Il libro di rime tra secondo Cinquecento e primo Seicento
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Al di là del “canzoniere”: il libro di rimed’autore tra Cinque e Seicento
«Né mi ha potuto da ciò rimuovere il conoscere a quanto periglio s’esponga chi va sotto il giudicio universale».1
L’editoria cinquecentesca è un microcosmo all’interno del quale non è sempre facile orientarsi, sia per la grande quantità di libri stampati sia per la loro estrema varietà. A metà del sedicesimo secolo, del resto, il libro a stampa è ormai diventato un oggetto commerciale, oltre che culturale, che si trova al centro di complesse dinamiche sociali, economiche e politiche.2 La circolazione su larga scala del testo scritto che deriva dalla tecnologia della stampa, poi, obbliga anche gli autori a confrontarsi con una dimensione nuova del testo stesso, più marcatamente pubblica e definitiva rispetto a quella del manoscritto. Considerando questo insieme di fattori, è possibile affermare che con il passare del tempo il libro diventa un oggetto sempre più pensato, progettato e controllato.3 Anche il libro di rime ha il suo posto all’interno di questo sistema e anch’esso, nel momento in cui si deposita su carta stampata, si sottomette alle medesime leggi – ideologiche e di mercato – cui si sottopongono tutti gli altri prodotti librari. Tra queste, e soprattutto per l’opera letteraria, vi è, senza dubbio, la necessità di soddisfare i gusti del pubblico.4 Questo fattore stimola la sperimentazione di modelli differenti di libro – come quello del canzoniere petrarchista o delle “rime di diversi”, nel caso della lirica – che prendono forma e si sviluppano per poi tramontare a favore di nuove soluzioni e nuove mode.5
L’evoluzione fisiologica delle forme della cultura di una società rappresenta spesso per gli studiosi una “crisi” davanti alla quale può diventare diffcile individuare chi e cosa abbia una effettiva capacità modellizzante su quello che segue. Sono convinta che l’approccio più intelligente per affrontare questo problema sia quello che mira ad ampliare l’analisi dei casi, al fine di ottenere una mappatura il più possibile completa dei libri che vengono prodotti e, soprattutto, delle loro peculiarità. Sulla base di una tale mappatura si potrebbero condurre delle comparazioni articolate tra i casi singoli e il più ampio panorama librario in cui si inseriscono ed ottenere quindi una lettura proporzionata dei micro o macro fenomeni che si osservano.6 Ragionare in questo modo significa prendere in considerazione non solo la prospettiva di chi scrive il libro, ma anche quella di chi lo stampa, lo vende e, in infine, lo legge. Significa anche chiedersi, dunque, se e come la forma di un libro rappresenti, oltre alle intenzioni letterarie degli autori, anche i bisogni e le preferenze del mercato editoriale. Prendiamo come esempio, a tal proposito, tutti quegli elementi paratestuali che, a partire dalle soluzioni più semplici, come la numerazione delle pagine, si sono evoluti nel tempo in strategie di organizzazione della materia testuale e quindi di orientamento della lettura sempre più raffinate.7 In ambito letterario, e qui eminentemente lirico, tali strumenti – lettere, tavole, argomenti, commenti, titoli, frontespizi e ripartizioni interni etc. – appaiono infatti come aspetti sempre più centrali nello sviluppo delle forme più moderne ed evolute di libro, sino a diventare, in sostanza, tratti irrinunciabili di un prodotto editoriale che vuole e deve soddisfare sia le esigenze culturali di chi lo scrive sia quelle economiche e sociali di chi lo produce e di chi lo legge.8 Per studiare il libro come oggetto che si trova, quindi, al centro di una comunità allargata, composta da scrittori, editori e lettori, credo possa essere utile mettere in secondo piano, almeno per adesso, alcune questioni.9 La prima riguarda l’importanza dell’autore. Non penso infatti che lo sforzo di adeguamento alla modernità di un poeta “minore” sia per definizione meno rappresentativo della modernità stessa rispetto alla ricerca portata avanti dal poeta “maggiore”. La seconda è relativa al grado di “autorialità” delle scelte attuate nel libro, che diventa meno rilevante quando si guarda dall’esterno, dal punto di vista del pubblico, la proposta che al pubblico stesso viene offerta. La terza, infine, concerne lo studio del macrotesto che, pur essendo una specola da cui non si può prescindere, può essere considerato, più che come base da cui partire per ricostruire le ragioni di un’opera, come elemento a cui guardare in seconda battuta per valutare il grado di “trasparenza” della struttura del libro agli occhi di chi cerca di capire come il libro stesso sia fatto prima di leggerlo.
In questa sede vorrei parlare di due macro-tipologie di libro di poesia che rispondono con soluzioni differenti al comune problema dell’organizzazione della materia lirica. Il primo gruppo comprende volumi che rimangono sprovvisti di apparati paratestuali evoluti – cioè ulteriori ad eventuali lettere iniziali – e che non presentano partizioni interne.10 Questa tipologia rappresenta una soluzione di lunga durata dal momento che dall’istituzionalizzazione della forma “canzoniere” e dalla comparsa delle rime di Bembo rimane, seppur progressivamente minoritaria, comunque praticata. Significative, a tal proposito, le rime di Bernardo Cappello, stampate per la prima volta nel 1556 a Venezia per le cure di Dionigi Atanagi, che nella lettera dedicatoria manifesta apertamente l’intento di allineare il poeta niente meno che a Bembo stesso:
Et havendosi posto inanzi ad imitare per solo duce et maestro il Bembo, mentre che egli cerca, et con ogni studio s’ingegna in ogni cosa d’assomigliarlo, si trasforma per sì fatta maniera in lui, che assai volte non è agevol cosa a conoscere se egli sia il Bembo o il Cappello.11
Come anticipato, la struttura del volume è a campata unica e i testi si dispongono in modo sequenziale, senza il ricorso a strumenti di supporto o di orientamento alla lettura, come argomenti o didascalie. L’unica sezione riconoscibile riguarda la corrispondenza poetica che è posta a conclusione delle rime e che riporta con precisione tutti i dati relativi alla corrispondenza stessa, cioè autore e sonetto di proposta e relativo incipit del sonetto di risposta. Questa pratica, del resto, è e rimane comune a moltissime raccolte liriche, con la differenza che in molti casi la sezione viene segnalata in modo esplicito, guadagnando così ulteriore autonomia.12 Le rime di Cappello, che si collocano ad una altezza cronologica piuttosto alta, aderiscono dunque del tutto, sia nel contenuto che nella forma esteriore, al modello petrarchista-bembiano. In forma non molto diversa si presentano, a distanza di più di venti anni, le Rime di Pietro Gradenigo, edite a Venezia nel 1583. Nella lettera di apertura di Francesco Sansovino si leggono ragioni simili a quelle espresse da Atanagi, certo appartenenti ad una topica diffusa ma comunque interessanti proprio per il loro comune riferimento a Bembo:
et fra i moderni il Bembo fu meraviglioso, in dolcezza, in proprietà di voci, et in gratiosi concetti. Le cui vestigie seguendo molti Poeti dell’età nostra, pare ch’il Clarissimo M. Pietro Gradenico gli andasse assai vicino.13
L’unica differenza sostanziale tra le strutture superficiali dei due libri sta, appunto, nella segnalazione della sezione di corrispondenza che gode anche di una tavola dedicata.
Un altro importante testimone della lunga durata di questa soluzione organizzativa sono senza dubbio le Rime di Celio Magno e Orsatto Giustinian, stampate a Venezia nel 1600.14 Entrambi i libri che compongono il volume presentano una struttura macrotestuale opaca, che può cioè essere rintracciata solo per mezzo della lettura integrale delle liriche e che manifesta ancora una certa adesione all’idea petrarchista di libro, con la narrazione di una storia personale che traspare talvolta con una certa forza – soprattutto, forse, in Giustinian – talvolta con maggiore finezza, magari filtrata attraverso la lezione dei classici.15 Se sul piano della struttura dei contenuti il libro è piuttosto conservativo, sul piano della mise en page, grazie all’elegante e ariosa impaginazione, all’ordinato disporsi delle tavole, alla precisa segnalazione delle rime di corrispondenza (sezione che deve avere evidentemente rilievo in un’opera così dichiaratamente aperta al «giudicio universale»)16 e alla presenza di importanti elementi di arricchimento (come la lettera iniziale di Magno, le rime del fratello Alessandro, e l’ode latina, con la sua traduzione, di Giustinian) il volume si presenta come un oggetto estremamente raffinato e moderno. Questi due fattori, congiunti insieme, determinano la percezione di una precisa identità culturale, che coniuga volutamente conservatorismo strutturale e preziosismo tipografico.
La veste tipografica, le scelte strutturali, gli arricchimenti paratestuali e le peculiarità contenutistiche sono quindi parti inscindibili di una proposta editoriale che, nel momento in cui viene pubblicata, è pensata per funzionare nel suo insieme.17 Questo vale a maggior ragione per le ‘rime’ che, a differenza del poema o dell’opera teatrale, non godono di una struttura testuale intrinseca e diventano tali solo all’interno dei loro contenitori. La ricezione di nessun altro tipo di testo letterario dipende, infatti, dal suo contenitore quanto quella del testo lirico che, a seconda che si trovi in un canzoniere, in una antologia o in un libro di madrigali – e ammesso che si conservi dal punto di vista testuale – diventa un oggetto di volta in volta differente agli occhi di chi legge. La rilevanza del polo della ricezione, soprattutto nel campo della lirica, e la sua indiretta capacità di condizionare l’evoluzione delle forme del libro, diventa evidente nei casi in cui si assiste ad una vera e propria biforcazione tra le scelte messe in campo dall’autore e quelle adottate dagli editori nel momento in cui ristampano gli stessi contenuti. Esemplare, in tal senso, il caso delle Rime tassiane, da subito ristampate in modi assai differenti rispetto a quelli da lui proposti.18
Il rapporto tra le forme del libro di rime e la loro fortuna è dunque dinamico e talvolta nervoso. I casi che costituiscono la miglior specola da cui osservare queste tensioni sono quelli che presentano le soluzioni più innovative. Questi libri, che sono spesso molto diversi tra loro, condividono tutti una più o meno precoce messa in discussione della forma a campata unica. Tra questi vi sono i libri di rime di Ludovico Paterno. Il primo viene stampato nel 1560 a Venezia per due volte consecutive, la prima con il titolo di Nuovo Petrarca, la seconda con il più neutro Rime.19 Il volume, che oltre alle rime comprende anche una sezione di Trionfi, si caratterizza per un ambizioso tentativo di rilettura globale della vicenda letteraria del Petrarca volgare che ha come esito principale l’espansione ipertrofica delle misure del modello. La proposta veramente innovativa arriva però con le Nuove fiamme, stampate a stretto giro nel 1561. Il volume si contraddistingue per l’insolita ripartizione interna che, essendo basata su criteri metrici, anticipa una soluzione che sarà utilizzata sempre più spesso per sorpassare in modo quasi del tutto definitivo la disposizione “narrativa” di matrice petrarchista.20 Ne sono esempio le Rime di Girolamo Molin, pubblicate a Venezia nel 1573, e nate nello stesso ambiente dove prenderà forma, ben quasi trent’anni dopo, un libro tanto conservativo come quello di Magno.21 Il libro di Molin presenta una precisa divisione interna sia metrica che tematica: al primo posto vengono naturalmente inseriti i testi amorosi, divisi a loro volta in sonetti, canzoni, canzonette e madrigali e una stanza. Seguono poi quelli morali (ancora sonetti e canzoni), quelli civili (sonetti e canzoni), quelli in morte (sonetti, canzoni, madrigali), quelli spirituali (sonetti, canzoni e una sestina) e quelli in vari soggetti (sonetti, canzoni e madrigali). Compare anche l’immancabile sezione di corrispondenza, alla fine del volume, seguita da una brevissima serie di sonetti in morte dello stesso Molin. Anche in questo caso l’elemento organizzatore è il solo titolo, dal momento che chi allestisce il libro non ricorre ad altri strumenti paratestuali, già talvolta in uso a quell’altezza cronologica.22
Le sperimentazioni che riguardano il riordino della materia lirica si fanno, con il passare degli anni, sempre più frequenti e varie. In questo processo rientra anche la sperimentazione di differenti strumenti di supporto alla lettura del testo, che possono andare dalla proposta di forme di commento e auto commento sino a quella di semplici argomenti, sicuramente meno preziosi ma forse più efficaci in termini di fruibilità presso il pubblico. Non è questa la sede per approfondire il tema dell’esegesi del testo lirico. Mi limito soltanto a citare un esempio che ben rappresenta la fluidità che caratterizza la ricerca, talvolta inquieta, di soluzioni per l’organizzazione di un insieme di testi lirici. Il caso è quello di Giuliano Goselini, che per più di dieci anni lavora alle sue rime e alla forma dei libri che le contengono. La prima versione viene pubblicata nel 1572 e presenta una struttura tradizionale, a campata unica. Nel 1573, tuttavia, compare un corposo autocommento, la Dichiaratione, che arricchisce il testo lirico di raffinati materiali esegetici.23 Le successive edizioni vengono via via sempre accresciute, sino a quando si giunge alla quinta e ultima, mandata alle stampe nel 1588. Questo libro presenta una struttura bipartita, in cui la prima parte è dedicata alla tematica amorosa mentre la seconda ospita testi di vario argomento (encomiastici, spirituali etc.) e contiene, oltre alle consuete lettere prefatorie e dedicatorie e alla corrispondenza poetica, anche la vita dell’autore.24 In questa ultima edizione i testi lirici sono accompagnati dagli argomenti che, pur definiti «brevissimi» dall’autore, sono piuttosto corposi, almeno nella parte amorosa, che conserva forse una latente istanza narrativa.25 Questo libro, probabilmente anche a causa delle sue dimensioni maggiori, manifesta dunque bisogni organizzativi specifici, a cui gli argomenti rispondono in maniera probabilmente più efficace e gestibile rispetto a più articolate forme di esegesi del testo lirico. La questione, insomma, riguarda in questo caso la scelta degli strumenti paratestuali più adeguati in rapporto al corpus di liriche che di volta in volta l’autore si trova a dover organizzare. In questo senso diventa rilevante anche la presenza di due frontespizi interni ben distinti che, oltre a segnalare in modo molto netto la ripartizione del volume, suggeriscono anche una sorta di distinzione metrica, dal momento che, per quanto concerne la prima parte, viene usata il più preciso titolo di Sonetti e canzoni, mentre, per quanto riguarda la seconda, che contiene anche madrigali, viene semplicemente utilizzato il termine più generico di Rime.
Oltre a Goselini, sono numerosi i casi in cui lo stesso libro viene sottoposto a riforme successive che comportano aggiustamenti strutturali, fatti di evoluzioni quanto di recuperi, talvolta difficili da mettere a sistema. Uno di questi è quello di Curzio Gonzaga, che stampa per la prima volta le sue Rime nel 1585 a Vicenza,26 divise in sei libri, cui si aggiunge la consueta sezione finale di corrispondenza. I primi quattro sono dedicati al tema amoroso – compare la medesima Orsa, Felice Orsini, cui è dedicato il Fidamante – mentre il quinto e il sesto raccolgono testi encomiastici civili e politici, molti dei quali rivolti agli Asburgo.27 Tale ripartizione però non è accompagnata da indicatori specifici, se non dai laconici titoli di Parte Prima, Seconda, Terza etc. L’impostazione di lettura, quindi, è ancora lineare, dal momento che la ripartizione in volumi non dice nulla su una loro eventuale differenziazione tematica, che rimane opaca, cioè accessibile solo per mezzo della lettura e invisibile guardando il libro dall’esterno. Tutto cambia, però, con l’edizione del 1591,28 a partire dal frontespizio che, seppur secondo movenze tipiche, dichiara le novità che caratterizzano la nuova edizione:
Rime dell’illusstriss. SIG. CURTIO GONZAGA, Già RICORRETTE, ordinate, et accresciute da lui; ET HORA DI NUOVO ristampate con gli Argomenti ad ogni compositione.
L’arricchimento più importante, però, riguarda la titolazione delle sei sezioni che, anche grazie al breve sommario che accompagna ogni titolo, diventa una vera e propria miniera di informazioni, che esibisce in modo inequivocabile l’esoscheletro narrativo all’interno del quale sono inseriti i testi:
PARTE PRIMA, intitolata, AMOR PUNGENTE: in cui si contiene un discioglimento d’amore del Poeta riconosciuta la Donna amata per indegna della di lui servitù.
PARTE SECONDA, intitolata, AMOR LIGANTE: in cui si contiene il novello, pudico, et nobilissimo innamoramento del Poeta con la divin’ Orsa.
PARTE TERZA, intitolata, AMOR LANGUENTE. In cui si contengono molti affetti et effetti d’Amore, et sperAnze, et temenze, et passioni, et contentezze gentili.
PARTE QUARTA. Intitolata, AMOR TRASFORMANTE O ESTATICO, in cui si contengono le innumerabili virtuti dell’Orsa amata, et fra l’altre la sua infinita honestà, et la incomparabil bellezza.
PARTE QUINTA. Intitolata, AMOR DI CARITÁ E BENEVOLENZA. In Lode di diversi valorosi, et meritissimi Prencipi, et letterati, et di bellissime, et virtuosissime SIGNORE.
PARTE SESTA. Intitolata, AMOR DI GLORIA. In cui si contengono cose di guerra, et particolarmente la rotta di mare data a Selim re de’ Turchi, dal Sereniss. Don GIOVANNI d’Austria.
Oltre a ciò, i testi sono accompagnati da argomenti che insistono spesso sul dato narrativo.29 In questo libro, dunque, si congiungono due fattori: il recupero, tanto esibito da sembrare “archeologico”, di movenze del romanzo in versi – la parte amorosa gode, infatti, anche di una revisione macrotestuale, con l’aggiunta di diversi testi e la sistemazione di quelli esistenti – e il dispiegamento massiccio di strumenti di guida della lettura. Qui anche il lettore più distratto può aprire una pagina qualsiasi e recuperare comodamente tutte le informazioni necessarie per comprendere in quale parte del volume sia venuto a trovarsi e, nel caso delle prime quattro di tema amoroso, a che punto della vicenda sia capitato. In questo senso diventa possibile una lettura non lineare, a campione, in cui però non viene perduta, anzi, viene forse valorizzata, la percezione di trovarsi di fronte ad un contenitore organizzato.
A fronte di tanta varietà sembra difficile ipotizzare, per ciascuna di queste stampe, quali siano i modelli e i fattori che influiscono sulla determinazione della loro struttura e della loro forma editoriale. Dobbiamo rammentare che siamo ormai giunti all’altezza delle più importanti stampe tassiane e che i differenti strumenti sino a qui discussi, come anche le forme di esegesi e di autoesegesi, non rappresentano più una novità, ma una via tentata e percorsa da molti, in diversi frangenti e secondo diversi modi. Se disponiamo le cose sulla linea del tempo, anche il magistrale commento tassiano risulta, più che una innovazione, uno degli ultimi ed estremi baluardi di un uso cinquecentesco fondamentale per l’affermazione della dignità di poeti e di moderni ma sostanzialmente destinato a trovare scarso seguito nei decenni successivi. Non vale lo stesso discorso, invece, per la ripartizione tematica a cui Torquato sottopone la sua opera lirica complessiva, che interpreta una tendenza già presente – si ricordi, Molin – e che continuerà a trovare fortuna. Questo per dire che ad ogni punto di arrivo, anche se stabilito e istituzionalizzato dai libri dei maggiori, non corrisponde, per forza di cose, un complessivo e stabile avanzamento delle forme dei libri ma solo, forse, sedimentazioni progressive di novità che diventano, magari parzialmente, prassi. Questo trova conferma ad inizio Seicento, quando lo sperimentalismo che aveva caratterizzato gli ultimi anni del secolo precedente diventa ancora più vivace. Cito, a titolo di esempio, le rime di Cesare Orsini, stampate a Venezia nel 1605, la cui organizzazione interna è piuttosto varia, se non eclettica.30 Anche qui il romanzo d’amore occupa la prima parte di un libro, in cui ci si orienta grazie agli argomenti che segnalano la progressione del romanzo in versi sino alla sua conclusione. Si passa poi, senza soluzione di continuità, a testi occasionali, variamente organizzati anche in piccole serie, segnalate da brevi didascalie.31 Si trovano poi una sezione centrale segnalata, che contiene i sonetti di diversi all’autore e le rispettive risposte, e, infine, la sezione riservata a madrigali e canzonette dove, invece degli argomenti, troviamo, come di consueto, titoletti più brevi. Questa varietà è, del resto, la stessa che si trova nei “maggiori”, dal momento che gli elementi che abbiamo incontrato sono distribuiti anche nei tre grandi libri di rime che segnano idealmente il passaggio al nuovo secolo: le ripartizioni tematiche di Tasso (al di là dell’uso degli argomenti, pratica per lui invalsa a partire dalle rime eteree), la ripartizione metrica del libro di Guarini (e la messa a punto di argomenti più corti per i sonetti e di veri e propri titoletti per i madrigali) e la doppia partizione tematica e metrica del Marino del 1602 (che non fa ricorso sistematico, però, né ad argomenti né a titoli). Se in molti casi questi elementi vengono usati in modo selettivo, ci sono anche libri in cui vengono accordati secondo una diligente sintesi. Penso, a tal proposito, a Gasparo Murtola e alle sue rime del 1604, che inglobano la precedente raccolta di madrigali del 1599 e la cui divisione in otto parti prevede anche la doppia ripartizione metrica e tematica.32 La prima sezione è dedicata ai sonetti mentre le altre (Gli occhi, Le lacrime, I Pallori, I Nei, I Baci, Le Veneri, Gli Amori) raccolgono madrigali e qualche canzone. Ad ogni testo è ordinatamente assegnato un titolo breve – simili a quelli di Guarini, per intenderci – l’indicazione del metro, la numerazione progressiva e, eventualmente, il nome del dedicatario. Ancora diversa, ma ugualmente ordinata, è la soluzione adottata da Tommaso Stigliani nelle sue rime del 1605.33 Il volume è, in questo caso, diviso in due grandi sezioni (Amori e Soggetti), ciascuna delle quali divise in quattro parti: Amori Civili, Giocosi, Pastorali, Marinareschi; Soggetti Eroici, Morali, Funebri, Famigliari. Ad ogni testo è poi associato un titolo, seppur succinto. La prima percezione che si ha, guardando e sfogliando questi libri è quella di un ordine cristallino, grazie al quale la struttura del volume risulta del tutto trasparente e al contempo adornata, ma non soffocata, da apparati paratestuali di matrice esegetica. Mi sembra dunque questa, in sostanza, una di quelle novità cinquecentesche che maggiormente va affinandosi e sedimentandosi nella prassi secentesca. Mi pare probante, a tal proposito, quanto si trova scritto nella lettera «Al lettore» della seconda edizione delle Rime di Tasso ad opera di Evangelista Deuchino (1621):
Lodovico Paterno, inventò la partitione delle Rime, et la riduttione sotto vari capi: lo seguì Gio. Marino Verdizzotti stampando quelle di Girolamo Molino, et così fecero poscia il Murtola, il Marini, lo Stigliani, il Petracci, il Bruni, et molti altri moderni perché realmente il Lettore con minor fatica, et più ammirazione và godendo quasi in ben disposto giardino bellissimi fiori poetici, che non marciscono mai in qual si voglia stagione: per lo che non volendo traviar dagli altri.34
Già nel 1608, con la prima monumentale edizione dell’opera tassiana, l’editore aveva manifestato una certa insofferenza per gli apparati d’autore.35 In questa prima occasione, però, pur rimuovendo l’autocommento, aveva almeno mantenuto gli argomenti originali, anche se traslati in una tavola a parte, posta in apertura del volume. Gli esiti del 1621, dove invece non vi è più traccia né dell’una né dell’altra cosa – e dove, anzi, gli argomenti sono sostituiti coi brevi titoletti di Carlo Fiamma – dimostrano come l’editore fosse consapevole non solo delle sperimentazioni antecedenti in materia di organizzazione strutturale del libro di rime ma anche dell’impatto che la struttura di questo ha presso chi lo legge.
Per concludere vorrei tornare su alcune questioni, sino ad ora solo accennate. Da un lato va ricordato che il progressivo ampliamento dei temi trattati dalla lirica frantuma dall’interno il “contenitore canzoniere” e impone la necessità di organizzare il contenuto delle raccolte secondo altre strutture. A questa esigenza fa forse capo anche la mutata funzione della poesia lirica stessa, a cui viene chiesto sia di farsi carico di funzioni sociali sempre più varie e pressanti – pensiamo al vero e proprio dilagare della produzione encomiastica – sia di cimentarsi in esercizi tecnici nuovi e ormai irrinunciabili, come quello del madrigale. A fronte di queste istanze, “imbrigliare” i nuovi contenuti nelle vecchie strutture produrrebbe libri poco gestibili, se non illeggibili. Un altro elemento che si può considerare è quello di una certa assuefazione alle antologie che, a differenza dei canzonieri, inducono ad una lettura selettiva, “a campione”, di un corpus autoriale già selezionato a monte dal curatore. Se poi consideriamo che molto spesso il libro d’autore è un prodotto che arriva a posteriori, dopo una stagione più o meno lunga di diffusione sparsa dei testi, magari proprio nelle antologie, ci si potrebbe chiedere se la riorganizzazione complessiva della struttura macrotestuale delle raccolte rappresenti anche una sorta di processo di “auto-antologizzazione”, in cui l’istanza principale non è più quella di pubblicare un’ideale autobiografia lirica ma una versione aggiornata, ufficiale e utopisticamente definitiva della propria opera. Davvero singolare, a tal proposito, il caso di Cesare Rinaldi.36 Senza entrare nel merito della struttura delle sue raccolte, che meriterebbe uno studio a sé, possiamo ricordare come, nel passaggio da una edizione all’altra, il poeta tenda sistematicamente a riselezionare i testi da accogliere nel nuovo volume. Ricapitolando per sommi capi vediamo che nel 1588 escono due raccolte di madrigali; nel 1590 viene pubblicata la terza parte delle Rime, che contiene anche nuovi testi, come sonetti e canzoni; nel 1591 esce la quarta parte, con una sezione dedicata alle novità e l’altra ad una scelta della produzione precedente. Tra il 1594 e il 1603, poi, escono: la sesta parte delle Rime (1598), un Canzoniere (1601) e le Rime nuove (1603). Infine, la raccolta del 1605, di nuovo col titolo Rime, presenta una nuova selezione dell’opera precedente e viene ristampata con ulteriori aggiunte nel 1608 e nel 1619. Durante questo arco di tempo, alle stampe d’autore si affiancano, naturalmente, numerose antologie che ospitano molti dei suoi madrigali.37
Oltre a questi aspetti, non dobbiamo dimenticare che il mercato librario, pur rimanendo un’industria fiorente, vive, nella seconda metà del secolo, e soprattutto a Venezia, una stagione se non di crisi almeno di trasformazione, a fronte della quale il mondo dell’editoria reagire con la ricerca di nuove ed innovative soluzioni per ravvivare il mercato e l’interesse del pubblico.38 Per affrontare questi argomenti tornerebbero utili alcuni suggerimenti che provengono dagli studi più strettamente dedicati alla storia del libro, che molto più spesso prendono in considerazione una serie di dati a cui, nella storia della letteratura, si guarda solo in modo obliquo, come, ad esempio, la tiratura dei volumi, il rapporto numerico tra libri nuovi e ristampe prodotti e commercializzati dagli editori, e altro.39 Se, infine, in partenza è stata accantonata la gerarchia tra poeti, è giusto anche ribadire, almeno ora, che esistono effettivamente casi che pesano più di altri, non solo sul piano della tradizione successiva ma in primis su quello della loro contemporaneità. Ciononostante, purtroppo, rimane difficile stabilire con precisione quanto e come la lettura di un libro abbia influito sulla stesura di un altro, a meno di esplicite ammissioni. Mi pare però che a questo proposito alcuni appigli ci vegano offerti dai libri stessi, nelle cui forme, che attendono ancora di essere studiate nella loro dimensione più completa e complessa, si depositano le tracce del rapporto con la più ampia comunità culturale all’interno della quale si muovono.
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1 Rime di Celio Magno et Orsatto Giustiniano, Venezia, Andrea Muschio, 1600, c. 3r.
2 Soprattutto a partire, naturalmente, dalla pubblicazione dell’indice paolino del 1559.
3 Di seguito alcuni riferimenti bibliografici di base sulla storia del libro: Sigfrid Henry Steinberg, Cinque secoli di stampa, Torino, Einaudi, 1962; Marshall McLuhan, La galassia Gutemberg: nascita dell’uomo tipografico, Giampiero Galameri (a cura di), Roma, Armando, 1962; Rudolf Hirsch, Printing, selling and reading: 1450-1550, Wiesbaden, Harrassowitz, 1967; Carlo Ginzburg, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ’500, Torino, Einaudi, 1976; Lucien Febvre, Henri-Jean Martin, La nascita del libro, Armando Petrucci (a cura di), Roma, Laterza, 1977; Id. (a cura di), Libri, editori e pubblico nell’Europa moderna. Guida storica e critica, Roma-Bari, Laterza, 1977; Rudolf Hirsch, The Printed Word: Its Impact and Diffusion (Primarly in the 15-16 Centuries), London, Variorum reprints, 1978; Paul F. Grendler, L’inquisizione romana e l’editoria a Venezia: 1540-1605, Roma, Il veltro, 1983; Elizabeth Eisenstein, La rivoluzione inavvertita. La stampa come fattore di mutamento, Bologna, Il Mulino, 1985; Roger Chartier, L’ordine dei libri, Milano, Il saggiatore, 1994; Brian Richardson, Print Culture in Renaissance Italy. The Editor and the Vernacular Text 1470-1600, Cambridge, Cambridge University Press, 1994; Id., Stampatori, autori e lettori nell’Italia del Rinascimento, Milano, Sylvestre Bonnard, 2004. Si rimanda poi ai seguenti studi per approfondimenti tematici e disciplinari: Ester Pastorello, Tipografi, editori, librai a Venezia nel secolo XVI, Firenze, L. S. Olschki, 1924; Luigi Balsamo, Le origini del corsivo nella tipografia italiana del Cinquecento, in collaborazione con A. Tinto, Milano, Il Polifilo, 1967; Gian Ludovico Masetti Zannini, Stampatori e librai a Roma nella seconda metà del Cinquecento. Documenti inediti, Roma, Fratelli Palombi editori, 1980; Martin Lowry, Il mondo di Aldo Manuzio. Affari e cultura nella Venezia del Rinascimento, Roma, Il Veltro Editrice, 1984; Amedeo Quondam, La letteratura in tipografia, in A. Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana, Produzione e consumo, vol. 2, Torino, Einaudi, 1983 pp. 555-686; Armando Petrucci, Storia e geografia delle culture scritte (dal secolo XI al XVIII), in A. A. Rosa (a cura di), Letteratura italiana, Storia e geografia, vol. 2, L’età moderna, Torino, Einaudi, 1988 pp. 1193-1292; Marco Santagata e Amedeo Quondam (a cura di), Il libro di poesia dal copista al tipografo: Ferrara 29-31 maggio 1987, Modena, Panini, 1989; Marco Santoro (a cura di), La stampa in Italia nel Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1992; Roger Chartier, Cultura scritta e società, Milano, Sylvestre Bonnard, 1999; Angela Nuovo, Il commercio librario nell’Italia del Rinascimento, Milano, Franco Angeli, 1998; Martin Lowry, Nicolas Jenson e le origini dell’editoria veneziana nell’Europa del Rinascimento, Roma, Il veltro, 2002; Roger Chartier, Inscrivere e cancellare: cultura scritta e letteratura dall’undicesimo al diciottesimo secolo, Roma-Bari, Laterza, 2006.
4 Per il rapporto tra libro e pubblico si rimanda almeno a: A. Petrucci (a cura di), Libri, editori e pubblico nell’Europa moderna, cit.; C. Ginzburg, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ’500, cit.; B. Richardson, Stampatori, autori e lettori nell’Italia del Rinascimento, cit.; R. Chartier, Cultura scritta e società, cit.
5 Per gli studi sulle antologie liriche rimando almeno a Franco Tomasi e Paolo Zaja (a cura di), Rime diverse di molti eccellentissimi autori (Giolito 1545), Torino, RES, 2001; F. Tomasi, Studi sulla lirica rinascimentale (1540-1570), Roma-Padova, Antenore, 2012; Id., Osservazioni sul libro di poesia nel secondo Cinquecento (1560-1602), in Alessandro Metlica e Franco Tomasi (a cura di), Canzonieri in transito. Lasciti petrarcheschi e nuovi archetipi letterari tra Cinquecento e Seicento, Milano-Udine, Mimesis, 2015.
6 Per uno studio estensivo e sistematico sono molto utili strumenti come la banca dati Lyra: www.lyra.unil.ch (data ultima consultazione 2 luglio 2021). In particolare credo che alcuni nodi critici affrontati dagli storici del libro (come il dato del privilegio di stampa, ad esempio) troverebbero felice applicazione negli studi di matrice più strettamente letteraria. Cfr. Sabina Minuzzi, Privilegi di stampa nella Venezia del Rinascimento, Marsilio, Venezia, 2016.
7 Cfr. a tal proposito l’efficace formula di Richardson, che definisce questi strumenti come «apparati di navigazione», Stampatori, autori e lettori, cit., p. 197.
8 Cfr. Alessandro Martini, Le forme del nuovo canzoniere, in Maria Luisa Doglio (a cura di), I capricci di Proteo. Percorsi e linguaggi del Barocco, Roma, Salerno, 2002, pp. 199-226; Cristina Montagnani (a cura di), Il nuovo canzoniere. Esperimenti lirici secenteschi, Roma, Bulzoni, 2008 e F. Tomasi, Studi sulla lirica rinascimentale, cit.
9 Idea, quella del libro di rime come fenomeno sociale, ormai invalsa nella critica, e del resto autoevidente, considerando l’onnipresenza delle lettere rivolte «ai lettori» o «a chi legge», che contengono spesso informazioni preziosissime sul libro che abbiamo tra le mani. Si può vedere, a tal proposito, almeno A. Quondam, «Mercanzia d’onore» «Mercanzia d’utile». Produzione libraria e lavoro intellettuale a Venezia nel Cinquecento, in A. Petrucci (a cura di), Libri, editori e pubblico, cit., pp. 53-104; Mario Infelise, Note per una ricerca sull’editoria veneziana del ’500, in M. Santoro (a cura di), La stampa in Italia, cit., pp. 633-640 e, in generale, gli studi di Richardson (ad es. Stampatori, autori e lettori, cit., p. 57: «non poteva esserci pubblicazione di successo senza successo di pubblico»).
10 Ad eccezione dell’onnipresente zona dedicata alle rime di corrispondenza, per sua natura sempre segnalata, seppur in modo molto vario.
11 Rime di m. Bernardo Cappello, Venezia, Domenico e Giovanni Battista Guerra, 1560, cc. 4r-5v. Per la trascrizione dalle stampe si adotta un criterio di limitato ammodernamento, per una lettura più agevole del testo (vengono sciolte le note tironiane, distinzione di v da u, modernizzazione della grafia -ij).
12 Sulla corrispondenza poetica nel Medioevo cfr. Claudio Giunta, Versia un destinatario. Saggio sulla poesia italiana, Bologna, Il Mulino, 2002. Per un caso secentesco rimando invece a Lorenzo Sacchini, Corrispondenti nelle Rime di Filippo Massini (1609): Girolamo Preti, Tommaso Stigliani, Isabella Andreini e Torquato Tasso, «Filologia e critica», ii (2013), pp. 161-193.
13 Rime di m. Pietro Gradenico […], Venezia, eredi di Francesco Rampazetto, 1583, c. 3v.
14 Rime di Celio Magno et Orsatto Giustiniano. cit.
15 Per la struttura macrotestuale del libro di Magno si rimanda a Andrea Campana, Ipotesi di lettura sul macrotesto delle Rime (1560) di Celio Magno, «Studi e problemi di critica testuale», 89 (2014), pp. 211-252, e, soprattutto per i debiti con la classicità, Giacomo Comiati, «Benché ’l sol decline / vince un sol raggio suo tutte le stelle». La parabola amorosa nelle Rime di Celio Magno, «Italique», 17 (2014), pp. 103-140, ma anche al saggio di Jacopo Galavotti, Note sparse su metrica e macrotesto, qui stampato.
16 Rime di Celio Magno et Orsatto Giustiniano cit., c. 3r.
17 Come elemento di mediazione della dicotomia – falsa, potremmo dire – tra aspetti formali e sostanziali potremmo citare anche i processi di revisione linguistica, che in molti casi hanno avuto un consistente peso nella storia della fortuna di un testo letterario. Cfr., a tal proposito, B. Richardson, Stampatori, autori e lettori, cit., p. 142.
18 Ci si riferisce da un lato a Delle rime del sig. Torquato Tasso parte prima. […]. Con l’espositione dello stesso autore. […], Mantova, Francesco Osanna, 1591; Rime del sig. Torquato Tasso. Di nuovo datte in luce, con gli argomenti et esposizioni dell’istesso autore […], Brescia, Pietro Maria Marchetti, 1593; e dall’altro a Rime del Signor Torquato Tasso, […], Venezia, Evangelista Deuchino, 1621; Rime del Signor Torquato Tasso, divise in sei parti. […], Venezia, Giovan Battista Pulciani, 1608.
19 Nuovo Petrarca di m. Lodovico Paterno […] e Rime di m. Lodovico Paterno […], Venezia, Gioan Andrea Valvassori, 1560. Cfr. a tal proposito, Giulio Ferroni e Amedeo Quondam, La locuzione artificiosa. Teoria ed esperienza della lirica a Napoli nell’età del manierismo, Roma, Bulzoni, 1973, pp. 340-342 e Dante Marocco, Il canzoniere di Ludovico Paterno, Piedimonte d’Aliefe, Grillo, 1951.
20 Le nuove fiamme di m. Lodovico Paterno […], Lione, Guglielmo Rovillio, 1568. Cfr. a tal proposito l’intervento di Stella Fanelli, Le Nuove Fiamme di Ludovico Paterno, in Il nuovo canzoniere. Esperimenti lirici secenteschi, Roma, Bulzoni, 2008, pp. 15-50. Le parti sono: sonetti e canzoni pastorali, stanze, elegie, egloghe marittime, amorose, lugubri, illustri e varie, nenie e tumuli. Per altre note su Paterno si rimanda a A. Quondam, La parola nel labirinto. Società e scrittura del Manierismo a Napoli, Bari, Laterza, 1975, ad locum.
21 Rime di m. Girolamo Molino […], Venezia, 1573.
22 Rilevante però dal punto di vista paratestuale la presenza della Vitadi Molin, scritta da Verdizzotti, che rafforza la funzione celebrativa di cui la stampa postuma si fa carico. Per questa tipologia di paratesto si rimanda a Franco Tomasi, Le vite dei poeti nelle edizioni cinquecentesche tra esegesi e storia della letteratura, in Vies d’écrivains, vies d’Artistes. Espagne, France, Italie, XVIe-XVIIe siècles, Paris, Presses de la Sorbonne Nouvelle, 2014, pp. 71-86.
23 Giuliano Goselini, Rime (1588), a cura di Luca Piantoni, Padova, Cleup, 2014; Dichiaratione di alcuni componimenti del s. Giuliano Goselini, Milano, Giovanni Antonio degli Antoni Il Vecchio, per Paolo Gottardo Pontio, 1573. Su Goselini cfr. Simone Albonico, Descrizione delle ‘Rime’ di Giuliano Goselini, in Id., Ordine e numero, Studi sul libro di poesia e le raccolte poetiche nel Cinquecento, Alessandria, Edizione dell’Orso, 2006, pp. 29-46, pp. 135-181, e Armando Maggi, Il commento al “sé oscuro”: la «Dichiarazione» di Giuliano Goselini e la fine del sapere rinascimentale, «Italianistica», 1 (2003), pp. 11-28. Per altre note cfr. F. Tomasi, Studi sulla lirica rinascimentale, cit., p. 20.
24 Riepilogo di seguito tutte le edizioni delle rime di Goselini: la prima viene stampata a Milano nel 1572 (P. G. Da Ponte), la seconda a Venezia nel 1573 (P. Deuchino), la terza nuovamente a Milano nel 1574 (P. G. Da Ponte), la quarta a Venezia nel 1574 (presso gli eredi di Deuchino); la quinta, a cui stava lavorando al momento della morte, esce postuma nel 1588 (F. Franceschini).
25 Va precisato che gli apparati esegetici o autoesegetici cinquecenteschi svolgono funzioni ben più complesse rispetto a quella del vario insieme di «apparati di navigazione» cui mi sto riferendo in questo contesto. Ciononostante, dal momento che anch’essi, comunque, rientrano nella parabola dell’evoluzione delle forme del libro di rime e compartecipano alla mediazione tra le istanze culturali dell’autore e quelle socio-economiche del pubblico e del mercato, ritengo che il loro ruolo all’interno delle geometrie strutturali del volume stampato si intersechi, almeno in parte, con quello degli altri aspetti ‘editoriali’ in gioco. Rimando per approfondimenti a F. Tomasi, Le ragioni del “moderno” nella lirica del XVI secolo tra teoria e prassi, in Id. Studi sulla lirica rinascimentale, cit., pp. 3-24, e più ampiamente tutto il volume.
26 Rime dell’immustriss.mo Curtio Gonzaga, Vicenza, Stamperia nuova, 1585.
27 Si deve ricordare che in apertura il poeta celebra le nozze tra Caterina d’Austria e Carlo Emanuele I di Savoia.
28 Venezia, eredi di Curzio Troiano Navò, 1591.
29 «Comincia la narrazione, scoprendo il poco degno soggetto, che si havea tolto ad amare, pentendosi del suo errore».
30 Delle rime di Cesare Orsino. Parte Prima. […], Venezia, Giovan Battista Ciotti, 1605.
31 Un caso è quello di alcuni testi ‘spirituali’ consecutivi (cfr., ad esempio, la serie che si avvia a p. 61).
32 Gli occhi d’Argo. Centro madrigali del sig. Gasparo Murtola […], Perugia, Vincentio Colombara, 1599; Rime del sig. Gasparo Murtola […], Venezia, Roberto Meietti, 1604.
33 Venezia, Giovan Battista Ciotti, 1605.
34 Rime del Signor Torquato Tasso, cit., c. 8r; Cfr. F. Tomasi, Osservazioni sul libro di poesia, cit., p. 36.
35 Rime del Signor Torquato Tasso, divise in sei parti. […], cit. Sul frontespizio della prima parte non compare il nome di Evangelista Deuchino, che è però presente nei successivi.
36 Per approfondimenti si rimanda a Luisella Giachino, ‘Dispensiera di lampi al cieco mondo’. La poesia di Ceare Rinaldi, «Studi secenteschi», 42 (2001), pp. 85-124; Salvatore Ritrovato, ‘Ciò che chiudo nel cor dipingo in carte’. La poesia di Cesare Rinaldi nell’ambiente artistico bolognese di Fine Cinquecento, «Schifanoia», 22-23 (2002), pp. 145-155; Id., «Per te non di te canto». I madrigali di Cesare Rinaldi, Manziana, Vecchiarelli, 2005; Luca L. Lamperini, Su alcuni sonetti di Cesare Rinaldi, «Riscontri», 3-4 (2009), pp. 25-43. Danielle Boillet, Marino, Rinaldi, Achillini, Campeggi, Capponi e altri in una raccolta bolognese per nozze (1607), «Studi secenteschi», 55 (2014), pp. 3-62.
37 Tra cui, almeno: Gioie poetiche di madrigali del sig. Hieronimo Casone, e d’altri celebri poeti de’ nostri tempi, […], Venezia, Giulio Somasco, 1593; I fiori di madrigali di diversi autori illustri raccolti per Ercole Carrafa, Venezia, Giacomo Vincenti, 1598; Ghirlanda dell’Aurora, scelta di madrigali de’ più famosi autori di questo secolo […],Venezia, Bernardo Giunti e Giovan Battista Ciotti, 1609; Il Gareggiamento poetico del Confuso Accademico Ordito. Madrigali amorosi gravi, e piacevoli […], Venezia, Barezzo Barezzi, 1611.
38 Cfr. A. Quondam, «Mercanzia d’onore» «Mercanzia d’utile», cit.
39 Cfr. ancora Id., «Mercanzia d’onore» «Mercanzia d’utile». Produzione libraria e lavoro intellettuale a Venezia nel Cinquecento, cit.; A. Nuovo, Il commercio librario nell’Italia del Rinascimento, cit. e Carmela Reale (a cura di), Il libro al centro. Percorsi tra le discipline del libro in onore di Marco Santoro, Napoli, Liguori, 2014.