Revue Italique

Il libro di rime tra secondo Cinquecento e primo Seicento

OJ-italique-932

Musica e poesia in un inedito canzoniere del 1619: le Rime di Vincenzo Guidoni

Marcello Mazzetti

Con la lettera prefatoria alle Rime varie del 15 dicembre 16181 si conclude il lungo periodo di gestazione della prima fatica di Vincenzo Guidoni, ignoto al nostro secolo per esser stato mal digerito dalla critica ottocentesca. Sono, infatti, di Pietro Perego le parole più aspre e recenziori che brevemente riesumano la salma dell’autore rigettandolo, dopo poche righe, nell’oblio:

Vincenzo Guidoni padovano, scrisse verso il 1620 e fu uno de’ poeti scempiati. Non contento di accozzare parole e non pensieri, sbagliò versi e falsò rime. Egli usava a rimare, come volgarmente sempre fecesi in Venezia, le parole cielo, cervello, core, torre, ecc. come fece in questo epitaffio: «Morte di me trionfa in questo avello | Mortal nel mondo, ed io di lei nel cielo». Di lui non diremo più altro […] Lo abbiamo citato più che per altro, ad esempio di tanti poetastri ignoranti che in quei tempi ingombravano l’Italia.2

Il distico, correttamente citato dal Perego, appartiene appunto alle Rime, opera prima fra le due uniche a stampa ancor oggi rintracciabili. Appare, infatti, un decennio più tardi Il bosco di Parnaso, raccolta a sei mani che fornisce un contributo minimo seppur rilevante alla biografia del Nostro in quanto, prosegue il titolo, fu «piantato al suono de la lira di Orfeo da tre Guidoni Erranti, Marco, Cesare e Vincenzo».3 Una miscellanea familiare, per così dire, della quale si accorse già Giuseppe Vedova nel 1832 seguendo il Quadrio,4 e definendo i tre Guidoni «congiunti e, fors’anco fratelli».5 Il Quadrio riferisce anche che Cesare sarebbe nato nel 1571. Sebbene tale notizia non abbia ancora trovato riscontri documentari, si potrebbe avanzare l’ipotesi che l’ordine attuato per l’estensione del frontespizio de Il bosco di Parnaso, palesemente diverso da quello alfabetico, possa seguire un criterio anagrafico: in tal modo, Vincenzo risulterebbe il più giovane fra i tre «Guidoni Erranti», senhal affatto bresciano rinviante all’omonima accademia fondata nel 1619 su impulso del benedettino Lattanzio Stella.6

Anche l’arco narrativo delle Rime è costellato di elementi riconducibili a Brescia. L’antiporta, riccamente ornato, ancor prima di precisare il dedicatario dell’opera ne raffigura il blasone al centro di un architrave figurativo: l’aquila imperiale sopra il gambero7 anticipa iconicamente il soggetto della dedica verbale «All’Illustrissimo Signore Francesco Gambara Conte di Verola»8 che, scorrendo la lettera prefatoria, risulterebbe ignaro dell’«ardimento […] nel fare questo sposalitio [ossia la stampa delle Rime associata al nobile bresciano] facendolo senza riceverne prima il […] consenso».9 Che si tratti di finzione letteraria o realtà, la princeps uscì sotto i «raggi della chiarissima Casa Gambaresca» nel 1619 per i tipi di Pietro Paolo Tozzi, stampatore attivo a Padova e non affatto digiuno di esperienze editoriali a cavaliere fra poesia e musica: a sua istanza, infatti, furono stampati i primi due libri di canzonette di Gaspare Torelli (1572-post 1613), chierico, poeta e musicista di Borgo Sansepolcro,10 di cui si ha traccia bibliografica a partire dal 1592. È interessante rimarcare che l’officina editoriale patavina di Tozzi accettasse alcune commesse di libri a contenuto musicale ancorché ne delocalizzasse la produzione a Venezia denunciando, con ogni probabilità, la mancanza di strumenti e competenze tipografiche necessarie per portare a buon fine un libro di musica e poesia.11 Lo stesso stampatore, infatti, nella sua lettera «A’ Lettori» anteposta alle Rime riporta una informazione interessante che può essere letta alla luce dei fatti appena ricordati per la produzione poetica e musicale di Torelli:

Tutte poi le cose amorose sono finte, e composte per musici compositori amici suoi, ad istanza de quali sovente cantando di capriccio compose amori finti, e cose alquanto lascive, che tali da chi gliele fece comporre furono desiderate.12

Pur priva di notazione musicale, quella del Guidoni risulta essere una selezione di liriche il cui contenuto era in gran misura destinato ad una prassi musicale assai in voga all’epoca giacché veicolava la fruizione di svariate forme poetiche (e non solo) attraverso l’accompagnamento strumentale della voce/testo o financo una «esecuzione integrata»13 di voce/testo e strumenti affidata ad un solo interprete. Tale rapporto, icasticamente enucleato nell’endecasillabo mariniano «Musica e poesia son due sorelle»,14 va certamente rivalutato anche (e soprattutto) in termini performativi e non solo statutarî:15 una sorellanza poietica, dunque, che scaturisce sovente in una produzione ante litteram o aurale ove testo e musica precedono la fissazione per iscritto.16 Se si è disposti ad ascoltare il resoconto di Benedetto Varchi e ad ammettere, ancora a queste coordinate cronologiche, una natura uniduale e non gerarchizzata della musica-poesia, allora si potrà facilmente riconsiderare la fase performativa anche come atto generativo e ricollocare fattivamente la poesia fra le cosiddette arti del tempo, alla stregua della danza e della musica stessa:17

Producerebbe numero, harmonia, e dizzione, o vero sermone insiememente, nelle quali tre cose consiste tutta l’imitazione (si può dire) e per conseguenza la poesia; perché potemo imitare, e contraffare i costumi, gl’affetti, o vero passioni, e l’azzioni degli huomini, o col numero solo, come ballando, o col numero e coll’harmonia, come ballando, e sonando, o col numero, coll’harmonia, e col sermone, cioè colle parole, come ballando, sonando, e cantando […] Ed io per me non udii mai cosa […] la quale più mi facesse sentire adentro, e più mai paresse maravigliosa, che il cantare in su la lira all’improvviso di M. Silvio Antoniano18 […] che quello in quella età sì giovanissima è un mostro, e un miracolo di natura, e si par bene, che sia stato allievo di M. Annibale Caro, e sotto la sua disciplina creato; et io per me, se udito non l’havessi, mai non harei creduto, che si fussono improvvisamente potuti fare così leggiadri e sentenziosi versi.19

Il «miracolo di natura» raccontato dal Varchi doveva certamente rappresentare una punta di diamante nel panorama poetico-musicale dell’epoca:20 la performance, alla quale fu presente anche Alfonso D’Este non ancora nelle vesti di duca di Ferrara, avvenne nel 1556, ossia dodici anni prima dell’esibizione modenese di Tarquinia Molza Porrina (1542-1617), altro prodigio che incantò gli Este.21 Tuttavia, è possibile identificare un livello intermedio di competenze nell’improvvisare testo e musica certamente più comuni e all’epoca maggiormente diffuse, alle quali avrebbe fatto riferimento, seppur laconicamente, anche lo stampatore Tozzi. Non sarà sfuggito, infatti, quel «sovente cantando di capriccio» riferito al Guidoni che parrebbe riecheggiare le medesime qualità del cantore pontificio Giovanni Luca Conforti, così descritte dal protonotaro Capiluppi al duca Guglielmo Gonzaga nel 1586: «in camera […] canta in tutti gli stromenti, e suol cantare di capriccio e di suo capo».22 Seppur di natura polisemica,23 il termine capriccio e l’azione del «cantare di capriccio» in questo frangente indicano incontrovertibilmente una improvvisazione poetico-musicale e, se volessimo addentrarci in una maggiore qualificazione delle doti apprezzate in una dama o un gentiluomo capaci di realizzare all’impronta una lirica intonata allo strumento nella seconda metà del Cinquecento, potremmo rifarci alle parole usate da Vincenzo Giustiniani (1564-1637), che sintetizza e divulga quanto ben delineato nella lettera di Luigi Zenobi sulla valutazione di un buon musicista:24

l’ornamento di esquisiti passaggi tirati in opportuna congiuntura e non soverchi (nel che soleva peccare Gio. Luca falsetto di Roma [scil. Giovanni Luca Conforti], che servì anche in Ferrara), e di più col moderare e crescere la voce forte e piano, assottigliandola o ingrossandola, che secondo che veniva a’ tagli, ora smezzarla, con l’accompagnamento d’un soave interrotto sospiro, ora tirando passaggi lunghi, seguiti bene, spiccati, ora gruppi, ora a salti, ora a trilli lunghi, ora con brevi et or con passaggi soavi e cantati piano, dalli quali tal volta all’improvviso si sentiva echi rispondere, e principalmente con azzione del viso, e de’ sguardi e de’ gesti che accompagnavano appropriatamente la musica e li concetti […] è far spiccar bene le parole in guisa tale che si sentisse anche l’ultima sillaba di ciascuna parola, la quale dalli passaggi et altri ornamenti non fusse interrotta o soppressa.25

Se si è deciso di indugiare, anzi, di aprire l’analisi delle Rime di Guidoni ricuperando alcuni elementi che caratterizzano una possibile e diffusa prassi esecutiva della lirica nel secondo Cinquecento è per includere nel poligono delle figure orbitanti attorno alla fruizione poetica anche quella del cantore, che non solo aveva la possibilità di improvvisare testi poetici proprî lasciandone traccia scritta (di versi, o di versi vestiti di musica) a posteriori o, comunque, attraverso un processo di revisione costante non sempre mediata o finalizzata nella produzione scritta, ma anche di veicolare gli affetti di testi altrui attraverso una tensione rappresentativa coinvolgente un alto grado di virtuosismo gestuale e musicale.

Queste competenze erano certamente tenute in considerazione dai diversi mecenati fra Cinque e Seicento che ricercavano costantemente figure di poeti-musicisti da assumere come tutori privati, come maestri della musica o delle cerimonie domestiche o nelle accademie. Il già citato Silvio Antoniano ci ricorda apertis verbis come la pratica musicale, purché non finalizzata alla professione, fosse parte integrante del percorso formativo nobiliare:

Per tanto non mi par se non bene, che il nostro fanciullo apprenda alquanto di musica, quanto basta per un poco di honesto diletto, et non per divenir musico […] et che con questa occasione […] si faccia la musica tra gli istessi famigliari di casa […]: et tali canzonette molto meglio, et più utilmente si possono imparare a mente da fanciulli, et domestici di casa, et anco dalle figliuole femmine.26

Di tracce di questo «honesto diletto» nobiliare ve n’è più d’una: basterà ricordare le parole che il musicista e poeta Marc’Antonio Mazzone (c. 1540-post 1593) rivolge a Tommaso Salernitano «dignissimo Presidente del Sacro Consiglio per sua Maestà nel Regno di Napoli» chiedendogli di proteggere la sua prima raccolta di madrigali:

e per farmi doppia gratia prestarli alcuna volta grata udienza, quando col suavissimo suono delle viole ad arco saranno favoriti dalli Eccellenti suoi Signori fratelli, ai quali nel mezzo del Libro indirizzo alcuni Madrigali per farli ricordevoli della mia antica servitude.27

Una pratica, quella del suonare e cantare alla viola, diffusa financo presso la famiglia dei reali di Spagna, come ricorda Vincenzo Giustiniani:

Anzi dirò di più che nei tempi nostri la musica viene nobilitata et illustrata più che mai, mentre il Re Filippo IV di Spagna et ambidue li suoi fratelli se ne dilettano, e sogliono spesso cantare al libro, e sonar di Viole concertate insieme […] Anzi, di più, lo stesso Re et i fratelli fanno le composizioni non solo per loro diletto ma anche perché […] molti altri signori se ne diletteranno ancora, e molti altri si applicheranno alla musica, come dice quel verso: Regis ad exemplum totus componitur orbis.28

Anche il dedicatario delle Rime di Guidoni, Francesco Gambara, non faceva eccezione per competenze e interessi musicali.29 Il suo ramo famigliare, quello dei “patrizi veneti”, si era inurbato a Brescia grazie all’unione dello zio Nicolò Gambara con Barbara Maggia (o Maggi) i quali, privi di discendenza, lasceranno, attraverso una complessa composizione testamentaria, il palazzo cittadino e i beni a Giulia Maggia, sorella di Barbara e madre di Francesco.30 Dalla recente analisi dell’archivio familiare sono emersi alcuni documenti che legano Barbara Maggia, i Gambara ad alcuni importanti personalità del mondo musicale post-tridentino e che trovano riflesso anche nelle Rime di Guidoni.

La prima testimonianza è una missiva inviata dal liutista Giovanni Pacalone a Barbara Maggia sul finire del 1571. Il musicista, incaricato di recuperare nuovi testi da intonare per il diporto domestico, avverte la nobildonna che

essendomisi offerta occasione di mandar alcune | Napolitane a V.S., per la venuta di Messer Angelo nostro amico | comune, ne mando sette che sono uscite la maggior parte | di nuovo fra le quali ve ne sono dui che, per far mentione | di Maggio – che è il cognome della sua Nobilissima famiglia.31

A proposito della prassi esecutiva di queste napolitane, Pacalone prontamente afferma che le arie con cui vestire i testi

sono le medesime che Alessandrina [sorella di Giovanni Pacalone] suona ne l’arpicordo […] Pure confido nel | suo [di Barbara] bello ingegno il quale è di tanta capacità che serà atto a imparar | da sé medesimo ogni cosa che li piacerà.32

La missiva, infatti, come le Rime di Guidoni, non include la musica ma solo i testi poetici. Il nutrito strumentario Maggi-Gambara, di cui si può leggere notizia nei diversi inventari della famiglia,33 annoverava svariati strumenti con cui poter realizzare l’accompagnamento della voce che intona all’improvviso testi poetici: spiccano, all’interno di queste dettagliate liste di beni, spinette e clavicembali – anche definiti arpicordi – liuti e chitarre alla spagnola, nonché un consort di viole acquistate da Lucrezio Gambara, padre di Francesco, negli anni Sessanta del Cinquecento.

Delle sette napolitane promesse dal Pacalone, ne possiamo rintracciare solo cinque poste a tergo della missiva alla Maggia: i rimanenti due testi che, verosimilmente, erano stati vergati su un ulteriore foglio allegato alla lettera andarono dispersi. Si tratta di brani adespoti, qualora se ne ricerchi una paternità extra-musicale, che presentano come caratteristica comune una struttura strofica tipica della canzonetta. Il termine rinvia ad una selva di prassi e repertori paralleli alla forma aperta del madrigale musicale cinquecentesco,34 che richiamava tanto l’interesse dei dilettanti quanto l’estro dei professionisti: la struttura strofica di questi brani, infatti, si prestava ad una costruzione melodica ariosa e ricorsiva – da cui derivavano cantabilità, facile memorizzazione, alto grado di adattabilità a testi diversi e semplicità di accompagnamento strumentale – così come ad un uso estensivo di passaggi ed ornamenti al servizio dei diversi affetti del testo.

Riporto gli incipit di tutte le canzonette napolitane presenti nella missiva, accompagnate dalla struttura metrica e musicale e dalle concordanze in opere musicali:

Tabella 1

Incipit testualeStruttura metricaStruttura musicale35 (prima strofa)Concordanze36 RISM
Gratia, virtù, bellezza e leggiadriaAaBb CcDd EeCc FfCc(Aa)=(X)r | (Bb)=(Y)r |A/1 P 2385
Sia benedetto l’hora, il giorno, e ’l pontoABB CDD EFF BBBA=Xr | (BB)=(Y)r |A/1 P 2385
Monti, rupi, ruine e rocche oscureABCC DEFF GHII DLMMA=Xr | B=Y | (CC)=(Z)r |A/1 P 2385
Donne leggiadr’ e voi vaghe citelleAABB CCDD EEFF GGHHA=Xr | (ABB)=(Y)r |B/I 156517B/I 156614B/I 157033
Venuto è ’l Maggio che invita a cantare ABB ABB ABB CCCA=Xr | (BB)=(Y)r |B/I 156614B/I 157021

Le prime due napolitane trascritte da Pacalone dovevano certamente essere «uscite la maggior parte di nuovo», dato che fra la missiva a Barbara Maggia (1 novembre 1571) e la dedicatoria a Leonora Thiene (10 ottobre 1571) che apre le Canzoni napolitane libro secondo di Giovanbattista Pinello di Ghirardi (RISM A/1 P 2385) passò meno di un mese.37 In tale raccolta, infatti, si trovano pubblicate le vestizioni musicali dei primi tre brani elencati nella Tabella 1. È probabile, ma non documentabile, il rapporto fra il liutista Pacalone e Pinello, dato che fra il 1571 e 1573 quest’ultimo si trasferì da Vicenza a Padova con l’incarico di cantor tenorista.38

Tabella 2

Testo trascritto da PacaloneMetricaTesto in Canzoni napolitane II, 1571Musica
Gratia virtù bellezza e leggiadriaAGratia virtù bellezza e leggiadria ♪X rit
Son nella Donna miaaSon nella Donna mia ♪
Dolci gli accenti e dolci le paroleBDolci gli accenti e dolci le parole ♪Y rit
Che fan fermare il solebChe fan fermare il sole. ♪
Trezze ch’avolto m’hanno sto mio coreCTrezze ch’avolto m’hanno sto mio core,X rit
Con pena e con dolorecCon pena e con dolore,
Deh, per pietà, soccorrimi signoraDDeh, per pietà, soccorrimi signora,Y rit
E non fare ch’io moradE non fare ch’io mora.
Occhi non occhi ma due chiare stelleEOcchi non occhi ma due chiare stelle,X rit
E tutte ardenti e belleeE tutte ardent’e belle,
Ch’abbrusciano quest’alma e questo coreCCh’abrusciano quest’alm’e questo core,Y rit
Con smisurato ardorecCon smisurato ardore.
Bocca che nel sentirla favellareFBocca che nel sentirla favellare,X rit
Mi fa tutto tremarefMi fa tutto tremare,
Petto onde volando il Dio d’AmoreCPetto onde volando il Dio d’Amore,Y rit
S’annida nel tuo corecS’annida nel tuo core.

La discrepanza più evidente fra le due versioni riportate nella Tabella 2 riguarda il layout, ossia le «rientranze versali».39 Tale scelta non è certo casuale, ma risponde a specifiche esigenze performative. A differenza di Barbara Maggia, che aveva ricevuto solamente il testo poetico da Pacalone, il lettore/esecutore della versione a stampa del 1571 poteva beneficiare del modello musicale ideato da Pinello, ossia una struttura bipartita in cui le idee X e Y corrispondevano ai due distici formanti la prima quartina e il modello con cui vestire l’intera lirica.40 Alla Maggia, sprovvista di un modello musicale a cui fare riferimento, viene però fornito da Pacalone un indizio suppletivo: non solo viene data la divisione del testo in quartine ma, attraverso l’indentatura del settenario, viene suggerita una suddivisione della substruttura di distici che divengono così le unità minime poetico-musicali su cui costruire un nuovo aere. Con queste indicazioni grafiche, la destinataria della missiva poteva scegliere se creare una sola idea musicale da ripetere in ogni distico oppure realizzarne anch’ella due, così da alternarle nel corso dell’esecuzione del testo.

Si potrebbe pensare che una tale esecuzione “innodica” risulti tediosa e ripetitiva, se non fosse per le indicazioni che abbiamo già ripreso sulla prassi musicale dell’epoca che prevedeva una ornamentazione pervasiva e un’enfatizzazione delle mutazioni di affetto che si presentano nel decorso del testo. Va detto che il brano risulta già di per sé costellato di parole tecniche che suggeriscono all’esecutore l’impiego di determinate ornamentazioni, memorizzate durante gli anni di addestramento oppure mutuate dai passaggi annotati dai compositori che si dilettavano nella scrittura di madrigalismi, ossia l’arte di dipingere musicalmente il significato del testo – una pittura non solo sonora, dunque, ma anche notazionale. Ecco che le parole gratia (v. 1) e accenti (v. 2) richiamano sia alcuni dei modi «di portare la voce» o «di passar da una nota all’altra con gratia et affetti hora con avantaggiar la parola hora stentar le note come sogliano i scielti cantori» di Francesco Rognoni (Esempio 2),41 sia un parallelo interessante tratto dal compositore bresciano Luca Marenzio che veste la rima tassiana n. 246 e,42 in particolare, il terzo verso Si dolea lagrimando in questi accenti (Esempio 3).43

Esempio 1. G.B. Pinello di Ghirardi, Grazia, virtù, bellezza e leggiadria (RISM A/1 P 2385).

Esempio 2. Francesco Rognoni, Selva de’ vari passaggi (Milano 1620), p. 1, accenti.

Esempio 3. Luca Marenzio, Al lume de le stelle (RISM B/1 1595-10) bb. 6-7, accenti.

Anche il verbo tremare (v. 14) si presta ad un parallelo interessante fra la trattatistica didattica, che lo trasforma nel deverbale tecnico tremolo (Esempio 4),44 e la letteratura madrigalistica a voce sola, che mostra un’applicazione del passaggio di note ribattute veloci (semicrome) sulla tonica del participio presente tremante (Esempio 5):

Esempio 4. F. Rognoni, op. cit., p. 1, tremolo.

Esempio 5. Giulio Romano, Donna io vorrei di molto (Fuggilotio musicale, Venezia 1613), bb. 1-6 tremante.

I verbi di segno opposto, fermare (v. 4) e volando (v. 15), appartengono anch’essi alla terminologia specifica musicale e rispettivamente inducono l’esecutore a smorzare il suono all’improvviso, dopo un passaggio o una tirata rapida di note. Il primo estratto (Esempio 6) descrive il volo dell’aquila, simbolo degli estensi e suggerito da Tasso nella rima 707, attraverso una tirata ricorsiva di moti ascendenti e discendenti:45

Esempio 6. Lodovico Agostini, Tra Giove in cielo e ‘l mio signor in terra (RISM A/1 A 408), bb. 7-9 vola.

Il secondo estratto (Esempio 7) mostra una pittura più complessa ed estesa ad un intero sintagma, grazie all’artificio escogitato da Antonio Dueto per vestire la rima tassiana 144,46 in cui l’attacco presenta una immediata battuta d’arresto. Come si può osservare, tale effetto inatteso è musicalmente descritto dall’incedere di figure sempre più rapide nel decorso del settenario: la minima sulla prima sillaba, le semiminime fra la seconda e la quinta (-re fermate il) e la circuitazione di crome sull’ultima sillaba tonica del verso lo esprimono un crescendo ritmico che, tuttavia, si arresta improvvisamente sull’atona finale attraverso l’impiego della stessa figura incipitale di minima ma ad un intervallo di quinta inferiore – quasi a suggerire che l’arresto di un volo corrisponda ad una caduta – a cui segue il silenzio della pausa di semibreve.

Esempio 7. Antonio Dueto, Ore fermate il volo (RISM A/1 D 3655), bb. 1-2 fermate il volo.

Altre parole o locuzioni, come trezze ch’avolto (v. 5), rimandano ad ornamenti come i groppi e le volte; occhi […] chiare stelle (v. 9) suggerisce una esecuzione a note bianche che produca un effetto quasi sidereo e di arresto contemplativo rispetto alla notazione nera di crome che potrebbe, al contrario, sottolineare la parola mora in chiusura della precedente quartina (v. 8). L’impiego di tali artifici è testimoniato da Luzzasco Luzzaschi (Esempio 8)47 che, nella vestizione della rima tassiana n. 99, dipinge sonoramente e con uno stratagemma notazionale lo spalancare degli occhi (due minime bianche all’inizio di battuta 3) che sono ancora chiusi quando il poeta esprime il desiderio di aprirli (due semiminime nere di battuta 2):

Esempio 8. Luzzasco Luzzaschi, Geloso amante apro mille occhi e giro (RISM A/1 L 3123) bb. 1-5 apro… occhi.

Il brano Gratia, virtù, bellezza e leggiadria presenta ulteriori livelli di significato che sfidano costantemente l’interprete e la possibilità di rendere tali sfumature e strutture a livello performativo, contemplando lo spazio anche per una esegesi compositiva durante il processo di sedimentazione del repertorio sulla carta: è evidente che Pinello (vd. Esempio 1) subisca il fascino dei quattro sostantivi connotativi componenti l’endecasillabo d’apertura al punto da tradurli in musica attraverso un episodio in canone fra le tre voci (Canto, Tenore e Basso). Sebbene questo artificio contrappuntistico risulti meno aderente al testo delle strofe seguenti, tuttavia la sua reiterazione nel primo distico di ogni quartina (idea musicale X) mette in evidenza la struttura anaforica data dai tre sostantivi riferiti a specifiche parti del corpo dell’amata: le trezze (v. 5), gli occhi (v. 9), e la bocca (v. 13). Infine, una struttura di tipo circolare connette l’ultima quartina con le precedenti: il v. 13, delimitato dal binomio bocca […] favellare, riconduce ai dolci […] accenti e alle dolci […] parole del v. 3, mentre la ricorsività del distico Cc all’interno del componimento, che traduce gli effetti del viaggio amoroso guidato dall’epiforico core rimante con dolore (vv. 5-6), ardore (vv. 11-12) e Amore (vv. 15-16), permette di bilanciare il doppio quaternario sostantivale, collocando in apertura del distico conclusivo (v. 15) anche il petto, ossia il luogo corporeo in cui Amore s’annida.48

Potremmo affermare che il testo della canzonetta condivida il trattamento del soggetto con un paio di modelli – di poco più antichi – ravvisabili in un madrigale di Dionigi Atanagi e in un sonetto di Girolamo Troiano presenti nelle Rime di diversi nobili poeti toscani, Raccolte da M. Dionigi Atanagi… Venezia, Ludovico Avanzo, 1565 e dall’exordium quasi omologo:

Tabella 3. Confronto dei modelli testuali di Grazia, virtù, bellezza e leggiadria.

La scelta di questo confronto autoriale, ancor prima che testuale, è suggerito dai contesti: la silloge di Atanagi del 1565, infatti, risulta un importante serbatoio per diversi compositori, fra cui il bresciano Marenzio che si avvale di liriche sia di Girolamo Troiano sia di Benedetto Guidi, entrambi benedettini e attivi presso il monastero dei Santi Faustino e Giovita a Brescia negli stessi anni di Angelo Grillo.49 Non è da escludere, dunque, che il testo di questa canzonetta inviata da Pacalone alla Maggia sia stato prodotto nelle medesime cerchie culturali che animavano la direttrice geografica di Terraferma Brescia-Verona-Padova.

Per quanto sia lapalissiana la connessione fra i tre componimenti tramite il primo verso in comune, va comunque notato lo slittamento della cortesia da rimema incipitale in Troiano a rimema del settenario avversativo in Atanagi (v. 6), per sublimare, infine, nella canzonetta al v. 8, in cui la supplica non fare ch’io mora rievoca in absentia gli effetti taumaturgici dell’alta cortesia elencati sempre al v. 8 del madrigale. L’inversione dell’attacco Virtù, gratia […] (Atanagi, Troiano) in Gratia, virtù […] nella fonte musicale ha notevoli implicazioni sul piano metrico-musicale, dal momento che sancisce l’abbandono dell’endecasillabo a maiore a favore di quello a minore, pervasivo nel testo della canzonetta se non nel v. 11 Ch’abbusciano quest’alma e questo core a cui, per ovvie ragioni, non corrisponde una diversa intonazione musicale. Sul piano contenutistico, invece, è evidente che la canzonetta distilli in un’unica soluzione piuttosto lieve ed omogenea, i trattamenti tematici assai diversi dei due modelli (posto che essi abbiano un ruolo paritetico sul piano della tradizione testuale):50 il sonetto, infatti, dopo l’incipit comune, prosegue in una enumeratio anatomica della Donna di cui la canzonetta scioglie la lunga ellissi e mantiene, nel medesimo ordine, trezze, come sintesi del v. 2 del sonetto, occhi, bocca, petto e core; il madrigale, invece, rappresenta la controparte fisiologica di Amore e del potere della Donna sul poeta. Il confronto fra le tre versioni ci conferma che il soggetto amoroso non assume mai tinte drammatiche: tanto nei modelli, quanto nella canzonetta, il carattere permane leggero anche grazie ad una descrizione ben organizzata che attraversa l’architettura poetica quasi a ritmo di danza. È probabile che sia questo l’ethos che ha colto l’estensore della canzonetta inviata a Barbara Maggia e che Pinello ha desiderato trasmettere anche nella scelta dell’impianto modale del brano.51 Sebbene il repertorio della canzonetta sia difficile da definire in termini propriamente modali,52 potremmo azzardare ugualmente, in termini emic, di ascrivere la canzonetta di Pinello all’undicesimo modo, «atto a’ soggetti danzevoli e giocosi» secondo la classificazione fattane da Orazio Vecchi entro la prima decade del Seicento.53

La seconda canzonetta napolitana inviata da Pacalone a Barbara Maggia trova non solo riscontro nel già menzionato volume di Pinello di Ghirardi (v. Esempio 9) ma, al suo interno, acquisisce una posizione prominente rispetto alle altre musiche, giacché viene collocata come brano d’apertura dell’intera raccolta. E non senza ragione. L’anafora ottativa Sia benedetto, una laus divina ante litteram che rinvia immediatamente alla consecutiva del v. 6 Che bastaria brusciare la Turchia, è riflesso vividissimo dei tempi: se si è già accennato, infatti, che fra il primo testimone a stampa di queste due canzonette e la missiva che le trascrive passa meno di un mese, non si è però ancora notata l’estrema attualità del testo, dato che la vittoria di Lepanto si colloca esattamente entro quei due estremi cronologici. Una battaglia a cui presero parte Lucrezio Gambara, padre di Francesco che, ricordiamo, fu dedicatario delle Rime di cui si dirà fra pochissimo, e il fratello Niccolò, marito di Barbara Maggia, «conducendo con loro un grosso numero di soldati fatti nella Terra di Virola, et mantenuti à tutte loro proprie spese».54 Il ripensamento anafonetico fra pungenti del v. 9 e l’involuto rimema del v. 1 ponto (volto del v. 3?) potrebbe essere riflesso Serenissimo di una produzione di Terraferma. Rimane comunque da segnalare la ripetizione inversa fra i vv. 2-3 e 10-11 a recupero del rimema paragogico in -ade che diviene esclusivo tristico conclusivo. Di quanto espresso finora, la vestizione musicale di Pinello riesce a coglierne bene sia la struttura anaforica, dato che al primo verso di ogni tristico è associata l’idea musicale X, sia la struttura ricorsiva dei distici in rima baciata ai qualiè assegnata la seconda idea musicale Y. Che lo si consideri un modo dorico, con il cambio di specie nel tetracordo per effetto del b molle, o un eolio trasposto, l’ethos modale rimane identico, dato che sono entrambi atti a «parole allegre miste con la gravità» o a parole «severe miste con l’allegrezza», in accordo a quanto riportato da Orazio Vecchi.55

Esempio 9: G.B. Pinello di Ghirardi, Sia benedetto l’hora, il giorno e ’l punto (RISM A/1 P 2385)

Dopo aver indugiato su alcune poesie per musica fruite in un contesto nobiliare bresciano, grazie alla lettera di commissione di Barbara Maggia, nonché su alcune questioni di prassi esecutiva e di esegesi musicale del testo lirico, è giunta l’ora di tornare ad analizzare la negletta raccolta di Rime di Vincenzo Guidoni, rimasta in sospeso dopo averne dichiarato il patron, ossia il conte Francesco Gambara (1576-1630) nipote della Maggia.

Nel 1619, data della pubblicazione padovana delle Rime, si apriva l’ultimo decennio della vita terrena del conte Francesco, dopo essere stato principe dell’Accademia dei Rapiti a partire dal 1590,56 essersi addottorato in utroque iure a Bologna dove entrò in contatto con l’ambiente accademico dei Gelati,57 e aver terminato anzitempo la carriera ecclesiastica a Roma per sposarsi con Eleonora Martinengo e diventare primo erede del ramo dei patrizi veneti. A questo importante mecenate bresciano, Vincenzo Guidoni dedica il libro delle Rime e quattro componimenti, fra cui il madrigale d’apertura Signor che di virtù reggi l’impero e i sonetti n. 14, ove viene promessa l’uscita di un «bel canzoniero», n. 25 in cui viene lodato il valore del mecenate, mentre il n. 54 viene composto in un periodo residenziale presso la villa del conte Gambara.

Le Rime sono una raccolta di 327 liriche così distribuite:

  • 161 madrigali

  • 121 sonetti

  • 13 canzoni58

  • 30 distici, 2 tristici

I madrigali, come dichiarato dallo stampatore Tozzi, non solo costituiscono un imponente serbatoio di testi per musica, ma rappresentano la forma poetica più esplorata da Guidoni, confermando così il dato emergente da uno studio quantitativo sulla fortuna musicale dei generi poetici fra 1500 e 1700 che vede il madrigale in testa, seguito da sonetti, canzonette, ottava rima e canzone.59

Da un punto di vista strutturale, i madrigali accolti nelle Rime spaziano da componimenti di soli quattro versi in forma di epitaffio – al di sotto, dunque, del numero minimo di «cinque, o sei versi» prescritto da Filippo Massini60 – ossia i seguenti:

n. 112Dolcissimo ben mio questi tuoi sguardiAAbBsoggetto amoroso
n. 113Habito nero e humil veste il mio AmoreAbCCsoggetto amoroso
n. 139Ardo di doppo ardoreaABBsoggetto amoroso
n. 141Ben mio perché mi fuggi?aabBsoggetto amoroso
n. [157]Morte il Marte de Franchi Henrico estinseAABBin morte di Re Enrico IV di Francia
n. [158]Morte Alessandro il gran Farnese estinseAABBin morte di Alessandro Farnese
n. [161]De l’aria immensa habitator volanteABCCsopra un canarino imbalsamato
n. [192]Mille e mill’occhi ha nobil Argo AmoreAbCCsopra una statua di Amore

fino alle più ampie risposte madrigalesche per i cartelli di carnevale del 1610 a Treviso, che «ugualmente, mescolando i rotti con gli interi» esprimono la favola in «undeci, dodeci, tredici versi», come già auspicato dal Ruscelli61 e dal Minturno62 ma comunque entro il limite dei «venti versi» osservato in seguito dal Massini:63

n. [148]E chi è costui che sfida il mondo a guerra?AbBCbDDEEFFgHH
n. [150]Errio Guerrier che il tuo valor tanto alziABBccDDEEFFGGHH
n. [151]Non è bellezza in terraabCbcDeEDFGGFFHH
n. [152]Dimmi qual sei tu che cotanto innalziABCCBDDEEffggCCC

All’interno di questa ampia forbice si collocano 77 madrigali a soggetto amoroso, molti dei quali sono dichiaratamente concepiti per una vestizione musicale:

n. 32 Crudel Levilla mia, se pur sei miaABcCDDcosa composta per musica composizione
n. 33 Nobil seggio d’AmoreaabBCCfingendosi… per musico compositore
n. 58 Tu mori o bella FilliAbBcCcomposto per musici concenti
n. 59 Se m’abbraccia o mi scacciaabBccDDcomposto per musici concenti
n. 78 Bella Levilla mia se pur voleteABBCCper musicali accenti
n. 79 Poi che morir pur deveabBCCper musicali accenti
n. 86 Ahi sorte iniqua e dura!abBCCcompose… a capriccio per musico amico
n. 116 Dal bel giardino della tua bocca il meleABaBcCcomposto di capriccio per musici compositori

Si segnalano anche tre madrigali in lode di anonime cantatrici (nn. 70, 108, 136), con il topos di segno opposto nel componimento mediano, in cui si «parla […] sopra una brutta ma buona cantatrice»:

n. 70, AbbCcC
Sospira il mondo al suon de’ vostri accenti
    E sospiro ancor’io
    Caro e dolce ben mio.
    Voi cantate, e cantando il cor rapite,
    Poi, qual ladra, fuggite.
    Ahi cari furti, ahi dure dipartite!

n. 108, aBccDD
«Amor se cieco sei,
    Ascolta solo, e non mirar costei»!
    Udite il canto amanti,
    Non mirate i sembianti:
    Sembra furia infernale ella nel viso,
    Ma s’odi il canto, oh voci, oh paradiso!

n. 136, ABbCCdBB
Taci cor mio, deh, taci; ascolta, ascolta!
    Odi de’ chiari carmi i dolci accenti
    Cari, e dolci concenti;
    Cara la lingua, che lor forma ancora;
    Care insieme le labra [sic], ond’escon fuora.
    Al suon di carmi Orfeo,
    Fermar fece gli armenti:
    
Al cantar di costei fermano i venti!

In effetti l’aspetto fisico non era ritenuto secondario alle abilità artistiche, seppur con le attenuanti dovute alla differenza fra ciò che si acquisisce con lo studio e ciò che la natura dona. Il Ruscelli era stato assai chiaro su questo punto:

la più grata, et più perfetta armonia, che in questo mondo per corso umano si possa udire, è un componimento di bellissimo soggetto, spiegato con bellissime, et ornatissime parole, in versi, et cantato con perfetta ragion di musica, da gratiosissima et bella donna, se ha da vedersi et udirsi insieme, et di grata et gioconda voce.64

Singolare all’interno delle Rime è il madrigale n. 154 Ahi stelle congiurate, ahi fati avversi! che parrebbe un monologo scritto per i «Pianti, lamenti, e disperati inviti del Capitan Cardone», personaggio della commedia dell’arte. La collocazione del componimento in coda ai cartelli per il carnevale trevigiano del 1610, potrebbe indicare che anche questo madrigale appartenga a quel periodo e fosse concepito per spettacoli carnascialeschi. D’altronde, sappiamo che tali pezzi di bravura non richiedevano necessariamente la messa in scena completa di una commedia. Essi potevano costituire anche il repertorio di un solo artista che, catturata l’attenzione del pubblico, impersonava una figura dopo l’altra, come ad esempio era solita fare Isabella Andreini:

fermando hor questo, et hora quello, e parlando hora in Spagnuolo, hora in Greco, hora in Italiano, et molti altri linguaggi […] Si mise poi ad imitare li linguaggi di tutti li suoi Comici, come del Pantalone, del Gratiano, del Zanni, del Pedrolino, del Francatrippe, del Burattino, del Capitan Cardone, et della Franceschina tanto naturalmente, et con tanti dispropositi, che non è possible il poter con lingua narrare il valore, et la virtù di questa Donna.65

Occorre ora accennare ai cicli presenti all’interno delle Rime dedicati a donne per le quali Guidoni aveva cantato: il ciclo di Malipietra Martelli consta di 23 componimenti (tre madrigali e venti sonetti) per la maggior parte in morte e solo cinque in lode della donna. La didascalia al sonetto n. 52 Già da i campi del Ciel dal Paradiso ci fornisce le date di nascita (26 maggio 1587) e di morte (2 novembre 1608) della giovane, spirata poco più che ventenne; il secondo ciclo, invece, è in lode di una tale Isabella, costituito di soli quattro madrigali e due sonetti che dovevano far parte di un progetto miscellaneo più ampio intitolato «Il tempio di Isabella». Fra le altre liriche composte su commissione vanno ricordate anche i tre madrigali:

n. 40Parti dal mondo e nol conosci ancoraAABBCCDDin morte di Antonia Fioramonti
n. 115Candida perla e bella MargheritaAbBCCMargherita è il soggetto
n. 125Nasce un Sol nome da tre nomi, e LiaABAACAACbAAsul nome della vergine Aurelia

L’ultimo brano di questa terna (n. 125) rappresenta un unicum fra le Rime di Guidoni, giacché si trova inserito anche in una miscellanea del 1621 curata da Massimiliano Alchino che raccoglie liriche raggruppate secondo il nome della donna celebrata:66 questo genere di sillogi non fu affatto estraneo ai musicisti, come dimostra La nobilità di Roma di Gasparo Fiorino che racchiude delle villanelle a tre voci con l’accompagnamento liutistico elaborato dal romano Francesco di Parise.67 La raccolta di Fiorino è testimone del gusto nobiliare nel fruire versi autocelebrativi intonati musicalmente: sarà bene ricordare che il quinto testo inviato dal Pacalone a Barbara Maggia faceva «mentione di Maggio – che è il cognome della sua Nobilissima famiglia» e prevedeva una modalità performativa (al canto e allo strumento) ancora in auge all’inizio del Seicento, se consideriamo che la stampa del 1606 dei Madrigali di Muzio Manfredi si apre con cinquanta liriche per la moglie Ippolita Della Penna “Virbia” «suonatrice e cantatrice».68

L’altro aspetto che mi preme ricavare dall’analisi delle Rime è la componente autobiografica che si intreccia con la vita musicale di diverse città e istituzioni. Il sonetto n. 19 Padoa fedele al Cielo al mondo cara è il primo brano che celebra la città natale del poeta da una visuale insolita, ossia dall’alto del monastero di San Daniele di Abano in cui la congregazione dei Canonici Regolari di San Salvatore aveva una sede. Tuttavia, l’appartenenza del poeta a quest’ordine religioso è qualcosa che si scoprirà gradualmente nella lettura dell’opera: il n. 19, infatti, non predica nulla su questa realtà monastica. È un semplice punto di osservazione. I sonetti nn. 26 e 27 dedicati ad alti prelati dell’ordine, Patrizio Cornali di Brescia69 e Alfonso Bavosi, parrebbero ingiustificati e su commissione, se non fosse che finalmente il n. 28 Le bellezze del cielo e di natura inaugura una sezione di quattro liriche contemplative sulle bellezze della natura viste «mentre egli solitaria vita viveva sul colle di San Daniele cinto da’ Monti Euganei». Se supponiamo un ordinamento cronologico delle Rime, il sonetto a Cornali doveva essere stato composto in un periodo antecedente all’arrivo di Guidoni a Brescia presso il monastero di San Giovanni Evangelista, giacché è solo col sonetto eucaristico n. 41 A voi piace a noi vita o felici alme che il poeta dichiara di essersi unito ai confratelli bresciani. Bisogna comunque attendere i nn. 45-47 per una visione più interna di Brescia e dei suoi personaggi. Il sonetto n. 45 Se la fama, l’honore il pregio e ’l grido, per via di una inversione tipografica, rende difficoltosa, ma non impossibile, l’identificazione del nome proprio «Gnido» con l’abate poeta benedettino Benedetto Guidi, già ricordato assieme a Girolamo Troiano per la sua attività presso il monastero bresciano dei SS. Faustino e Giovita. Il sonetto già menzionato n. 54 trova così la sua collocazione temporale e geografica giacché parla di un periodo di villeggiatura presso la dimora di campagna di Francesco Gambara. Il n. 80 Innocente Signor che di nocenti gioca sul nome del confratello Innocenzo Spini di cui conosciamo l’ingegno artistico, teologico, poetico e musicale tramite questa cronaca del 1622:

Artium, & Theologiae Doctor peritissimus, ut eius acta publica testata sunt, cuius animum pacatissimum in ignoscendis iniurijs, cum essem eius Collega, Visitator scilicet, & conspexi, & miratus sum, Poesi quoque, & Musica non parum ornatus, nunc Praesul S. Hieronymi Mutina.70

Apparentemente fuori contesto, il sonetto n. 94 Morte mortal nemica di Natura rinvia a un’opera di «cose medicinali» congedandosi con «Viva il maestro de l’opra e mai non moia!». Il riferimento è senza dubbio a Floriano Canale, canonico, musicista e poliedrico erudito di cui si ha notizia della prima stampa del suo De’ secreti universali nel 1613 – almanacco di rimedi «per tutte le infermità dei Corpi Humani […] e con molti secreti appertinenti all’Arte Chemica, Agricoltura, et Caccie».71 Ma è col sonetto n. 99 Fior di virtù che Floriano hai nome che vengono celebrate le doti di «Musico compositore, et organista illustrissimo». Il corpus di musiche del Canale è rappresentativo della produzione post tridentina di ambito monastico-conventuale:72 in questa sede, tuttavia, va rilevato che il compositore dedicò a Francesco Gambara, patron delle Rime di Guidoni, una canzona a quattro voci inclusa nella raccolta del 1600.73 È evidente che le proibizioni dei Superiori, che diffidavano i canonici dal praticare musica e poesia lascive, fossero a maglie molto larghe: sia Guidoni con le sue Rime, sia i confratelli musicisti, continuavano a dilettarsi di poesia a soggetto non spirituale, come dimostrano le raccolte di canzonette del 1601 di Canale74 e del 1602 di Giovanni Paolo Caprioli,75 canonico regolare bresciano e musicista. A differenza di Caprioli, che musica testi di Guarini, Tasso, Casoni e di Maria Menadori a fianco di brani adespoti, è sintomatico che la raccolta di Canale vesta liriche anonime non riscontrabili in altre raccolte, ad eccezione de La fiera vista e ’l velenoso sguardo che trova un parallelo nell’introvabile Quinto fiore di villanelle et arie napolitane (1600?) non senza esiti di contaminazione che produce nell’incipit una vistosa inversione di aggettivi: La venenosa vista e ’l fiero sguardo.76 Allo stesso modo Monti colli campagne boschi e rive, presente nella raccolta di canzonette di Canale, parrebbe comparire nell’antologica Nuova scielta di villanelle.77 Questo dato, avvalorerebbe la tesi che Canale, così come Guidoni, componesse i propri testi e la musica, oppure, che la circolazione di materiale testuale si avvalesse di supporti manoscritti o di una tradizione più affidata all’auralità.

Rimane da discutere la connessione fra il sonetto n. 105 Di fune e sacco vil vestito e cinto e la canzone n. 6 Alma immortal che di mortal vestita. Entrambi i testi furono composti per la morte di Frà Mattia da Salò (Mattia Bellintani),78 cappuccino («Qual di Francesco mai nel santo ovile | sparse più chiari o gloriosi essempi?»), confessore di Pietro Barbarigo (podestà di Brescia dal 1610 al 1612), e amico del poeta, come Guidoni tiene ad informare il lettore attraverso lo zeugma «Perdé Pietro il suo bene, io le parole».79 Si apprende dalle Rime che le musiche per le esequie, avvenute nei giorni successivi alla scomparsa (20 luglio 1611), furono affidate a Lelio Bertani, eccellente compositore di musica profana e maestro di cappella della Cattedrale di Brescia dal 1573 al 1577 e dal 1618 al 1630 di cui, purtroppo, si hanno scarne notizie biografiche al di fuori di questi archi cronologici.80 Sfortunatamente, la musica per i funerali di questo importante oratore cappuccino non ci sono giunte.

A chiudere il cerchio della nostra storia, costituita da un inedito canzoniere e dai suoi risvolti fra patronage artistico e prassi esecutiva della poesia per musica, è proprio una lettera di Lelio Bertani vergata a Brescia il 30 agosto 1585 e indirizzata ancora una volta a Barbara Maggia. Si tratta di un documento fondamentale poiché testimonia la presenza del compositore a Brescia in quell’anno, connettendolo indissolubilmente alla famiglia Gambara non solo per il tramite delle Rime. La missiva ha per oggetto l’invio di poesie per musica: ancora una volta si tratta di canzonette, ossia due vilanelle di cui però non è arrivato l’allegato e, dunque, non sappiamo se Bertani avesse inviato solo il testo (come fece Pacalone) o anche la vestizione:

[…] Le invio due vilanelle, | una per comandamento suo qual ho cercata, e ricercata fra mille, et l’altra arivatami poco tempo fa da Roma: quando che mi saran | mandate quelle dalla corte dell’Imperatore non mancherò di farle capitare | subito in man sua […].81

Per adempiere al virgiliano proposito impresso nel frontespizio delle Rime di Guidoni «non canto a’ sordi» sarà sempre bene, dunque, tenere in considerazione, allorquando si valuti un componimento lirico, la sua controparte – ma lo sarà davvero? – performativa che, come spero di aver mostrato nella lettura integrata fra testi e contesti di questo inedito canzoniere, attraversa ed unisce svariati generi e forme che costituiscono gran parte del repertorio poetico-musicale fra Cinque e Seicento.

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1 Rime varie di Vincenzo Guidoni padovano, Padova, Pietro Paolo Tozzi, 1619, d’ora in avanti abbreviata in Rime. Sigle utilizzate: Archivio di Stato di Brescia, Archivio Storico Civico, Archivio Gambara di Verolanuova abbreviati in ASBs, ASC, AGV. Archivio della Parrocchia di San Giovanni di Brescia, abbreviato in APsg. Sigle RISM: Répertoire International des Sources Musicales vd. https:// opac.rism.info/ (data ultima consultazione 2 luglio 2021). Le edizioni musicali delle opere qui esemplificate di Giovanbattista Pinello sono state condotte sull’esemplare A-Wn, SA.76. E .27/2/1-3, ad eccezione dell’intavolatura liutistica che rappresenta una mia elaborazione strumentale delle testure polifoniche. Gli altri esempi musicali presenti sono mie trascrizioni e rielaborazioni. Il presente lavoro amplia e sistematizza il materiale di due conferenze da me tenute presso il DAR dell’Università di Bologna e il DISLL dell’Università di Padova nell’autunno 2019. Dalla ricerca alla pubblicazione, ho contratto un debito di riconoscenza verso studiosi e amici ai quali va la mia più profonda gratitudine: Valeria Di Iasio, Marco Mangani, Paolo Procaccioli, Emiliano Ricciardi, Elisa Sala, Mariella Sala, Livio Ticli, Franco Tomasi. Desidero dedicare questa fatica soprattutto a loro e alla memoria di un maestro, Francesco Filippo Minetti.

2 Pietro Perego, Studi letterari del secolo XVII. Lirici dal 1600 al 1650, «L’Artista. Giornale di Arti, Lettere e Scienze Sociali», 9 marzo 1850.

3 Il bosco di Parnaso piantato al suono de la lira di Orfeo da tre Guidoni Erranti, Marco Cesare e Vincenzo […], Venezia, Marco Ginammi, 1629.

4 Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia volumi quattro, Milano, Francesco Agnelli, 1741, v. II, p. 304.

5 Giuseppe Vedova, Biografia degli scrittori padovani, Padova, Tipografia della Minerva, 1832, v. 1, p. 488.

6 Lattanzio Stella fu fratello dell’abate cassinese Silvio, rispettivamente autore del sonetto di dedica agli Elogi historici di bresciani illustri di Ottavio Rossi (1620) e dedicatario dei Fiati d’Euterpe di Paolo Richiedei (1635). Lattanzio Stella, assieme ad Ottavio Rossi e Paolo Richiedei costituiscono la terna promotrice degli Erranti di Brescia. Sul ruolo di Lattanzio quale istitutore di tale accademia si rimanda a quanto riporta Ottavio Rossi (p. 420): «va istituendo l’Accademia degli Erranti procurando che Brescia armata ritorni Brescia incoronata di que’ meriti e di que’ lauri felici».

7 La famiglia Gambara poté esibire l’aquila nel proprio stemma a partire dal privilegio concesso da Carlo V nel 1530, cfr. Enrico Valseriati, Tra Venezia e l’Impero: dissenso e conflitto politico a Brescia nell’età di Carlo V, Milano, FrancoAngeli, 2016, pp. 83-85.

8 Francesco Gambara nacque a Verola Alghise, attualmente comune di Verolanuova in provincia di Brescia, il primo gennaio 1576. I Gambara e specialmente il ramo cosiddetto ‘patrizio-veneto’ della famiglia furono da sempre legati a questo feudo e, assieme ai Martinengo e agli Emili, furono fra le casate più influenti nella gestione dei vicariati a sud di Brescia e, a partire dal XVI secolo, della città. Per ulteriori approfondimenti sulla figura di Francesco Gambara si rinvia a Barbara Bettoni (a cura di), I Gambara fra diplomazia, cultura materiale e mecenatismo, secoli XVI e XVII, Milano, FrancoAngeli, 2019.

9 È curioso constatare che l’«Inventario di tutti i libri che l’illustrissimo signor conte Francesco Gambara si ritrova nella sua casa di Bologna fatto il mese di novembre 1626» menzioni la presenza delle «Rime di Vincenzo Guidoni tomi sei». È probabile che questi sei tomi includano anche i componimenti dell’autore presenti ne Il Bosco di Parnasso, cit. Per la storia di questi inventari, si veda Barbara Bettoni, Raccolte di libri e interni domestici attraverso gli inventari di beni mobili di Francesco Gambara (1600-1630), in Luca Rivali (a cura di), La lettura e i libri tra chiostro, scuola e biblioteca. Libri e lettori a Brescia tra Medioevo ed Età moderna, Udine, Forum, 2017, pp. 193-230: p. 217.

10 Per approfondimenti sull’autore e sulle opere rimando all’edizione di Gaspare Torelli, Amorose faville. Il Quarto Libro delle Canzonette a Tre Voci, a cura di Carolina Calabresi, s.l., Nuova Prhomos, 2018.

11 È datata Padova 7 dicembre 1592 la lettera dedicatoria alle Canzonette a tre voci di Torelli (RISM A/I T 975) il cui successo determinò l’uscita a distanza di un solo anno (1594) del Secondo libro delle canzonette (RISM A/I T 976) che riporta il sodalizio con Luigi Pace e Francesco Sole, musici patavini. Entrambi i volumi sono stampati ad istanza dello stampatore Tozzi.

12 Rime, cit., «A’ Lettori».

13 Per il concetto di esecuzione integrata o integrated performance rinvio a Livio Ticli, Cantanti, strumentisti e improvvisatori: la poesia in musica e l’«esecuzione integrata» fra Cinque e Seicento, all’interno del presente volume.

14 Giambattista Marino, L’Adone, a cura di Giovanni Pozzi, Milano, Mondadori, 1976, VII 1, 1.

15 Sugli statuti e i topoi relativi alla comunanza archetipica di poesia e musica cfr. Daniel P. Walker, Musical Humanism in the 16th and early 17th Centuries, «Music Review», II (1941), pp. 6-13. È altresì vero che Marino distilla in un unico verso una conoscenza assai più complessa sulla musica, come si evince dalla lettura della Diceria seconda, cfr. Giambattista Marino, Dicerie sacre, a cura di Erminia Ardissino, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2014, pp. 169-316.

16 Cfr. Robert Nosow, The Debate on Song in the Accademia Fiorentina, «Early Music History», 21 (2002), p. 213.

17 Per la questione rinvio a Gianmario Borio, Segno e suono: sulle funzioni della scrittura per la rappresentazione del pensiero musicale, in Gianmario Borio (a cura di), La scrittura come rappresentazione del pensiero musicale, Pisa, Edizioni ETS, 2004.

18 Anche detto «il Poetino», fu fra i più temuti revisori della Gerusalemme Liberata; cfr. Torquato Tasso, Lettere poetiche, a cura di Carla Molinari, MilanoParma, Fondazione Bembo-Guanda, 2008, lettere nn. 34-37, 39-40, 42-44, 47; Laura Benedetti, Le ragioni della poesia: Torquato Tasso e Silvio Antoniano, «Annali d’Italianistica», 34 (2016), pp. 243-259.

19 L’Hercolano dialogo di messer Benedetto Varchi […], Venezia, Filippo Giunti e fratelli, 1570, pp. 272-273. Tale informazione è altresì confermata da Giuseppe Castiglione, Silvii Antoniani S.R.E. Cardinalis vita a Iosepho Castalione I.V.D. conscripta, Roma, Iacobum Mascardum, 1610, p. 4: «Musicam quoque attigit et liquidae vocis beneficio alter Orpheus principum virorum aures animosque vix decimum vitae annum ingressus sumpta lyra vel testudine suavissime detinuit, permulsit, ad eorumque amicitiam sibi aditum patefecit».

20 Per la contestualizzazione del canto improvvisato alla lira nel Rinascimento e la mappatura del fenomeno, rimando al lavoro di Blake Wilson, Singing to the Lyre in Renaissance Italy: Memory, Performance, and Oral Poetry, Cambridge, Cambridge University Press, 2019.

21 Sulle abilità poetico-musicali della Molza e sui rapporti con la corte ducale estense si veda Laurie Stras, Women and Music in Sixteenth-Century Ferrara, Cambridge, CUP, 2018, pp. 143-148.

22 Pietro Canal, Della musica in Mantova: notizie tratte principalmente dall’Archivio Gonzaga, Venezia, Segreteria del R. Istituto, 1881, p. 44.

23 Per i diversi significati del termine capriccio, rinvio alla monografia di Francesco Paolo Campione, La regola del Capriccio. Alle origini di una idea estetica, Palermo, Centro internazionale studi di estetica, 2011.

24 Per le informazioni su Luigi Zenobi e l’edizione della sua lettera che insegnaa valutare le qualità di musicisti, compositori, maestri di cappella, cantori e strumentisti rinvio a Bonnie J. Blackburn e Edward E. Lowinsky, Luigi Zenobi and his Letter on the Perfect Musician, «Studi Musicali», 22 (1993), pp. 61-114.

25 Vincenzo Giustiniani, Discorsi sulle arti e sui mestieri, a cura di Anna Banti, Firenze, Sansoni, 1981, p. 22.

26 Tre libri dell’educatione christiana dei figliuoli scritti da m. Silvio Antoniano […], Verona, S. dalle Donne e G. Stringari, 1584, c. 157v.

27 Estratto dalla lettera dedicatoria di Marc’Antonio Mazzone, Il primo libro de madrigali a cinque voci, Venezia, Girolamo Scotto, 1569

28 V. Giustiniani, Discorsi sulle arti e sui mestieri, cit., p. 25.

29 Per una disamina più approfondita sulla cultura musicale gambaresca rinvio a Marcello Mazzetti e Livio Ticli, Per “il mantenimento d’una compitissima Musica”. Il soundscape gambaresco fra diletto domestico, erudizione accademica e mecenatismo, in Barbara Bettoni (a cura di), I Gambara fra diplomazia, cit, pp. 196-200; Marcello Mazzetti e Livio Ticli, “I raggi della chiarissima casa gambaresca”. The Gambaras’ Music Patronage and the Performance Practice in 15th-17th-century Brescia, in Galliano Ciliberti (a cura di), Italian Music Patronage, Turnhout, Brepols, 2021, pp. 267-314.

30 Per il palazzo Maggi-Gambara di Brescia e le vicende testamentarie rinvio a Elisa Sala, Architettura e storia di una dimora nobiliare. Palazzo Maggi Gambara a Brescia tra XVI e XX secolo, Travagliato-Brescia, Edizioni Torre d’Ercole, 2018, pp. 97-136.

31 ASBs, ASC, AGV, b. 292, cc. 188r-189v. Sono debitore a Elisa Sala, grandissima conoscitrice dell’archivio della famiglia Gambara di Verolanuova, per avermi indicato questo documento e aver orientato la mia ricerca nei meandri degli inventari di beni.

32 Ibidem.

33 ASBs, ASC, AGV, b. 12, n. 17; b. 15, M. 23, f. 15 (3 ottobre 1610); b. 113 (29 ottobre 1612); b. 112 (1 luglio 1615).

34 Per ulteriori specifiche sulla canzonetta e sulle declinazioni terminologiche che il termine abbraccia rinvio alla monografia di Concetta Assenza, La canzonetta dal 1570 al 1615, Lucca, LIM, 1997.

35 Trattandosi di forme chiuse, viene indicato il modello musicale con le lettere X, Y, Z in associazione a specifici versi della prima strofa che funge da modello musicale per le altre. La lettera «r» dopo le maiuscole indica la collocazione del ritornello musicale che impone di ripetere la frase indicata fra le barre |…|.

36 RePIM, «Repertorio della Poesia Italiana in Musica, 1500-1700», a cura di Angelo Pompilio.

37 Il Secondo libro delle Canzoni Napolitane à tre voci di Gio. Battista Pinello […], Venezia, Girolamo Scotto, 1571.

38 Per ulteriori informazioni biografiche su G. Pinello rinvio a Maria Rosa Moretti, Musica e costume a Genova: tra Cinquecento e Seicento, Genova, Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, 1990, pp. 170-176.

39 Per un primo approccio a questi indicatori stichici rinvio al saggio di Guido Capovilla, Un sistema di indicatori metrici nell’originale del Canzoniere petrarchesco, in Marco Santagata e Amedeo Quondam (a cura di), Il Libro di Poesia dal Copista al Tipografo, Modena, Panini, 1987. Sebbene l’autore non ne suggerisca, nemmeno implicitamente, l’applicazione a campi diversi dalla metrica, ritengo che tali rientranze possano anche rispondere ad esigenze di vestizione musicale, specialmente nelle fasi di trasmissione manoscritta dei testi.

40 Questo simbolo ʇ indica quale porzione di testo è sottoposta alla musica.

41 Selva de’ varii passaggi […] di Francesco Rognoni Taeggio, Milano, Filippo Lomazzo, 1620.

42 Le numeriche delle rime tassiane utilizzate nel presente studio fanno riferimento all’edizione di Torquato Tasso, Le Rime, edizione critica sui manoscritti e le antiche stampe a cura di Angelo Solerti, Bologna, Romagnoli-Dall’Acqua, 1989-1902, 4 voll.

43 Di Luca Marenzio, Il settimo libro de madrigali a cinque voci, Venezia, Gardano, 1595.

44 Selva de’ varii passaggi, cit., p. 1.

45 Madrigali del r. monsig. D. Lodovico Agostini […] libro terzo a sei voci, Ferrara, Eredi di Rossi e Tottorino, 1582.

46 Del R. M. Antonio Dueto Piamontese: Il secondo libro de’ madrigali a quattro voci, Venezia, Gardano, 1586.

47 Secondo libro de’ madrigali a cinque voci di Luzzascho Luzzaschi […], Venezia, Gardano, 1576.

48 Desidererei ribadire anche la possibilità di una fruizione autonoma di questi testi che, sebbene considerati ‘minori’ dalla musicologia e della critica letteraria, riservano interessanti peculiarità ravvisabili certamente all’occhio e meno all’orecchio, come notato nel fitto ma illuminante saggio di Francesco Filippo Minetti, A proposito di ciò che, nel linguaggio della poesia, la musica non sembra poter percepire od esprimere: figure sintattiche ed echi colti nelle villanelle di Luca Marenzio, in Maria Teresa Rosa Barezzani e Antonio Delfino (a cura di), Miscellanea Marenziana, Pisa, ETS, 2000, pp. 473-95.

49 Cfr. Richard Freedman, Marenzio’s Madrigali a quattro, cinque et sei voci of 1588: A Newly-Revealed Madrigal Cycle and Its Intellectual Context, «The Journal of Musicology», 13/3 (1995), p. 341.

50 Sebbene non si sia trovata una concordanza di questi due testi specifici di Atanagi e Troiano in fonti musicali, ritengo che entrambi abbiano influito sulla costruzione del testo e della musica della canzonetta secondo i processi analoghi evidenziati in Ruth I. Deford, The Influence of the Madrigal on Canzonetta Texts of the Late Sixteenth Century, «Acta Musicologica», 59/2 (1987), pp. 127-51.

51 Il modo tenta di parametrizzare l’organizzazione dello spazio sonoro di una composizione o di una performance estemporanea descrivendone non solo la natura testuale ma anche gli effetti provocati sull’ascoltatore (ethos).

52 Per l’analisi di questo repertorio e per la difficoltà di attribuzione modale delle canzonette condivido quanto espresso in Marco Mangani, L’organizzazione dello spazio sonoro nelle Canzonette a tre voci […] libro secondo di Giuliano Paratico, «Philomusica on-line» 15/1 (2016), pp. 601-22: http://riviste.paviauniversitypress.it/index. php/phi/article/view/1802 (data ultima consultazione 2 luglio 2021).

53 Orazio Vecchi, Mostra delli tuoni della musica, a cura di Mariarosa Pollastri, Modena, Aedes Muratoriana, 1987, pp. 32, 36. Per una trattazione più sistematica degli ethos modali rinvio a Daniele Sabaino, Gli diversi affetti, gli quali essa harmonia suole produrre. Ancora su teoria e prassi dell’ethos modale (per il tramite, questa volta, di alcuni testi petrarcheschi), in Andrea Chegai e Cecilia Luzzi (a cura di), Petrarca in musica, Lucca, LIM, 2005.

54 Elogi historici, cit., pp. 469-70.

55 O. Vecchi, Mostra delli tuoni della musica, cit., pp. 35-36.

56 Per maggiori informazioni sulla genesi e l’ospitalità di tale consesso intellettuale presso la residenza urbana Maggi-Gambara di Brescia rinvio all’eccellente E. Sala, op. cit., pp. 106-112.

57 Per la triangolazione culturale tra Francesco Gambara, i Gelati e l’ambiente bolognese, rimando a M. Mazzetti e L. Ticli, “I raggi della chiarissima casa gambaresca”, cit., pp. 208-213.

58 Le tredici canzoni sono raggruppate in quella che identifico come seconda parte delle Rime, dal momento che non è possibile considerarle come unità bibliologica distinta dalla prima parte, seppur presenti un frontespizio autonomo che riporto diplomaticamente: CANZONI | DI | VINCENZO GVIDONI | PADOANO | All’Illustrissimo Signor | FRANCESCO GAMBARA | Conte di Verola | consecrate | [fregio] | In Padoua per Pietro Paolo | Tozzi. 1619. Tale parte include, dopo IL FINE, un madrigale tetrastico AbCC privo di numerazione e il madrigale n. 147, dedicato alla «Mirandola Fortezza in Italia» che prosegue la numerazione della prima sezione.

59 Cfr. Cecilia Luzzi, L’ottava rima nella tradizione del madrigale rinascimentale e agli esordi del teatro musicale, in Maurizio Agamennone (a cura di), Cantar ottave. Per una storia culturale dell’intonazione cantata in ottava rima, Lucca, LIM, 2017, p. 49.

60 Del Madrigale. Lettione dell’Estatico Insensato Recitata da lui pubblicamente nell’Accademia de gl’Insensati di Perugia […], in Lettioni dell’Estatico Insensato, recitate da lui pubblicamente nell’Academia de gli Insensati di Perugia […], Perugia, Pietroiacomo Petrucci, 1588, pp. 147-185.

61 Del modo di comporre in versi nella lingua Italiana, trattato di Girolamo Ruscelli […], Venezia, G. Battista e Melchior Sessa, 1558, p. CXXII.

62 L’arte poetica del sig. Antonio Minturno […], Venezia, Giovanni Andrea Valvassori, 1563, p. 262.

63 Del Madrigale, cit., p. 179.

64 Del modo di comporre in versi, cit., p. 1.

65 Mia enfasi nel testo di Giuseppe Pavoni, Diario descritto da Giuseppe Pavoni: delle feste celebrate nelle solennissime nozze delli serenissimi sposi, il sig. don Ferdinando Medici, et la sig. donna Christina di Loreno gran duchi di Toscana, Bologna, Giovanni Rossi, 1589, p. 46.

66 I Nomi di donne per bellezza, e per valor’eccellenti, da peregrini spiriti con poetica lira cantati. Raccolti per Massimiliano Alchino […], Verona, Bortolamio Merlo, 1621, pp. 18-22. Oltre al Guidoni, gli altri poeti scelti da Alchino per celebrare il nome Aurelia furono: Ansaldo Cebà, Guidubaldo Benamati, Giovanni Pietro Stringari, Torquato Tasso e Orazio Navazzotti. Va ricordato che il primo componimento che apre la raccolta di Alchino fu di pugno del musicista Francesco Rasi.

67 La nobilità di Roma, versi in lode di cento gentildonne Romane, et le villanelle a tre voci di Gasparo Fiorino, Venezia, Girolamo Scotto, 1571.

68 I cento artificiosi madrigali del sig. Mutio Manfredi […], Venezia, Roberto Meglietti, 1606.

69 Brescia, APsg, VIII-H, 5: «Libro quinto dove si notano li morti della n[ost]ra Parochia [sic] di S. Giovanni Evan[geli]sta di Brescia, incominciando dal P[rim]o dell’anno 1615. Essendo Curato il Pa[dre] Don Patricio Cornali». A c. 43 si legge l’obituario dello stesso Cornali: «12 luglio 1618. Il P[ad]re D. Patricio Cornali Bres[cia]no, havendo esercitata la Cura di q[uest]a Parochia [sic] poco meno di dieci Anni continui morse [sic] Religiosamente, et fu sep[ol]to nella nostra Sepoltura».

70 Narratio rerum gestarum Canonicorum Regularium […] Congregationis S. Salvatoris […] collecta ad admodum rev. d. Ioseph Mozzagrugno Neapolitano […], Venezia, Alessandro Polo, 1622, Lib. VII, c. 20v.

71 De’ secreti universali raccolti et sperimentati da Floirano Canale […], Brescia, Bartolomeo Fontana, 1613.

72 Per ulteriori informazioni sul compositore rinvio a Marcello Mazzetti e Livio Ticli, Reconsidering Floriano Canale’s works and the role of Canons Regular in the late Renaissance, «Rivista Internazionale di Musica Sacra», 35 (2014), pp. 199-224.

73 Canzoni da sonare a quattro, et otto voci di d. Floriano Canale […], Venezia, Giacomo Vincenti, 1600.

74 Canzonette a tre voci di D. Floriano Canale […], Venezia, Giacomo Vincenti, 1601.

75 Canzonette a tre voci di Gio. Paolo Caprioli. libro primo, Venezia, Giacomo Vincenti, 1602.

76 Una flebile notizia si riscontra in József Waldapfel, Balassi, Credulus és az olasz irodalom, Irodalomtörténeti füzetek, Budapest, Pallas Ny, 1938, p. 359.

77 Nuova scielta di villanelle et altre canzone belle, et ingeniose, et una Barcelletta in Dialogo bellissima. Et vna Napolitana con la tramutatione, s.l., s.e., s.a.

78 Per ulteriori informazioni su Mattia da Salò rinvio a Roberto Cuvato, Mattia Bellintani da Salò (1534-1611): un cappuccino tra il pulpito e la strada, Roma, Edizioni Collegio San Lorenzo da Brindisi-Laurentianum, 1999.

79 Rime, cit., parte II, p. 28, canzone 6, strofa 5, v. 4.

80 Fa eccezione il periodo trascorso come maestro di cappella della cattedrale di Padova fra il 1598 e il 1607. Non è chiaro nemmeno il rapporto con la corte estense, sebbene il Primo Libro dei Madrigali a sei voci del 1585 di Bertani sia dedicato al duca Alfonso II D’Este.

81 ASBs, ASC, AGV, b. 308, cc. 447r-447v.