Revue Italique

Il libro di rime tra secondo Cinquecento e primo Seicento

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Le raccolte di Marino e la lirica di primo Seicento

Emilio Russo

Una delle questioni essenziali che rimane ancora aperta per una valutazione della cultura di primo Seicento è la latitudine della stagione mariniana,1 l’effettivo ruolo modellizzante svolto dalle opere di Marino, anche e soprattutto prima del 1623 dell’Adone, momento di approdo tardivo di un cantiere su cui da anni si addensavano sospetti.2 Più che il poema grande, dunque, troppo ingombrante per varie ragioni, sono le raccolte liriche e i Panegirici (e in primo luogo il Ritratto per Carlo Emanuele del 1608),3 gli idilli e gli epitalami a dover essere presi in esame per misurare il valore e l’incidenza di un “marinismo”, etichetta che una diretta analisi sui testi rivela sempre più sbiadita. E sono forse soprattutto le rime a meritare un approfondimento in questa chiave, nella loro ampiezza e nelle loro caratteristiche strutturali, e soprattutto nei due tempi del 1602 e del 1614, con la prima uscita destinata ad aver un impatto notevole sulla società letteraria contemporanea, e con la seconda giocata all’apparenza in tono dimesso, quando la pratica e gli interessi del Marino sembravano ormai indirizzati verso altri poli.

L’esordio del 1602, studiato a lungo dalla scuola friburghese e soprattutto da Ottavio Besomi e Alessandro Martini,4 era in realtà la sintesi unitaria di un lungo apprendistato, passato per gli anni napoletani, per i mesi romani del 1600-1601, e persino per le settimane del viaggio verso Venezia, per stampare il volume presso Ciotti.5 Del complesso edificio delle Rime del 1602 si può per ora dare solo un giudizio parziale, in attesa di un commento che completi i volumi fin qui usciti per le edizioni promosse dall’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara.6 Manca ancora un commento del ricco dossier di Rime II (Madriali e canzoni),7 sul quale l’attenzione critica è stata pure fin qui assai insistita soprattutto da parte di Francesco Guardiani e di Alessandro Martini; e mancano alcune sezioni di Rime I, le Morali, le Sacre, le Proposte e risposte, con quest’ultima sezione cruciale per intendere non soltanto, a livello biografico, la rete di contatti del Marino, ma soprattutto per vagliare la grammatura stilistica dei suoi versi alla prova con un raffronto diretto con i contemporanei: Tasso e Guarini, ma anche Stigliani, Murtola e Casoni, e una folla di comprimari, utili comunque per dare la tonalità di fondo.

Il secondo tempo della lirica mariniana conosce un’incubazione altrettanto lunga, una dozzina d’anni, fino alla stampa di Lira III nella prima parte del 1614.8 Secondo i giudizi dei contemporanei, e in primo luogo di Stigliani,9 sarebbe stata proprio questa raccolta a rappresentare uno scarto rispetto alla prima stagione, avviando quella deriva viziosa, in termini di argomenti e in termini di stile, che avrebbe poi portato all’oltranza dell’Adone. Si tratta di una diagnosi che, al di là del quasi certo viraggio polemico che la caratterizza, merita di essere approfondita, anche qui soprattutto in sede di commento ai testi, avviando un lavoro di puntuale ricostruzione sulla raccolta del 1614, dedicata al cardinale Giannettino Doria e aperta dalla fondamentale Lettera Claretti.10 E qui un’osservazione a margine, a questo punto necessaria: registrando la scarsità di edizioni, di commenti e, fino ad alcuni anni fa, la sostanziale assenza di una ricognizione sulla tradizione dei testi,11 si può affermare con una qualche sorpresa che il Marino lirico è più spesso indicato come polo di riferimento per la poesia di primo Seicento di quanto non sia effettivamente approfondito, come per una proiezione piuttosto legittimata in chiave storiografica (appunto Marino e il “marinismo”) che non verificata in sede critica. Quanto sin d’ora va registrato relativamente al secondo tempo della lirica mariniana è che matura in una cornice completamente diversa (a Torino, da cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro, già passato attraverso vari rovesci), e che schiaccia in un punto della storia mariniana materiali poetici accumulati lentamente negli anni, in un decennio che è per Marino anche quello dei primi idilli, dei panegirici in sestine, degli epitalami. Posto questo quadro, il libro del 1614 sembra sospeso, in bilico tra la ricerca di un nuovo stile, segnato da una maggiore ricerca di quegli spiriti e di quelle vivezze individuate come valore dallo stesso Marino, caratterizzato dunque da una pratica di concentrazione e complicazione di ordine retorico,12 e il senso in qualche misura residuale di una sistemazione del proprio bagaglio lirico.

Fatta salva la necessità di un’organica recensio della tradizione manoscritta del corpus mariniano, che possa portare nuovi elementi sulla circolazione dei testi e sulle relative varianti,13 può essere intanto utile confrontare le Rime del 1602 e Lira III del 1614 da un punto di vista generale, mettendo a specchio la planimetria e la distribuzione delle masse testuali. Questo un profilo sintetico:14

Rime, I-II, 1602Lira, 1614
Amorose81Amori135
Marittime50
Boscherecce88
Eroiche64Lodi85
Lugubri56Lagrime40
Morali16
Sacre42Divozioni86
Varie21Capricci (con scritti vari)58
Proposte37
Madrigali206
Canzoni18
Per la Maddalena del Tiziano

Il prospetto mostra, come dall’alto, i contorni e le quantità delle due raccolte, ma si rivela per forza di cose sommario: i raffronti non sono possibili in modo puntuale, perché Lira III riassorbe la distinzione metrica di sonetti, madrigali e canzoni, e quindi, ad esempio, gli implementi che paiono registrarsi tra due sezioni idealmente prossime di Rime sacre e Divozioni sono soltanto apparenti, considerando la quantità di madrigali di materia sacra presenti in Rime II.15 disegno di Lira III risulta comunque più raccolto su talune sezioni (i soli Amori a corrispondere alle articolazioni di scenario delle Amorose, Boscherecce, Marittime), e meno spavaldo sul piano della quantità, malgrado anche la seconda raccolta finisca per assemblare circa quattrocento testi. La struttura è più semplice, più in rilievo sono i crinali prescelti, con uno spazio notevole assegnato all’encomio16 e soprattutto alla produzione sacra, prima della sezione dei Capricci, che vale una sorta di dichiarazione di poetica, in quella sua natura estemporanea e irregolare.17

Si tratta di una disamina che, in una auspicabile storia rinnovata della poesia di primo Seicento,18 andrebbe approfondita su Marino e allo stesso tempo svolta sulle altre figure: lo Stigliani che passa dal 1601 al 1605 al 1623,19 il Murtola che variamente modula il suo esercizio lirico nei primi anni del Seicento20 e poi naturalmente Casoni, Rinaldi e Achillini, Testi e Campeggi, Cesarini e Ciampoli tra le fila barberiniane,21 nella persuasione che l’incidenza di una suddivisione tematica e le relative distribuzioni interne siano elementi significanti nelle esperienze poetiche di quegli anni. Per restare al Marino, questa abbondanza in relativa diminuzione tra gli esordi e la chiusura dell’esperienza lirica andrà intanto proiettata sulla celebre affermazione della quantità che fa scoppio,22 ma poi e soprattutto incrociata con una analisi ravvicinata dello stile, della sua possibile variazione interna, avendo in mente il terreno di confronto decisivo rappresentato dalle ottave dell’Adone.23

Nei limiti di queste pagine, intanto, proverò ad articolare un confronto tra il modello di Marino e una delle declinazioni cronologicamente più prossime e insieme più giocate in chiave agonistica, quella che si deve ad Antonio Bruni. Quando pubblica La selva di Parnaso,24 nel 1615, Bruni non è ancora il poeta affermato degli anni ’30, e non è neppure l’interlocutore principale del Marino tornato in Italia del 1623, delegato persino a seguire la questione spinosa di una stampa italiana dell’Adone.25 All’altezza del 1615 è un poeta poco più che ventenne, impegnato a mettersi in luce nel proscenio delle corti romane attraverso la sua prima raccolta lirica, che vale da biglietto di presentazione e che offre anche per questo elementi di straordinario interesse. Conviene anche qui partire da uno sguardo d’insieme, per cogliere le caratteristiche della struttura e delle quantità:

La selva di Parnaso, 1615

Amori152
Fantasie68
Encomi40
Esequie20
Piacevolezze9
Moralità14
Divozioni20
Varietadi28
Proposte8
Madrigali67
Canzoni12
Stanze: Cleopatra (in sestine)
             La fama (in ottave)
Panegirici: La fenice             La caccia              Aurora
Scherzi3

Quasi 450 testi, in una scansione che in molti passaggi, a partire dal dittico di Madrigali e Canzoni in due gruppi separati rispetto ai sonetti, riprendeva il Marino del 1602, seppure con elementi di marcata diversione, come nella sezione cospicua delle Fantasie,26 collocate subito dopo gli Amori, o delle Piacevolezze, esile intermezzo tra la sessione in morte e quella morale. E se il giovane Bruni poteva vantare un bagaglio scarno di corrispondenze poetiche27 rispetto al parterre ostentato dal Marino, La selva di Parnaso suppliva con una serie di importanti appendici: una Cleopatra in sestine, lo stesso metro che Marino aveva rilanciato appunto con il Ritratto per Carlo Emanuele,28 un poemetto in ottave sulla Fama (Marino ne aveva annunciato uno dallo stesso titolo dedicato alla regina d’Inghilterra),29 poi una serie di Panegirici30 e la conclusione con tre Scherzi. Anche a una ricognizione del tutto preliminare appare dunque indubbio il conio mariniano di questa architettura, che potrebbe essere intesa come quasi un omaggio da allievo a maestro. A leggere nelle pieghe della raccolta, però, il rapporto si fa meno limpido, le scelte più incisive. Dopo la dedica a Cosimo II de’ Medici, firmata il 13 novembre 1615, sono in particolare le pagine introduttive il luogo nel quale il giovane Bruni mostra una volontà di riscrivere a suo modo la traccia mariniana. Nell’indirizzo L’Autore a’ Lettori, ad esempio, si inserisce una riflessione sullo stile della lirica che merita un approfondimento:

Nello stile m’ho ingegnato d’imitar una strada mezana tra quello de gli antichi troppo culto e rigoroso e tra questo de’ moderni negligentemente artificioso e lussureggiante, vedendo che così si desidera nel canzoniere del Petrarca, del Bembo e del Casa alcuno spirito, o brillo che vogliam dire, come ne’ componimenti del Tasso, Guarini, e d’alcuno altro del nostro secolo maggior cultezza, benché gli uni e gli altri di tutto che si richieggia abbondantemente hanno scritto. Ne’ concetti ho seguito i Poeti Greci, come coloro che sono stati i creatori dell’anime della Poesia.31

Si tratta di un passaggio che dimostra una piena consapevolezza dell’orizzonte di confronti in corso da alcuni anni, discussioni tutte giocate su alcuni termini chiave (artificio e spiriti vs. cultezza), a delineare un’opposizione tra cultura e rigore, dunque tra una misura classica, e la negligente abbondanza accompagnata all’artificiosità.32 La ricerca prospettata da Bruni di una via mediana tra antichi e moderni, con una cesura tra i primi e i secondi collocata intorno alla metà del Cinquecento, con Della Casa da un lato e Tasso dall’altro, dice di una periodizzazione che era in quegli anni oscillante proprio sul nome di Tasso, considerato di volta in volta l’ultimo dei padri o il maggiore dei fratelli; Bruni aggiungeva poi il prezioso riferimento alla poesia greca come bacino originario, con una mossa importante anche in prospettiva, per la definizione di un classicismo più composto e insieme più esteso che si sarebbe affermato negli anni successivi. In questo passaggio è però soprattutto rilevante la proposta di una misura, della necessità di un controllo, effetto di una percezione davvero rapida da parte di un poeta agli esordi delle linee di sperimentazione lirica dei contemporanei, linee evidentemente avvertite come già, nel 1615, troppo azzardate sul piano dello stile. E non è difficile intendere dietro quel riferimento vago («alcuno altro del nostro secolo») un’allusione ai protagonisti della poesia di quegli anni, e forse appunto anche al Marino.

Sono però soprattutto le pagine firmate dal cavaliere Aurelio Alconi, e sempre indirizzate ai lettori, a rappresentare il luogo di più serrato confronto con il modello di Marino. Il testo, lungo e impegnato, va letto come una risposta ravvicinata alla Lettera Claretti che era stata collocata in apertura di Lira III: una risposta in certa misura sfrontata, considerando la posizione dei due autori a quell’altezza cronologica.33 Bruni sceglieva in primo luogo la stessa soluzione strutturale, decidendo di affidare a una figura terza, sulla quale assai poco è noto, un inquadramento del proprio esordio lirico e insieme una presentazione assai diffusa delle opere in preparazione, ma è verosimile che anche in questo caso (come era stato per la Lettera Claretti) il testo sia stato scritto o largamente influenzato dall’autore stesso e sia da considerare una diretta espressione dei suoi programmi e della sua poetica. Per quanto concerne la definizione dello stile delle proprie poesie, per il tramite di Alconi, Bruni proponeva questa caratterizzazione:

Chi poeta consumato i seculi ne’ libri ha locuzione più grave, più seguita, più spiritosa? Chi imitazione più viva e pellegrina? Chi più rappresenta al naturale? Chi spiegatura sì facile e maestosa? Chi numero tanto nobile e non mendicato? Chi parole più scielte? Chi capricci più saporosi? Chi pensieri più reconditi e vaghi? Chi l’affetto più cadente? Chi nel discrivere più facondo? Chi nelle materie più copioso? Chi scrittore abbonda di contanti spiriti, di quanti sono sparsi i componimenti di questo leggiadrissimo ingegno? Ma mi si dirà: gli spiriti non si stimano da tutti laudabili, e io per difesa addurrò quello che un dì in mia presenza ragionandosi del Pastor fido tragicommedia, il signor Torquato Tasso di buona e veneranda memoria disse a un gentilhuomo che l’opera gli lodava. Il Pastor fido del Guarini avrà molta vita perché è ripieno di moltissimi spiriti. Gli spiriti adunque sono quegli che immortalano le composizioni e con esse loro l’Autore. Quelle poesie che mancano di spiriti sono poesie morte.34

Una sequenza di interrogative per elencare le qualità della poesia di Bruni (definito già «un mostro dell’età nostra»), che erano anche obiettivi ideali da perseguire: si andava dai tratti più comuni (l’imitazione viva, l’abbondanza delle materie, la ricchezza delle descrizioni) agli elementi più ricercati (il “gusto” dei capricci, la morbidezza degli affetti, la natura rara e preziosa dei pensieri). Il tutto, ancora, a culminare negli spiriti, quelle vivezze che erano la vita stessa della poesia e che, se assenti, ne decretavano la morte. Per legittimare gli spiriti veniva persino richiamato un giudizio pronunciato da Tasso sul Pastor fido che l’Alconi diceva di aver sentito in prima persona. Nell’insieme era un programma di poetica, che si intreccia bene con la pagina di Bruni citata più sopra per delineare una poesia caratterizzata da vivacità, dallo scintillio retorico ma comunque sorvegliata, al di qua di ogni estremismo, cercando così di ritagliare una posizione autonoma nel quadro della poesia contemporanea. Quando il testo poi passava a presentare la serie dei progetti di Bruni, l’elenco dei singoli libri e lo stesso tono con il quale venivano offerti al lettore assumevano connotati direttamente ripresi dalla Lettera Claretti, come dimostra il semplice accostamento dei testi.35 Questo un brano, volutamente iperbolico, sulla produzione lirica:

Ma il maggior stupore che dà il signor Bruni col suo portentoso ingegno è la fecondia che mostra nell’opere, mentre che sin ora si trova registrati più di duo mila sonetti, di tant’altri madrigali, di duo cento canzoni, e di molte sestine, e ballate e di scherzi e d’altre maniere di Poesia, che si daranno se piacerà a Dio tra non molto tempo alla stampa. Ha un libro intitolato le VENERI, dove discorre novellamente con leggiadrissima locuzione e capricciosissima invenzione di tutti gli Amori così terrestri, come celesti e marittimi, secondo le tre Madri d’Amore da gli antichi scienziati sottilmente provate, opera invero non meno nobile e vaga per la materia e varietà che si tratta che per li concetti e per lo numero sostenuto con dolcezza e con gravità insieme.36

Accanto alle migliaia di sonetti e madrigali, alle centinaia di canzoni (conferma implicita del ruolo della quantità in quel frangente culturale), compaiono anche quelle Veneri che Bruni avrebbe sì effettivamente stampato, ma molti anni dopo, nel 1633, in tutt’altro orizzonte, con una dedica a Odoardo Farnese.

Anche al di fuori dal genere lirico le proposte/promesse di Bruni risultano esplicitamente alternative a quelle che pochi mesi prima aveva avanzato Marino, con un peso significativo assegnato al grande modello di Tasso, un modello però ripreso non sul piano del genere epico, quanto su quello del poema sacro:

Ha LA NICE favola marinaresca, ricca di cotanti concetti, che sia di bisogno che le selve cedano al Mare. Il NOE tutto in versi sciolti, diviso in venti canti, come il Mondo Creato del signor Torquato Tasso e di quello altro eccellentissimo Poeta Francese, dove discorre del diluvio universale […] Ha un volume di Panegirici varij, così amorosi come eroici, spiegando in verso molte favole antiche, in lode de’ baci, de’ sospiri, de gli sguardi, de’ balli, de’ fiori, delle parole, de gli occhi, della bocca, del crine, del collo, delle mammelle, del seno, de’ peli, della serenissima Fameglia d’Austria, della Medici, della Gonzaga, della Farnese, di Vinezia, di Roma, di Napoli, delle selve, dell’eremo, della pesca, della caccia, de’ fiumi, de’monti, e d’altre varie cose, poesia cotanto illustrissima, che farà scorno di certo a i Greci, quali in ciò ave imitati.37

L’orizzonte è quello, tipicamente primosecentesco, di una sostanziale indifferenza al sistema dei generi: così una favola marinaresca promessa come ricchissima di concetti veniva presentata accanto a un poema sacro che doveva riprendere il modello tassiano del Mondo creato insieme alla Sepmaine di Du Bartas: un medesimo impianto di una versificazione in endecabillabi sciolti, ma con una moltiplicazione consueta sul piano della quantità, con venti canti per descrivere la vicenda biblica. E poco appresso Bruni apriva un dossier quasi borgesiano di Panegirici, raccogliendo «favole antiche» in lode dei baci e dei sospiri, delle mammelle e dei peli, degli Asburgo e dei Medici, di Roma e di Napoli, della pesca e della caccia, e così via. Panegirici che andavano dunque intesi come elogi, celebrazioni diffuse dei diversi aspetti del poetabile, una replica appena travestita del sorprendente progetto dei 127 inni della Polinnia, un cantiere presentato da Marino nella Lettera Claretti e ancora oggi misterioso, che doveva avere colpito a fondo i letterati contemporanei.38 Bruni tentava dunque una ripresa, all’insegna non di un omaggio, quanto piuttosto di una temeraria alternativa. Lo prova, a mio avviso, l’assenza di ogni menzione del precedente di Lira III, secondo un agonismo acceso che non nominava il modello, avvertito come troppo ingombrante. Lo prova un altro brano del testo di Alconi:

Ha gl’IMENEI, capitoli scritti in nozze di diversi amici e Signori, e in particolare per lo sponsalizio del Re Cristianissimo Enrico IIII con la Reina Maria Medici. Ha la CETRA DI DAVIDE, distinta in Penitenze, in Lagrime, in Lodi, in Vezzi, in Imagini, in Trionfi, poesia tutta sacra. Ha i SOSPIRI, divisi in cittadineschi, e marinareschi. Duo volumi di Poesie Drammatiche. L’Imagini di Poeti antichi e moderni, dove fingendo ch’in una Galeria di Serenissimo Principe siano i ritratti di varij scrittori di rima e di prosa, gli descrive, e gli loda, mandando il ritratto del ritratto, e l’imagine de l’imagine al Signor Ambrogio Figino dipintore eccellentissimo, acciò di nuovo gli ritragga.39

Tra i tanti parallelismi che si possono tracciare, è il progetto sulle Imagini di poeti antichi e moderni quello che appare il più azzardato, nella sua speranza di scavalcare il pezzo pregiato del bagaglio mariniano, la Galeria, un cantiere oramai largamente noto, per il quale Marino aveva negli anni passati mobilitato schiere di amici e di artisti.40 Bruni provava una sortita arguta, giocando sul rispecchiamento parola/ immagine («mandando il ritratto del ritratto, e l’imagine de l’imagine») e individuando il riferimento artistico in quello stesso Ambrogio Figino cui Marino aveva a suo tempo indirizzato il Ritratto per Carlo Emanuele.41

Osservata nell’insieme l’operazione di Bruni si rivela dunque meditata e complessa: se la struttura della raccolta, i suoi equilibri e le stesse partizioni interne guardavano al Marino del 1602, alle Rime I-II, il meccanismo di autopromozione si rifaceva in modo visibilissimo al Marino del 1614, all’apologia della Lettera Claretti che aveva aperto Lira III e che evidentemente aveva fatto scuola. Un rapporto tanto stretto con un precedente a tutti noto lascia aperti molti interrogativi, e in primo luogo quelle che erano le ragioni e le ambizioni di Bruni, per intendere le quali occorrerebbe avere altri supporti documentari e conoscere meglio il suo percorso nella Roma del secondo decennio del secolo. Intanto, per un primo inquadramento, si possono ricordare il gruppetto di sonetti per Preti, per Giovan Battista Strozzi e persino per la Crusca che si leggono nella sezione conclusiva de La selva di Parnaso,42 il sonetto per festeggiare il proprio ingresso nell’Accademia degli Umoristi (Tra voi candidi augelli il bruno augello)43 e soprattutto il sonetto Già di mirto e d’allor Stiglian ricinse, dedicato a Stigliani, presentato come «amico affezionatissimo del poeta».44 Sembra quasi, quest’ultimo, il segnale di un posizionamento all’interno di schieramenti a quell’altezza già piuttosto definiti, una posizione che non appare in tutto bilanciata dal sonetto che si legge subito appresso, indirizzato al Marino con questo argomento: «Prega il Signor Cavalier Marini a dargli conto della Santissima Sindone ch’è in Torino». Questo il testo:

Marin, deh quanto invidio il sacro lino
    Cui la lana di Colco a prova umile
    Cede, tu vedi ogn’or, là dove Aprile
    Porta il Toro sul dorso al suolo alpino.4
 
Oh, se tu me ’l ritrai col tuo divino
    In sacre carte, e spiritoso stile,
    Con quello stil che là da Battro a Tile
    Vola, ed al volo suo non ha confino.8
 
Fallo, che s’altri diè spirto al colore,
    Muto poeta, tu pittor canoro
    Darai spirto a lo ’nchiostro, e a lo stil core.11
 
Dirò posc’i’: S’altri colà nel TORO
    L’adora, i’ pur per te, ch’ebro d’Amore
    L’arai nel TORO ecco l’adoro -.4514

Un omaggio in qualche misura impacciato, con un tassello acuto in quell’accostamento del v. 11 tra «muto poeta» e «pittor canoro», che sembra presupporre la lettura della prima delle Dicerie sacre, intitolata la Pittura e appunto dedicata alla Sindone.46 Era la celebrazione implicita della fortuna torinese del cavalier Marino, ma a fronte dei titoli mariniani era davvero poca cosa, un elogio a mezza bocca. Anzi, più avanti nella raccolta di Bruni, la stessa operazione delle Dicerie diventava oggetto di un’ulteriore operazione di riscrittura. Se il Marino aveva, con una dedica epigrammatica e solenne, cercato di guadagnare il favore di Paolo V Borghese, in un tentativo che si era rivelato una gaffe pericolosa,47 Bruni riprendeva quel modello per celebrare gli ozi virtuosi del cardinale Caetani, cui così dedicava un futuro glorioso da pontefice:

AGLI OZI
DI BONIFAZIO
CAIETANO
FREGIO DELLA PORPORA,
PORPORA DEL CRISTIANESMO,
TRA PRINCIPI CARDINALE,
TRA CARDINALI PRINCIPE,
ANIMA DELL’ONORE,
ONORE D’ITALIA,
Disceso da ceppo fecondissimo di mitre, d’ostro e di scettri
Personaggio a cu fu culla il bisso
Nutrice la Gloria,
Compagno il zelo, scherzo il decoro,
Signore onde l’illustrissima fameglia
CAIETANA spera di veder il
BONIFAZIO IX…
48

Anche qui, era una ripresa agonistica, e se non proprio caricatura quanto meno una sfida. Nello stesso senso la promessa che Bruni seminava a margine di un sonetto dedicato agli amori tra Venere e Adone (Novo Amor se’ ben tu, hai nel bel crine): «nella terza parte si porranno vent’altri sonetti composti in tal suggetto», manifestando l’intenzione di andare così a coprire un terreno che Marino stava battendo da anni. Quando si scende sul piano dei singoli testi, procedendo in questa occasione a una prima campionatura, si riscontra un atteggiamento non diverso. Nel sonetto proemiale dell’intera raccolta (come Marino aveva fatto in Rime I, Altri canti di Marte e di sua schiera), Bruni rinviava l’impegno dell’epica e dichiarava la sua milizia giovanile e appassionata nella lirica:

Anzi ch’i’ tratti a schiere armate a canto
    La Davitica Tromba, e che i furori
    Spieghi di Marte, e i marziali ardori,
    Sì che n’arda d’Invidia e Smirna e Manto;4
La dolce lira, ch’udì Sorga intanto
    Tratto, e i miei vaghi e non pennuti amori;
    E cantando d’un crine i più fin ori,
    La cagion del mio mal commendo e canto.8
Voci s’udran talor ne l’aria sparte,
    Or di risse, or di affronti, or di rigore;
    Né pur il Dio de l’armi avravvi parte11
Spiri egli armato altrove il suo furore.
    Quand’i Guerrer sarò, dirò di Marte,
    Or ch’amante son i’ dico d’Amore.4914

Se il modello mariniano si legge in filigrana, va allo stesso tempo sottolineata la struttura composta del testo, ben salda sulle scansioni metriche, e va soprattutto rilevato quel rimando alla dolce lira che aveva ammaliato la Sorga, utile a mettere in evidenza il paradigma petrarchesco, come un ancoraggio da non perdere con la tradizione più solida, secondo le linee dichiarate nei paratesti.

Era, in realtà, piuttosto una tensione programmatica che non una linea mantenuta in modo costante, perché poi nel corpo della raccolta di Bruni ci si trova di fronte a frequentissimi esercizi di gusto secentesco, come questo che si legge all’interno della sezione delle Fantasie:

Occhi culla d’Amor, nido d’ardori
    Occhi reggi de’ rai, stelle stillanti
    Occhi raggi non rei, stille stellanti,
    Occhi soli del sol, fiori de’ fiori.4
 
Occhi mete d’un cor, cibo de’ cori,
    Occhi cieli d’Amor, error non erranti,
    Occhi seggi d’onor, globi tremanti,
    Occhi lingue del sen vivi splendori.8
 
Occhi fascie de’ vezzi, usci d’Amore,
    Occhi regioni d’or, onde trabocchi
    Pioggia di stelle a inaridito core.11
 
Occhi felice me, s’a me pur tocchi,
    Com’il caldo son i’ del vostro ardore,
    D’esser pupilla ancor, Occhi, a voi Occhi.5014

La predicazione ripetuta e persino alcuni preziosi sintagmi (globi tremanti, stelle stillanti) derivano dal magistero mariniano (ricordo, tra i tanti luoghi possibili, Rime amorose 16 4: vive perle stillanti, occhi stellanti), ma l’esercizio di Bruni in casi come questi mira al virtuosismo, alla concatenazione degli spiriti, approdando però a esiti di eccesso e di freddezza, come un congegno che esibisce troppo in vista il suo meccanismo. E si noti anche che, in una struttura ordinata nel rapporto tra metro e sintassi, l’unica variazione sullo schema anaforico è determinata nelle terzine, dalla ricerca del gioco paronomastico del v. 10 alla chiusura concettosa del v. 14. Sono esiti lontani da ogni prova mariniana, che prendono anzi quel modello e lo portano a un’estenuazione. Assai più vicine e assai più efficaci alcune altre liriche di Bruni che derivano da testi di Lira III. Tra tutti conviene ricordare le celebri ottave sulla rosa, pubblicate da Marino già nel 1614 e poi riprese in Adone, III 156-159:51 vennero riprese e riscritte ne La selva di Parnaso in diversi luoghi e in particolare nelle quartine di un paio di sonetti mirati alla variazione del modello:

Rosa, riso de’ prati, occhio de’ fiori,
    Alba del verde e del terreno Cielo,
    Apri l’uscio al suo dì, scuoti dal velo,
    Lagrime di zaffir, nembi d’umori.

Tu ne gli orti di Cipro a Cipro infiori
    Ogni stellato fior, fiorito stelo,
    Con lingua di rubin, con man di gelo,
    Vanti il suo vanto, ed il suo onore onori.
52

Ed ecco l’esordio del secondo sonetto:

Rosa, specchio de’ fior, occhio di Flora,
    Prima donna de’ l’erbe, onor de’ prati,
    De’ soggetti odoriferi imperlati
    Vaga pittrice, rubiconda Aurora.
53

In questi e in altri sonetti la traccia mariniana era ripresa e disseminata in una struttura lirica che procedeva in modo piuttosto regolare secondo un ritmo bimembre, accostando minute tessere concettose all’insegna di quella poetica degli spiriti che sembra governare in particolare l’esercizio dei sonetti. Nelle canzoni, che pure in realtà presentano stanze piuttosto esili, il discorso lirico si distendeva, si faceva meno intasato e puntuale, ma rimaneva costante il confronto con il modello di Marino. Questa una canzone sulla rosa compresa nella seconda parte de La selva di Parnaso.

Or che ’l prato gareggia
Con l’ingemmato Cielo;
Or che là si vagheggia
Un bel stellato e qui fiorito un velo4
Nel Ciel Prato di fiori
Nel Prato un Ciel di Stelle orto d’Albori.6
 
Cantiam Tirsi fra tanti
Fiori il fior più legiadro,
Tra rubini stellanti
Di Zefiro amator amante ladro:10
La porpora più degna
C’ha di Reina la famosa insegna.12
 
Vedi, vedi la Rosa,
Come altera e superba
Tenerella amorosa
Freggia il capo, arma il suol, calpesta l’erba,16
E tra ’l vulgo odorato
Fassi Prato d’April, April del Prato.5418

In questo caso il Marino ad essere ripreso era quello di Rime II, la canzone VIII, Hor che d’Europa il Toro, che aveva struttura metrica simile (strofette abbaacC in Marino, ababcC in Bruni), e che si presentava articolata nel dialogo tra Mopso e Tirsi. Un confronto analogo si potrebbe ripetere su molti altri testi, misurando l’intensificarsi della ricerca retorica e insieme anche l’irrigidirsi in molti casi degli esiti lirici. Sono assaggi cioè nei quali si misura il confronto con le prove mariniane del 1602 e nei quali la soavità dell’esordio mariniano sembra cedere all’insistenza della ricerca concettosa. Così anche il celebre sonetto Apre l’uomo infelice allor che nasce, un capolavoro del Marino morale, veniva riscritto da Bruni in Se’ già prono a la tomba e far la cuna, ma spostato di contesto e impoverito.55

Anche nella sezione sacra Bruni provvedeva a rendere più spessa metaforicamente la base mariniana, complicandola fino a esiti arditi. Questo un testo sul motivo dello Stabat mater:

Appresso il tronco stava
La madre dolorosa
Dove il figlio pendea.
Ogni piaga di lui sembrava Rosa,
Ella pecchia parea,
Suggendo il guardo suo vermiglio umore,
Per farne miel, anzi veleno al core.
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Punto di partenza era la straordinaria canzonetta sullo stesso argomento che si leggeva in Rime II (Sola fra’ suoi più cari) e sulla quale ha scritto pagine acute Alessandro Martini, richiamando anche il precedente di Angelo Grillo.57 Bruni innestava sull’immagine sacra il tema ossessivamente ricorrente della rosa, con la Vergine mutata in una amorosa pecchia, intenta a cogliere l’umore, tra dolcezza e dolore, tra miele e veleno. Un esercizio anche qui ingegnoso ma sul filo di un’estensione estrema del tessuto metaforico.

Occorrerà proseguire nell’indagine su Bruni, misurando a fondo sia le caratteristiche di questa prima raccolta, sia gli equilibri delle raccolte successive; importa però sin d’ora sottolineare la singolare operazione di sintesi che ne La selva di Parnaso il poeta leccese realizzava della prima e della seconda maniera di Marino, declinando i testi di Rime I-II e di Lira III in un bacino di stile che appare più acceso e complesso dei modelli mariniani, con qualche rigidità da neofita alla ricerca di fama. Si tratta, elemento significativo, di un esempio indubbio di marinismo, seppure segnato piuttosto da agonismo che da deferenza; una prova sulla quale colpisce il silenzio del Marino, in altri casi assai sensibile a questioni di autorità, pronto a replicare in modo urticante rispetto a ogni riscrittura troppo ravvicinata.58 Un tassello di marinismo destinato però a rimanere piuttosto esile, posto che molte delle dinamiche attive nella società letteraria italiana già alla fine degli anni ’10 andavano in una direzione diversa: non solo Stigliani e Murtola, ovviamente, ma Barberini a Campeggi, Cesarini e Ciampoli. Una divaricazione rispetto a Marino e alle sue scelte che sarebbe diventata evidente nella polemica maturata dal confronto tra Liberata e Adone, polemica nella quale Bruni non a caso si mosse con estrema prudenza, già orientato verso altri modelli.59

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1 Le riflessioni raccolte in queste pagine si inquadrano in una ricerca in corso mirata al rapporto tra Marino e la cultura di primo Seicento, nell’arco che va dagli ultimi anni di Clemente VIII Aldobrandini fino al pontificato di Urbano VIII Barberini. Tappe di questa indagine sono state già pubblicate in altri contributi (cfr. n. 21), in vista di un quadro monografico ora in lavorazione (Stelle e api. L’età d’oro del barocco letterario italiano). Alcune considerazioni preliminari, ormai risalenti ad alcuni anni fa, in Emilio Russo, Sul barocco letterario in Italia. Giudizi, revisioni, distinzioni, in La notion de baroque. Approches historiographiques, num. mon. di «Les dossier du GRIHL», 2012/2: https://journals.openedition.org/dossiersgrihl/5223 (data ultima consultazione 2 luglio 2021).

2 Per le vicende relative all’Adone, tra pratiche di stampa del 1621-1623, tentativi di ristampa italiana e condanna all’Indice del 1627, rinvio a Clizia Carminati, Giovan Battista Marino tra Inquisizione e censura, Roma-Padova, Antenore, 2008, e alle notizie raccolte nell’Introduzione a Giovan Battista Marino, Adone, a cura di E. Russo, Milano, Rizzoli, 2013, vol. I, pp. 5-29.

3 Cfr. ora l’edizione del Ritratto curata da Marco Corradini in G. B. Marino, Panegirici, a cura di Marco Corradini, Gian Piero Maragoni, Emilio Russo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2020; si tratta di un’edizione provvista di un ricco commento e dalla quale è possibile tracciare molti rapporti con la produzione lirica e la produzione narrativa del Marino.

4 Il punto d’avvio è segnato dalla monografia di Ottavio Besomi, Ricerche intorno alla ‘Lira’ di Giovan Battista Marino, Padova, Antenore, 1969; oltre alle edizioni citate in nota 6, si ricordi l’antologia curata da Alessandro Martini, G. B. Marino, Amori, Milano, Rizzoli, 1982; inoltre Alessandro Martini, Marino postpetrarchista, «Versants», VII (1985), pp. 15-36; fondamentale soprattutto il saggio di Id., Le nuove forme del canzoniere, in I Capricci di Proteo: percorsi e linguaggi del barocco, Atti del Convegno internazionale di Lecce, 23-26 ottobre 2000, Roma, Salerno Editrice, 2002, pp. 199-226, per le osservazioni relative alla struttura del canzoniere nel primo Seicento.

5 Sull’edizione del 1602 e sulle testimonianze disponibili riguardo alla sua realizzazione cfr. l’edizione G. B. Marino, La Lira, a cura di Maurizio Slawinski, Torino, Res, 2007, vol. III, pp. 207-212; inoltre le notizie offerte, a margine di un prezioso ritrovamento, da Clizia Carminati e Simona Morando, Un fascicolo autografo di rime del Marino, «Studi secenteschi», LXII (2021), pp. 277-282; per una ricognizione sugli autografi ricordo E. Russo, Marino, in Matteo Motolese, Paolo Procaccioli e Emilio Russo (a cura di), Autografi di letterati italiani, Il Cinquecento, tomo I, con la consulenza paleografica di Antonio Ciaralli, Roma, Salerno Editrice, 2009, pp. 285-294.

6 Questo il quadro delle edizioni disponibili: Rime amorose, a cura di Ottavio Besomi e Alessandro Martini, Ferrara-Modena, ISR-Edizioni Panini, 1987; Rime marittime, a cura di Ottavio Besomi, Costanza Marchi, Alessandro Martini, Ferrara-Modena, ISR-Edizioni Panini, 1988; Rime boscherecce, a cura di Janina Hauser-Jakubowicz, Ferrara-Modena, ISR-Edizioni Panini, 1991; Rime lugubri, a cura di Vincenzo Guercio, Ferrara-Modena, ISR-Edizioni Panini, 1999; Rime eroiche, a cura di Ottavio Besomi, Alessandro Martini, Maria C. Newlin-Gianini, Ferrara-Modena, ISR-Edizioni Panini, 2002.

7 Ricordo almeno un paio di contributi dei due studiosi che più hanno lavorato al cantiere di Rime II: Francesco Guardiani, I madrigali figurativi della ‘Lira II’ del Marino, in Paul A. Ferrara, Eugenio Giusti, Jane Tylus (a cura di), In Medusa’s Gaze: Essays on Gender, Literature, and Aesthetics in the Italian Renaissance. In Honor of Robert J. Rodini, Boca Raton, Bordighera Press, 2004, pp. 180-196; F. Guardiani, Il Marino lirico. L’apertura di ‘Madriali e canzoni’, «Aprosiana», XI (2001), pp. 51-76; A. Martini, Le canzoni di Giovan Battista Marino: morfologia, funzione, distribuzione, in Studi in onore di Pier Vincenzo Mengaldo per i suoi settant’anni, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2007, pp. 595-623; A. Martini, Per un commento a ‘Madriali e Canzoni’, in Sandra Clerc e Andrea Grassi (a cura di), Marino 2014, Atti del seminario di Friburgo, 4 settembre 2014, Bologna, I libri di Emil, 2016, pp. 31-52.

8 Per le complesse vicende editoriali relative alla stampa del 1614 rinvio alla ricostruzione offerta in E. Russo, Studi su Tasso e Marino, Roma-Padova, Editrice Antenore, 2005, alle pp. 101-137, e poi alla sintesi presente in E. Russo, Marino, Roma, Salerno Editrice, 2008, alle pp. 128-132; si ricordi anche il quadro che, su queste basi, viene offerto da Slawinski in G. B. Marino, Rime, cit., vol. III, pp. 212-218.

9 Per una ricognizione della questione, con osservazioni di rilievo, e per una ripresa delle citazioni di Stigliani (soprattutto importante quella ancora manoscritta della Replica ad Aleandro) cfr. C. Carminati, Canzonieri in transito. Marino dalle ‘Rime’ alla ‘Lira’, in Ead., Tradizione, imitazione, modernità. Tasso e Marino visti dal Seicento, Pisa, Ets, 2020, pp. 61-95.

10 A una nuova edizione commentata del Marino lirico, sia su Rime I-II siasu Lira III, lavora un gruppo di studiosi coordinato da Clizia Carminati, all’interno dell’Edizione delle Opere di Giovan Battista Marino, avviata nel 2014 (prima Roma, Edizioni di Storia e Letteratura; ora Milano, Bites).

11 Ad avviare una stagione di attenzione più solida sulla tradizione delle opere di Marino è stato il lavoro di Francesco Giambonini, Bibliografia delle opere a stampa di Giambattista Marino, Firenze, Olschki, 2000, 2 voll., e sul versante della lirica l’edizione della Lira curata da Slawinski nel 2007, offrendo nell’uno e nell’altro caso una base di lavoro che può essere ulteriormente allargata e perfezionata.

12 Cfr. C. Carminati, Canzonieri in transito. Marino dalle ‘Rime’ alla ‘Lira’, cit., pp. 77 e sgg.

13 Segnalo almeno alcuni dei contributi che hanno portato molti elementidi novità sulla circolazione delle rime mariniane: A. Martini, Note sulla tradizione delle rime mariniane: il manoscritto Italien 575 della Bibliothèque Nationale di Parigi, e C. Carminati, Un manoscritto di rime mariniane (Parma, Bibl. Palatina, 876), saggi entrambi pubblicati in E. Russo (a cura di), Marino e il Barocco, da Napoli a Parigi, Atti del seminario di Basilea, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2009, risp. pp. 1356 e 101-148; cfr. ora Marco Landi, Notizie di alcuni manoscritti di rime mariniane, «Studi secenteschi», LXII (2021), pp. 282-295.

14 Per il prospetto mi avvalgo dell’edizione curata da Slawinski, che prevede una numerazione progressiva dei componimenti all’interno delle diverse sezioni, numerazione del resto assente nelle edizioni secentesche.

15 Sul Marino sacro vanno almeno ricordati: A. Martini, Le ‘Divozioni’ del Marino, in Matteo Maria Pedroni (a cura di), «Parlar l’idioma soave». Studi di filologia, letteratura e storia della lingua offerti a Gianni A. Papini, Novara, Interlinea, 2003, pp. 181-195; Andrea Grassi, Leggendo or tu con miglior studio impara. Note per un attraversamento delle rime sacre, in Sandra Clerc e Andrea Grassi (a cura di), Marino 2014, cit., pp. 72-103.

16 Sulla sezione encomiastica, soprattutto in funzione dei panegirici, si ricordino le indagini di Danielle Boillet, Les ‘Epitalami’ de Giovan Battista Marino: le livre et sa fabrique, in Danielle Boillet e Liliana Grassi (a cura di), Forme e occasioni dell’encomio tra Cinque e Seicento, Lucca, Pacini Fazzi, 2011, pp. 181-212; Ead., Marino, Rinaldi, Achillini, Campeggi, Capponi e altri in una raccolta bolognese per nozze (1607), «Studi secenteschi», LV (2014), pp. 3-62.

17 Al riguardo cfr. A. Martini, I capricci del Marino tra pittura e musica, in Letteratura italiana e arti figurative, Atti del XII Convegno dell’AISLLI di Toronto (6-10 maggio 1985), Firenze, Olschki, 1988, pp. 635-646; ma sull’intreccio all’insegna di questa categoria tra produzione letteraria e produzione figurativa si vedano ora gli studi raccolti in Emilio Russo, Patrizia Tosini e Andrea Zezza (a cura di), Marino e l’arte tra Cinque e Seicento, num. mon. di «L’Ellisse», XIV (2019).

18 Per una ricognizione sugli studi in corso cfr. Maria Cristina Cabani et al., Il Seicento in poesia. Categorie storiografiche e canone, in Guido Baldassarrin et al. (a cura di), I cantieri dell’italianistica. Ricerca, didattica e organizzazione agli inizi del XXI secolo, atti del XVIII congresso dell’ADI – Associazione degli Italianisti (Padova, 10-13 settembre 2014), Roma, Adi, 2016: https://www.italianisti.it/pubblicazioni/atti-di-congresso/i-cantieri-dellitalianistica-ricerca-didattica-e-organizzazioneagli-inizi-del-xxi-secolo-2016/seicento.pdf (data ultima consultazione 2 luglio 2021).

19 Per lo Stigliani ancora fondamentale Ottavio Besomi, Esplorazioni secentesche, Padova, Antenore, 1976, cui aggiungere una serie di aggiornamenti fondati su reperimenti manoscritti: C. Carminati, Le postille di Stigliani al ‘Ritratto del Serenissimo don Carlo Emanuello’ del Marino, in Eraldo Bellini, Maria Teresa Girardi, Umberto Motta (a cura di), Studi di letteratura italiana in onore di Claudio Scarpati, Milano, Vita e Pensiero, 2010, pp. 443-477, e prima ancora le notizie sulle disavventure romane in C. Carminati, Giovan Battista Marino tra Inquisizione e censura, cit., passim.

20 Sul Murtola sia consentito rinviare al bilancio biografico che, a cura di chi scrive, si legge nel Dizionario biografico degli Italiani, vol. LXXVII, 2012, pp. 478-481; e E. Russo, Marino, Murtola, Caravaggio, in Studi in onore di Maria Antonietta Terzoli, Roma, Carocci, i.c.s.; cfr. inoltre, per un esaustivo inquadramento bibliografico, Francesco Rossini, Tre missive inedite di Gasparo Murtola: rilievi letterari e biografici, «L’Ellisse», XV (2020), i.c.s.

21 Sul versante barberiniano mi permetto di rinviare a: E. Russo, Contributi per la letteratura barberiniana (1). Maffeo Barberini e Ridolfo Campeggi, in Marco Corradini, Roberta Ferro, Maria Teresa Girardi (a cura di), Dal ‘mondo scritto’ al ‘mondo non scritto’. Scritti di letteratura italiana per Eraldo Bellini, Pisa, Ets, 2021, pp. 101-125; E. Russo, Contributi per la letteratura barberiniana (2). Sull’epistolario di Francesco Bracciolini, «Filologia e Critica», XLIV (2019), pp. 145-168.

22 Si tratta di una frase presente in una lettera di Marino a Giulio Strozzi, datata al 1621: «Il poema pian piano si è ridotto a tale ch’è per sei volte quanto la Gerusalemme del Tasso. Io non nego che le buone poesie non si misurano a canne; ma quando con la qualità si accoppia insieme la quantità, fanno scoppio maggiore; percioché le storiette e le cartucce alla fine son portate via dal vento, ed i volumi grossi e pesanti se ne stanno sempre immobili» (G. B. Marino, Lettere, a cura di Marziano Guglielminetti, Torino, Einaudi, 1966, p. 293).

23 Sull’Adone come infinita sequenza di madrigali (diagnosi una volta ancora malevola di Stigliani), e comunque sul legame profondo tra la produzione lirica e ottave del poema grande, rinvio a E. Russo, Introduzione, in G. B. Marino, Adone, cit.; cfr. anche E. Russo, Marino e l’intreccio dei generi letterari, dalle Rime all’‘Adone’, in Valenska von Rosen, David Neltin (a cura di), Gattungsmischung – Hybridisierung –Amalgamierung. Zur historischen Tragweite literatur-, bildund musikwissenschaftlicher Beschreibungsmodelle mit Bezug auf ‘Seicento’ und ‘Barock’, Ruhr-Universität Bochum, 1-2 Oktober 2020, Merzhausen, ad picturam, i.c.s.

24 La Selva di Parnaso del signor Antonio Bruni […], Venezia, Ambrogio e Bartolomeo Dei, 1615.

25 Manca ancora un inquadramento monografico della figura di Bruni, che pure gioca un ruolo molto importante nella stagione di primo e pieno Seicento; sulla sua figura di marinista mediano si possono rileggere le pagine di Franco Croce, Il marinismo conservatore del Preti e del Bruni e La critica dei barocchi moderati, in Id., Tre momenti del barocco letterario italiano, Firenze, Sansoni, 1966, pp. 6-220, anche se quella prospettiva e quella stessa categoria sembrano oggi meno convincenti. Si dispone di studi sulle Epistole eroiche: Sabina De Cavi, Le incisioni di Mattäus Greuter per le ‘Epistole Heroiche’ di A. Bruni (1627-1628): ipotesi di una collaborazione editoriale all’inizio del Seicento, «Annali dell’Istituto di Studi Storici», XV (1998), pp. 93-285, e soprattutto di un’edizione moderna: Antonio Bruni, Epistole eroiche, a cura di Gino Rizzo, Galatina, Congedo, 1993, edizione che è accompagnata da un ritratto dell’autore dal quale ripartire. Sono da aggiungere le notizie sul coinvolgimento di Bruni nella correzione dell’Adone che si leggono in C. Carminati, Giovan Battista Marino tra Inquisizione e censura, cit., pp. 202-291. Mancano però indagini approfondite sulla Ghirlanda del 1625, o ancora un’edizione di un poemetto assai interessante di materia sacra, L’Avernia, conservato in un altro manoscritto barberiniano, in una redazione interamente autografa. In vista della ricognizione di cui si dà conto alla nota 1, ho in corso una recensio delle lettere di Bruni, da quelle note del fondo barberiniano, importanti per i rapporti la famiglia del futuro pontefice, ad altre sparse su fondi di diverse biblioteche, utili a definire un diagramma dei contatti e della biografia di Bruni.

26 Si tratta di una sezione (La selva di Parnaso, cit., pp. 81 e sgg.) che comprende in effetti componimenti di varia natura: da un miniciclo su Aci, Galatea, Polifemo a componimenti concettosi dedicati al gallo e al pavone, e così via.

27 La sezione delle proposte e risposte, seppure esile, vantava comunque nomi significativi, da Guarini a Bonarelli, da Petracci allo stesso Aurelio Alconi largamente presente, come vedremo, nei paratesti iniziali.

28 Al riguardo, per la novità parziale della sestina narrativa, si ricordinole osservazioni di Stigliani: cfr. C. Carminati, Le postille di Stigliani al ‘Ritratto del Serenissimo don Carlo Emanuello’ del Marino, cit.

29 Il panegirico per la regina d’Inghilterra era stato annunciato in una lettera di Marino a Bernardo Castello già nel 1605, e poi ripreso nella Lettera Claretti (cfr., oltre, nota 33). Una ricostruzione delle vicende del poemetto e una nuova edizione commentata si legge all’interno di G. B. Marino, Panegirici, a cura di Marco Corradini, Gian Piero Maragoni, Emilio Russo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2020, alle pp. 385-411; il testo di Bruni venne invece composto in occasione di una giostra a Napoli alla quale avevano assistito i cardinali Aldobrandini e Sforza e il Conte di Lemos, viceré di Napoli.

30 Tra i Panegirici si leggono tre lunghi componimenti in endecasillabi e settenari dedicati alla Fenice, alla Caccia, all’Aurora, una dei quali dedicato al cardinale Caetani, come si dirà più avanti.

31 La selva di Parnaso, cit., c. a6r-v. Avverto che qui e in seguito nella ripresa dei testi dalla stampa secentesca effettuo i consueti ammodernamenti sul piano della veste grafica (accenti, apostrofi, maiuscole) e della punteggiatura.

32 A questo proposito, tra i molti approfondimenti necessari per una piena intelligenza della letteratura di primo Seicento, mi sembra ancora da svolgere una indagine sulle categorie impiegate nella riflessione sulla lirica nell’arco che va dai Discorsi del poema eroico di Tasso e dal Del concetto poetico di Camillo Pellegrino fino alla stagione barberiniana. Un lessico critico, dunque, che potrebbe rivelarsi una chiave di accesso per comprendere le diverse posizioni in campo; e si vedano le osservazioni in questo senso, a partire dalla celebre lettera indirizzata da Marino a Maffeo Barberini del 27 luglio 1614, che si leggono in C. Carminati, Canzonieri in transito. Marino dalle ‘Rime’ alla ‘Lira’, cit., pp. 68-69. Una importante iniziativa recente utile per una riflessione sulle categorie critiche nel passaggio tra Cinque e Seicento è stata dedicata proprio a Camillo Pellegrino in un convegno organizzato dall’Università della Campania nell’ottobre 2020, i cui atti sono in corso di stampa a cura di Claudia Tarallo.

33 Sul senso e sul rilievo della Lettera Claretti cfr. E. Russo, Studi su Tasso e Marino, cit., pp. 101-184, con una nuova pubblicazione commentata del testo nella sua versione maior, a stampa appunto nella princeps del 1614 della Lira, stampata a Venezia da Giovan Battista Ciotti.

34 La selva di Parnaso, cit., cc.a9v-a10r. Seguono una serie di considerazioni comparate di ordine linguistico e stilistico che confrontano le caratteristiche del volgare con il latino e con il greco, secondo quello che era un luogo consueto della riflessione teorica cinquecentesca, e che era stato approfondito anche nei Discorsi del poema eroico di Tasso.

35 A tal fine ai brani de La selva di Parnaso di Bruni commentati a testo accosto in nota alcuni passaggi della Lettera Claretti di Marino, citandola con la paragrafatura presente nell’edizione Russo. Alcune riflessioni su questa riscrittura erano solo avviate in E. Russo, Studi su Tasso e Marino, cit., pp. 131-132.

36 La selva di Parnaso, cit., c. a11r-v.

37 Ivi, cc. a11v-a12r.

38 Cfr. Lettera Claretti, 47-50: «La Polinnia ancora è un’opera bella, pienadi buona dottrina e varia, sicome accenna il titolo istesso, ch’altro non importa senon canto di molte cose, a concorrenza quasi del Pontano, ilquale trattando di cose celestiali, appellò il suo libro l’Urania, Musa a cui è attribuita la cura de’ Cieli e delle stelle. Percioché incominciando il Poeta dagli elementi, e passando poi ordinatamente dai misti imperfetti ai più perfetti, abbraccia quasi tutte le creature dell’Universo, tratta di tutte le Virtù et arti più nobili, e discorre tutta la scala della Natura, infino a tanto che di sfera in sfera perviene agli Angioli, si conduce ai Santi et arriva allo stesso Iddio. Consiste tutta in tanti Inni, o vogliamo dir canzonette; et ancorché di Pindaro fra’ Greci, del Marullo e d’altri fra’ Latini, e di Bernardo Tasso fra’ Toscani se ne veggano qua e là in questo genere sparsi alcuni, nondimeno oltre l’essere differentissimi dallo stile del Cavalier Marino, ilquale par che in questo penda piú tosto alla foggia tenuta ne’ Cori dagli antichi Tragici, sono anche di numero assai minori, poiché eccettuate alcune poche Deità, non hanno tocche tutte le materie occupate da lui».

39 La selva di Parnaso, cit., c. a12v. Questo il brano prossimo della Lettera Claretti (33): «Tra i Ritratti entrano i simulacri di diversi uomini illustri sí in armi come in lettere, tanto moderni quanto antichi, talché formano a guisa d’un Museo, e sopra ciascuna imagine si scherza con qualche bizarria secondo le azioni del rappresentato, seguitando in ciò lo stile che tennero tra’ Latini Fausto Sabeo e Giulio Cesare Scaligero, che ne lasciarono molti epigrammi, e tra’ volgari l’Unico Accolti e il conte Baldassar Castiglioni, dequali sene veggono alcune poche ottave».

40 Per una ricognizione sul progetto della Galeria, sulla sua storia e sui rapporti che determina con letterati e artisti contemporanei, ricordo la miscellanea di studi Marino e l’arte tra Cinque e Seicento, a cura di Emilio Russo, Patrizia Tosini, Andrea Zezza, num. mon. de «L’Ellisse», XIV (2019), 2, con recupero della bibliografia precedente.

41 Per l’inquadramento storico del Ritratto nell’ambiente della corte di Carlo Emanuele cfr. ora il commento all’opera a cura di Marco Corradini che si legge nell’ed. G. B. Marino, Panegirici, cit.

42 La selva di Parnaso, cit., pp. 198-199.

43 Ivi, p. 190. A p. 191 ricorre un sonetto largamente elogiativo verso Manso come guida dell’Accademia degli Oziosi; ancora, nella lettera di Aurelio Alconi tra i tanti argomenti impiegati per difendere il titolo della raccolta, che evidentemente si prestava a qualche sottile distinguo, veniva richiamato il precedente anche qui assai vicino dei Ragguagli di Parnaso di Bracciolini, con allusione a diverse sezioni del testo. Tra le altre rime merita una segnalazione il Morto dunque se’ tu? Tu che sapevi, scritto per celebrare la morte di Caravaggio (ivi, p. 148).

44 Ivi, p. 188.

45 Ivi, p. 189.

46 Per le Dicerie si veda ora l’edizione G. B. Marino, Dicerie sacre, a cura di Erminia Ardissino, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2014.

47 Cfr. C. Carminati, Giovan Battista Marino tra Inquisizione e censura, cit., pp. 130-146.

48 La selva di Parnaso, cit., p. 158.

49 Ivi, p. 1.

50 Ivi, p. 106.

51 Cfr. al riguardo G. B. Marino, Lira, ed. Slawinski, pp. 325-330; inoltre il commento di Giovanni Pozzi in G. B. Marino, Adone, Milano, Adelphi, 1988, vol. II, pp. 258-260; inoltre G. B. Marino, Adone, ed. Russo, pp. 378-380.

52 La selva di Parnaso, cit., p. 110.

53 Ivi, p. 89.

54 Ivi, II, pp. 42-45.

55 Ivi, p. 17; e cfr. anche Ivi, p. 163. D’altra parte, non mancano sonetti splendidi, nei quali il gioco di anafore e variazioni concettose riusciva efficacissimo, come nel caso del sonetto Giace il mar senza mar, sembra il suo argento (p. 62).

56 Ivi, II, p. 52.

57 Cfr. A. Martini, Agonismo mariano. Uno ‘Stabat Mater’ di Giovan Battista Marino, «Humanitas», LX (2005), pp. 403-417; per un’altra canzonetta sulla Vergine, interna alla maniera mariniana, e da collegare con ogni probabilità al cantiere degli inni della Polinnia, ricordo C. Carminati, Un manoscritto di rime mariniane (Parma, Bibl. Palatina, 876), cit., pp. 122-128.

58 Penso alla polemica innescata rapidamente con Fulvio Testi, rispettoad alcuni testi di primogenitura incerta (vd. E. Russo, Marino, cit., pp. 320-321); sui rapporti tra le raccolte mariniane e quelle di Testi conto di tornare con un approfondimento specifico.

59 Cfr. Anna Paudice, Un giudizio “parziale” svelato: Agazio Di Somma e il primato dell’‘Adone’, «Filologia e Critica», III (1978), pp. 95-106; E. Russo, Marino, cit., pp. 332-337.