Revue Italique

Varia

OJ-italique-888

Lirica sacra e lirica morale nel secondo Cinquecento

Pietro Riga

Molti sono stati, negli ultimi decenni, gli studi che hanno rilevato come, dopo il passaggio di svolta del 1530, il mosaico della tradizione lirica fosse venuto componendosi di una pluralità di esperienze accomunate, ciascuna a suo modo, dalla rielaborazione dei principi etici, retorici e stilistici dei Rerum vulgarium fragmenta.1 Una cultura poetica oscillante tra mantenimento e alterazione dell’eredità poetica petrarchesca, che veniva di volta in volta variata, arricchita e innestata su nuovi campi tematici, come quello esplicitamente religioso e devoto, tra i più fecondi di implicazioni storico-sociali.2 Muovendo da questa consapevolezza, si è inteso avviare una riflessione ad ampio spettro cronologico sull’evoluzione e sulle articolazioni della lirica sacra e morale nella seconda metà del XVI secolo, sulle costanti e sulle discontinuità a livello stilistico e tematico, in un frangente storico delicato, inaugurato dal Concilio di Trento, in cui si assiste a una progressiva e capillare riorganizzazione delle strutture e delle funzioni ecclesiastiche.

Dati alla mano, risulta ampiamente visibile come, nel secondo Cinquecento, in concomitanza con l’attuazione dei decreti di riforma tridentini e con la complanare disseminazione di libri religiosi sul mercato editoriale, la lirica spirituale si fosse conquistata una fascia di lettori sempre più ampia e trasversale, rivendicando una piena autonomia discorsiva.3 In questo progressivo riassetto in senso disciplinare e pastorale cui andò incontro, nella seconda metà del secolo, la letteratura religiosa, occorre valutare il ruolo svolto dalla cultura cattolica nel sostenere una parcellizzazione della lirica in sottogeneri, stabilendo una distinzione più netta tra registro amoroso e registro etico-religioso, solitamente associati nella morfologia tradizionale dei “canzonieri”, nella forma del liber unitario e onnicomprensivo. L’annessione di Petrarca e del petrarchismo ai territori del sacro si assesta nell’arco di pochi decenni, tra il Petrarca spirituale di Malipiero del 1536 (stampato ben sei volte fino al 1587), che rappresenta il fondamentale atto di nascita del petrarchismo religioso, prontamente immortalato dalla lucidissima e caustica penna di Nicolò Franco,4 e la colonizzazione nei primi anni Sessanta dei nuovi libri di poesia religiosa in forma di rime, lagrime, salmi e rosari, transitando per due tappe cruciali: sul fronte delle raccolte individuali l’edizione Valgrisi delle Rime spirituali di Vittoria Colonna del 1546, sul versante delle sillogi collettive l’uscita della miscellanea di rime spirituali in tre libri pubblicata a Venezia nel biennio 1550-1552, che sanciva il consolidamento della lirica religiosa in volgare nell’universo culturale e tipografico di metà secolo.5 Con questa proposta antologica, che ospitava, oltre a Malipiero e Colonna, alcuni grandi nomi del petrarchismo tout court (Bembo, Molza, Guidiccioni, Della Casa e Rota) e che riproponeva un metro spirituale tipicamente medievale come la lauda,6 la lirica sacra poteva disporre di un canone di autori e testi di riferimento e contare su una ricezione esplicitamente disgiunta rispetto alle altre proposte poetiche.

Della frattura discorsiva tra Amore e Fede disponiamo di diverse testimonianze sparse in materiali diversi, a partire da quella precorritrice di Malipiero, che nel Petrarca spirituale intese riscrivere pedissequamente le «tosche e volgari Muse» del Canzoniere, riducendole «per quelle istesse rime e vocaboli a cantare cose tutte oneste e sante».7 Mi sembra utile offrire qui tre esempi tra i tanti possibili dislocati in tre stagioni diverse che segnalano la scissione consolidatasi nella lirica di secondo Cinquecento tra sacro e profano, inaugurando, a mio modo di vedere, la prima vera ed esplicita segmentazione del libro di rime a stampa in distinte tipologie retorico-tematiche. In questione era la legittimità morale dell’amore cantato da Petrarca, ragione per la quale gli autori di poesia religiosa sentiranno sempre più urgente la necessità di distinguere la propria esperienza poetica da quella dei rimatori tradizionalmente vincolati al modello petrarchesco, quello mediato attraverso il filtro ermeneutico di Bembo e di buona parte dei commentatori cinquecenteschi del Canzoniere.8

In primo luogo conviene riportare le parole di uno dei rimatori spirituali più noti e teologicamente attrezzati della seconda metà del Cinquecento per comprendere come l’esemplarità di Petrarca fosse stata messa ampiamente in discussione proprio negli anni di massima espansione editoriale della lirica religiosa. Recuperando a livello strutturale e tematico il modello davidico codificato dai Salmi di Bernardo Tasso (1560) e Antonio Minturno (1561),9 Gabriele Fiamma mandava alle stampa nel 1570 una raccolta di Rime spirituali organizzata secondo una calcolata istanza progettuale. Nell’avviso Ai lettori l’autore scriveva:

Ma io non posso già se non biasimar quei padri e quelle madri che, non avendo potuto aver nutrici atte ad insegnar a’ loro figliuoli la pura e vera lingua italiana, tosto ch’essi giungono a gli anni più capaci di disciplina, danno loro in mano il Petrarca e ’l Libro delle novelle et altri poco onesti, da’ quali, mentre i figliuoli sono intenti a leggere per imparar la lingua, beono molte cose dannose a’ puri e santi costumi, che principalmente si dovrebbono insegnare a’ fanciulli christiani. E non paia strano ad alcuno s’io nomino il Petrarca, ch’è tanto onesto quanto altro poeta, o latino o greco o toscano, nel numero de gli scrittori dannosi alla gioventù, perciò che, se ben le parole sue non son disoneste, son però amorose, e sono come esca aggiunta al foco che allora incomincia a destarsi in quei teneri petti, parte per opra della natura nostra, parte per l’insidie del demonio.10

Rifunzionalizzando il topos classicistico dell’utilità morale della poesia,11 Fiamma ribadiva il ruolo istruttivo e pedagogico della poesia lirica, promuovendo la propria ars come esempio di stile e moralità poetiche concorrente e alternativo a quello petrarchesco, sulla linea tracciata da Vittoria Colonna, che aveva adeguato i temi della letteratura devozionale a un esercizio poetico raffinato, destinato a un pubblico colto:

Et certamente che, essendo noto a ciascuno che l’Illustrissima Signora Vittoria Colonna, Marchesa di Pescara, è stata la prima ch’ha cominciato a scrivere con dignità in rime le cose spirituali, e m’ha fatta la strada et aperto il camino di penetrare e giungere ove è piaciuto a Dio di condurmi.12

Rispetto all’operazione di Malipiero, Fiamma non si limita a censurare e riconvertire, in chiave spirituale, i testi petrarcheschi, ma ne innova il codice e le topiche grazie a una fitta trama di fonti scritturali segnalate in un denso paratesto autoesegetico, rendendo così la raccolta consona alla formazione linguistica e morale dei «giovanetti»:

Ond’io che, come Dio sa, ho volti tutti i miei studi a giovare al mondo, ho pensato di poter dare alla gioventù cristiana una poesia nella qual si potesse imparare e la buona e regolata maniera del parlar toscano e quei lumi che nell’arte poetica hanno insegnati quelli che n’hanno scritto con laude.13

L’antagonismo tra poesia amorosa e poesia spirituale è messo in luce anche in un prezioso volume collettaneo che si offre al lettore come una «scelta di rime spirituali de’ più eccellenti autori d’Italia». Mi riferisco alle Muse sacre, edite nel 1608 per le cure di Pietro Petracci, che riunisce la produzione dei maggiori poeti attivi tra fine Cinquecento e primo decennio del Seicento, tra cui Fiamma, Torquato Tasso, Angelo Grillo, Battista Guarini, Cesare Rinaldi, Gabriello Chiabrera, Giovan Battista Marino, Guido Casoni: il corpus dei maggiori poeti “laici” in circolazione veniva setacciato, e dopo diligente selezione le poesie «morali e sacre» venivano ricollocate in un collettore conforme alle aspettative dei lettori devoti:

Quasi tutti gli autori sogliono nel donare alle stampe le loro poesie mescolarne con le amorose delle morali e sacre, le quali volentieri sarebbono tenute e lette da molte sorti di persone religiose, che le schifano per essere unite con suggetti dalla lezzione de’ quali pare ad essi di doversene astenere. Onde io mi mossi a raccorne da’ più pregiati autori ch’hanno in questa età poste in luce opere poetiche, e con l’aiuto ancora di molti che non hanno più stampato ne ordinai questo presente volume con pensiero di formarne il secondo, intorno al quale tuttavia m’affatico.14

Anche qui, come nella silloge di Fiamma, i destinatari, le «persone spirituali et religiose», potevano «passare le ore di ricreazione con lettura non solamente di diletto, ma di utilità meravigliosa», godendo di componimenti incentrati su alcuni tra i concetti cardine del cattolicesimo post-tridentino: «vita e morte del Salvatore, o intorno al martirio di qualche Santo, e specialmente intorno all’eccellenze e dolori della Beata Vergine».15

Il terzo e ultimo esempio prescelto conduce al Seicento inoltrato, con due brani tratti da una tra le più raffinate e organiche riflessioni teoriche e critiche sulla poesia lirica volgare, il Ritratto del sonetto e della canzone (1677) di Federigo Meninni, nel quale venivano segnalate due specificità fondamentali della lirica sacra cinque-secentesca rispetto a quella amorosa di derivazione petrarchesca: l’innalzamento dello stile, reso conforme alla nuova materia poetica, e l’estensione dei temi poetabili. Commentando la «canzone spirituale» Deus di Celio Magno, Meninni scriveva: «Gli antichi presero per argomento delle loro canzoni materie per lo più amorose; i moderni materie più morali che amorose; e veramente le morali sono più gravi, benché più difficili ad essere spiegate con tutta felicità». Nel capitolo XVIII del Ritratto della canzone, intitolato Della differenza ch’è fra le canzoni antiche e fra le moderne, aggiungeva: «Così l’antiche [canzoni] possono chiamarsi petrarchesche, le moderne o pindariche o pure oraziane […]. L’antiche esprimono per lo più amori, e le moderne per lo più concetti morali tratti da una varietà grande di erudizioni».16

Sono indicazioni preziose che testimoniano l’ampiezza della proposta poetica sacro-morale che veniva delineandosi nella seconda metà del Cinquecento, certamente agevolata dal metamorfismo tipico del petrarchsimo post-bembiano che, aggiornando, risemantizzando e contaminando le componenti strutturali dei Rerum vulgarium fragmenta, si prestava alle più disparate esigenze di natura socioculturale ed editoriale.17 Del resto, l’estensione tra gli anni Quaranta e Sessanta del fenomeno delle antologie poetiche, con diverse soluzioni di taglio tematico, compresa quella religiosa, documenta proprio questo processo di socializzazione e, al contempo, di specializzazione tematica e retorica cui andò incontro la lirica nel corso del XVI secolo.18

In questa cornice l’interesse che la Chiesa post-tridentina dimostrò nei confronti della stampa come strumento di indottrinamento collettivo assume una funzione cruciale per comprendere la crescita di un fenomeno che va integrato alle altre forme di scrittura religiosa e devota del secondo Cinquecento: basta sfogliare gli studi di Edoardo Barbieri, Ugo Rozzo, Danilo Zardin e Gabriella Zarri per constatare come la parabola ascendente della lirica spirituale coincida con la crescita sul mercato librario di opere e operette devote a misura del vasto pubblico, socialmente e professionalmente articolato, dei lettori-fedeli, affamati di libri di formazione spirituale che, non di rado, finivano per diventare dei veri e propri best sellers.19 L’attenzione e il controllo esercitati dal mondo ecclesiastico, attivo nella duplice veste di autore e censore dei testi, nei confronti del medium tipografico sollecitarono una variazione prospettica dell’attività poetica, incentivando una distribuzione editoriale più estesa e ramificata del libro di rime, in grado ora di soddisfare le attese di lettori sempre più avidi di proposte diversificate. Nella seconda metà del Cinquecento, una delle priorità della Chiesa diventa il controllo e il disciplinamento della cultura dottrinale del credente; insieme al mare magnum delle scritture religiose – orazioni, trattati, agiografie, catechismi, breviari e libri di preghiera –,20 anche il genere lirico darà il proprio contributo a quella cultura della direzione spirituale che fu un tratto distintivo e specifico del cattolicesimo post-conciliare.21

Lungo la linea che sto tracciando in modo fin troppo cursorio converrà domandarsi quali siano le trasformazioni sopraggiunte nell’esperienza poetica religiosa dopo il Tridentino. Una svolta importante è ravvisabile nello status degli autori di rime sacre e spirituali, per larga parte chierici appartenenti a vari ordini religiosi.22 Svolta significativa se associata alle variazioni contenutistiche dei testi poetici, che impone una necessaria premessa sulla situazione primocinquecentesca. Prima delle disposizioni conciliari sonetti e canzoni di argomento religioso distillavano, a vario grado di competenza, diverse questioni di ordine teologico, intrecciando sostrati speculativi complessi, di derivazione neoplatonica, agostiniana, erasmiana e valdesiana. Tra i tanti esempi possibili preme ricordare le Rime spirituali della Colonna e le Rime cristiane di Luca Contile, che accolgono, tra gli altri, temi cari alla predicazione di Juan de Valdés e di Bernardino Ochino.23 In seno a questo clima di fervido confronto in materia di fede sono stati letti anche alcuni componimenti poetici di Michelangelo, in ragione di una sua adesione, più o meno consapevole sul piano teologico, alle linee dello spiritualismo evangelico.24 Nel loro complesso, sono tracce riconducibili a una spiritualità “deviata” se valutate a posteriori, alla luce della stretta censoria degli anni Cinquanta, ma storicamente collocabili nel più ampio dibattito sulla riforma ecclesiastica avviata ufficialmente da papa Paolo III Farnese nel 1536 con il Consilium de emendanda Ecclesia.

Pertanto, fino a tutta la prima metà del Cinquecento anche solo lambire posizioni dottrinali che di lì a poco sarebbero diventate compromettenti (sola fide, sola gratia, predestinazione, libero arbitrio, ecc.) fu pratica diffusa, in ragione di quell’esigenza di renovatio che fu un nodo centrale di discussione di chierici e laici. Un cambio di direzione veniva segnato, com’è noto, dal conclave del 1549, nel quale il partito rigorista e intransigente del collegio cardinalizio guidato da Gian Pietro Carafa prevalse definitivamente sulla linea irenica e conciliatrice promossa da figure del calibro di Contarini, Pole e Morone.25 L’accesso a forme alternative di religiosità non sarebbe più stato possibile, e dal decennio che vede chiudersi il Concilio, in concomitanza con l’applicazione dell’Indice paolino nel 1559, la poesia religiosa, nel rispetto della nuova ortodossia, si sarebbe omologata ai princìpi di tutta la letteratura devota del tempo, rivolta compattamente alla formazione etico-spirituale del lettore e alla trattazione di materie sacramentali, liturgiche e agiografiche. In conformità alla Regula sexta premessa all’Indice del 1564 che imponeva alla letteratura religiosa di non occuparsi di teologia, al fine di non consentire al lettore libere e personali interpretazioni della Scrittura,26 anche la lirica spirituale veniva prevalentemente intesa come una pratica funzionale alla celebrazione dei princìpi cattolici e all’apprendimento dei boni mores ad essi connessi. Per comprendere a fondo lo sviluppo tematico e retorico della lirica spirituale nel cruciale passaggio dal pluralismo teologico della prima metà del Cinquecento alla fondazione della nuova ortodossia tridentina risulta utile confrontare la materia poetica dei due volumi che aprono e chiudono simbolicamente la stagione cinquecentesca delle raccolte d’autore di lirica religiosa. Benché i punti in comune non vadano ignorati e anzi sottoposti ad attenta comparazione, le Rime spirituali della Colonna del 1546 e le Rime spirituali di Tasso del 1597 (sillogi, entrambe, non autorizzate, allestite in sede editoriale)27 consegnano al lettore due diverse tipologie di lirica sacra: le prime sono radicate in uno spazio tenacemente soggettivo e autoriflessivo, assimilano in profondità i moduli dell’io lirico petrarchesco, protese come sono a una religiosità interiorizzata, alla dimensione individuale del pentimento, del ripiegamento interiore, dell’itinerarium mentis in Deum. La raccolta della Colonna lascia altresì emergere sottotraccia le principali questioni sollevate dalla riforma luterana e dall’ampia discussione sui temi del rinnovamento religioso: a testimoniarlo fu anche Pietro Carnesecchi, che in un passaggio del processo inquisitoriale del novembre 1566 riteneva che dai «sonetti composti e stampati» si potesse dedurre che la Marchesa «tenesse la predestinatione assolutamente […] e l’articulo della giustificazione per la fede».28

Al contrario, nelle Rime spirituali di Tasso che leggiamo nell’edizione bergamasca del 1597 la tensione autobiografica perde di rilievo strutturale e i testi poetici, in linea con le nuove tendenze della lirica dagli anni Settanta in avanti, che vedono l’esplosione della tipologia encomiastica e occasionale, sono concordemente intonati ad alcuni tra i maggiori topoi celebrativi della teologia e della pastorale tridentine. Scorrendo la Tavola delle rime riunite nell’esile raccolta affiorano temi e immagini nella nuova pedagogia cattolica: culto mariano, natività e passione di Cristo, sacramenti come battesimo, comunione ed eucarestia, festività liturgiche (Natale), reliquie, santi, predicatori. Si tratta, in definitiva, di testi irrelati da un organismo coerente, un repertorio aperto che si delinea sotto la spinta delle più varie occasioni della vita religiosa, sia individuale sia collettiva, e che si rivolge compattamente alla celebrazione dei «prìncipi della Chiesa»: papi, cardinali, vescovi, patriarchi, monsignori, prelati.29 L’esperienza della lirica spirituale offertaci nelle edizioni del secondo Cinquecento rinnova, dunque, assetti e funzioni: da una parte assorbe in modo univoco i principi dottrinali fissati dall’ortodossia, mediati attraverso un fitto calendario di pratiche liturgiche e devozionali, dall’altra estende a nuove aree tematiche il discorso religioso già presente nei Rerum vulgarium fragmenta, facendo propri il sostrato dottrinale e le strategie retoriche dell’oratoria sacra, con l’obiettivo di giungere all’attenzione di nuove fasce di pubblico.30 Dello sviluppo tematico e della nuova declinazione “sociale” della lirica spirituale credo sia testimone, tra gli altri, la silloge di rime tassiane tramandata dal codice Vat. Lat. 10980 della Biblioteca Apostolica Vaticana, nella quale i sottogeneri della lirica sacra e della lirica encomiastico-morale risultano inestricabilmente mescolati.31 Anche dal punto di vista formale lo scarto è tangibile, scarto che va misurato in rapporto all’evoluzione dei modi della prassi lirica nell’ultimo scorcio del secolo, segnata da un articolato processo di revisione dell’eredità bembiana intrapreso in nome della “modernità”:32 al controllato equilibrio espressivo e alla simmetria sintattica dei testi della Colonna si sostituisce con Tasso un dettato poetico grave e magniloquente, ricco di artifici retorici, su cui si innesta tanto la lezione di Della Casa quanto quella dei predicatori coevi, primi fra tutti Cornelio Musso e Francesco Panigarola.33

Resta da dire che il successo della lirica spirituale nella seconda metà del Cinquecento contribuì alla fioritura editoriale di un sottogenere integrato, in cui l’aggettivo morale finì con il designarne l’identità e le caratteristiche discorsive. Si consideri, tuttavia, che una simile declinazione non può essere considerata un’innovazione sostanziale, posto che sin dagli anni Quaranta del secolo è possibile riconoscere formulazioni liriche connotate in direzione morale, di una moralità intesa in senso oraziano.34 Per non parlare poi della novità inaugurata dalle Rime di Della Casa, che suggerirono una maniera alternativa di rielaborare in chiave morale (nelle variabili soggettive di tipo penitenziale, parenetico, meditativo, ecc.) la struttura bipartita dei Fragmenta petrarcheschi, determinando la nascita di una «novella schiera» di imitatori individuata prontamente da Tasso.35 Ma la variazione prodotta dall’etichetta di “rime morali” per la configurazione e lo sviluppo dei sottogeneri della lirica moderna non è affatto trascurabile: il battistrada fu il monaco cassinese Pietro Massolo con una voluminosa silloge di Rime morali edita nel 1564, seguito dal confratello Angelo Grillo, autore anche lui di Rime morali, edite come prima parte nelle Rime del 1589, poi ampliate e rese volume a sé stante nel 1599. Si tratta di due raccolte di rilievo, sia per la quantità delle rime che ospitano al loro interno, sia per i paratesti esegetici a firma rispettivamente di Francesco Sansovino e Giulio Guastavini, che vanno intesi come un tentativo di nobilitazione e differenziazione di ciascuna proposta letteraria e, allo stesso tempo, come un indice di consapevole progettualità macrotestuale. In altra sede ho dimostrato come in questo sottogenere del petrarchismo tridentino, a partire dai libri di Massolo e Grillo, sia possibile distinguere grossomodo tre tipologie retorico-discorsive: autobiografico-penitenziale, pedagogica ed encomiastica.36 La lirica morale, così come la trasmisero gli editori, appariva come una tradizione testuale geneticamente imparentata alla dorsale sacra e spirituale: si pensi, per esempio, ai Cento sonetti spirituali e morali (1585) di Giovanni Paolo Castaldini, alle Rime spirituali e morali (1592) di Paolo Emilio Barbarossa e soprattutto alla raccolta di Grillo, che ai nostri occhi assume una valore esemplare: nel 1589 il benedettino dava alle stampe un ponderoso volume suddiviso in due parti, la prima contenente rime morali, la seconda rime spirituali. Sugli ambiti di pertinenza dei due sottogeneri poetici si pronunciava Giovan Battista Licino nella lettera di dedica ad Agostino Lomelino:

[Grillo] ha in pochi anni composto un voluminoso libro di rime eccellenti: parte morali, ove si veggono consecrati all’Eternità i nomi di molti eroi e di mille amici e padroni suoi, né cosa vi si legge che possa offendere le caste e pudiche menti de’ lettori, ma dottrina solo e belle moralità per insegnamento e documento nostro; parte spirituali, con le quali ha pagato in parte a Dio il tributo delle laudi ch’a lui dobbiamo tutti, e spesso, traendoci quasi a viva forza sospir dal cuore e lagrime da gli occhi, ci ha insegnato a piangere amaramente le colpe nostre e l’altrui pene indegne.37

Con la novità dello «stile pietoso» che Grillo metterà a punto negli anni Novanta e che troverà la sua consacrazione nei Pietosi affetti, la lirica sacra e spirituale si inoltrava in una nuova stagione, forte di un repertorio tematico differenziato e funzionale, ben più esteso rispetto ai margini rigorosamente petrarcheschi entro cui si era polemicamente radicata la strategia di riscrittura di Malipiero.38 Nel decennio conclusivo del Cinquecento i poeti attivi sul versante religioso si sarebbero riconosciuti all’interno di una tradizione definita e autonoma: non stupisce, dunque, che sullo scorcio del secolo Orazio Lombardelli abbozzasse la prima esplicita canonizzazione di questa compatta milizia in un Ragguaglio de gli scrittori spirituali, edito a Firenze nel 1592, nel quale venivano posti in rassegna 114 autori di opere «che mostrano all’uomo la diritta via della felicità».39

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1 Per una riflessione ad ampio raggio si veda Amedeo Quondam, Sul Petrarchismo, in Loredana Chines (a cura di), Il Petrarchismo. Un modello di poesia per l’Europa, Roma, Bulzoni, 2006, vol. I, pp. 27-92; Id., Sul Petrarchismo. Dieci anni dopo, in Elisa Tinelli (a cura di), Petrarca, l’Italia, l’Europa. Sulla varia fortuna di Petrarca. Atti del Convegno di studi (Bari, 20-22 maggio 2015), Bari, Edizioni di Pagina, 2016, pp. 243-258. Utili per una valutazione critica e storiografica complessiva: Stefano Jossa e Simona Mammana, Petrarchismo e petrarchismi. Forme, ideologia, identità di un sistema, in Nel libro di Laura. La poesia lirica di Petrarca nel Rinascimento, Basel, Schwabe, 2004, pp. 91-115; Roberto Gigliucci, Appunti sul petrarchismo plurale, «Italianistica», XXXIV (2005), pp. 71-75; Giorgio Forni, Pluralità del petrarchismo, Pisa, Pacini Fazzi Editore, 2011.

2 Sulla lirica di argomento religioso nel Cinquecento si rimanda alla mappatura di A. Quondam, Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima), con l’aggiunta di un Saggio di bibliografia della poesia spirituale (1470-1600), in Id. (a cura di), Paradigmi e tradizioni, Roma, Bulzoni, 2005, pp. 127-282, completata e arricchita dalle recenti Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte seconda), in Lorenzo Geri ed Ester Pietrobon (a cura di), Lirica e sacro tra Medioevo e Rinascimento (secoli XIII-XVI), Roma, Aracne, 2020, pp. 129-248. Da vedere anche Stefano Carrai, La lirica spirituale del Cinquecento, nel suo L’usignolo di Bembo. Un’idea della lirica italiana del Rinascimento, Roma, Carocci, 2006, pp. 123-135. Preziose indicazioni di lavoro nelle miscellanee di studi Lirica e sacro, cit. e Erminia Ardissino e Elisabetta Selmi (a cura di), Poesia e retorica del Sacro tra Cinque e Seicento, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2009, come pure in due volumi della Collana di studi della Fondazione Pellegrino curati da Maria Luisa Doglio e Carlo Delcorno: Rime sacre dal Petrarca al Tasso, Bologna, Il Mulino, 2005 e Rime sacre tra Cinquecento e Seicento, Bologna, Il Mulino, 2007. Sul piano dell’elaborazione stilistica si veda Marc Föcking, Rime sacre und die genese des barocken Stils. Untersuchungen zur Stilgeschichte geistlicher Lyrik in Italien 1536-1614, Stuttgart, Steiner, 1994. Infine, si veda diffusamente il recente volume di Elisabetta Selmi, «Anime divote» e “tragici deliqui”. Lirica e Teatro nelle metamorfosi della “letteratura spirituale” tra Seicento e Settecento, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2018.

3 Rinvio allo spoglio bibliografico offerto da Quondam negli studi citati alla nota 2.

4 Già nel 1538, nelle sue Pistole volgari (Venezia), Franco includeva tra le varianti della moda petrarchistica quella spirituale inaugurata da Malipiero: «Veggo il Petrarca commentato. Il Petrarca sconcacato. Il Petrarca imbrodolato. Il Petrarca tutto rubbato. Il Petrarca temporale et il Petrarca spirituale». Cfr. A. Quondam, Riscrittura, citazione e parodia. Il Petrarca spirituale di Girolamo Malipiero, in Id., Il naso di Laura. Lingua e poesia lirica nella tradizione del Classicismo, Modena, Panini, 1991, pp. 203-262. Sui travestimenti spirituali di Petrarca si veda Andra Torre, Scritture ferite. Innesti, doppiaggi e correzioni nella letteratura rinascimentale, Venezia, Marsilio, 2019, pp. 161-194.

5 Cfr. Ginetta Auzzas, Notizie su una miscellanea veneta di rime spirituali, in Rime sacre dal Petrarca al Tasso, cit., pp. 205-220; Matteo Fadini, I primi due Libri delle rime spirituali (Venezia, al segno della Speranza, 1550) e l’opera di Antonio Agostino Torti, «Rivista di letteratura religiosa italiana», I (2018), pp. 39-73. Sul fenomeno delle antologie di lirica spirituale mi permetto di rinviare a Pietro Giulio Riga, Osservazioni e riscontri sulle antologie di lirica spirituale (1550-1616), «Italique», XXI (2018), pp. 60-98.

6 Sulla vitalità della lauda in età post-tridentina rinvio al volume La Lauda spirituale tra Cinque e Seicento. Poesie e canti devozionali nell’Italia della Controriforma, Studi di Giancarlo Rostirolla, Danilo Zardin e Oscar Mischiati, Roma, Ibimus, 2001.

7 Girolamo Malipiero, Il Petrarca spirituale, novamente ristampato, et dall’autore con nuova additione reconosciuto, In Ventia, 1545, nel mese di genagio, c. 5r.

8 Si pensi, per esempio, al ruolo decisivo avuto dall’edizione curata da Vellutello del Canzoniere (1525) nell’ordinamento dei libri di rime cinquecenteschi, con le prime due parti in vita e in morte di Laura e una terza di 37 testi composti «in diversi tempi et altri soggetti et a più persone». Sull’operazione di Vellutello cfr. Simone Albonico, Osservazioni sul commento di Vellutello a Petrarca, in Massimo Danzi e Roberto Leporatti (a cura di), Il poeta e il suo pubblico. Lettura e commento dei testi lirici nel Cinquecento. Convegno internazionale di studi (Ginevra, 15-17 maggio 2008), Genève, Droz, 2012, pp. 63-100.

9 Sulle riscritture dei Salmi nel Cinquecento si veda almeno Clara Leri, «La voce dello Spiro» Salmi in Italia tra Cinque e Settecento, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2011; Paolo Zaja, Salmi e lirica volgare nel Cinquecento, in Grazia Melli e Marialuigia Sipione (a cura di), La Bibbia nella letteratura italiana. V Dal Medioevo al Rinascimento, Brescia, Morcelliana, 2013, pp. 549-568; Rosanna Alhaique Pettinelli et al. (a cura di), La Bibbia in poesia. Volgarizzamenti dei Salmi e poesia religiosa in età moderna, Roma, Bulzoni, 2015; Ester Pietrobon, La penna interprete della cetra. I Salmi in volgare e la poesia spirituale italiana del Rinascimento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2019. Si veda anche l’edizione dell’antologia giolitina dei Salmi penitenziali di diversi eccellenti autori [Giolito 1568], introduzione e testo critico a cura di Rosanna Morace, Pisa, Edizioni ETS, 2016.

10 Gabriele Fiamma, Rime spirituali […] esposte da lui medesimo, In Vinegia, Presso a Francesco de’ Franceschi senese, 1570, c. a5r (corsivo mio). Sull’opera di Fiamma, direttamente ispirata alla «leggiadra gravità» dei Salmi, si rimanda all’ampio saggio di Paolo Zaja, «Perch’arda meco del tuo amore il mondo». Lettura delle Rime spirituali di Gabriele Fiamma, in Poesia e retorica del Sacro, cit., pp. 235-292. Nella trascrizione dei testi si è scelto un moderato ammodernamento: distinzione tra u e v; uniformazione grafica di -ij in -ii; trasformazione del nesso ti e tti + vocale in z; eliminazione dell’h etimologica o paraetimologica; scioglimento delle abbreviazioni senza indicazioni; conservazione delle grafie etimologiche e delle geminazioni o scempiature diverse dall’uso moderno. Maiuscole e segni paragrafematici sono stati resi conformi all’uso attuale.

11 Si tratta di un topos già impiegato da Malipiero nel Dialogo di frate Hieronymo Maripetro venetiano del sacro ordine de minori di osservanza al Petrarca suo theologo et spirituale introduttivo, in Petrarca spirituale, cit., cc. 3v-4r. «Ma io credo ancor più che essendo le rime tue [si rivolge a Petrarca] molto essaminate e modestissime, peraventura non pensavi che dovessono per tempi succedenti essere occasione ad altri di carnale concupiscenza, né che tanti giovani amatori del mondo, tratti dal suo polito e leggiadro dire, vanamente si occupassero, e da te prendessero et stile a descrivere et cantare le simili loro amorose passioni, come intendo farsi per ogni paese, e le tue vanità essere più lette, commentate et studiate che ’l vangelo di Cristo». Antonio Terminio definiva «persone catoliche e semplicette» il pubblico delle Rime spirituali di Ferrante Carafa nel suo Discorso della miseria humana e della vera felicità, col summario della vita di Giesù Cristo, premesso a Ferrante Carafa, Le rime spirituali della vera gloria humana in libri quattro et in altrettanti della divina, Genova, Antonio Belloni, 1559, c. *10v. Sulla silloge di Carafa cfr. Monica Bianco, «Jesu, dulcis memoria». Il breviario laico di Ferrante Carafa, in Poesia e retorica del Sacro tra Cinque e Seicento, cit., pp. 103-120; A. Quondam, Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte seconda), cit., pp. 163-175.

12 Fiamma, Rime spirituali, cit., dalla lettera di dedica a Marcantonio Colonna.

13 Dalla nota A’ lettori in Fiamma, Rime spirituali, cit., cc. a5r-7v.

14 Dalla nota A’ Signori lettori edita in Le Muse sacre. Scelta di rime spirituali de’ più eccellenti autori d’Italia, del Signor Pietro Petracci, In Venetia, Appresso Evangelista Deuchino e Giovan Battista Pulciano, 1608.

15 Ibidem. Su questa raccolta si veda lo studio di Salvatore Ussia, Le Muse sacre. Poesia religiosa dei secoli XVI e XVII, con schede di Eleonora Bellini, antiche riproduzioni dalla Biblioteca Molli, Borgomanero, Fondazione Achille Marazza, 1999.

16 Federico Meninni, Il ritratto del sonetto e della canzone, a cura di Clizia Carminati, Lecce, Argo, 2002, pp. 199 e 271-272. Sull’edizione del 1597 (Venezia, Farri) della canzone di Celio Magno si veda Giuseppina Stella Galbiati, Contributo per Celio Magno: una lettura della Canzone Deus, insieme ai suoi antichi commentatori, in Davide De Camilli (a cura di), Studi di onomastica e letteratura offerti a Bruno Porcelli, Pisa-Roma, Gruppo Editoriale Internazionale, 2007, pp. 129-144.

17 La quota di rime spirituali edite nella prima metà del Cinquecento è del 15% a fronte dell’85% coperta dalle edizioni secondocinquecentesche; l’editoria veneziana (con la predominanza dei Giolito) pubblica circa il 50% dei volumi di poesia spirituale del Cinquecento; cfr. Quondam, Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima), cit., pp. 149 e 164-165.

18 Sulle antologie liriche rinvio al volume miscellaneo, a cura di Monica Bianco e Elena Strada, «I più vaghi e i più soavi fiori». Studi sulle antologie di lirica del Cinquecento, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2001. Centrato sulle raccolte manoscritte il contributo di Simone Albonico, Antologie di lirica cinquecentesca, in Enrico Malato e Andrea Mazzucchi (a cura di), Antologie d’autore. La tradizione dei florilegi nella letteratura italiana. Atti del Convegno internazionale di Roma, 27-29 ottobre 2014, Roma, Salerno Editrice, 2016, pp. 173-206.

19 Cfr. Danilo Zardin, Mercato librario e letture devote nella svolta del Cinquecento tridentino. Note in margine ad un inventario milanese di libri di monache, in Nicola Raponi e Angelo Turchini (a cura di), Stampa, libri e letture a Milano nell’età di Carlo Borromeo, Milano, Vita e Pensiero, 1992, pp. 135-246; Ugo Rozzo, Linee per una storia dell’editoria religiosa in Italia (1465-1600), Udine, Arti Grafiche Friulane, 1993; Edoardo Barbieri, Fra tradizione e cambiamento: note sul libro spirituale del XVI secolo, in Edoardo Barbieri e Danilo Zardin (a cura di), Libri, biblioteche e cultura nell’Italia del Cinque e del Seicento, Milano, Vita e Pensiero, 2002, pp. 3-62; Danilo Zardin, Nutrire con frutto l’esperienza. Il libro devoto nell’Italia del Cinquecento, in Ennio Ferraglio (a cura di), Aspirazioni e devozioni: Brescia nel Cinquecento tra preghiera e eresia, Milano, Electa, 2006, pp. 36-51; Gabriella Zarri, Libri di spirito. Editoria religiosa in volgare nei secoli XV-XVII, Torino, Rosenberg & Sellier, 2009, in particolare pp. 103-164.

20 Su quest’ultima tipologia libraria si veda Giorgio Forni, «A stampa». Retorica e libri di preghiera nel XVI secolo, in Carlo Delcorno e Maria Luisa Doglio (a cura di), Scrittura religiosa. Forme letterarie dal Trecento al Cinquecento, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 105-126.

21 Cfr. Gabriella Zarri (a cura di), Storia della direzione spirituale. III L’età moderna, Brescia, Morcelliana, 2008.

22 A. Quondam, Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte prima), cit., p. 173.

23 Sulla silloge di Contile cfr. A. Quondam, Le Rime cristiane di Luca Contile, in Id., Il naso di Laura. Lingua e poesia lirica nella tradizione del Classicismo, Modena, Panini, 1991, pp. 263-289; Daniele Ghirlanda, L’idea di un canzoniere: le Rime cristiane di Luca Contile, in Roberto Gigliucci (a cura di), Luca Contile da Cetona all’Europa. Atti del Seminario di studi (Cetona, 20-21 ottobre 2007), Manziana, Vecchiarelli, 2009, pp. 11-49. Sull’influenza del magistero valdesiano sulle rime della Colonna si veda Carlo Ossola, Introduzione storica a J. De Valdés, Lo Evangelio di san Matteo, a cura e con introduzione storica di Id., Testo critico di Anna Maria Cavallarin, Roma, Bulzoni, 1985, pp. 11-93: in particolare pp. 82-93. Per i rapporti tra Colonna e Ochino cfr. Giovanni Bardazzi, Le rime spirituali di Vittoria Colonna e Bernardino Ochino, «Italique», IV (2001), pp. 63-101. Sulle inflessioni dottrinali nei versi della Colonna si veda Abigail Brundin, Vittoria Colonna and the Spiritual Poetics of the Italian Reformation, Aldershot-Burlington, Ashgate, 2008. Sull’evoluzione della sua produzione poetica di marca spirituale rimando a Rossella Lalli, Una «maniera diversa dalla prima»: Francesco Della Torre, Carlo Gualteruzzi e le Rime di Vittoria Colonna, «Giornale storico della letteratura italiana», CXCII (2015), fasc. 639, pp. 361-389. Per un profilo poetico a tutto tondo si veda, anche per l’utile rassegna bibliografica, la voce di Adriana Chemello in Monica Farnetti e Laura Fortini (a cura di), Liriche del Cinquecento, Roma, Iacobelli Editore, 2014, pp. 63-128.

24 Su questo tema, anche per la bibliografia pregressa, si veda Antonio Corsaro, Michelangelo e la lirica spirituale del Cinquecento, in Massimo Firpo e Guido Mongini (a cura di), Ludovico Castelvetro. Letterati e grammatici nella crisi religiosa del Cinquecento. Atti della XIII giornata Luigi Firpo (Torino, 21-22 settembre 2006), Firenze, Olschki, 2008, pp. 261-284.

25 In proposito si veda almeno Massimo Firpo, La presa di potere dell’Inquisizione romana (1550-1553), Roma-Bari, Laterza, 2014.

26 «Qui vero de ratione bene vivendi, contemplandi, confitendi, ac similibus argumentis vulgari sermone conscripti sunt, si sanam doctrinam contineant non est cur prohibeantur, sicut nec sermones populares vulgari lingua habiti» (Index des livres interdits, a cura di Jesús Martínez de Bujanda, Sherbrooke-Genève, Université de Sherbrooke-Droz, 1984-1996, vol. VIII, p. 816). A fare le spese delle iniziative censorie rivolte al libro spirituale nella seconda metà del Cinquecento furono soprattutto i volgarizzamenti biblici, nonché tutti quei testi che mescolavano in vario modo elementi sacri e profani; in proposito cfr. Gigliola Fragnito, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura (1471-1605), Bologna, Il Mulino, 1997.

27 Condizione che caratterizza una porzione consistente delle raccolte d’autore di poesia lirica; cfr. Riccardo Bruscagli, Paratesti del petrarchismo lirico cinquecentesco, in Beatrice Alfonzetti et al. (a cura di), Per civile conversazione. Con Amedeo Quondam, Roma, Bulzoni, 2014, vol. I, pp. 273-290.

28 Vittoria Colonna, Carteggio, raccolto e pubblicato da Ermanno Ferrero e Giuseppe Müller, Torino, Loescher, 1892, pp. 333 e 335.

29 Su questo punto rinvio a Quondam, Note sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa (parte seconda), cit., pp. 144-151.

30 Sulle caratteristiche dell’oratoria tridentina e sulle sue specificità rispetto a quella scolastica ed umanistica si veda Carlo Delcorno, Dal «sermo modernus» alla retorica «borromea», «Lettere italiane», XXXIX (1987), 4, pp. 465-483, e soprattutto il volume miscellaneo La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento tra Cinquecento e Settecento. Atti del X Convegno di Studio dell’Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa (Napoli 6-9 settembre 1994), a cura di Giacomo Martina e Ugo Dovere, Roma, Edizioni Dehoniane, 1996. Per un esempio di predicazione tridentina rinvio a Maria Teresa Girardi, «L’arte compiuta del viver bene». L’oratoria sacra di Cornelio Musso (1511-1574), Pisa, ETS, 2012. Dopo Tasso converrebbe vagliare le principali raccolte primosecentesche, a cominciare dalla Lira mariniana, per verificare come la lirica di argomento religioso attenui il legame con la narratio petrarchesca per vincolarsi al repertorio tematico della predicazione.

31 Se ne veda l’edizione moderna, sulla scorta dello studio di Luigi Poma, La «Parte terza» delle Rime tassiane, «Studi tassiani», XXVII (1979), pp. 5-47: Torquato Tasso, Rime. Terza parte, edizione critica a cura di Franco Gavazzeni e Vercingetorige Martignone, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006. Si veda anche Rossano Pestarino, Autobiografia sub specie rerum “sacrarum”. Nota su Terza parte XX-XXX, in Emilio Russo e Franco Tomasi (a cura di), Le rime del Tasso: esegesi e tradizione, numero monografico de «L’Ellisse», VIII (2013), 2, pp. 121-151. Per un’analisi tematica delle rime sacre di Tasso si veda Angelo Alberto Piatti, «Su nel sereno de’ lucenti giri». Le Rime sacre di Torquato Tasso, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2010, da integrare con Giuseppe Santarelli, Fonti e motivi delle Rime sacre, nel suo Studio sulle rime sacre del Tasso, Bergamo, Centro tassiano, 1974, pp. 165-293.

32 Su questo aspetto rinvio alle riflessioni di Giancarlo Mazzacurati, Gli intellettuali e le forme: per la genesi dell’ideologia rinascimentale, nel suo Conflitti di culture nel Cinquecento, Napoli, Liguori, 1977, pp. 225-288: pp. 233-246.

33 Cfr. Giuseppe Santarelli, Le «Rime sacre» del Tasso e le prediche del Panigarola, «Studi tassiani», XXIII (1973), pp. 77-88; A. A. Piatti, Dal pulpito alla poesia: la voce dei predicatori nei versi delle Rime sacre, in Id., «Su nel sereno de’ lucenti giri», cit., pp. 101-158. Sulle peculiarità stilistico-retoriche della lirica spirituale di Tasso si veda Erminia Ardissino, Retorica delle Rime sacre, in Id., «L’aspra tragedia». Poesia e sacro in Torquato Tasso, Firenze, Olschki, 1996, pp. 159-181. Per un caso esemplare vd. Francesco Ferretti, Fuggendo Saturno. Note sulla canzone «Alma inferma e dolente» di Torquato Tasso, in M. L. Doglio e C. Delcorno (a cura di), Rime sacre dal Petrarca al Tasso, cit., pp. 157-204.

34 Sull’argomento si veda almeno Franco Tomasi, Le ragioni del “moderno” nella lirica del XVI secolo tra teoria e prassi, in Id., Studi sulla lirica rinascimentale (1540-1570), Roma-Padova, Antenore, 2012, pp. 3-24.

35 La citazione è tratta da Torquato Tasso, Lezione sopra un sonetto di Monsignor Della Casa, in Id., Le prose diverse, a cura di Cesare Guasti, Firenze, Le Monnier, 1875, vol. II, p. 116. Per un quadro della poesia dellacasiana vd. Stefano Carrai, La poesia di Giovanni Della Casa, in Id., L’usignolo di Bembo, cit., pp. 111-122. Sulla fenomenologia della gravitas e sul culto dellacasiano tra Cinque e Seicento si veda Andrea Afribo, Teoria e prassi della gravitas nel Cinquecento, Firenze, Cesati, 2001; Id., Giovanni Della Casa tra Cinque e Seicento, nel suo Petrarca e petrarchismo. Capitoli di lingua, stile e metrica, Roma, Carocci, 2009, pp. 209-235.

36 Cfr. Pietro Giulio Riga, «Canterò di virtù l’alto valore». Appunti sulla tradizione della lirica morale tra Cinque e Seicento, in Lorenzo Geri e Marco Grimaldi (a cura di), La lirica in Italia dalle Origini al Rinascimento, Roma, Bulzoni, 2016,pp. 211-235. Questo modello di partizione giunge a una canonizzazione esemplare nelle Rime morali del Marino, contenute nelle Rime del 1602; alcune indicazioni in Andrea Grassi, «Da la cuna a la tomba è un breve passo»: una lettura di due rime morali del Marino, «Versants», LXIV (2017), 2, pp. 49-61.

37 Angelo Grillo, Parte prima delle rime, In Bergamo, Appresso Comino Ventura, 1589, c. a3v.

38 Sulla poesia spirituale di Grillo e sulla sua importanza in prospettiva secentesca si veda Francesco Ferretti, Le Muse del Calvario. Angelo Grillo e la poesia dei benedettini cassinesi, Bologna, Il Mulino, 2012.

39 Orazio Lombardelli, Del raguaglio de gli scrittori spirituali. Parte prima, In Fiorenza, Appresso Giorgio Marescotti, 1592, c. *3r, dalla lettera di dedica di Lombardelli ad Armanno Sforzolini, Rettore dello Studio di Siena, datata Siena, 25 marzo 1592 (ho consultato l’esemplare della Biblioteca Alessandrina di Roma, XV d.28 6).