Revue Italique

Varia

OJ-italique-798

La diligenza della memoria: note a margine di alcune correzioni tassiane (Chigiano L. VIII. 302)

Valeria Di Iasio

Avere a disposizione le edizioni critiche del manoscritto Chigiano L. VIII. 302 (C) e delle Rime d’amore uscite a Mantova per i tipi di Osanna nel 1591 significa poter ampliare di molto le nostre conoscenze sull’evoluzione della struttura e del testo della lirica tassiana.1 In particolare le Rime d’amore permettono di studiare non solo l’assetto finale a cui Tasso giunge, ma anche il processo di cui tale assetto è frutto, sia grazie all’autocommento, per mezzo del quale è il poeta stesso a proporre l’interpretazione ideale delle scelte che opera, sia grazie alla leggibilità ad oggi raggiunta della loro stratificazione testuale.2 Ciononostante il canzoniere Chigiano rimane comunque un punto di osservazione privilegiato sulle vicende della lirica tassiana: la sua natura ‘mediana’ permette infatti di ragionare sullo scarto che si produce tra le Rime eteree e il manoscritto e, in prospettiva, tra questo e l’Osanna sia sul piano dell’organizzazione macrotestuale con la messa a punto e, al contempo, il superamento dell’opzione ‘canzoniere’ sia su quello della revisione formale del testo lirico. In questo senso la ‘fermentazione’ di questi fattori all’interno della raccolta rappresenta una sorta di ‘resa dei conti’ che Tasso si trova a fare, nel mettere sistematicamente mano alla sua produzione lirica, tanto con i modelli della tradizione quanto, e forse soprattutto, con la sua stessa poesia.

L’ampia campata temporale che sta tra le Eteree (1567) e il Chigiano (databile fra il 1583 e il 1585) copre giocoforza anche l’esperienza della stesura e della revisione della Liberata e, conseguentemente, della g stione di tutti quegli aspetti teorici e pratici relativi alla presenza del tema amoroso e, dunque, di un discreto contingente di elementi stilistici di matrice lirica nella narrazione epica. Diventa così inevitabile pensare che anche quanto proposto, sperimentato e corretto nella Liberata rappresenti un polo cui Tasso guarda anche nel momento in cui il cantiere lirico guadagna decisamente terreno su quello epico.3 Se si volesse trovare qualche altra legittimazione alla lettura parallela delle rime e del poema si potrebbe pensare, del resto, non solo ai primi versi del sonetto che apre il Chigiano:

Vere fur queste gioie e questi ardori
Ond’io piansi e cantai con vario carme
Che potea agguagliare il suon de l’arme
E de gli Heroi le glorie e i casti amori,

dove l’allusione all’epica dichiara in modo piuttosto diretto la nuova posizione che la poesia lirica assume nel programma tassiano, ma anche, almeno a titolo di curiosità, al vero e proprio lapsus che riguarda il commento del sonetto xviii dove il poeta finisce per rinviare involontariamente ad un suo verso epico in luogo di un verso lirico di Trissino che ci autorizza definitivamente a considerare il testo della Liberata come un termine di confronto non aggirabile.4

Lo scopo di questo studio è dunque quello di indagare se e in che modo le rime, nel loro passaggio dalle Eteree al Chigiano e poi all’Osanna, intersecano i territori ‘lirici’ della Gerusalemme liberata.5 Un buon punto da cui partire è rappresentato dai quei casi in cui l’interferenza tra i due sistemi è sia tematica che formale. Tra questi, uno dei più conosciuti è certamente quello del topos dello specchio, che fa la sua prima apparizione nei sonetti eterei 8 e 9, destinati a diventare xxv e xxvi nel Chigiano e xxxiv e xxxv nell’Osanna.6 Le parentele con il suo riadattamento narrativo (Lib. xvi, 20-23) sono evidenti, sia per la sovrapponibilità del lessico e delle parole rima basta pensare all’identità delle parole rima del sonetto 9 (vv. 3-4 e 6-7) e dell’ottava 22 (vago: pago: imago) che della struttura topica, soprattutto per la somiglianza delle coordinate psicologiche entro cui si muovo i due attori della scena, ovvero il narcisismo della donna-Armida da un lato e la contemplativa sottomissione dell’amante-Rinaldo dall’altro:7

Lib. xvi, 20-22Et. 8
Dal fianco de l’amante (estranio arnese) Ai servigi d’Amor ministro eletto,
un cristallo pendea lucido e netto.   Lucido specchio anzi ’l mio sol reggea,
Sorse, e quel fra le mani a lui sospese   E specchio intanto a le mie luci i’ fea
a i misteri d’Amor ministro eletto.   D’altro più chiaro e più gradito oggetto.4
Con luci ella ridenti, ei con accese, Ella al candido viso et al bel petto,
mirano in vari oggetti un solo oggetto:    Vaga di sua beltà, gli occhi volgea.
ella del vetro a sé fa specchio, ed egli    E le dolci arme onde di morte è rea,
gli occhi di lei sereni a sé fa spegli.   Affinar contra me prendea diletto.8
L’uno di servitù, l’altra d’imperoPoi, come terse fiammeggiar le vide
si gloria, ella in se stessa ed egli in lei.   Ver me ratta girolle, e dal bel ciglio
– Volgi, – dicea – deh volgi – il cavaliero   M’ aventò al cor più d’un pungente strale.11
– a me quegli occhi onde beata bèi, Lasso, ch’ io non previdi il mio periglio.
ché son, se tu no ’l sai, ritratto vero    Hor, se Madonna a’ suoi ministri è tale,
de le bellezze tue gli incendi miei;    Quai fian le piaghe onde i rubelli ancide?14
la forma lor, la meraviglia a pieno
più che il cristallo tuo mostra il mio seno.
Deh! poi che sdegni me, com’egli è vago Et. 9
mirar tu almen potessi il proprio volto; Chiaro cristallo a la mia donna offersi
ché il guardo il tuo, ch’ altrove non è pago, Sì ch’ entro vide la sua bella imago
gioirebbe felice in sé rivolto.Qual a punto il pensier formarla è vago
Non può specchio ritrar sì dolce imago, E qual procuro di ritrarla in versi.4
né in picciol vetro è un paradiso accolto: Ella da’ pregi suoi tanti e diversi
specchio t’è degno il cielo, e ne le stelle Non torcea ’l guardo di tal vista pago,
puoi riguardar le tue sembianze belle. –Gli occhi mirando, e ’l dolce avorio e vago
Del seno, e i capei d’ or lucidi e tersi.8
E parea fra sé dir: - Ben veggio aperta
’alta mia gloria, e di che duri strali
Questa bellezza mia l’alme saette-.11
Così pur, ciò ch’un gioco anzi credette,
Mirando l’armi sue, si fe’ poi certa
Quai piaghe habbia il mio core aspre e mortali.14

Dal punto di vista della storia del testo la riscrittura del v. 1 del testo 8 («Ai servigi d’Amor ministro eletto»), che diventa, nel Chigiano xxv «A’ servigi d’Amor da gioco eletto», ha certamente la funzione di rafforzare il legame lessicale con il sonetto successivo (xxvi, v. 12: «Così, ben che ’l credesse in prima un gioco») e, quindi, di consolidare la coesione della coppia, ma porta soprattutto in primo piano l’esigenza di rompere una continuità tanto forte da mettere a rischio, forse, l’autonomia del testo lirico rispetto alla formula depositatasi nel testo epico. Qualsiasi fossero, tuttavia, le vere ragioni di Tasso, il tempo intercorso tra la stesura del manoscritto e la messa a punto della stampa deve averle mutate, dal momento che all’altezza dell’Osanna il poeta ripristina la versione eterea.8

Anche quello della lontananza costituisce, all’interno dei libri tassiani, un nucleo tematico ricorsivo, dotato generalmente, ancor di più di quello dello specchio, di un certo peso diegetico e strutturale. Esemplare a tal proposito la serie chigiana, fortemente coesa, dei testi xxxvi-xl.9 In questo caso è la canzone xl, momento «più denso e alto del passaggio narrativo di marca elegiaca della prima parte del canzoniere», a presentare l’apparato correttorio più sviluppato ed interessante.10 Valgano come esempio i due versi conclusivi (59-60: «Dille che l’amor mio sempre s’avanza, / Nudrito di memoria e di speranza»), la cui correzione (v. 60: Nudrito...speranza] >Più nutrito di duol che di speranza <(Più ... duol] >Nutrito del mio duol <), oltre a rafforzare la presenza di memorie petrarchesche già segnalate dalla critica (Rvf 331, 6 «di memoria et di speme il cor pascendo», e 9-11: «che privo m’à di sì dolce speranza. / Sol memoria m’avanza / et pasco ’l gran desir sol di quest’una») e del tutto coerenti con il preesistente tessuto topico, anch’esso di chiara matrice petrarchesca 11 chiama in causa un altro polo di attrazione rappresentato dai vv. 1-4 dell’ottava 60 del canto vi:

Ama ed arde la misera, e sì poco
in tale stato che sperar le avanza
che nudrisce nel sen l’occulto foco
di memoria via più che di speranza;

che diventano così l’obbligato termine medio tra la canzone tassiana e quella petrarchesca. Il dialogo tra i due passaggi si gioca, poi, anche sul piano della consonanza tra i tratti di Erminia e dell’amante della canzone, che risulta assai chiara pensando non solo al v. 5 («In tenebre vivendo oscure e sole»), anch’esso coinvolto in una correzione (vivendo] >rimaso<) che rafforza il già presente ricordo dei 3-4 dell’ottava 83 del canto xix («Torbide notti e tenebrosi giorni, / misera, vivo in libertate amara»), ma anche alla logica tutta patetica della stanza quarta (vv. 34-44), almeno parzialmente mutuata dall’ottava 21 del canto vii:

Né pur due lacrimette ancor da’ lumi, Forse averrà, se ’l Ciel benigno ascolta
Crudel, vi trassi e se al partir mostraste affettuoso alcun prego mortale,
Doglia o pietà ne gli atti umani e casti, che venga in queste selve anco tal volta
Questa è fera cagion ch’ io mi consumi quegli a cui di me forse or nulla cale;
E mi distempri in lagrimosi fiumi.e rivolgendo gli occhi ove sepolta
Forse talhor fra voi di me pensando giacerà questa spoglia inferma e frale,
Dite: - Ei si strugge amando,tardo premio conceda a i miei martìri
Ma non fia ch’ ei mi piaccia o tanto o quanto di poche lagrimette e di sospiri;
Per amore o per pianto;
E vana speme l’error suo lusinga,
Qual d’huom che l’ombre in sogno abbracci e stringa-.

e dalla tangenza tra i vv. 52 e 53 della canzone e i v. 7-8 dell’ottava 81 del canto xii:12

[...][...] Poi disse: – Oh viso che puoi far la morte
Per voi dolce stimando ogni mia sortedolce, ma raddolcir non puoi mia sorte!
E dolce anchor la morte,
[...]

La ricorrenza di luoghi topici e il loro travaso, anche formale, da un testo all’altro è dovuta, almeno in parte, alla declinazione ‘narrativa’ che Tasso riesce ad applicare loro. Se nel poema questo significa introdurre soluzioni evidentemente compromesse con i modi del genere lirico nelle strutture epiche e per le implicazioni che questo comporta sarà sufficiente un rimando, anche generico, alle Lettere poetiche – nel libro di rime significa invece innestare sezioni che interagiscono con la struttura macrotestuale del libro stesso.

Nelle raccolte di rime e, si intende, non solo quella tassiana l’istanza narrativa rimane però secondaria, mentre trova sempre maggiore spazio l’articolazione di temi squisitamente occasionali. Anche il Chigiano, nonostante conservi la traccia di una diegesi interna,13 non sfugge a questa logica. In questi casi la sovrapponibilità tematica e quella formale si scollano e i contatti tra il testo epico e i testi lirici si assestano sul piano della condivisione di quello che diventa un sistema formale comune. Valgono come esempio alcune correzioni applicate al testo cvii, che compone, assieme a quello che lo precede, una coppia dedicata al tema del carnevale. In questo caso la revisione dei vv. 7 (Questa è colei che l’alme alletta e] Quest’è colei che con dolci atti) e 8 (E ’ntenerisce ogni più duro] Mill’alme, et apre ogni più chiuso) convoglia all’interno del sonetto elementi tipici della zona linguistica di Armida, tratti per il v. 7 dai canti v (1, 1: «Mentre in tal guisa i cavalieri alletta») e xvii (33, 7-8 «che vigor dàlle, e cruda ed acerbetta / par che minacci e minacciando alletta») e, per il verso 8, dal canto xv (59, 1-2: «Mosser le natatrici ignude e belle / de’ duo guerrieri alquanto i duri petti»).14 Già il contesto di partenza presentava, non a caso, qualche contatto con altri passaggi dedicati alla descrizione della maga. Parlano chiaro, in tal senso, la clausola del v. 1 di cvii («Chi è costei ch’in sì mentito aspetto»), che dialoga apertamente con Lib. iv 85, 7 («e celò sotto sì mentito aspetto») e l’aggettivazione del v. 10 («Volga la vista insidiosa e ’l suono»), molto simile a quella del già citato passo di Lib. v 1, 1-2 («Mentre in tal guisa i cavalieri alletta / ne l’amor suo l’insidiosa Armida»). Una rete così fitta di contatti produce inevitabilmente una più ampia coincidenza tra la struttura topica dei luoghi di provenienza e di arrivo. È così, allora, che anche la somma matematica dei dati lessicali, che a prima vista potrebbe destare qualche diffidenza, diventa significativa perché permette molto spesso di individuare veri e propri pattern espressivi che, ricorrendo in modo indipendente rispetto al tema e al genere cui risultano di volta in volta applicati, rimangono ampiamente disponibili all’uso. Poco importa, poi, se quanto stabilito ad una certa altezza non viene successivamente confermato, come succede, ad esempio, nel caso appena visto. È proprio questa instabilità, anzi, a dire molto sulla prassi tassiana, qualsiasi sia la direzione che essa prende sia all’interno di una stessa fase di lavoro che a distanza di tempo. Tutto ciò è ben rappresentato da quanto succede in alcuni sonetti che fanno parte di una piccola serie (xxix-xxxii) dedicata al tema del ballo, già presente in nuce nelle Eteree con i testi 14 (xxx) e 7 (xxxii) e destinata ad essere fortemente diluita nell’Osanna (che conserva solo i testi xxxviii e xli, rispettivamente xxxi e xxxii nel Chigiano).15 Molte delle correzioni presenti nel manoscritto segnano l’evidente recupero di forme già praticate nel poema. La riscrittura di xxxi 1 (percote e] sì leve) e 6 (Ignuda e bella e] Biancheggiar nuda) rafforza, ad esempio, la sovrapposizione topica tra i campi semantici dell’amore e della guerra secondo modi simili a quelli già sperimentati nella Liberata; questo succede, come già visto, soprattutto per mezzo di alcuni recuperi lessicali, come l’introduzione del verbo «percote» e della dittologia «ignuda e bella», grazie ai quali il ricordo delle ottave 24 e 25 del canto iii diventa più forte:16

XXXILib. III, 24
   
Questa è pur quella che percote e fiede Percosso, il cavalier non ripercote,
Con dolce colpo, che n’ancide e piace, [...]
Man ne’ furti d’amor dotta e rapace, Fra sé dicea: «Van le percosse vote
E fa del nostro cor soavi prede.talor, che la sua destra armata stende;
Del leggiadretto guanto homai si vede ma colpo mai del bello ignudo volto
Ignuda e bella e, se non è fallace, non cade in fallo, e sempre il cor m’è colto».
S’offre inerme a la mia, quasi di pace
Pegno gentile, e di secura fede.25
[...]
Vuol ch’ella sappia ch’un prigion suo fère
già inerme, e supplichevole e tremante;
[...]

Anche in questo caso le modifiche apportate all’altezza del Chigiano si inseriscono in un contesto in cui sono già presenti alcuni contatti con un nucleo lirico-amoroso del poema. Se nel caso del sonetto cvii abbiamo rinvenuto l’influenza di quello relativo al personaggio di Armida, in questo emerge invece il ricordo di Tancredi e Clorinda, come dimostra, oltre quanto già visto, anche la consonanza tra i vv. 7-8 e alcuni passaggi del canto xii:

xxxi, 7-8Lib. xii 69, 5-8
[...]
S’offre inerme a la mia, quasi di pace e la man nuda e fredda alzando verso
Pegno gentile, e di secura fede.il cavaliero in vece di parole
gli dà pegno di pace. In questa forma
passa la bella donna, e par che dorma.
82, 1-2
Oh bella destra che ’l soave pegno
d’amicizia e di pace a me porgesti!

Tutt’altra strada prende invece la revisione del v. 8 del sonetto xxxii:

Et.C
Ove tra care danze in bel soggiorno Ove tra cari balli in loco adorno
   Si trahean le notturne e placid’hore,    Si trahean le notturne e placide hore,
   Face, che nel suo foco accese Amore,   Face, che nel suo foco accese Amore,
   Lieto n’apriva a meza notte il giorno;    Lieto n’apriva a mezza notte il giorno,
E da candide man vibrata intorno E da candide man vibrata intorno
   Spargea faville di sì puro ardore,   Spargea faville di sì puro ardore
   Che rendea vago d’arder seco il core,   Che pareva recar gioia et onore
   E scherzar, qual farfalla, al raggio adorno;   A pochi eletti, a gli altri invidia e scorno,

dove l’intervento correttorio non solo elimina il ricordo petrarchesco (Rvf 141, 1-5: «Come talora al caldo tempo sòle / semplicetta farfalla al lume avezza / volar negli occhi altrui per sua vaghezza, / onde aven ch’ ella more, altri si dole: / cosí sempre io corro al fatal mio sole») ma scarta anche l’articolato riuso che era stato fatto del luogo giovanile nell’ottava 34 del canto iv della Liberata:

Come al lume farfalla, ei si rivolse
a lo splendor de la beltà divina,
e rimirar da presso i lumi volse
che dolcemente atto modesto inchina;4
e ne trasse gran fiamma e la raccolse
come da fuoco suole esca vicina,
e disse verso lei, ch’audace e baldo
il fea de gli anni e de l’amore il caldo:8

Quello che succede qui, oltre a dimostrare quanto sarebbe difficile ed erroneo cercare, nelle correzioni tassiane, una direzione univoca, ricorda molto da vicino quanto già osservato a proposito del passaggio dalla redazione eterea del sonetto 8 a quella chigiana del xxv ad eccezione del fatto che, per quanto concerne il sonetto xxxii, il superamento dell’opzione giovanile ed epica è confermato nell’Osanna e permette quindi di ipotizzare, forse, una costante, se è vero che in entrambi i casi ad una certa sicurezza nel conservare o nel consolidare la presenza di un pattern di elementi comuni al testo lirico e al testo epico corrisponde, di fatto, una maggiore indecisione nel mantenere quei contatti che, essendo più espliciti, provocano o provocherebbero un allineamento automatico tra le tre stagioni compositive in cui essi compaiono.

Dinamiche simili a quelle che si osservano nei sonetti o che scaturiscono talvolta dalla loro seriazione si osservano molto spesso anche nelle canzoni, che per il loro respiro più ampio dilatano e addensano quanto può avvenire nella gestione di un testo breve. Esemplare, a tal proposito, il caso della canzone cxxii. Molte tra le sue numerose correzioni influiscono pesantemente sulla veste stilistica del testo, che ne esce mutata soprattutto sul versante della regolarizzazione, con la decurtazione delle inarcature e il conseguente incremento delle strutture simmetriche. All’interno di questo minuzioso lavoro non sono pochi i casi di riutilizzo di sintagmi già variamente presenti in altri testi tassiani. Vanno in questo senso, ad esempio, la revisione del v. 8 (L’arene... veloci] conviensi altro instrumento a sì feroci), che ricalca la dittologia di Lib. vi 39, 3 («l’un come l’altro rapido e veloce»); quella del v. 14 (dolce...amici] Silentio e co ’l sonno in compagnia) che recupera quanto già in uso sia in Lib. xvi 27, 1 («Ma quando l’ombra co i silenzi amici») che in vi 103, 8 («fea i muti campi e quel silenzio amico»); e quella del v. 56 (E spesso ad Orion, ch’ingombro e] O quante volte ad Orion che) che riprende addirittura una clausola del primo Tasso epico (Rin. xii 33, 6: «di crespe rughe il volto ingombro e carco»). In questo caso i recuperi interni al repertorio d’autore, applicati in modo organico al testo, si allineano al processo di regolarizzazione formale e sintattica cui Tasso lavora nell’allestimento del canzoniere manoscritto, tanto che la memoria lessicale e sintagmatica che fuoriesce dalla sua dimensione di partenza non solo si adatta alle richieste del testo di arrivo ma rappresenta, nei loro confronti, una vera e propria soluzione.17 Oltre a ciò anche in questo testo si osserva l’ormai consueto processo di sincronizzazione intertestuale tra sfera tematica e sistemazione formale. Ne è esempio la revisione del v. 63 (Apollo...grave] Non soffrì Apollo e l’oltraggioso), dove la sostituzione dell’aggettivo coincide nuovamente con una più ampia interferenza tra la zona da cui il sintagma viene prelevato (Lib. xi 28, 1: «A costei la faretra e ’l grave incarco») e il contenuto della canzone stessa, dove si intrecciano l’ambientazione notturna delle prime stanze con la scena di morte dei vv. 64-77:

Anzi seguì la traccia
Del folle amante, [e] fe’ del suo disdegno
Ministra la tua man e ’l curvo legno.
Ben ti dee rimembrar che poi scorgesti
Il sanguinoso corpo in riva al Mare
Che del tuo stral piagata havea la fronte,
Talché dolente sovra lui spargesti,
Lavando il sangue con le stille amare,
Da l’egre luci un doloroso fonte
Dicendo: - Ah man, voi pronte
A l’altrui morte, vita a me toglieste,
Chè non si può chiamare
Vita la mia: già fortunata vissi,
Poi da me l’alma al tuo partir fuggissi. –

che evoca chiaramente, fondendoli, i lamenti di Tancredi ed Erminia:

Lib. XII, 75, 5-8:Lib. XIX, 104-105:
   
Ahi! man timida e lenta, or ché non osi, A riguardar sovra il guerrier feroce
tu che sai tutte del ferir le vie,la male aventurosa era fermata,
tu, ministra di morte empia ed infame,quando dal suon de la dolente voce
di questa vita rea troncar lo stame?per lo mezzo del cor fu saettata.
Al nome di Tancredi ella veloce
accorse in guisa d’ebra e forsennata.
Vista la faccia scolorita e bella,
non scese no, precipitò di sella;
   
e in lui versò d’inessicabil vena
lacrime e voce di sospiri mista:
– In che misero punto or qui mi mena
fortuna? a che veduta amara e trista?
[...]
109, 3-4:
[...]
Così parla gemendo, e si disface
quasi per gli occhi, e par conversa in rio.
[...]

Quanto visto sino ad ora non è certamente sufficiente per trarre un bilancio generale sul metodo tassiano ma permette di osservarne uno spaccato l’uso ricorrente di nuclei tematici e di sistemi lessicali e stilistici e di discuterne alcuni aspetti specifici. Tra questi, oltre a quello della complessiva revisione formale dei testi e della costruzione del libro di rime, per cui valgono i rimandi agli studi già sopra citati, c’è anche quello del confronto che si apre tra il poeta e la costellazione di opzioni possibili indagate, qui, a partire dalla disponibilità ‘lirica’ di alcuni luoghi epici che gli si parano davanti nel momento in cui intende dare una forma definitiva ai propri testi. Tale inevitabile confronto si traduce, sul piano pratico, nel gioco continuo di avanzamento, recupero e riscrittura che contraddistingue lo scrittoio tassiano e che incoraggia, per quanto concerne le rime, ad ampliare l’indagine al polo estremo e stabile rappresentato dalla stampa Osanna del 1591. Lo studio sistematico delle Rime d’amore rappresenterebbe dunque un obiettivo importante non solo perché il commento critico moderno dei testi porterebbe ad una descrizione organica del loro rapporto con la tradizione ma anche perché una conoscenza più approfondita del libro permetterebbe di discuterne in modo più preciso la collocazione e il ruolo all’interno della storia delle forme tardo-cinquecentesche e primosecentesche del libro di rime.

È noto a tutti che, su questo piano, il canzoniere Chigiano non solo non presenta alcuna di queste potenzialità ma risulta anzi doverosamente assorbito nell’orbita dell’Osanna. Ciò non toglie, tuttavia, che guardare alla lirica tassiana dalla specola singolare che il manoscritto rappresenta permette comunque di scrutare il libro di rime proprio nel suo farsi e di cogliere quindi, almeno a tratti, quel movimento vivo e libero che il poeta compie incessantemente su e tra le sue carte.

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1 Torquato Tasso, Rime d’amore secondo il codice Chigiano L viii 302, a cura di Franco Gavazzeni e Vercingetorige Martignone, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2004 e T. Tasso, Rime d’amore con l’esposizione dello stesso Autore (secondo la stampa di Mantova, Osanna, 1591), a cura di Vania De Maldé, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2016.

2 Molto su entrambi i fronti è già stato detto; per quanto concerne l’organizzazione macrotestuale dei libri tassiani, di cui non si parlerà nel presente studio, si rimanda a Vercingetorige Martignone, La struttura narrativa del codice Chigiano delle Rime tassiane, in «Studi tassiani», 38 (1990), pp. 71-128; Id., Varianti d’autore tassiane: un sondaggio sulle “Rime amorose”, «Italianistica», 24 (1995), pp. 427-35; Id., Il commento tassiano alle «Rime amorose» (1591), «Schifanoia», 16 (1995), 133-40; Alessandro Martini, Amore esce dal caos. L’organizzazione tematico-narrativa delle rime amorose del Tasso, in «Filologia e critica», IX (1984), pp. 78-121; per il profilo linguistico invece a Davide Colussi, Figure della diligenza. Costanti e varianti del Tasso lirico nel canzoniere Chigiano L VIII 302, Roma-Padova, Antenore, 2011; mentre per un più specifico studio di carattere esegetico a Franco Tomasi, La canzone Quel Generoso mio guerriero interno di Torquato Tasso, in «L’Ellisse» VIII/2 (2013), pp. 99-120.

3 Cfr., a tal proposito, D. Colussi, Figure della diligenza, cit., p. 4. e ss. e F. Tomasi, La canzone Quel Generoso mio guerriero interno di Torquato Tasso, cit., p. 109 n. 26.

4 Per il rinvio erroneo a un verso dell’autore in luogo della fonte cfr. Invece T. Tasso, Rime d’amore con l’esposizione dello stesso Autore, p. 235. Per qualche nota sul sonetto come, ad esempio, i suoi rapporti con quello proemiale di Bembo, si rimanda a V. Martignone, Tasso lirico fra tradizione e innovazione: i sonetti liminali del canzoniere Chigiano, in Antonio Daniele e Filiberto Walter Lupi (a cura di), Torquato Tasso quattrocento anni dopo, Atti del Convengo di Rende (24-25 maggio 1996), Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 1997, pp. 25-31. Ai fini della leggibilità segnalo che ai testi eterei è attribuita la numerazione araba mentre a quelli del Chigiano e dell’Osanna è riservata quella romana, rispettivamente in corsivo e tondo.

5 I termini ‘variante’ e ‘correzione’ sono qui usati indifferentemente per amore di varietà ma sono sempre da intendere nel senso di variante d’autore evolutiva. In questa sede è considerata l’evoluzione testuale sia a partire dalle stampe 11 e 22 che dai postillati Ts1 e Ts2, oltre a quella interna all’autografo, così come illustrato dalle fasce II e III dell’edizione critica di Gavazzeni e Martignone (T. Tasso, Rime d’amore secondo il codice Chigiano L viii 302), cui si rimanda. Per le stampe e i codici ci si avvale delle sigle e della numerazione invalse nella tradizione critica. Corsivi miei.

6 Il tema è quintessenzialmente petrarchesco (Rvf 45-46); per uno studio sul tema nella tradizione lirica si rimanda a Beatrice Rima, Lo specchio e il suo enigma. Vita di un tema intorno a Tasso e Marino, Padova, Antenore, 1991.

7 Cfr., a questo proposito, quanto già notato da Pestarino: «Costituisce, con il successivo sonetto, il dittico dello specchio, coeso da diversi rimandi interni [...] Il dittico [...] inscena una situazione galante che avrà la sua consacrazione epica, com’è ben noto, nelle stanze di Rinaldo e Armida», T. Tasso, Rime eteree, a cura di Rossano Pestarino, Parma, Fondazione Pietro Bembo-Ugo Guanda Editore, 2013, p. 51. Per il testo del poema si cita da T. Tasso, Gerusalemme liberata, a cura di F. Tomasi, Milano, BUR, 2009. Corsivi miei, qui come altrove.

8 Per un’altra nota sul legame esistente e percepito tra questi testi e il poema si rimanda all’edizione critica di Vania De Maldé (T. Tasso, Rime d’amore con l’espos zione dello stesso Autore, cit., p. 41) e, in particolare, a quanto riportato nella fascia dedicata alla varia lectio, dove si segnala la presenza, in VE3, di una nota manoscritta in corrispondenza del v. 1 che rinvia a «Goffredo 1. 16, stanza 15» ovvero la «sequenza dello specchio di Armida, c. 16, 20, 4». Anche la correzione del v. 7 del sonetto 9 - xxvi - xxxv (Gli occhi mirando, e ’l molle avorio e vago] >dolce<) segnala il recupero di un sintagma già presente in una zona tematica affine del poema, ancora legata al nodo di Armida (Lib. XV 61, 4: «d’un aureo manto i molli avori involse»).

9 Nel passaggio all’Osanna cadono i due madrigali xxxviii-xxxix e i tre testi superstiti diventano rispettivamente i numeri xlviii, xlix e l. Simile il destino di un’altra serie dedicata allo stesso tema, il cui ridimensionamento, dagli otto testi del codice (x-xvii) ai quattro della stampa (xx-xxiii, con l’aggiunta del xxiv), colpisce ancora i madrigali nati per il Chigiano (xii, xiii, xiv, xv).

10 F. Tomasi, La canzone Quel Generoso mio guerriero interno di Torquato Tasso, cit., p. 104.

11 Ibid., n. 16; cfr. anche, ad esempio, il v. 55 («Amor questi occhi lacrimando chiuda») per cui si rimanda a Rfv 126, 16 (si cita da Francesco Petrarca, Canzoniere, a cura di Marco Santagata, Milano, Mondadori, 2004).

12 Pur commista, quest’ultima, ad altri echi petrarcheschi, come il congedo della canzone 207 (vv. 92-96: «Canzon mia, fermo in campo / starò, ch’ elli è disnor morir fuggendo; / et me stesso reprendo / di tai lamenti, sí dolce è mia sorte, / pianto, sospiri et morte»).

13 Cfr. V. Martignone, La struttura narrativa del codice Chigiano delle Rime tassiane, cit., passim.

14 Quest’ultimo sintagma è del resto ampiamente usato da Tasso nella Liberata (ii 37 3-4: «Un non so che d’inusitato e molle / par che nel duro petto al re trapasse») e prima ancora nel Rinaldo (iv 8, 3: «piagato avria quai son più duri petti»); cito da T. Tasso, Rinaldo, a cura di Matteo Navone, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2012. L’insistenza dell’attenzione tassiana su queste opzioni lessicali è del resto provata dal fatto che gli stessi versi epici siano stati oggetto di correzioni (vv. 1-2: «Mosser le natatrici ignude e belle / De’ duo guerrieri alquanto i duri petti] La dolce vista delle due sì belle / Ignude intenerì quei fieri petti») non molto distanti da quelle applicate al sonetto, sia dal punto di vista lessicale, sia da quello sintattico, se si osserva la comune caduta dell’inarcatura. In attesa della prossima edizione critica per le cure di Guido Baldassarri, cfr. T. Tasso, Gerusalemme liberata, poema eroico, edizione critica sui manoscritti e le prime stampe, a cura di Angelo Solerti et al., Firenze, Barbèra, 1896, 3 voll., p. 173 vol. III.

15 Anche in questo caso sono i madrigali xxix e xxx a cadere nel passaggio dal manoscritto alla stampa.

16 La revisione del v. 2 del sonetto (n’ancide] m’impiaga), oltre a veicolare una variante sinonimica, riprende puntualmente la ripartizione degli usi verbali già attiva nel poema e che vede il verbo ancide largamente usato in senso metaforico in contesti lirici (Lib. ii 83, 6: «di venen dolce che piacendo ancida»; iv 92, 5-6: «Ahi crudo Amor, ch’ugualmente n’ancide / l’assenzio e ’l mèl che tu fra noi dispensi») a scapito del prevalentemente ‘epico’ impiaga (Lib. xx 116, 1: «Ma l’un percote sol; percote e impiaga»).

17 Ricordo per cautela, però, quanto osservato da Martignone sul metodo di lavoro di Tasso, che «in sede di intervento correttorio, non ragiona nei termini esclusivamente “tecnici” di variazione costante del singolo fenomeno [...] ma subordina la propria revisione a motivi più generali, secondo quello che appare ai suoi occhi come un acquisto poetico [...] se è vero che tale acquisto prevede tendenzialmente l’avvicinamento a stilemi quali l’andamento paratattico, l’instaurazione della dittologia, la regolarizzazione della catena sintattica, l’eliminazione di enjambement troppo forti [...] bisogna aggiungere che si danno anche casi di percorso inverso, motivati dalla ricerca di perspicuità dell’espressione» (V. Martignone, Varianti d’autore tassiane: un sondaggio sulle “Rime amorose” in «Italianistica: Rivista di letteratura italiana» XXIV/2-3 (1995), p. 429).