Revue Italique

La poesia dialettale del Rinascimento nell’Italia del Nord

OJ-italique-695

Sulle Farse astigiane di Giovan Giorgio Alione (1521)

Mikaël Romanato

La varietà linguistica e culturale che caratterizza la produzione dell’astigiano Giovan Giorgio Alione (1460?-1521?) resta tutt’ora da esplorare, anche dopo il breve ma folgorante giudizio di Gianfranco Folena che ritiene l’Opera jocunda (1521) «un monumento singolare di lingua teatrale, che dopo la benemerita edizione di Enzo Bottasso, non ha avuto certo, nei molti anni ormai trascorsi, l’attenzione e la fortuna che meritava».1 A decretarne la scarsa fortuna sta forse anche la posizione peculiare che il poeta astigiano occupa in un contesto geografico e politico piuttosto rivolto verso la Francia che verso l’Italia.2 Sta di fatto che su di lui gli ultimi importanti contributi critici datano ormai dagli anni 1980-’90.3

Alla ricchezza dei contenuti sviluppati dal poeta astigiano in dialetto, in latino macaronico e in francese si contrappone una diffusione limitata dei testi, circoscritta ad àmbiti provinciali e di confine. L’edizione princeps appare a Asti nel 1521, presso Francesco de Silva (5 esemplari conservati),4 prima di essere ristampata, senza però i testi in francese, a Venezia dal Giolito nel 1560 come Opera molto piacevole del ro. m. Gio. Giorgio Arione (2 esemplari conservati). Essa appare nuovamente nel 1601 presso l’editore astigiano Virginio Zangrandi, che nella lettera prefatoria la dichiara «purgata, et emendata con licenza della Santa Inquisitione» (c. 3r). Gli interventi consistono soprattutto nella censura che colpisce le menzioni dei religiosi, che appaiono spesso in situazioni eroticamente compromesse e di una serie di espressioni di carattere ecclesiastico.5 Sono inoltre eliminati i componimenti dialettali minori: Sententia in favore de le doe sorelle, Frotula de le done, Cantione doe per li frati de stancto augustino contra li disciplinati in Ast, Uno benedicite d(omi)no & Uno reficiat.

La circolazione ridotta dell’Opera alionesca è confermata dagli scarsi accenni dei massimi biografi settecenteschi (indicativo il pressoché totale silenzio del Tiraboschi), che ricordano soprattutto l’equivoco relativo al cognome «Arione» sotto il quale l’opera compare dall’edizione Giolito in poi.6 Bisognerà aspettare il pieno Ottocento perché gli studi tornino a concentrarsi sul poeta, con l’edizione delle Poésies françoises procurata dal Brunet e quella della Commedia e farse carnovalesche del Tosi.7 Oggi, l’Alione dialettale si legge nell’importante edizione a cura di Enzo Bottasso (1953).8 Nella sua ricca introduzione, il Bottasso offre una sintesi delle fonti fino ad allora identificate e un’analisi dei principali temi trattati in poesia dall’autore, accompagnando la sua edizione con un primo importante glossario dei nomi e dei toponimi. La princeps del 1521 presenta una cospicua produzione teatrale (una «comedia» e nove «farse») incorniciata tra la Macarronea contra macarroneam Bassani (cc. A6r-B7r),9 che è un componimento filofrancese e antilombardo composto nel 1500 in latino macaronico contro il poeta Bassano Mantovano, e i versi conclusivi in lingua francese (cc. V1r-X8v). Questa la successione dei testi nella princeps:

  1. Comedia de l’Homo e de soi cinque sentimenti

  2. Farsa de Zohan zavatino e de Biatrix sôa mogliere e del Prete ascoso soto el grometto

  3. Farsa de Gina e de Reluca, doe matrone repolite, quale voliano reprender le zovene

  4. Farsa de la dona chi se credia havere una roba de veluto dal franzoso alogiato in casa soa

  5. Farsa de Nicolao Sparanga caligario, el quale, credendo haver prestata la sôa veste, trovò per sententia che era donata

  6. Farsa de Perô e Cheirina iugalli, chi littigoreno per un petto

  7. Farsa del lanernero chi acconciò la lanterna e el soffieto de doe done vegie

  8. Farsa de Nicora e de Sibrina sôa sposa chi fece el figliolo in cavo del meise

  9. Farsa del braco e del Milaneiso inamorato in Ast

  10. Farsa del Franzoso alogiato a l’ostaria del Lombardo, a tre personaggi

Nel Cinquecento, la farsa (termine che ha ben 13 occorrenze nell’Alione) è ormai un genere teatrale di carattere spesso satirico afferente a un registro popolare e carnevalesco, sviluppatosi irregolarmente in Italia a partire da esemplari goliardici e dal teatro umanistico.10 Rispetto alle farse goliardiche, che riportano in genere a un ambito universitario settentrionale, alle farse rusticali del bellunese Bartolomeo Cavassico e a quelle prodotte alla corte aragonese (Giovan Francesco Caracciolo, Sannazaro), quelle dell’Alione si avvicinano piuttosto alle «farces» francesi. La lunghezza dei testi, sempre privi di suddivisioni in atti e scene, oscilla dai 343 versi della Farsa de Gina e Reluca ai 915 versi della Comedia de l’omo facendone dei veri poemetti. In alcuni testi si riconoscono grandi eventi politici della fine del Quattrocento e del primo Cinquecento. La calata di Carlo VIII (1494-1495) è per esempio menzionata nel discorso della BÔCA al CUL della Comedia de l’omo, (vv. 588-590) o in quello della DONA a suo marito BIAS della Farsa del braco e del Milaneiso (vv. 478-479). Ricordi della nuova conquista francese di Luigi XII (1499-1504 e 1508-1513) si leggono nel dialogo tra ANTRINA e il genero Nicora nella Farsa de Nicora e Sibrina (vv. 474-482).11

La varietà linguistica dell’opera alionesca, rivendicata fin dal frontespizio della princeps nella precisazione del «metro macaronico materno [‘dialettale’] e gallico», appare ribadita nel «Prologo de l’auctore». Nella prima stanza, la questione della lingua affiora nella distanza che il poeta mostra di cogliere tra volgare e dialetto: «ben ch’el parler sia dissônant / al bôn vulgar» (vv. 3-4).12 Le successive stanze 2-3 sono dedicate rispettivamente alla Macarronea – con il ricordo della polemica con Bassano Mantovano e «simel sôa genea» (v. 12) e ai componimenti in francese che esaltano le conquiste di Carlo VIII e Luigi XII, regnanti che il poeta definisce «gloria italica» (v. 19). Il topos della petitio modestiae caratterizza le ultime due stanze, che ribadiscono la dimensione popolare delle farse e l’ispirazione locale («translatiôn / de quaich legende da nôter», vv. 26-27) sullo sfondo di una presentazione dell’autore che si dichiara ‘né dottore, né poeta’ («che chiel fus pôeta ni dôctôr», v. 36). Il detto «Licôr de balsem non dà sax / ni rava sang» (‘Non si trae liquore dai sassi né rave dal sangue’, v. 33) lascia tuttavia supporre una certa ambizione da parte dell’Alione. La richiesta di clemenza infine rivolta ai censori («priant a i meistr sindicatôr / non ander guardant trop per subtil», vv. 37-38) pare alludere a un certo gusto anticlericale che caratterizza i componimenti dialettali.

Il componimento più rappresentativo della produzione astigiana alionesca è la Farsa de Zôhan zavatino e de Biatrix soa mogliere e del prete ascoso sotto el grometto,13 di cui per comodità del lettore si propone qui un breve riassunto:

Il ciabattino Zôhan litiga con la moglie Biatrix sulla presenza delle truppe francesi e lombarde nel borgo astigiano. Biatrix, che si reca nel pollaio per recuperare un uovo, è raggiunta dall’amante, il prete Galvagn. La donna progetta di allontanare da casa il marito Zôhan: il nunzio Perô chiederà a Zôhan di portare un messaggio nel vicino borgo di Corneliano. Durante il tragitto, Zôhan, sospettando d’essere stato ingannato, torna a casa e dalla finestra intravvede gli amanti che cenano. Bussa allora alla porta e Biatrix nasconde cibo e amante sotto un cestone. Preoccupata di fronte al marito che pare impazzito, chiama i vicini, che provano a farlo ragionare. Ma Zôhan scopre il prete e inizia a bastonarlo e a coprirlo di insulti.

Pluralità di lingue

A giudizio del Padoan, le didascalie che accompagnano i testi fin dalla princeps del 1521 testimoniano del fatto che le farse furono «scritte per essere recitate».14 Nell’Opera jocunda, le lingue si distribuiscono così secondo gli ambienti e la funzione degli interlocutori, rispecchiando modalità usuali e riconoscibili anche dal pubblico astigiano di quegli anni: il francese è la lingua dei soldati e della corte, il latino quella della giustizia e della chiesa, mentre il dialetto funge da «strumento di comunicazione ordinario».15 Il dialetto astigiano nelle sue varietà appare la lingua principale in ben nove farse su dieci. Tre di esse presentano, su uno sfondo di burla, un vivace plurilinguismo: nella Farsa de la dona il dialetto si alterna con il francese nella vicenda di un soldato che prova ad ottenere favori muliebri in cambio di un vestito; nella Farsa del braco e del milaneiso è presente, assieme alla koinè lombarda, nell’episodio dell’invito notturno dell’amante; infine, i personaggi della conclusiva Farsa del francioso si scambiano battute in francese e in lombardo nell’episodio del cuoco e del soldato goloso.

Altre lingue appaiono in subordine ma con uguale diritto di cittadinanza. Un latino con notevoli sfumature dialettali è usato, ad esempio, nelle brevi battute di carattere giuridico della Farsa de Nicolao Spranga. Nel tentativo di risolvere il caso di Bernardin, vittima di una beffa, il giudice invita il procuratore ad esprimersi in questa sorta di lingua mista: «Dicatis per vulgario, / hoc est de magno latinacia» (vv. 333-334). La richiesta è ribadita da Bernardin, quando egli si rivolge al Giudice (vv. 357-363):

JudexTasei.
BernardinDicatis per vulgare,
ch’e’ ne me fì nent d’i seu fag.
JudexPax vobis, Bernardin sta’ quag.
Procurator messer Garbug,
dicatus che l’antendô tug
che vol dômander Nicôrà
JudexTacete.
BernardinDite in volgare,
che io non ne so niente di questi fatti.
JudexPace a voi, Bernardino sta’ tranquillo. Procuratore messer Garbug, dica in modo che capiscano tutti ciò che vuole chiedere Nicola.16

L’oscillazione tra latino e dialetto può lambire anche espressioni ecclesiastiche, come nella Farsa del braco e del milaneiso: «Bias El brach! Jhesus, Salve regina,/ deprofôndis, o Cabôlina, o zorgna, te dormi insì s-cias?» (vv. 471-473; ‘Bias Il bracco, Gesù, Salve regina, de profundis, / oh Cabôlina, oh sorda, dormi così profondamente?’). Didascalie in volgare, che sono tipiche indicazioni di scena, appaiono in particolar modo nella Farsa de Nicora e Sibrina, nella Farsa del Franzoso alogiato a l’ostaria del Lombardo e nella Farsa del braco e del milaneiso. Qui si incontra questa tipica didascalia teatrale: «El dicto Milaneiso farà qui strepito con la gamba contra una banca dicendo: Hei, cancaro!» (v. 470).17 Infine, nella Farsa del braco e del milaneiso, una sfumatura alto-piemontese si distingue nella parlata dell’astuta serva Minetta, nella vicenda di Cabolina e del suo amante Ambrogio, recatosi in casa di notte, mentre dormiva il marito Bias.18

Nella Farsa de Zôhan zavatino vi è un impiego del dialetto astigiano, del francese, del latino e del volgare. La compresenza di più lingue appare di nuovo nella discussione iniziale fra marito e moglie (Zôhan e Biatrix) che discutono della venuta delle truppe d’Oltralpe nel borgo piemontese. Lo scambio di battute mette in evidenza l’espressione in lingua locale di vocaboli francesi.

Su un altro piano, tessere di lessico alimentare (si veda il § 2.3) sono al centro di polemici tentativi di traduzioni da parte di Zôhan. In particolar modo, l’equivoco è costruito sui termini francesi di «pentola» e di «orinale» (pot e tôppin) che per il protagonista sembrano apparentati associando il registro della satira dello straniero a quello dell’osceno (vv. 56-67):19

BiatrixBee, a l’è insì un dir per tut an Franza.
I disô ben au stagnin pot,
dercò au tôppin.
ZôhanChe strani mot!
Côm dis-gle donc a la tôppina?
BiatrixChe seu-i mi, s’te ne voi ch’e’ advina?
Potage dis-gle a la menestra,
e s’i tran pet, o che vagô a extra,
ne dis-gle ben dercò: «fi, fi»?
ZohanMa s’i franços n’eissô d’i fi
e d’l’ue, côm fareigle a boire?
I tirô su côi soi gran voirre
ch’el par ch’i’l butô and’ un stivad.
BiatrixBeh, è così in tutta la Francia. Dicono ben per la pentola pot, e anche per il pentolino.
ZôhanChe strane parole! E come dicono dunque per l’orinale?
BiatrixChe ne so io, vuoi che lo indovini? Chiamano potage la minestra e se fanno un peto, o che vanno di corpo, non dicono bene anche ‘‘fico, fico?’’
ZohanMa se i francesi hanno dei fichi o dell’uva, come farebbero a boire? Alzano [la testa] con il loro gran verre [‘bicchiere’] che pare che lo buttano in uno stivale.

L’arrivo del prete segna l’alternanza tra l’astigiano e un latino a carattere fintamente solenne e dunque parodico. Galvagn legge a Zôhan il messaggio, alternando registro orale e scritto (vv. 333-339):

PreteFa an çà ch’e’ leza: a gle va drigia! Spectabiles et generosi
circunspecti atque famosi
amicibus nostri de plano
ac dominis in Cornigliano.
ZôhanBôn fa parler côn côi chi san:
grammarçì, stè côn Dè.
PreteFa’ in modo che io legga: si riferisce proprio a lui. Spettabili e generosi e circospetti e famosi amici nostri della pianura e signori in Corneliano.
ZôhanFa bene parlare con quelli che sanno: grazie mille, e stai con Dio.20

Una didascalia ulteriormente venata di piemontesismi annuncia l’incontro tra il Prete e Zôhan, mentre questi si avvia verso Corneliano: «Zôhan, trovando el prete per camino / A Dé, messer» (v. 326). Altre indicazioni sceniche hanno un registro piuttosto macaronico, quando, per esempio, il protagonista scopre il prete nascosto sotto il cestone: «Zôhan, levando su el grometto [...] Idem Zôhan, bastonando presbyterum» (vv. 568-574).

Pluralità di culture

Alione e la cultura francese

Come hanno osservato sia Folena che Padoan, l’impiego del novenario denuncia, l’adattamento dell’octasyllabe francese e dunque la dipendenza delle farse dalla cultura d’Oltralpe.21 A titolo d’esempio, la Comedia de l’omo e de soi cinque sentimenti, che apre la sezione di componimenti dialettali, deriva il tema principale della contesa tra il «CUL» e le cinque parti del corpo (gli occhi, il naso, la bocca, la mano e i piedi) dalla Farce novelle des cinq sens de l’homme moralisée (testo del secolo XV edito solo nel 1545 a Lione) di cui condivide il filone allegorico-morale.22 Per il gusto dell’osceno a sfondo sessuale della Farsa del lanternero il rinvio è invece a due farse intitolate rispettivamente Les femmes qui font écurer leurs chaudrons et défendent qu’on ne mette la pièce auprès du trou e Le ramoneur de cheminées.23

Allo stesso modo l’osservazione è di Bruno Cotronei anche la Farsa de Zohan zavatino prende spunto da modelli francesi. La trama riprende quella di due componimenti d’Oltralpe, Le Poulier e Le savetier, le moine et sa femme, mentre il nome del protagonista rimanda tradizionalmente alla figura del marito ingannato.24 Proprio la scena ricordata di Zôhan che, scoprendo la beffa di cui è stato vittima impazzisce e ripete ossessivamente «Mai» fino all’arrivo dei vicini, discende sia tematicamente che stilisticamente da un modulo analogo della farsa francese Le poulier. Sono i vv. 461-465, 529-531 e 544-546:

BiatrixPerchè è-tu retôrnà sì tost
da Côrniglian?
ZôhanMai.
BiatrixSì, a prepost
Parla, mingiôn, fos-tu crastà?
[...]!
Uxor JacobiPecau, tost va chi Dè trammet!
O Zôhan, è-tu mort o vif?
ZôhanMai.
[...]
Uxor BônzaninSu, su, Zôhan, che sarà ço?
Me côgnes-tu? E’ sôn tôa cusina.
ZôhanMai.
BiatrixPerché sei tornato così presto da Corneliano?
ZôhanMai.
BiatrixSì, a proposito: parla, minchione, sei stato castrato?
[...]
Uxor JacobiPeccato, tosto muore chi Dio spedisce! Oh, Zôhan, sei morto o vivo?
ZôhanMai.
[...]
Uxor BônzaninSu, Zôhan, cosa sarà? Non mi riconosci? Sono tua cugina.
ZôhanMai.

L’ossessione linguistica di Zohan si conclude quando questi, scoprendo l’amante, inizia a picchiarlo (vv. 570-575):

ZôhanMai,
mai ne mettì, dôlçe vesine,
tai gagl côn le vostre galine,
chi ne sôn nent de bôna sort.
Idem Zôhan bastonando presbyterum.
PreteFora, diaô, fôra, e’ sôn mort:
oi Dè la testa, oi Dè el mie ren!25
ZôhanMai non misi, dolce vicina, tali galli con le vostre galline, perché non ne viene niente di buono.
Lo stesso Zôhan, bastonando il prete.
PreteFuori, diavolo, fuori, sono morto:
oh Dio la testa, oh Dio i miei reni!

La scena radicalizza, si è detto, la conclusione della farsa Le Poulier, che termina analogamente su quella marca avverbiale «Jamais, jamais, jamais, jamais!» ripetuta 7 volte dal marito tradito.26

Alione e la cultura volgare

Se alcune tematiche d’ascendenza novellistica come l’inganno, associato talvolta al travestimento, sono presenti anche nelle farse francesi del Rinascimento,27 il trattamento che ne fa Alione mostra il loro inserimento nel contesto volgare italiano. Il tema della beffa, come lo sviluppo attorno a schemi fissi in certe farse, delinea punti di contatto con il Decameron. Siro Ferrone ha riconosciuto, ad esempio, il modello della novella di Madonna Belcolore, del prete di Varlungo e del tabarro (Dec. VIII, 2) nella Farsa de la dona, costruita sulla promessa di una «robbe de velours» (v. 88) e di una catena lasciata in pegno da un soldato francese alla ricerca di favori carnali.28 Non è escluso che, oltre ai testi novellistici proposti da Cotronei e da Bottasso,29 altre fonti possano essere convocate per il tema dell’arrivo notturno dell’amante nella Farsa del braco e del milaneiso. E se anche il motivo è vulgato, si può pensare alla novella boccacciana di Gianni Lotteringhi che, scoperta la moglie con l’amante, invoca la presenza di un fantasma (Dec. VII, 1) o alla novella di Sismonda, innamorata di Ruberto, che usa il segnale dello spago per avvisare l’amante che può entrare in casa (Dec. VII, 8).

Anche la Farsa de Zohan zavatino presenta gli elementi caratteristici del tema della beffa nel triangolo amoroso marito-donna-amante e nello sviluppo di alcune tappe significative: 1. l’incontro con l’amante (il prete Galvagn); 2. l’invito a casa la sera stessa e la strategia con cui la moglie allontana il marito; 3. il tentativo di tradimento; 4. la scoperta da parte del marito del tradimento che così non può essere consumato.30 L’incontro con il prete Galvagn, mentre il marito è in casa, inaugura la beffa (vv. 208-213):

PreteHo, la cômmare è da per sì
su l’us, côn la sôa roca an man.
Sì vogl andemne insì pian pian
veggher s’a m’aspegia, a çò ch’e’ cômprend:
bonum vesper, dôlza cômmare.
BiatrixE a vôi dercò, messer cômpare;
a l’è tant temp ch’e’ ne ve ho vist!
PreteOh, la comare è qui sull’uscio della porta, con la sua rócca31in mano. Voglio camminare pian piano per vedere se mi aspetta, ainché lo capisca. Buonasera, cara comare.
BiatrixE anche a voi, messer compare. È da tanto tempo che non vi ho visto!

Seguono l’invito a cena dell’amante32 e la spiegazione dello stratagemma, inteso ad allontanare Zôhan fino al giorno successivo (vv. 228-243):

BiatrixMesser cômpare, ô me truffè,
ma savi ch’ô façi? E’ gl’eu pansà:
per çò che chiel è pura usà
d’ander de fora a scuser mes,
e ch’el vicari sì ’l côgnes,
mandè quarch lettra pr’un famign
e dir-gle ch’el camina habigl
for d’Ast, e ch’ô l’addriçi an loeu,
quant el partis ben ancôr uncoeu,
ch’ô ne tôrnas fin a dôman.
PreteOnd’el mandremi?
BiatrixA Côrniglian:
côi segnôr faran ben la scorta.
Ma mandè quarch persôna ascorta
chi sapia côl c’l’avrà da dì,
venì pos autra insì sul bas.
BiatrixMesser compare, mi trua, ma sa cosa faccio? Ho pensato: siccome quello [Zôhan] ha pure l’abitudine di andare fuori a servire da messaggero, e che il vicario lo conosce, mandate qualche lettera mediante un servo, e ditegli che cammini svelto fuori da Asti, e che lo indirizzi in quel luogo, e che parta oggi e non torni fino a domani.
PreteDove lo manderemo?
BiatrixA Corneliano: quei signori ce lo terranno. Ma mandate qualcuno accorto, che sappia quello che deve dire, e venite fuori sulla parte inferiore [della casa].

Dopo aver ricevuto il messaggio dal nunzio Perô, Zôhan parte immediatamente per Corneliano, convinto dalla promessa di una moneta d’argento (vv. 291-295 e 300):

PerôMe manda qui messè el vicari
el qual, pr’un çert cas neçessari,
vol che tu vadi a Côrniglian
pôrtè ista lettra, e che dôman
te tôrni an ça côn la resposta,
ô che t’ra mandi per la posta,
per savei çò c’l’avrà da fer. [...]
PerôTè, l’è qui un testôn.
PerôMi manda qui messer vicario, il quale, per un caso necessario, vuole che tu vada a Corneliano a portare questa lettera, e che domani tu torni qui con la risposta, o che tu la mandi per posta, per sapere ciò che dovrà fare.
[...]
PerôEccoti qui un testone [‘una moneta d’argento’].

L’incontro a cena tra Biatrix e il prete inverte la modalità dentro-fuori che caratterizzava la seconda tappa della beffa (Biatrix nel pollaio mentre Zôhan cena in casa). L’arrivo dell’amante ottiene di coniugare il tema alimentare con quello della seduzione.33 Tuttavia, Zôhan si accorge dell’inganno e ritorna ad Asti (vv. 410-427):

[Zôhan]Nostra Biatrix m’ha fag d’i scriz
fô temp habiù, e ancôra eu-i pau ch’a ne se tegna un reffermau.
E’ ne me fi nent d’ô nostr s-cioza:
chiel è un ribald, chiella è una roza;
havrei-gle fors mai tegnù man
de manderme autr a Côrniglian,
côn côsta lettra côntrafagia,
de nog, a ço ch’e’ ne gli ampagia
e lôr steissô a manger pernis?
O gl’è un proverbi antì che dis
non fidabis, non te fidè
de pertus volt an zu, ni de
saren d’invern, nivôl de stà,
de preve e de putein marià
ch’el sôn cose chi anganô el gent.
Perçò vogl tôrné incôntinent
veggher s’e’ gle pôrrea aciapper.
ZôhanLa nostra Biatrix mi ha fatto degli scherzi molto tempo fa, e temo che abbia un amante. E non mi fido aatto di un’altra cosa: lui è un furfante, lei è una baldracca; avrei forse dovuto permetterle di mandarmi fuori a Corneliano, con questa lettera contraatta, di notte, ainché non gli impedisca di mangiare pernici. C’è un proverbio antico che dice «non fidarti», non fidarti del buco rivolto all’in su, né del tempo sereno in inverno, delle nuvole d’estate, di prete e di puttana sposata, che sono cose che ingannano la gente. Perciò voglio tornare subito a vedere se riesco a sorprenderli.

Il monologo di Zôhan coniuga, su un registro osceno («non te fidè / de pertus volt an zu [...] putein marià»), la dimensione solenne del ‘proverbio antico’ al gusto antimuliebre.

La sua reazione, quando trova chiusa la porta di casa ed intravede la scena della moglie con il prete, dà alla situazione una sfumatura surreale nella speranza espressa dal marito beffato che sia avanzata della minestra (vv. 433-443):

Zôhanreversus et ascoltando et postea pulsando ad portam
[...]
A la fè ch’ô gl’è gent per ca’,
e ch’i fan gioda! Holà, holà,
almanch fè ch’abia d’ra menestra. [...]
PreteChe dimi fer?
BiatrixPrest, ch’ô s’amorta
ô lum, compà, e’ sema trahì!
Ascôndì ô rost, levè el mantì,
antertant che chiel tambusrà.34
Zôhan ritornato ed ascoltando e poi bussando alla porta.
[...]
Parola mia, che c’è gente per casa che fa festa. Olà, olà, che ci sia almeno della minestra.
[...]
PreteChe cosa dobbiamo fare?
BiatrixPresto, che si spenga la luce, compare, siamo smascherati!
Nascondete l’arrosto, levate la tovaglia mentre quello busserà.

Il triangolo amoroso, nonché l’intenzione della beffa, fanno eco a generiche situazioni boccacciane. Tuttavia, due novelle del Decameron in particolare sembrano fungere da modello alla Farsa di Zôhan zavatino. Nella novella di Pietro di Vinciolo abbiamo il ritorno improvviso del marito e il consecutivo tentativo di nascondere l’amante in una cesta da polli (V, 10, 26-28); in quella di Peronella e dell’amante Giannello, la cesta è sostituita da una botte (VII, 2, 10-13).35

Alione e la cultura macaronica

Il plurilinguismo ‘‘realistico’’ dell’Alione porta la cultura del Piemontese anche verso il filone del teatro umanistico e della poesia macaronica. L’attenzione a particolari concreti si osserva ad esempio nel trattamento del cibo, un tema su cui nell’ambito della letteratura maccaronica si è intrattenuto Ivano Paccagnella.36 Un censimento dei termini legati al cibo o all’atto del mangiare nella Farsa de Zohan zavatino ne evidenzia 107, mentre la Farsa del franzoso alogiato a l’ostaria del Lombardo ne conta ben 124, dei quali però 57 in francese. Nella prima, essi appaiono prevalentemente in due momenti: nel confronto che Zôhan instaura tra il proprio umile pasto e le pietanze dei Francesi e dei Milanesi, e quindi nella cena che Biatrix offre al suo amante. Il primo momento si sviluppa su un asse orizzontale. Accanto a termini come pot e potage richiamate da Biatrix, e oggetto della derisione del marito (vv. 57-61), è significativa l’evocazione dei Lombardi attraverso la loro esuberanza alimentare (vv. 138-152):

BiatrixChiel s’antend megl an vin ch’an pan:
ha-lô nent vist gli erbôr carrià
de salçiza e de çervelà,
e ’l tôr côverte de pastegl?
[...]
BiatrixNaa, a dirte el vei, côl millan passa
t’havrai lasagne o d’i crôsetla squela pina, o d’i nôset, côn del fôrmag pu d’un sesin e côn del speçie e del cômin
BiatrixQuello si intende meglio di vino che di pane: non ha visto gli alberi carichi di salsiccia e di cervellato, e il tavolo ricoperto di pasticci?
[...]
Bene, sì, a dirti la verità, quelli [di] Milano passano [e] avrai il piatto pieno di lasagne e di crosetti (‘sorta di pasta’), con più di un mezzo soldo di formaggio e con delle spezie e del cumino.

Il riferimento ad alimenti specifici quali «lasagne», «crôset» e «nôset»37 funge per il protagonista da blasone locale, introducendo un confronto regionale tra Piemonte e Lombardia. Sono termini che rivestono anche una funzione simbolica, confermando non troppo genericamente la radice macaronica della poesia alionesca.38

Anche nella Maccarronea dell’Alione, la scena conclusiva, collocata all’osteria, sfrutta il tema alimentare. Il componimento si presenta come una variante latina della Farsa del franzoso alogiato a l’ostaria del Lombardo. Accanto all’attenta presentazione del pasto dell’Oste e delle numerosissime richieste del Franzoso, l’inganno è sviluppato attraverso la problematica questione del pagamento del pasto, associando così il realismo linguistico alla comicità della situazione (vv. 226-234):39

Lecardi tamen mangiant ofelle, busecca
et ad sasones lachinbroch, ravice a l’agliata,
nosetum ubique, macarroni, cazamelati,
gnocchi, barlende, lecabonum et fava menata.
Inter lombardos est semper vita beata;
lasagnas etiam dant pro imbialia quinque
plenam scutellam, casei ponendo seximum;
porros, quos virida pisses de cauda vocamus,
cum sale in manu faciunt scrossire da Petrus.

I golosi però mangiano ciambelle, trippa, e secondo le stagioni latte fresco, ravizze con l’agliata, noseto dappertutto, macaroni, cazzimelati, gnocchi, torte, leccabuono e fava menata. Tra i lombardi la vita è sempre beata: anche di lasagne per cinque imperiali ne danno una scodella piena, mettendoci mezzo soldo di formaggio; i porri, che, per la coda verde, chiamiamo pesci, col sale in mano li fanno scrocchiare da signori.40

Nella Farsa de Zohan zavatino, il confronto regionale si associa all’opposizione alto/basso. Diversamente dalle ricche pietanze degli invasori, il pasto di Zôhan consta infatti di un uovo (vv. 194-198):

ZôhanMa aveing ch’el passa el marchisà, adume un poc de marander.
BiatrixTe cômmenza, ch’e’ andreu guarder
s’la galina havrà ancôr fag l’oeuf.
Aspegme, sa-tu.
ZôhanE’ ne me moeuf.
ZôhanMa prima che passi il marchesato [di Monferrato], porta un po’ da pranzare.
BriatrixComincia tu, che andrei a vedere se la gallina avrà già fatto l’uovo.
Aspettami.
ZôhanIo non mi muovo.

Il secondo momento della Farsa di Zôhan zavatino dove si concentra il tema alimentare è il banchetto che Biatrix offre al Prete. Il seguente brano mette in risalto il tema della seduzione attraverso termini appartenenti a registri gastronomici pregiati come «cappôn», «cônfect» e «vin bianch» (vv. 360-373):

PreteLassè andé, mettì zù issa roca, tenì, ch’e’ façô côllatiôn.
BiatrixMa el basta ben: gli è qui un cappôn,
del cônfect e d’ô çervelà.
An bôna fè, mi n’eu appariglià
ch’el mantil bianch e del pan fresch.
[...]
PreteViè za cômare, sì assazrè
d’un bôn vin bianch.
PreteLasciate andare, mettete giù questa rócca, tenete, che faccio colazione.
BiatrixMa basta così: c’è un cappone, dei confetti e del cervellato. In verità, non ho preparato che una tovaglia bianca e del pane fresco.
[...]
PreteVenite qua, comare, assaggerete un buon vino bianco.

Le battute successive enfatizzano la dimensione tipica della commedia umanistica quattrocentesca che sfocia verso il gioco erotico, attraverso la ripetizione della frase, qui messa in bocca al prete, «Ist bel becônnet sarà vostr» (vv. 374-383):

PreteIst bel becônnet sarà vostr.
BiatrixE’ n’eu davanz qui su ô tagliau.
PreteE’ vogl ch’ô ’l pigli.
BiatrixSì, a prepost.
PreteIst bel becônnet sarà vostr.
BiatrixDarreir che sia lecà de rost!
Ma vôi ne mangiè nent, peccau?
PreteIst bel becône sarà vostr.
BiatrixE’ n’eu d’avanz qui su ô tagliau.
PreteMi ne sôn vuari gran mangiau,
ma a beiver vogli ben sté al bote!
PreteQuesto bel boccone sarà per voi.
BiatrixNe ho anche di troppo qui sul piatto.
PreteVoglio che tu lo prenda.
BiatrixSì, a proposito.
PreteQuesto bel boccone sarà per voi.
BiatrixÈ raro che io sia avida di arrosto.41Ma voi non mangiate niente, peccatore?
PreteQuesto bel boccone sarà per voi.
BiatrixNe avanza qui sul piatto.
PreteNon sono un gran mangione, ma per il bere sto al gioco!

L’apertura culturale che caratterizza le farse di Giovan Giorgio Alione è dunque notevolmente più ampia della mera imitazione di componimenti d’Oltralpe. Attraverso la ricerca di espressività comica e di realismo lessicale, i componimenti dialettali inclusi nell’Opera jocunda si presentano infatti come il punto d’incontro di materiali provenienti da tradizioni varie come quella francese delle farces, coniugata con elementi volgari di stampo novellistico sullo sfondo di un sempre vivace filone macaronico.

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1 Gianfranco Folena, Le lingue della commedia e la commedia delle lingue, ora in Id., Il linguaggio del caos. Studi sul plurilinguismo rinascimentale, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 129, con riferimento a Giovan Giorgio Alione, Opera piacevole, a cura di Enzo Bottasso, Bologna, Antiquaria Palmaverde, 1953. Sulla biografia dell’autore si rimanda alla voce Alione Giovan Giorgio, a cura di Alberto Asor Rosa, in DBI, 2 (1960), pp. 460-462. Sulla varietà dei contenuti, questi osserva: «[nelle farse] vengono affrontati argomenti diversi (burle a sfondo erotico o giudiziario, polemiche filofrancesi e antilombarde, motivi misogini tradizionali), accomunati da un piglio popolaresco estremamente vario e vivace» (p. 461). Da considerare con prudenza l’indicazione di Bruno Cotronei, Le farse astigiane di Giovan Giorgio Alione. Studio critico, Reggio Calabria, Tipi di Paolo Siclari, 1889, pp. 7-14, che definisce l’Alione, su base testuale, ora buffone, ora addirittura veterinario, identificandolo con il personaggio ricorrente Ian Peiroer.

2 Così ricorda infatti Mario Chiesa, La questione delle lingue in Asti e Giovan Giorgio Alione, in Antonio Daniele (a cura di), Omaggio a Gianfranco Folena, Padova, Editoriale Programma, 1993, pp. 972-973: «Per tutta la regione si tratta di una situazione di confine che studi recenti stanno mostrando aperta su due culture, da una parte quella della Francia, dall’altra quella della Padania e dell’Italia in genere; e forse orientata più ad oriente che ad occidente, come induce a ritenere una prima semplice constatazione: che la città universitaria, per Antonio Artesano come per l’Alione, è Pavia. Per quanto riguarda la lingua, in Piemonte [...] il francese, che era la lingua della corte, era compreso e anche parlato [...], ma non era la lingua della comunicazione e tanto meno della creazione letteraria».

3 Tra questi, rimangono fondamentali per inquadrare la cultura alionesca gli studi di Giorgio Padoan, L’avventura della commedia rinascimentale, Padova, Piccin Nuova Libreria, 1996, pp. 1-20; Enzo Bottasso, L’edizione 1521 della Opera iocunda di Giovan Giorgio Alione, in Neil Harris (a cura di), Bibliografia testuale o filologia dei testi a stampa? Convegno in onore di Conor Fahy, 24-26 febbraio 1997, Udine, Forum, 1999, pp. 125-138. Spazio al poeta fa anche l’antologia di Franco Brevini, La poesia in dialetto. Storia e testi dalle origini al Novecento, Milano, Mondadori, 1999, vol. I, pp. 473-482.

4 «Opera Jocunda No. D. | Joha(n)is.georgij Alioni | Astensis Metro ma-|charronico Ma|terno:& Galli|co compo|sta». Esemplare consultato: Milano, Biblioteca Trivulziana (M 539). Non risultano manoscritti in Iter italicum. A finding List of Uncatalogued or Incompletely Catalogued Humanistic Manuscripts of the Renaissance in Italian and other Libraries, compiled by Paul Oskar Kristeller, London, The Warburg Institute, Leiden, Brill, 1960-1992, 6 voll.

5 Esemplare consultato: Torino, Biblioteca Reale (coll. G.4.17). Gli interventi sono segnalati da Paolo Antonio Tosi nell’Introduzione a G. G. Alione, Commedia e farse carnovalesche nei dialetti astigiano, milanese e francese misti con latino barbaro, Milano, G. Daelli, 1865 (ristampa Bologna, Forni, 1975), pp. IX-X, e da A. Asor Rosa, Alione, cit., p. 461. L’edizione è ristampata nel 1628, a Torino, presso Stefano Manzolino. Ad esempio, nella Farsa de Zôhan Zavatino e de Biatrix sôa mogliere e del prete ascoso sotto el grometto, il nome dell’amante di Biatrix, il prete Galvagn, viene genericamente sostituito con «Compare» (vv. 199-213); nella Farsa del braco e del milaneiso inamorato in Ast, la cappa di «Frà Raphe», usata per ingannare il marito, appare come il «mantel e la barretta d’un Dottour» (vv. 698-710); nella Farsa del Lanternero, l’espressione «Benedicite» (v. 398) è mutata in «O mi pouret». Il gusto per le oscenità è tuttavia mantenuto, come nella serie di imprecazioni ed insulti che conclude la Farsa de Zôhan Zavatero (vv. 604-607).

6 Francesco Saverio Quadrio, Della storia e della ragion d’ogni poesia, Milano, Agnelli, 1741, Lib. I, Dist. II, Cap. III, p. 481; Gian Maria Mazzuchelli, Gli scrittori d’Italia, Brescia, Bossini, 1753, vol. I, parte III, pp. 1055-1056; Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Modena, Società Tipografica, 1792, Tomo VII, Parte III, p. 1305. Sul cognome del poeta ritorna Carlo Vassallo, Intorno alla vita e alle poesie di Giovan Giorgio Alione astigiano composte dal 1494 al 1520. Osservazioni critiche, Asti, Tipografia Fratelli Paglieri, 1865, p. 7.

7 Jean-Charles Brunet, Poésies françoises de Jean Georges Alione (d’Asti), composées de 1494 à 1520, Paris, Silvestre, 1836; Poesie francesi di Giovan Giorgio Alione astigiano composte dal 1494 al 1520. Aggiunta la Maccheronea dello stesso, a cura di P. A. Tosi, Milano, G. Daelli, 1864 (ristampa Bologna, Forni, 1974). Resta fondamentale, per la questione delle fonti francesi di molti testi alionesche, lo studio di B. Cotronei, Le farse astigiane, cit., pp. 37-86.

8 G. G. Alione, Opera piacevole, cit. Di chi scrive sono le traduzioni dei brani riportati, con l’ausilio del citato glossario di E. Bottasso (pp. 267-323) e del Gran dizionario piemontese-italiano, a cura di Vittorio Sant’Albino, Torino, Bottega d’Erasmo, 1965.

9 Il poemetto dell’Alione, conservato assieme alla produzione dialettale perfino nelle ristampe del 1601 e del 1628, è ristampato nell’Ottocento: Maccheronee di cinque poeti italiani del secolo XV Tifi Odassi, Anonimo Padovano, Bassano Mantovano, Giovan Giorgio Alione, Fossa Cremonese, a cura di P. A. Tosi, Milano, G. Daelli, 1864 (ristampa Bologna, Forni, 1974); G. G. Alione, La Maccheronea, in Giovanni Zannoni (a cura di), I precursori di Merlin Cocai, Città di Castello, S. Lapi, 1888, pp. 169-192 (alle pp. 178-179 elementi sulla polemica attorno al testo macaronico). Ora, si veda l’edizione moderna: G. G. Alione, Macarronea, a cura di M. Chiesa, Torino, Centro Studi Piemontesi, 1982. Come ricorda P. A. Tosi, Maccheronee di cinque poeti italiani, cit., p. 61, non è stato conservato il testo cui risponde l’Alione. Di Bassano Mantovano questi pubblica il testo in latino macaronico intitolato Collectanee de cose facetissime e piene di riso.

10 Si veda ad esempio Siro Ferrone, Il teatro, in Storia della letteratura italiana, Roma, Salerno, 1996, vol. III Il Quattrocento, p. 978; Luciano Bottoni, Il teatro: testi e spettacolo, in Nino Borsellino e Walter Pedullà (a cura di), Storia della letteratura italiana, vol. III Rinascimento e Umanesimo. Dal Quattrocento all’Ariosto, Milano, Motta, 2004, pp. 288-295. Le occorrenze di «farsa» nell’Alione si deducono da E. Bottasso: Glossario dell’Opera piacevole, cit., p. 288.

11 I riferimenti all’arrivo di Francesco I nel borgo piemontese paiono assenti nei testi dialettali, mentre si leggono i vari componimenti in lingua francese: Ditez que prevoit pronuncier une pucelle dast au roy francois a son retour de la bataille de marignan (cc. Y3r-v)e Autre louange a nostre dame sur la teneur de Vive le pape & le bon roy francois (cc. Z5r-Z5v). Sui legami tra le farse e il loro contesto storico, si veda B. Cotronei, Le farse astigiane, cit., pp. 15-27. Pare da considerare con prudenza l’ipotesi della datazione delle farse, sulla base dei contenuti dei testi, in tre fasi A, B, C, proposta da E. Bottasso, Giovan Giorgio Alione e la farsa nel Rinascimento, «Studi Piemontesi», 16, 2 (1987), pp. 259-279; Id., Le farse carnavalesche di Giovan Giorgio Alione e la loro singolare fortuna, in Maria Chiabò e Federico Doglio (a cura di), Il teatro comico fra Medioevo e Rinascimento: la farsa, Viterbo, Union Printing, 1987, pp. 147-180.

12 M. Chiesa, La questione delle lingue, cit., p. 979, avverte tuttavia: «Ma il bon vulgar non viene mai identificato nel fiorentino, che può essere evocato scherzosamente come qualsiasi altra parlata locale; sinonimo al bon vulgar sembra invece romagnol; si direbbe cioè che ad Asti il suo centro di diffusione appaia Roma più che Firenze; nelle farse alionesche non ricorrono mai i termini ‘‘toscano’’ o ‘‘fiorentino’’ per designare la lingua letteraria». Si veda inoltre l’introduzione di F. Brevini, La poesia in dialetto, cit., p. 474.

13 Sulla farsa, si veda B. Cotronei, Le farse astigiane, cit., pp. 45-55, e E. Bottasso, Introduzione a G. G. Alione, Opera piacevole, cit., pp. XLVIII-LIV. G. Padoan, L’avventura della commedia rinascimentale, cit., p. 4, la considera «forse l’opera migliore dell’astigiano».

14 G. Padoan, L’avventura della commedia rinascimentale, cit., p. 4. Oltre all’appello agli «auditôr» chiamati in causa nel «Prologo de l’auctore» (v. 39), si può ricordare la Comedia de l’Omo che evoca l’impostazione carnevalesca delle rappresentazioni: «e ch’i nostr zeu de carlever / sôn tavota ông e da laver» (vv. 904-905; «e che i nostri giochi di carnevale sono talvolta unti e da lavare»).

15 M. Chiesa, La questione delle lingue, cit., p. 977. Sulla composizione del pubblico orienta F. Brevini, La poesia in dialetto, cit., p. 477.

16 La richiesta di maggiore chiarezza appare anche in uno dei modelli indicati per la farsa astigiana: Le savetier, le moine et la femme, che si legge nel Recueil de farces (1450-1550), textes annotés et commentés par André Tissier, Genève, Droz, 1995, vol. IX, farce XLIV, vv. 31-40: «LE SAVETIER Per Deum, nescio vere. / Je n’entens point latinatis, Si ce n’est ita veniatis, / Bona dies monachorum; / Pourtant que Beati quorum / Vault m[i]eulx que Bona journus». Altre occorrenze di battute in latino inserite entro un dialogo in dialetto si trovano nella Farsa de Perô e Cheirina: nella lite che oppone i due consorti, le richieste di chiarimento quanto alla situazione, le battute di carattere giuridico sono espresse in latino, ad esempio in quelle del Procuratore: «Ma vobis, / ne causa vadat a Grenobis, / conforto quod vos capiat» (vv. 229-331); o in quelle Giudice, ad esempio in: «Sunt duo jugales, ne?» (v. 335). Tranne poche eccezioni come queste, in cui il latino enfatizza il litigio tra i personaggi, vale quanto osserva M. Chiesa, La questione delle lingue, cit., p. 980: «non sembra esserci tensione fra queste lingue, ma pacifica convivenza fondata sulla separazione dei campi e delle funzioni».

17 Mario Chiesa, ivi, p. 476, ricorda un caso specifico di espressione in fiorentino vernacolare usato con intenti parodici nella Farsa de Nicolao Spranga, vv. 83-85.

18 Ricordano la compresenza di due varietà di dialetto piemontese E. Bottasso, Introduzione, cit., p. LXIII; Claudio Giacomino, La lingua dell’Alione, «Archivio glottologico italiano», 15 (1900-1901), pp. 403-448; Alfredo Stussi, Lingua, dialetto e letteratura, Torino, Einaudi, 1993, pp. 28-29.

19 M. Chiesa, La questione delle lingue, cit., pp. 676-677; F. Brevini, La poesia in dialetto, cit., pp. 478-479. Sul gusto per l’osceno, di ascendenza anche macaronica, si vedano inoltre Cesare Segre, Polemica linguistica e espressionismo dialettale nella letteratura italiana, in Id., Lingua, stile e società. Studi sulla storia della prosa italiana, Milano, Feltrinelli, 1963, p. 397; Ivano Paccagnella, Le macaronee padovane. Testi e lingua, Padova, Antenore, 1979, pp. 86-89.

20 Altre brevi espressioni latine si leggono, in questa farsa, nel saluto del Prete a Biatrix: «Bonum vesper, dôlza cômmare» (v. 213) e nella didascalia: «Prete ad quendam nencium:» (v. 213).

21 G. Folena, Le lingue della commedia, cit., p. 130: «Anche qui, nelle forme e nei modi dialogici e anche metrici della farsa francese (quel dialogo in novenari baciati che ripetono l’octosyllabe francese, col couplet di rime sempre diviso tra una battuta all’altra [...]) si sviluppa un plurilinguismo reale»; G. Padoan, L’avventura della commedia rinascimentale, cit., p. 4: «l’Alione (morto nel 1521) rappresenta un singolare documento nella storia dei dialetti piemontesi e dell’influsso francese in Piemonte, non v’è dubbio che la sua produzione molto debba alla tradizione della farsa francese d’Oltralpe». Tuttavia, E. Bottasso, Introduzione, cit., p. XVII, avverte del rischio di leggere la produzione alionesca con occhio esclusivamente filofrancese (anche se dedica poi gran parte dell’Introduzione alle fonti francesi). Metteva in evidenza i debiti nei confronti della cultura francese già Ferdinando Gabotto, Francesismo e antifrancesismo in due poeti del ’400, Modena, 1888, seguito da B. Cotronei, Le farse astigiane, cit., pp. 37-87 (e si veda anche S. Ferrone, Il teatro, cit., p. 980). Sulla cultura francese dell’Alione, cfr. almeno Gianni Mombello, Les poèmes en français, en astesan et en flamand de Giovan Giorgio Alione, in Catherine Bel, Pascale Dumont e Frank Willaert (a cura di), «Contez me tout». Mélanges de langue et littérature médiévales oerts à Herman Braet, Louvain-Paris-Dudley, Peters, 2006, pp. 601-624.

22 Sulla Comedia de l’omo si vedano almeno G. Folena, Il linguaggio del caos, cit., p. 129-132; S. Ferrone, Il teatro, cit., p. 980. La fonte francese della farsa è stata identificata da B. Cotronei, Le farse astigiane, cit., pp. 39-45 (e vedi poi E. Bottasso, Introduzione, cit., p. XIX).

23 Le fonti francesi della Farsa del Lanternero sono identificate da B. Cotronei, Le farse astigiane, cit., pp. 60-66 (vedi anche E. Bottasso, Introduzione, cit., pp. LX-LXIII). Ora si leggono nell’edizione a cura di A. Tissier, cit., rispettivamente n. XLV, vol. IV, 1989, e n. XXI, vol. IX, 1995.

24 Sui punti di contatto tra la farsa dell’Alione e quelle francesi si veda B. Cotronei, Le farse astigiane, cit., pp. 45-55. Le fonti francesi sono rispettivamente in Recueil de farses (1450-1550), cit., tomo XI, n. LVIII, 1997, pp. 185-234, e tomo IX, n. XLIV, 1995, pp. 127-194. Sulla figura di Zôhan, si veda la nota introduttiva alla farsa Le pauvre Jouhan, in Recueil de farses (1450-1550), cit., tomo X, n. LII, 1996, pp. 232-233.

25 Sul tema, si veda Georges Ulysse, La violenza nelle farse del primo Cinquecento. Digressione testuale e forme ideologiche, in Maria Chiabò e Federico Doglio (a cura di), Il teatro comico fra Medioevo e Rinascimento, cit., pp. 181-210.

26 Si veda Le Poulier, cit., vv. 229-259 per l’insieme delle ripetizioni (cit. vv. 223-226). Una analoga ripetizione assurda è gia` nell’importante farsa francese Maître Pathelin, in A. Tissier, Recueil de farses (1450-1550), cit., tomo VII, n. XXXVIII, 1993. L’astuto personaggio Pathelin consiglia al semplice Bergier di fingere di non aver mai incontrato Drappier (vv. 1166-1174). L’inganno viene svelato quando Bergier tenta di evitare a sua volta il pagamento dell’avvocato, usando lo stesso stratagemma (vv. 1383-1595).

27 Lo ricorda, ad esempio, A. Tissier nell’Introduzione alla Farce du savetier, cit., pp. 137-138.

28 Cfr. S. Ferrone, Il teatro, cit., p. 980, per l’identificazione della fonte. Nella farsa dell’Alione, alla promessa del vestito, l’amante francese esclama: «Vecy my chayne: tenez-là / en gaige pour vostre sceurté».

29 B. Cotronei, Le farse astigiane, cit., pp. 76-77; E. Bottasso, Introduzione, cit.,p. LXIII.

30 Sullo schema, si veda C. Segre, Funzioni, opposizioni e simmetrie nella giornata VII del Decameron, in Id., Strutture e tempo. Narrazioni, poesia, modelli, Torino, Einaudi, 1974, pp. 117-143.

31 Verisimilmente uno ‘strumento usato per la filatura’, ‘conocchia’ (V. Sant’Albino, Gran dizionario piemontese-italiano, cit., p. 986).

32 Sul tema, e la sua ascrizione al registro comico, si veda Massimo Danzi, L’ ‘‘invito a cena’’ tra Medioevo e Rinascimento, in Alberto Roncaccia (a cura di), «Pigliare la golpe e il lione». Studi rinascimentali in onore di Jean-Jacques Marchand, Roma, Salerno, 2008, pp. 333-346. Per la novella di Andreuccio da Perugia (Dec. II, 5), ancora Danzi, cit., p. 336.

33 Cfr. C. Segre, Funzioni, opposizioni e simmetrie, cit., pp. 127 e 132.

34 Nella Farsa de Zohan zavatino manca tuttavia l’astuta conclusione grazie alla quale il marito non scopre la beffa. Nella Farsa del braco e del milaneiso, invece, non è svelato l’inganno fatto a Bias: la comare Minetta fa credere al marito che il soldato milanese (amante della Dona) sia un prete, analogamente a quanto accade nel Boccaccio, Decameron: VII, 5, 6, 8 e VIII, 2.

35 Oltre alle fonti che qui propongo, E. Bottasso identifica un modelo possibile della Farsa di Zôhan zavatino in Decam. VII 6.

36 In particolare, sulla rappresentazione di cene nella letteratura macaronica con funzione di «parodia delle cerimonie accademiche», I. Paccagnella, Le macaronee padovane, cit., p. 28 e pp. 75-76, e, più recentemente, Id., «Et quid non faceret propter saciare la gulam?». Terminologia gastronomica tra fame macaronica e vita sobria, in Cecilia Robustelli e Giovanna Frosini (a cura di), Storia della lingua e storia della cucina. Parola e cibo: due linguaggi per la storia della società italiana, Atti del VI Convegno ASLI Associazione per la storia della lingua italiana (Modena, 20-22 settembre 2007), Firenze, Cesati, 2009, pp. 175-190. Nel teatro umanistico, un esempio significativo offre la Chrysis di Enea Silvio Piccolomini, sc. VII, vv. 357-372 con la descrizione di piatti preparati dal cuoco Artrace, in Vito Pandolfi e Ermina Artese (a cura di), Teatro goliardico dell’Umanesimo, introd. di V. Pandolfi, Milano, Lerici, 1965, pp. 360-363. Su questa cena, si veda Paolo Viti, La cena del ‘‘Chrysis’’, in Id., Immagini e immaginazione della realtà. Ricerche sulla commedia umanistica, Firenze, Le Lettere, 1999, pp. 145-147. Ulteriori esempi nelle Lamentele della moglie di Cavichiolo o nella Repetitio Zanini, rispettivamente in V. Pandolfi e E. Artese (a cura di), Teatro goliardico dell’Umanesimo, cit., pp. 34-37 e pp. 287-310. Nella letteratura quattro e cinquecentesca, l’attenzione al cibo è molto viva: ricordo qui solo il Morgante del Pulci (XVIII, 122-135 e XIX, 57-65) e il Folengo. Nelle farse alionesche, l’esempio più significativo (coniugato con doppio senso osceno) si legge nella Farsa del Lanternero: Catô e Teodora chiamano un lanternaio affinché questi aggiusti la loro ‘lanterna’ e la loro ‘pentola’.

37 Sono rispettivamente una sorta di tagliatelle, una sorta di pasta e una salsa agliata (cfr. il glossario dell’edizione E. Bottasso, pp. 295, 284 e 302). M. Chiesa, Schede per l’Alione, «Studi Piemontesi», 11, 1 (1982), p. 132, ricorda, a proposito di «nôset», il riferimento al paese di Bengodi.

38 Tale attenzione nelle descrizioni alimentari è documentata fin dalla Macaronea di Tifi Odasi, su cui si veda Massimo Zaggia, Prove per un commento alla Macaronea di Tifi Odasi, «Rivista di Letteratura Italiana», VII (1989), pp. 416-421. Anche il Baldus del mantovano Teofilo Folengo (1491-1544), edito nel 1517, a pochi anni dalla pubblicazione dell’Opera jocunda alionesca, mostra un’attenzione analoga nel catalogo di termini legati all’alimentazione: fin dai primi libri, nella cena preparata dello chef Gambo (I, 463-481) o in quella, notevolmente più umile, di Berto e dei suoi compagni (II, 295-303). Sul legame tra il genere della farsa e il tema alimentare insiste Michel Jeanneret, Des mots et des mets, Paris, Librairie José Corti, 1987, p. 124 (specificamente nel Baldus, alle pp. 201-207), mentre per il tema alimentare in ambito macaronico, cfr. Luigi Messedaglia, Leggendo le «Maccheronee». Spunti ed appunti di storia dell’alimentazione e del costume, in Id., Vita e costume della Rinascenza in Merlin Cocai, Padova, Antenore, 1974, pp. 109-145.

39 Elencchi di cibo nella Farsa del franzoso, ai vv. 110-116 (preparativi dell’Oste annunciati al cameriere Janino): «Hospes Janino, inasta quel cappon / e quella spala de monton / per bonsegnôr e soi cômpagn! / Franzos Et quel potaige? Hospes D’i lasagn / o d’una zuppa a la frangiosa. / Franzos Bien dit: boutez-y l’eaue rose / du cinamome et du saran». E ancora nelle battute del Francese, ai vv. 215-229: «Franzos Oui, portez de la viande: / je n’ay loisir de cacqueter. / Hospes Mala cossa semper troter, / maxime quando se va in posta. / Franzos Tenez pour vous vostre composte! Où est ce chappon, que j’en mange? / ça du verjuz et de l’orange, / du sucre et des espices fortes. / HOSPES Maravegle s’ tu posso forte, / paga da vin! Tanto çurlare / e, se non basta, de pissare! / Va, pissa, caga, mangia e s-ciata. / Franzos Janin, dy-lui, va, qu’il achate / des haneghets et des perdriz / pour le soupper». Sull’importanza della burla in ambito macaronico, si vedano inoltre I. Paccagnella, Le macaronee padovane, cit., p. 54; Mirko Tavoni, Storia della lingua italiana, Bologna, il Mulino, 1992, p. 262 (con particolare attenzione alla Macaronea di Tifi Odasi).

40 G. G. Alione, Macarronea, cit. pp. 53-54 (per la traduzione cito da M. Tavoni, Storia della lingua italiana, cit., p. 288-290). Sulla specificità del lessico: M. Chiesa, Schede per l’Alione, cit., p. 132; E. Bottasso, Le farse carnavalesche, cit., pp. 149-150.

41 Incerta la traduzione del verso, che richiama al sommo piacere procurato dal pasto: «lecà de rost», dal verbo «Lechè», «Berlichè» ‘leccare’, ‘leccarsi le dita di alcun cibo di alcun’altra cosa’ (cfr. V. Sant’Albino (a cura di), Gran dizionario piemontese-italiano, cit., p. 241). Probabile un doppio senso sessuale (non infrequente nell’Alione) con allusione al marito ‘cornificato’ (cfr. il glossario di E. Bottasso, p. 296).