernardino Ochino, Prediche nove, rispettivamente cc. 3v, 52r-v, 50v, 51r, 52v, 42r, 27v.

79  Mi riferisco all’anonimo Trattato utilissimo del beneficio di Giesù Christo crocifisso verso i christiani, Venetiis Apud Bernardinum de Bindonis, Anno Domini mdxxxxiii, criticamente edito da S. Caponetto : Benedetto da Mantova, Il beneficio di Cristo con le versioni del secolo XVI. Documenti e testimonianze, Firenze, Sansoni e Chicago, The Newberry Library, 1972. Per i problemi attributivi ed esegetici che il Trattato pone è indispensabile il rimando a C. Ginzburg – A. Prosperi, Giochi di pazienza. Un seminario sul « Beneficio di Cristo », Torino, Einaudi, 1975.

80  Estraggo dalle Prediche nove : « innumerabili beneficii, [...] continovi beneficii ricevuti da Dio », c. 4v ; « essendoli noi tanto ingrati de’ beneficii ricevuti [...] », c. 5v ; « il supremo beneficio [...] è stato l’incarnatione », c. 16r ; « tanti innumerabili benefici a noi concessi senza merito nostro », c. 44v, ecc. Ma già nelle prediche lucchesi del ’38 : « Chi sarà tanto duro che non se innamori d’un tanto beneficio [...] », cfr. E. Campi, Michelangelo e Vittoria Colonna cit., p. 82 ; « Et in questo modo anchora non ti debbi disperare di non poter sadisfare et pagare tanti infiniti beneficii ricevuti da Dio per i meriti di Christo infiniti [...] », cfr. P. Simoncelli, Evangelismo cit., p. 97. Di Ochino « pronto interprete » del Beneficio parla C. Ossola, Nei “labirinti” del « Beneficio di Cristo », in AA. VV., Cultura e società nel Rinascimento tra riforme e manierismi, a cura di V. Branca e C. Ossola, Firenze, Olschki, 1984, alle pp. 409-22. Con l’avvertenza che la formula (di cui Ossola ripercorre l’itinerario, da Agostino a Valdés, nella introduzione a Juan de Valdés, Lo Evangelio di San Matteo cit., pp. 49-63) ricorre in Ochino, come si è visto, fin dai tardi anni ’30. Alla presenza di Ochino nel Beneficio sono dedicate le pp. 154-58di Simoncelli, Evangelismo cit.

81  Secondo, del resto, le pratiche della spiritualità valdesiana : « procurate che sempre gli occhi dell’anima vostra stiano fissi e chiavati con Cristo crocifisso » ; né prova timore chi « con un vivo ed efficace pensamento pone gli occhi dell’anima sua in Cristo crucifisso, considerando con intiera fede che Cristo sodisfà e paga per lui », Giovanni di Valdés, Alfabeto cristiano. Dialogo con Giulia Gonzaga, introduzione note e appendici di B. Croce, Bari, Laterza, 1938, rispettivamente p. 32e p. 48. Lo spunto è paolino : « per patientiam curramus ad propositum nobis certamen : aspicientes in auctorem fidei, et consummatorem Iesum, qui proposito sibi gaudio sustinuit crucem » (Hebr 122).

82  Si enumerano i riscontri più evidenti seguendo l’ordine di rime1540.

83  Bonaventura da Bagnoregio, Itinerarium mentis in Deum, VII, 4.

84  Ochino si muove qui tra la Teologia mistica di Dionigi Areopagita e la « docta ignorantia » cusaniana. Cfr. ad es. Nicola Cusano, De docta ignorantia, III, xi.

85  Sulla ‘fortuna’ di questa figura offre utili indicazioni bibliografiche R. Castagnola, Le metamorfosi della Maddalena, in AA. VV., Le tradizioni del testo. Studi di letteratura italiana offerti a Domenico De Robertis, a cura di F. Gavazzeni e G. Gorni, Milano-Napoli, Ricciardi, 1993, pp. 239-54. Sopra l’interesse della Colonna per la Maddalena si sofferma A. Valerio, Bibbia, ardimento cit., pp. 161-65.

86  Cfr. le lettere del duca di Mantova Federico II Gonzaga a Vittoria dell’11marzo e del 28 luglio 1531, in Carteggio, pp. 64-67e pp. 71-72.

87  Cfr. A. Luzio, Vittoria Colonna cit., p. 19.

88 Bernardino Ochino, Prediche nove, c. 68r. Ma cfr. anche c. 71v : « [...] essendo stata per trentadue anni in quello scoglio della Bauma, dove sono stato io con uno mio compagno, dove ho detto messa [...] ». Già Rinaldo Corso, nella sua Dichiaratione fatta sopra la seconda parte delle rime della divina Vittoria Colonna marchesana di Pescara, Bologna, Giambattista Faelli, 1543 (ma allestita nel ’41) faceva riferimento alla predica ochiniana a proposito del soggiorno penitenziale della Maddalena delineato dalla Colonna. Il nome del transfuga e apostata venne sostituito con quello di un innocuo Padre Fra Benedetto da Roma nella edizione del 1558Tutte le rime della illustriss. et eccellentiss. signora Vittoria Colonna, marchesana di Pescara, con l’espositione del signor Rinaldo Corso, nuovamente mandate in luce da Girolamo Ruscelli, in Venetia, per Giovan Battista et Melchior Sessa fratelli, [1558], pp. 469-70 : « Oltra di questo il R. Padre Fra Benedetto da Roma in alcuna delle sue Prediche dice essere un luogo appresso Marsiglia, là dove egli è stato, detto Bauma ; nel qual luogo fece Maddalena penitentia sì lungamente, e or v’è la sua imagine finta, ignuda, co’ capegli disciolti fino sopra le piante ». Cfr. anche D. Tordi, Il codice delle rime cit., pp. 32-33e M. Bianco, Le due redazioni del commento di Rinaldo Corso alle rime di Vittoria Colonna, « Studi di filologia italiana », LVI (1998), pp. 271-95, dove, tra i vari cambiamenti redazionali, si registrano e commentano anche quelli riguardanti Ochino.

89  Cfr. Carteggio, pp. 131-32.

90  Il Trionfo (che molto risente della Pascha del Cariteo) è ascrivibile al 1532, se si dà credito alla data della visione, sette anni dopo la morte del marito (1525) : « Poi che ’l mio sol, d’eterni raggi cinto, / nel bel cerchio di latte fe’ ritorno, / da la propria virtute alzato e spinto, / già sette volte avea girato intorno / i segni ove ne fa cangiar stagione / chi porta seco in ogni parte il giorno », vv. 1-6.

91  Pianto della Marchesa di Pescara sopra la Passione di Christo, con una Oratione della medesima, sopra l’Ave Maria. [Aggiuntavi una] Oratione fatta il venerdì santo, sopra la passione di Christo, In Vinegia appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari, mdlxii.

92  Cfr. P. Simoncelli, Evangelismo cit., pp. 209-15.

93 Vittoria Colonna, Meditatione, in P. Simoncelli, Evangelismo cit., p. 424. La prosa della Colonna è riportata integralmente alle pp. 423-28.

94  Rispettivamente Prediche nove, c. 33r (predica quarta) e Dialogi sette, p. 54(Dialogo del modo dell’innamorarsi di Dio).

95  Vittoria Colonna, Meditatione, p. 427. La stampa giolitina ha « consumarsi, anzi farsi victima ». Vedi anche la lettera della Colonna a Costanza d’Avalos Piccolomini (prima del 1545) : « [...] ti prego ti sforzi veder come la singularissima patrona e regina nostra Maria il mirabil mistero dell’altissimo Verbo [ha] incarnato in lei, et come si liquefa di divino ardore di vedere la sua istessa carne fatta un vivo eterno sole [...] », Carteggio, p. 294.

96 Bernardino Ochino, Prediche nove, c. 17r (predica seconda).

97 Vittoria Colonna, Meditatione, p. 427.

98 Bernardino Ochino, Prediche nove, c. 27r (predica quarta).

99 Vittoria Colonna, Méditatione, p. 427.

100 Bernardino Ochino, Prediche nove, c. 17rv (predica seconda).

101  C. 16r. A proposito della ‘mariologia’ della Colonna Campi parla di « ridimensionamento » : nessun accenno, secondo lo studioso, all’Immacolata, all’Assunta, o alla funzione di Mediatrice e Avvocata della Vergine (cfr. Michelangelo e Vittoria Colonna cit., p. 50). L’Assunzione, per cui vige dogmaticamente la costituzione apostolica Munificentissimus proclamata da Pio XII nel 1950, mi pare invece presente in S164, vv. 9-10 : « e Quella, poi, che in velo uman per gloria / seconda onora il Ciel » ; la pietà tradizionale è testimoniata, del resto, anche nella Pascha del Cariteo : « Fu per le tenere aure in sù levata, / Per man d’Angeli assumpta a l’alto cielo, / Et sovra i chori angelichi exaltata. / Conforme al figlio, nel corporeo velo, / Simile al padre, in sua divina mente, / Et, in amor, al santo, ardente zelo », Cantico quarto, vv. 73-78, in Le rime di Benedetto Gareth. detto Ii Chariteo secondo le stampe originali con introduzione e note di E. Percopo, Napoli, 1892, pp. 400-401. L’immacolata concezione (bolla Ineffabilis di Pio IX del 1854) è enunciata in S1106, vv. 5-8 : « Dal giusto sdegno Suo Colui la tolse / che sol forma le leggi e ’l ciel misura, / e fuor d’ombra d’error, candida e pura, / dal nodo universal non mai la sciolse ». Fanno riferimento all’intercessione di Maria tanto S1100, vv. 12-13(« prega Lui dunque che i miei giorni tristi / ritorni in lieti ») quanto S222, v. 9(« So ch’ella prega Te per noi »).

102  Cfr. anche la predica quarta, c. 36r : « fate che la sua passione vi sia sempre presente : e fate come faceva il popolo de Israel : che essendo feriti dalli serpenti, non havevano altro rimedio, che risguardare in quell’altro serpente eneo : e in quello guardando erano sanati da tutte le infirmità ».

103  Inoltre, sempre nella predica prima : « bisogna che tu pigli una bilanza : e da l’una parte mettervi i continovi beneficii ricevuti da Dio : e dall’altra le ingratitudine tue » (c. 4v) ; « sì che bisogna dolerti per Christo, e per haver offeso a tanta bontà, a tanta charità, che ci ha portato essendoli noi tanto ingrati de beneficii ricevuti » (c. 5v).

104  Fornisce il riscontro E. Campi, Michelangelo e Vittoria Colonna cit., p. 41.

105  Sulla « convenienza » dell’incarnazione si ragiona nella parte IV, dedicata all’incarnazione del Verbo, del Breviloquium bonaventuriano. Lo spunto è in Hebr 210e Hebr 923.

106  Vedi il passo indicato nella nota 100.

107  « Donna, dal Ciel gradita a tanto onore / che ’l tuo latte il Figliuol di Dio nudriva, / or com’Ei non t’ardeva e non t’apriva / con la divina bocca il petto e ’l core ? / Or non si sciolse l’alma ? [...] » (vv. 1-5).

108 Bernardino Ochino, Prediche nove, c. 35v (predica quarta).

109  Ho accennato a questo sonetto in Vittoria Colonna et la voix cachée, « Cahiers de la Faculté des Lettres de l’Université de Genève », 4(1991), pp. 21-23.

110  Cfr. l’intero sermone 11dei Sermones « Omnis qui confitebitur me », 1543(« Chome Dio non si può da noi cognoscere a sufficientia, se non in Christo e per Christo ») o anche Prediche nove, c. 82v : « per Christo tu vederai la sapienza de Dio [...] ».

111 Bernardino Ochino, Sermones « Omnis qui confitebitur me », c. O1v (sermone 21).

112  Quando lodiamo Dio senza concentrazione « labia moventur ad cantum, cogitatio autem per nescio quae desideria volat. Stabat ergo mens nostra quodam modo ad laudem Dei, et anima nostra per diversas cupiditates vel curas negotiorum hac atque illac fluitabat », Agostino, Enarrationes in Psalmos, 145, 6

113  Così il Flaminio consiglia Carlo Gualteruzzi, in una lettera, da Napoli, del 28febbraio 1542 : « io non saprei proporvi libro alcuno (non parlo della Scrittura santa) che fosse più utile di quel libretto de imitatione Christi [...] », in Marc’Antonio Flaminio, Lettere, a cura di A. Pastore, Roma, Edizioni dell’Ateneo e Bizzarri, 1978, p. 121.

114 Bernardino Ochino, Dialogi sette, p. 51.

115  Imitazione di Cristo, introduzione di E. Zolla e traduzione di C. Vitali, Milano, Rizzoli, 1988, I, III 1, p. 20.

116  Imitazione di Cristo, III, xxxviii1, p. 260.

117  BernardinoOchino, Sermones « Omnis qui confitebitur me », cc. O2v e O4r. E già nella settima delle Prediche nove, cc. 54v-55r : « Praeterea sono alcuni che contemplano Christo su la Croce : ma non vegono in lui, se non quei crociati, e tormenti, e le spine, e gli chiodi, e la lancia. Ma bisogna che tu rompi questo pane : che tu lo mastichi, e che tu lo rumini, e che tu lo macini bene alla similitudine di Maria [...] ».

118 Bonaventura Da Bagnoregio, Itinerarium mentis in Deum, IV, 1.

119  Si aggiunga S129, vv. 5-8 : « L’anima eletta, che i bei segni sente / in se medesma del celeste ardore, / Gesù vede, ode e ’ntende, il cui valore / alluma, infiamma, purga, apre la mente ».

120 Bonaventura Da Bagnoregio, Itinerarium mentis in Deum, VII, 5.