Revue Italique

La poesia dialettale del Rinascimento nell’Italia del Nord

OJ-italique-695

Le sonettesse «di varii linguaggi» di Giulio Cesare Croce

Federico Baricci

Il nome di Giulio Cesare Croce (San Giovanni in Persiceto, 1550 Bologna, 1609), cantimbanco celebre soprattutto per Le sottilissime astuzie di Bertoldo, scritte in lingua (come, del resto, la grandissima parte delle sue opere), meriterebbe di figurare a più riprese, vorrei dire in più capitoli, entro una storia della letteratura dialettale italoromanza. Numerosi sono infatti i suoi contributi all’uso letterario del dialetto, il più notevole dei quali è senza dubbio l’aver inaugurato una letteraratura in bolognese,1 dotandola fin dal principio di un corpus piuttosto articolato in diatopìa e diastratìa.2 Ma, oltre che al vergine dialetto ‘materno’, Croce (abile nella contraffazione linguistica, che rientrava tra le fondamentali competenze del buffone) si dedicò a un’amplissima serie di dialetti (e lingue straniere), spesso provvisti di una certa fortuna nella letteratura comica del Cinquecento.3

Primo tra tutti il bergamasco (che vantava negli ultimi decenni del secolo una tradizione ormai ampiamente consolidata), impiegato spesso da Croce in compresenza con altre varietà linguistiche; si ricordino, a titolo d’esempio, alcune opere bilingui, come I gran cridalesmi che si fanno in Bologna nelle Pescarie tutta la Quaresima, nei quali la porzione «in lingua nativa bolognese» è racchiusa da una cornice in dialetto bergamasco enunciata in prima persona da Zambù de Val Brombana,4 o la Serenata over cantata del Dottor Gratiano e Pedrolino in lode delle loro innamorate inscenata verso la fine de I parenti godevoli5 (e riproposta nella ventarola dal titolo Serenata ridicolosa)6 dove si alternano il bolognese stavolta “grazianesco” del Dottore e il bergamasco di Pedrolino (ambedue maschere della Commedia dell’Arte), o ancora La Farinella, commedia in lingua il cui unico personaggio dialettofono è il facchino bergamasco Stramazzo.7 Non mancarono, tuttavia, nella vastissima produzione crocesca, le opere interamente composte in questo dialetto. Non numerosi sono gli esemplari superstiti, come la Serenata bellissima con incipit «Bertolina vita mia» contenuta nei Freschi della villa,8 o il Testamento del Zan alla bergamasca (la cui attribuzione non è considerata però sicura).9 Ma gli indici antichi delle opere di Croce di cui disponiamo (uno autografo non datato,10 uno pubblicato da Bartolomeo Cochi nel 1608,11 e uno postumo pubblicato dagli eredi del Cochi nel 1640),12 bussole per orientarci nell’intricata bibliografia dell’autore messe a frutto nei principali repertori ad oggi allestiti dagli studiosi (Olindo Guerrini,13 Monique Rouch,14 Roberto L. Bruni,15 Vladimir Fava16), riportano oltre dieci titoli di componimenti quasi certamente redatti in bergamasco che non sono giunti fino a noi oppure non sono stati ancora identificati; tre di questi, vale a dire Abbatimento di Rugiero e Rodomonte in lingua bergamasca,17 Lamento di Bradamante alla bergamasca18 e Lamento di Zerbino alla bergamasca,19 documentano un significativo impegno nel genere del travestimento dialettale (esercitato in particolare sul capolavoro di Ariosto), a cui Croce si dedicò anche in dialetto bolognese.20

Ma moltissimi altri linguaggi si incontrano nelle opere del cantimbanco persicetano, un regesto completo dei quali sarebbe assai arduo allo stato attuale degli studi, tenuto conto della lacuna filologica che caratterizza il versante non italiano della sua produzione, in grandissima parte sprovvisto di edizioni critiche: si possono ricordare, comunque, oltre al già citato bolognese di Graziano, infarcito di malapropismi e latinismi, il veneziano di Pantalone (ad esempio nella Mascherata duodecima dei Pantaloni innamorati, nelle Ventisette mascherate piacevolissime),21 il napoletano (invero fortemente italianizzato) di Cola Sgariatore nelle Dispute con Arlecchino22 e dell’arcibravo Smedolla vossi, sfonna pietti, sbrana leoni, sbudella tigre, ancidador delli huomini muorti,23 il romagnolo dell’Invettiva ridicolosa contro Selino Gran Turco24 e della Bravata di Babino dalla Torre di Cavodicuol,25 il ferrarese del Testamento ridicoloso d’un contadin del Ferrarese, il qual è morto ai dì passati per haver mangiato troppo fichi26 (e forse anche del Lamento del Berretta da Ferrara, registrato come già stampato nell’indice del 1608 ma dato per disperso in quello del 1640, e ad oggi mai riemerso), il giudeo-bolognese di opere come la Rissa tremenda fra Mardocai e Badanai,27 il pedantesco della Canzonetta «Voi che la calda fax» nei Freschi della villa,28 l’italiano tedeschizzato a cui è affidata l’imitazione dei todeschi nella Mascherata quarta,29 e la breve performance in levantino eseguita dal servo Frappa nel Sandrone astuto.30 Inoltre, i titoli di alcune opere che non ci sono giunte sembrano arricchire ulteriormente il panorama, suggerendo di integrare almeno schiavonesco (che ritroveremo, del resto, nelle sonettesse plurilingui) e latino macaronico (si vedano rispettivamente il Lamento di un giovane raguseo31 e l’Horologio di versi macharoneschi).32

Con questo settore della sua produzione Croce si inscrive nella ricca tradizione della letteratura rinascimentale plurilingue che ha il suo apogeo nella “commedia delle lingue” del veneziano Andrea Calmo (morto nel 1571) e si cristallizza, tra Cinque e Seicento, nella Commedia dell’Arte.33 Non è però nelle sue commedie regolari, improntate a un «plurilinguismo a basso voltaggio»,34 che Croce sfrutta appieno il ricorso a lingue e dialetti diversi. Ciò si verifica invece in un mannello di sonettesse (sonetti caudati con un esorbitante numero di code) strutturate come successioni di varietà linguistiche diverse, che possono raggiungere il clamoroso numero di diciannove. Si tratta di sei testi, attribuiti a Croce nelle bibliografie delle sue opere: la Cavalcata di varij lenguazi, le Disgratie del Zane, il Maridazzo della bella Brunettina, le Nozze del Zane o Pasto in lingua bergamasca (edito anche con titoli leggermente diversi), la Questione di varii linguaggi e il Sogno del Zambù in lingua bergamasca (noto anche con altre denominazioni). A questi si potrebbe aggiungere la Romancina de dicisette linguaggi edita adespota nel 1600 a Verona da Francesco Dalle Donne, e poi nel 1610 a Venezia da Bonfadino (probabilmente Giovanni Battista), per la quale non sarebbe implausibile un’attribuzione al persicetano.35

Non sono queste le uniche opere di Croce in cui si incontrano allo stesso tempo «molti linguaggi». Nel Gioco della sposa, in lingua, una compagnia di cavalieri e dame si cimenta in una serie di prove consistenti perlopiù in imitazioni linguistiche: il signor Marino deve contraffare uno spazzacamino, Ortensio si esibisce in una bravata in dialetto romagnolo («È psibl, Cattlina, / ch’eva a stinter [...]» ‘È possibile, Caterina, che debba stentare [...]’), Carlo imita un bargello, Silvio un bravo mantovano («Chi è col ch’ batt a col bacchioch [...]» ‘Chi è quello che batte a quel battiporta [...]’), Ottavio un cuoco francese (facendo da «francese italianato»), Alessandro il dottor Graziano, Orazio «un Pantalone, / qual dica con Amor la sua ragione», Orsina canta «una canzon da contadina», Giulia imita una balia montanara.36 Nella Veglia carnevalesca, in lingua, si descrive una festa a cui partecipano, tra gli altri, cinque personaggi che si esprimono nei loro idiomi: un mantovano, un fiorentino, un ferrarese, un veneziano, un bolognese e uno spagnolo.37

Ma è soltanto nelle sonettesse “di varii linguaggi” che il plurilinguismo crocesco giunge al culmine, assurgendo peraltro a esito estremistico, all’insegna del virtuosismo e della tipizzazione, di un’intera stagione letteraria.38 In queste prove di bravura Croce sfoggia ben ventinove linguaggi: bergamasco, bolognese, socioletto dei capelletti (manovali addetti alla copertura dei tetti),39 castigliano “italianato”, ferrarese, fiorentino demotico, francese “italianato”, furbesco, genovese, giudeo-bolognese, greghesco, grazianesco, italiano, mantovano, milanese, modenese, napoletano, pavano, pedantesco, piacentino, piemontese, reggiano, romagnolo, romanesco, schiavonesco, siciliano, todesco, veneziano e veronese. Ciascun testo mette in scena dai quattordici ai diciannove linguaggi, tanto da far impallidire un «mostro a dieci teste» come la virtuosistica commedia ridicolosa Li diversi linguaggi (1609) di Virgilio Verrucci.40 Nelle sonettesse di Croce, tuttavia, ciascun protagonista (vale a dire ogni singolo linguaggio più che l’esile personaggio che gli dà voce, presentato nella grandissima maggioranza dei casi soltanto con l’etnico: «un fiorentin», «un bolognes», «ol Venetià», ecc., più raramente con un nome tipico come quello del santo patrono della città: «Petroni» da Bologna, «Ambrus da Milan», «ser Zomegnan» da Modena, ecc.) ha diritto a un’unica performance, limitata a pochi versi, dopo i quali passa la staffetta a quello successivo. Si tratta di sei testi fortemente omogenei, caratterizzati dal medesimo schema metrico (ABBA ABBA CDC DCD dEE eFF fGG ...; solo nella Questione le terzine hanno schema CDE CDE) e dunque forse intonati sulla medesima “aria”,41 e da un’analoga struttura: la sfilata di linguaggi è inserita in una cornice enunciata in prima persona, in dialetto bergamasco da uno Zanni o, soltanto nella Questione, in italiano (si ricordi che italiano e bergamasco sono le lingue ammesse anche nelle cornici dei testi di Croce in dialetto bolognese).42 I titoli imbonitori degli opuscoli in cui furono pubblicati insistono naturalmente sul piatto forte: i «varii linguaggi», «molti linguaggi», «molti varii linguaggi», «sedici linguagi tutti diferenti», «sedici linguaggi delle più famose città de Italia», «diciasette linguazi». Tra questi spiccano per numero i dialetti emiliano-romagnoli, l’imitazione parodica dei quali poteva essere ben apprezzata dal pubblico bolognese. Alcuni dei ventinove linguaggi qui esibiti si ritrovano, come abbiamo visto, in altre opere dell’autore, mono- o plurilingui, ma la maggioranza di essi sembra ricorrere esclusivamente nelle nostre sfilate. Dieci sono i linguaggi indispensabili, che si ritrovano in tutte, o quasi tutte, le sonettesse: bolognese, fiorentino, francese, genovese, mantovano, milanese, napoletano, spagnolo, todesco e veneziano.

È auspicabile che ciascuno dei “varii linguaggi” croceschi riceva un’accurata descrizione, obiettivo che non può prescindere dalla contestualizzazione di ciascun linguaggio entro la sua specifica tradizione letteraria, e dunque, in qualche caso, dalla vera e propria ricostruzione di una determinata tradizione. Il principale ostacolo che si oppone a uno spoglio fonomorfologico delle varietà linguistiche impiegate nelle nostre sonettesse è la mancanza di edizioni critiche di questi testi (con l’eccezione del Sogno del Zambù),43 la tradizione dei quali rivela oltretutto una notevole escursione nella facies dei vari linguaggi e un’accuratezza ineguale nella loro riproduzione anche all’interno del medesimo testimone. Per questo, nell’appendice al presente contributo si insisterà in modo particolare sulla tradizione di ciascun testo, arricchendone la recensio con edizioni finora ignote alle bibliografie delle opere di Croce. Il censimento accurato e lo scrutinio critico dei testimoni assumono un’importanza cruciale negli studi sul cantimbanco persicetano, che troppo spesso hanno riprodotto i suoi testi senza alcuna attenzione alla scelta del testimone di base, optando per le edizioni, soprattutto seicentine, di più immediato reperimento.44 Occorre ricordare che tutti i nostri testi tranne la Questione (e la Romancina) furono inclusi da Vito Pandolfi nel primo volume della sua monumentale raccolta La Commedia dell’Arte.45 Si tratta di trascrizioni prive di pretese filologiche e non esenti da errori, raramente basate su edizioni antiquiores o potiores. Le sonettesse, ricavate da stampe spesso adespote, sono presentate come anonime da Pandolfi, che si mostra incline a ritenere che l’attribuzione a Croce attestata da altre edizioni delle stesse opere sia da ritenersi inaffidabile, e che diversi componimenti «gli attribuirono, o si attribuì, con eccessiva facilità».46 L’importanza che questa raccolta ha avuto negli studi successivi ha fatto sì che i nostri testi siano stati spesso evocati come esemplari emblematici della Commedia dell’Arte del tutto slegati dal nome di Croce,47 mentre, parallelamente, negli studi incentrati sulla produzione del persicetano la loro paternità crocesca non è mai stata messa in dubbio. Si impongono dunque due temi tanto cruciali quanto complessi che dovranno essere affrontati in futuro in modo sistematico: il rapporto (di dare e avere) tra Croce e la Commedia dell’Arte,48 e il problema del riconoscimento attributivo delle opere effettivamente composte dal nostro. Si ricordi che, mentre l’indice autografo e quello del 1608 possono essere considerati strumenti fededegni, l’indice postumo del 1640 presenta un errore attributivo sicuro (vi figurano infatti Le disgratie di Bertolino dalla Zena dello storico bolognese Pompeo Vizzani),49 ciò che ne intacca, almeno parzialmente, l’attendibilità.

Si possono intanto mettere in luce alcuni dei principali meccanismi che presiedono all’imitazione linguistica nelle sonettesse “di varii linguaggi”, pur avvertendo che il grado di verisimiglianza (tendenzialmente accurato, almeno per i dialetti, a patto di stilizzazioni e ipercaratterizzazioni) varia notevolmente da linguaggio a linguaggio. Pressoché costante è l’intento di concentrare nella singola porzione dedicata a un determinato linguaggio il maggior numero possibile di tratti linguistici avvertiti come tipici e capaci di garantire un riconoscimento immediato, così da produrre un effetto di “saturazione”. Si prenda ad esempio il fiorentino del Maridazzo della bella Brunettina (vv. 54-59):50

          Il fiorentin dis: «Parme
che cotesto sia un pazzo cicalare!
Sarete mógliema, se a voi vi pare.
          Oh, io non mi vo’ vantare:
dico che vi vo’ bene, e’ dico, e’ dico,
e cotesti altri non li stimo un fico!».

Nel giro di pochissimi versi si incontrano: il dimostrativo cotesto, il tipo mógliema con la forma enclitica del possessivo (cfr. ad es. mogliama nella Mandragola di Machiavelli), la forma vo’ ‘voglio’ con apocope sillabica, il verbo cicalare, e potevano essere recuperati nella recitazione tratti fonetici caratteristici quali la gorgia, come si ha motivo di postulare vista la ricorrenza di rimanti con c intervocalica (fichi nella Cavalcata, v. 32; Beco: meco: cieco nella Questione, vv. 118-120; poco: fuoco: luoco nel Sogno, vv. 124-126), e forse anche la palatalizzazione di l preconsonantica in altri (la forma aitri si trova nell’ed. modenese, che attesta una redazione breve dell’opera).51 Non vi è dunque un singolo verso che sia sprovvisto di tratti caratteristici. Alla saturazione contribuisce la ricorsività intratestuale (sintagmatica) (qui, ad esempio, la ripetizione di cotesto nello stesso brano), ma la ricorsività è anche intertestuale (paradigmatica), poiché gli elementi citati ritornano negli altri testi; ad esempio per cotesto cfr. Sogno, v. 126 e Questione, v. 115, e per la palatalizzazione di l preconsonantica anche in fonosintassi cfr. da i mio poderino ‘dal mio poderino’ Cavalcata, v. 32, ribaido ‘ribaldo’ Disgratie, v. 136, ribaidi: caidi: saidi nella Questione, vv. 122-124, faisa ‘falsa’: saisa ‘salsa’ Nozze, vv. 121-122.

A questo punto, si può proporre una classificazione tematica delle nostre sonettesse, che ha qualche ricaduta anche sul piano linguistico. In un primo gruppo di testi, il motivo che innesca la processione babelica è la sfilata dei prodotti tipici dei vari paesi. Nella Cavalcata, uno Zanni facchino assiste ai caotici preparativi di partenza su vetture a cavallo di numerosi viaggiatori, alcuni dei quali, plurilingui, gli si rivolgono per promettergli l’invio di un dono dalla loro patria, una volta che vi saranno tornati. La tipicità linguistica si accompagna alla tipicità culturale dei prodotti esibiti: il piacentino non potrà che vantare furmaz ‘formaggio’ (nel Cinquecento, infatti, «implet formaio cunctos Piasenza paësos» ‘Piacenza riempie di formaggio tutti i paesi’, come si legge nel Baldus di Teofilo Folengo), il mantovano donerà breti ‘berrette’ (Mantova abbonda infatti di brettari ‘berrettai, artigiani che fabbricano berrette’, come ricorda ancora Folengo),52 che non a caso è un plurale femminile in -i (come subito prima camisuoli ‘camiciole’ e calzi agucchiadi ‘calze lavorate a maglia’), tratto morfologico caratteristico di questo dialetto53 impiegato con insistenza nelle sonettesse. Nelle Nozze, i convitati alla festa per le nozze di Zanni da Val Pelosa si intrattengono discettando sul tema «in qual città ghe fos mei da mangià» (‘in quale città ci fosse il cibo migliore’). Questi testi procedono dunque per accumulo sostantivale e rivelano una ricchezza lessicale non scontata in lingue “imitate” (come ha notato Altieri Biagi per il lessico gastronomico delle Nozze),54 che assicura peraltro guasti testuali nella tradizione, come quello occorso ai genovesi tapani ‘capperi’ delle Nozze, v. 65, nell’edizione di Macerata 1593, divenuti trappani o trapaui nelle restanti stampe.55

Un discorso a parte richiede il Maridazzo, dove i partecipanti di una festa sono in preda all’amore per la bella Brunetta (la sentenza proverbiale dei vv. 10-11: «la tos, el stranudà / e amor, queste tre cos mai sta nascos» ‘la tosse, lo starnutire e amore, queste tre cose non stanno mai nascoste’ ritornerà, con variatio, in un’altra opera di Croce, Il tre: «Tre cose non si possono tenere secrete, cioè l’amore, la tosse, e la cacarola»).56 La donna dichiara che, tra i contendenti, «quel che con plù garb farà l’amor, / voi esser tutta so, lu m’è segnor» (25-26 ‘quello che farà l’amore con più garbo, voglio essere tutta sua, lui mi è signore’), sentenza che può ricordare quella (con evidente doppiosenso sessuale) della protagonista femminile di un’opera «in lingua rustica» bolognese di Croce, la Filippa combattuta per amore da duoi villani, con la sentenza di lei in pigliar quello che à più lungo il naso per marito.57 Nel Maridazzo, dunque, tra i pretendenti ha luogo una gara verbale plurilingue dominata dal lessico dell’amore e del corteggiamento. Si ricordino almeno i primi versi dello spagnolo, vv. 46-47: «Ai mia vida, mi amores e mi confuorto, / mi corazon, mi alma e segur puorto!» ‘Ahi mia vita, mio amore e mio conforto, / mio cuore, mia anima e porto sicuro’ e il brevissimo intervento del mantovano, vv. 103-104: «S’a’ sont innamorà al sa ’l sol e le stelli! / El me corin, le me vitini belli!» ‘Se sono innamorato lo sanno il sole e le stelle! / Il mio cuoricino, le mie belle vitine!’.58

Nel gruppo più numeroso di testi (Disgratie, Questione, Romancina e Sogno) l’occasione per far conflagrare i «varii linguaggi» (e non meno tipici clichés socioculturali)59 è offerta dal contesto della “baruffa”, della rissa violenta (non solo verbale),60 dove domina il lessico dell’insulto e della minaccia e incontriamo con maggiore insistenza aggettivi e verbi. Nelle Disgratie, a notte fonda Zan cerca disperatamente alloggio presso un’osteria, ma riceve un’infilzata di contumelie da parte di personaggi di varia provenienza geografica. Si vedano due passi, rispettivamente in mantovano (vv. 73-77) e milanese (114-116):

ol sa fè al balcon un mantovà
con una vos robusta e dis: «Chi è là?
          No se pul lozà,
putanaza de dis! S’te fé pu bada,
becaz cornù, te do n’archebusada!».

si fece al balcone un mantovano con una voce robusta e disse: «Chi è là? Non si può alloggiare, puttanaccia di dieci! Se indugi ancora, beccaccio cornuto, ti do un colpo di archibugio!».

          Dis un olter: «Mi voi
scortegà sto gogò fiur de putan,
e se no ’l feg no so Ambrus da Milan».

Disse un altro: «Io voglio scorticare questo screanzato figlio di puttana, e se non lo faccio non sono Ambrogio da Milano».

Nella Questione, si assiste a una «baruffa / di certi bravi di varii paesi» (vv. 1-2), che alcuni uomini dabbene cercano di separare: ne scaturisce una concitata alternanza tra minacciose smargiassate ed esortazioni di pace, istanza che potrà imporsi solo quando il tedesco inviterà tutti all’osteria. Si veda il passo dello sgherro ferrarese (vv. 15-35):

          Ma come un fier cinghiale
voltossi un ferrarese e disse: «Andai
per la via vostra e n’ v’ n’impazzai,17
          ch’anca vu n’arcuiai!
Abbiai inzegn e lvaiv d’ chì,
ch’in drdana a’ n’abbiai de l’ frì.20
          Fai quel ch’a’ v’ digh mi:
tiraiv da banda, s’hí la vita cara,
ch’a’ n’ v’ dasan de l’ brogn nù da Frara,23
          prché la s’ sa chiara,
ch’ sen d’ ogn’ora pront e inasià
per dar rsposta a chi n’ chiamarà,26
          e può a l’ curtlà
mi m’ gh’ acuost con mazor ruina
ch’a’ n’ fariev a taiar una puina;29
          sì ch’ n’ pinsai mina
di impaurirn o d’ farn caiar,
ch’ al gh’ vuol altr chì che bravzar:32
          i n’ s’ lassa magnar
aqusì per poch i par nostr fraris,
mo i dà d’ l’ pavier a i so nmis».35

Andate per la via vostra e non vi intromettete, che anche voi non (ne) prendiate! Abbiate ingegno e levatevi di qui, che da ultimo non (ne) abbiate delle ferite. Fate quello che vi dico io: fatevi da parte, se avete cara la vita, che non vi dessimo delle botte noi di Ferrara, perché si sa chiaramente che siamo sempre pronti e apparecchiati per dare risposta a chi ci chiamerà, e poi alle coltellate io mi ci accosto con maggior impeto di quanto non farei nel tagliare una ricotta; sicché non pensate mica di impaurirci o di farci mancare d’animo, che qui ci vuole altro che fare gli spavaldi: non si lasciano fregare così per poco i nostri pari ferraresi, ma danno delle percosse ai loro nemici.61

Questi brani ci consentono di concentrare l’attenzione su alcuni “blasoni” linguistici caratterizzati da una notevole ricorsività intertestuale. Per il mantovano risalta l’imprecazione putanaza de dis ‘puttanaccia di dieci’ (bestemmia travestita a scopo eufemistico), che si ritrova, con qualche variante, nelle Nozze, v. 124: «“Potta de dis!” respose el mantovan» ‘”Potta di dieci!” rispose il mantovano’, nella Questione, vv. 36-37: «“Guardév, pittana d’ dis!” (‘Guardatevi, puttana di dieci’) / cridò con alta voce un mantovan», nella Romancina, v. 59 «pittanazza de mi», ma anche nel Gioco della sposa, v. 152: «pittana, ch’ a’ n’ voi dì, del cil turchin» ‘puttana, che non voglio dire, del cielo turchino’, e nella Veglia carnevalesca, c. A3r: «pittana d’ dis». Per il milanese va segnalato l’aggettivo e sostantivo gogò e gogorón ‘uno senza boni costumi e creanza; un di poco cervello e che non si sa applicar a far bene’ (come spiegherà il Varon milanes),62 che torna nel Maridazzo, v. 88 «gogoron» pl., e nella Romancina, v. 77 «gogorona». Per il ferrarese il brano citato riesce virtuosisticamente a concentrare in soli venti versi ben nove forme verbali in -ai (it. -ate): questa uscita della 2a persona plurale dell’indicativo presente e dell’imperativo dei verbi della prima coniugazione, e del congiuntivo presente di tutte le coniugazioni, costituisce il principale tratto morfologico a cui è affidata la caratterizzazione di tale dialetto in queste opere; lo si trova spesso tra le primissime parole pronunciate dal ferrarese, come nella Cavalcata, vv. 96-97: «Un frares dis così: “Non pensai [...]» ‘Un ferrarese disse così: “Non pensate [...]’ e nel Maridazzo, vv. 73-74: «Il feraris dis: “Fai / che si contenti un po’ sta fantesina» ‘Il ferrarese disse: “Fate che si soddisfi un po’ questa fanciullina’, ma anche in posizione interna, come nelle Disgratie, v. 91 «lasai» ‘lasciate’, 93 «menail» ‘conducetelo’. Questo tratto spesseggia anche nel ferrarese della Veglia carnevalesca, c. A4r: «Tiraiv da banda [...], lagaim passar» ‘Fatevi di lato [...], lasciatemi passare’, «daim la man» ‘datemi la mano’, ecc., come nel monolingue Testamento ridicoloso d’un contadin del Ferrarese. L’indicazione di riscontri esterni alla produzione di Croce, che esula da questo contributo, consentirebbe di misurare la fortuna e il carattere topico degli ingredienti citati. Basti qui ricordare che in un commediografo “plurilingue” come Giovan Battista Andreini si ritroveranno tanto l’esclamazione pitana de dis trentini in bocca a un personaggio mantovano63 quanto forme verbali come andai ‘andate’ e lagai ‘lasciate’ nelle battute di un personaggio ferrarese.64

In tutti i nostri testi, l’addensamento di tratti iper-tipici si accompagna a una scarsa densità semantica, che si rileva ad esempio nell’insistita iterazione di un medesimo concetto, ripetuto e riformulato da un linguaggio all’altro, come, nella Questione, ‘fate la pace e smettete di picchiarvi’: romagnolo «Donca frmé le brez / e fasì pes e no v’ dasid più» (vv. 102-103 ‘Dunque fermate le braccia / e fate pace e non vi picchiate più’), bergamasco «Fé mo’ la pas un po’ / [...] / no ’f dé pì sgarlatù» (vv. 108, 111 ‘Adesso fate un po’ la pace / [...] / non vi azzoppate più’), genovese «Osù, donca r’è bon / ra pase e ra concordia ar dì ancuoi, / donca n’ v’ dé dri botti, car figiuoi» (vv. 309-311 ‘Orsù, dunque è buona cosa / la pace e la concordia al giorno d’oggi, / dunque non vi date delle botte, cari figlioli’), tedesco «Non più mnar le spad, nit, nit! / Mo far l’ pas prest, frit, frit!» (vv. 337-338 ‘Non agitate più le spade, no, no! / Ma fate la pace presto, pace, pace!’).65 Non si registrano, tuttavia, esempi di quella deformazione verbale che costituisce la fattispecie più tipica del “comico del significante”, per riprendere la celebre formula di Altieri Biagi, invece ben evidente, ad esempio, nel Contrasto tra Zani e l’oste tedesco che segue le Disgratie («No voi fà costió sta fiada ninada bufada» ‘Non voglio fare questione questa volta ninada bufada’, «S’ti no pagare preste preste nineste bufeste» ‘Se tu non paghi presto presto nineste bufeste’).66 Nelle sonettesse si constata semmai il carattere “pretestuoso” del significato, funzionale ma subordinato al diletto che scaturisce dalle girandole di «varii linguaggi», esibiti nella loro tipicità a più livelli; come dichiara, giunto quasi alla fine della sfilata di linguaggi, il narratore della Romancina, vv. 129-131:

          Mi avivi tant delet
sentend el so parlà e ’l so zanzum
segond el so paìs e ’l so costum.

Io avevo tanto diletto sentendo il loro parlare e il loro cianciume secondo il loro paese e il loro costume.

Annexe

Appendice67

Si fornisce di seguito un repertorio delle edizioni che tramandano le sonettesse «di varii linguaggi» attribuite a Giulio Cesare Croce,68 nel quale trovano spazio (qui precedute da un cerchietto tondo ) ben sedici edizioni sconosciute ai cataloghi delle opere del persicetano già citati. Alcune integrazioni bibliografiche sono di notevole interesse sotto il rispetto cronologico. L’edizione delle Disgratie stampata a Venezia, in Frezzaria al segno della Regina, nel 1581 (in esemplare unico alla Bibliothèque Nationale de France) risulta la seconda più antica edizione datata di un’opera di Croce a oggi nota. Nella bibliografia di Fava (che si assume a termine di riferimento, dal momento che vi confluiscono anche le acquisizioni dei regesti precedenti), infatti, il primato cronologico è detenuto dall’ed. del 1580 del Pianto sopra l’immatura morte dell’illustre, et strenuo colonello il sig. conte Fabio Pepoli, In Bologna, per Gio. Rossi,69 seguita da due edizioni del 1582: un’ed. bresciana del Maridazzo della bella Brunettina (vedi oltre) e la Descrittione del nobil palazzo, posto nel conta’ di Bologna. Detto Tusculano, del molto illustre, et reverendiss. Monsignore, il Sig. Gio Battista Campeggi, vescovo di Maiorica, digniss., In Bologna, Per Gio. Rossi. Ma l’edizione del Pianto del 1580 potrebbe essere addirittura scavalcata da un’altra edizione delle Disgratie, che si segnala soltanto in via prudenziale, non essendone stata possibile, al momento, la consultazione: il catalogo digitale della Országos Szechényi Könyvtar (Biblioteca Nazionale Szechényi di Budapest)70 registra un’edizione stampata a Venezia, in Frezzaria al Segno della Regina, con data 1578. Tra le integrazioni bibliografiche si possono inoltre segnalare tre edizioni sottoscritte da Bartolomeo Merlo sconosciute agli annali del tipografo veronese,71 gli unici tre esemplari noti delle quali si trovano in una miscellanea conservata alla Biblioteca dell’Università Eötvös Loránd di Budapest.

Si utilizzano le seguenti abbreviazioni per indicare le biblioteche più frequentemente citate:

BAV = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana
BCA = Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio
BL = London, British Library
BNCF = Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale
BNF = Paris, Bibliothèque Nationale de France
BNM = Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana
BPR = Rouen, Bibliothèque Patrimoniale Jacques Villon
BT = Milano, Biblioteca Trivulziana
BUA = Roma, Biblioteca Universitaria Alessandrina
BUB = Bologna, Biblioteca Universitaria
ELTEK = Budapest, Eötvös Loránd Tudományegyetem Könyvtár
ULC = Cambridge (UK), University Library

Si utilizzano inoltre le seguenti abbreviazioni bibliografiche:

Bruni = Roberto L. Bruni, Giulio Cesare Croce nelle biblioteche inglesi, cit. Fava = Vladimir Fava, Saggio di una bibliografia delle opere di Giulio Cesare Croce, scaricabile liberamente all’indirizzo http://maglioeditore.it/ 2014/06/02/strada-maestra/72 (data dell’ultima consultazione: 27/06/ 2020). Pandolfi = Vito Pandolfi (a cura di), La Commedia dell’Arte. Storia e testo, cit.

I. Cavalcata di varij lenguazi

Il testo (146 vv., inc.: «Sol per partì se mis in pont ognun»; linguaggi: berg. (cornice), fior., bol., napol., moden., roman., venez., genov., franc., ferrar., spagn., piacent., mantov., ted., mil.) è attribuito a Croce sulla base dell’indice 1640S, dove si incontra il titolo Cavalcata di varij linguaggi, mentre i frontespizi delle tre edizioni note menzionano soltanto Tabarin Canaia, personaggio-maschera evocato anche nei frontespizi delle più antiche edizioni del Maridazzo della bella Brunettina, detta appunto «sorella de Zan Tabarì Canaia de Val Pelosa», e celebrato come «il re di tutt’i Zanni» nelle anonime Stanze della vita e morte di Tabarino Canaglia milanese.73 Si ricordi che Croce, come attesta l’indice 1608M, compose un Testamento di Tabarrino Zanne famoso, opera che si considera non ritrovata.74

Il nome di Tabarin Canaia non costituisce dunque un ostacolo alla paternità crocesca dell’opera.

Opera nova dove intendereti una cavalcata di varij lenguazi per consolare i spiriti gentili. Dispensata dal vostro Tabarin Canaia, In Padova, & ristampata in Bologna per Vittorio Benacci, 1590
BCA A.V.G. IX 1 op. 332; BUB ms. 3878 XXIV/12
Pandolfi I 264-268, Fava 408

• *Cavalcata di molti varii linguaggi, opera nova del famoso Tabarin Canaia. Con un sonetto in lingua bergamasca, Verona, per Francesco dalle Donne, 1604
Paris, Bibliothèque de l’Arsenal, 8-BL-6375/68
Cfr. Carlo Alberto Girotto, Una miscellanea veronese alla Bibliothèque de l’Arsenal di Parigi. Con aggiunte al catalogo di Bartolomeo Merlo, «La Bibliofilía», CXX, 2 (2018), pp. 209-257: pp. 249-250.

Cavalcata di molti varij linguaggi: opera nova del famoso Tabarin Canaia. Con un sonetto in lingua bergamasca, In Verona, Per Bortolamio Merlo dalle Donne, 1611
ELTEK bar. 09911/c20

II. Disgratie del Zane

Il testo (182 vv., inc.: «Ol sol s’era cazat in mar zo in fond»; linguaggi: berg. (cornice), pavano, mantov., ted., ferrar., greghesco, venez., spagn., franc., mil., napol., romagn., fior., genov., bol., schiavonesco, reggiano) è attribuito a Croce sulla base dell’indice 1640S, che registra il titolo Disgratie del Zani. Il nome dell’autore compare soltanto nelle edizioni più tarde, le tre Cochi, mentre le stampe precedenti sono adespote.

*Disgratie del Zane, narrate in un sonetto, In Venetia, in Frezzaria al Segno della Regina, 1578
Budapest, Országos Széchényi Könyvtár, Ant. 7065 (42)

Disgratie del Zane, narrate in un sonetto di diciasette linguazi, come giungendo ad una hostaria, certi banditi il volsero amazar, poi fatoli dar da cena fa contrasto con l’hosto, cosa bella e ridiculosa, In Venetia, In Frezzaria al segno della Regina, 1581
BNF RES-YD-1468

Disgratie del Zane, narrate in un sonetto di diciasette linguazi, come giungendo ad una hostaria, certi banditi il volsero amazar, poi fatoli dar da cena fa contrasto con l’hosto, cosa bella e ridiculosa. In Venetia, In Frezzaria al segno della Regina, 1587
Basel, Universitätsbibliothek, AP IV 46:48

Disgratie del Zane narrate in un sonetto di diecisette linguaggi, come giongendo ad un’hostaria, alcuni banditi lo volsero ammazzare, poi fattoli dar da cena, fa un contrasto con l’hoste. Cosa molto bella, e ridicolosa. Di Giulio Cesare Croce, In Bologna, presso gli Heredi di Bartol. Cochi, 1621 BCA 17-SCR. BOLF. POES. ITAL. 09, 167; BT Triv. L. 2030. 15
Fava 201b

*Disgratie del Zane, narate in un sonetto di diecisette linguagi, come, giungendo ad una hosteria, alcuni banditi lo volsero ammazare, poi fattoli dar la cena fa un contrasto con l’hoste [...], Di Giulio Cesare Croce, Bologna, presso gli Eredi del Cohi [sic], Al pozzo rosso, da S. Damiano, 1631
Fava 201c

Disgratie del Zane, narrate in un sonetto di diciasete linguazi, come giungendo ad una hostaria, certi banditi il volsero amazar. Poi fatoli dar da cena fa contrasto con l’hosto cosa bella e ridichulosa, s.n.t. [post 1586]
BL 1071. c. 5275
Bruni 126, Fava 201a

*Disgratie del Zane, narrate in un sonetto di diciasete linguazi, come giungendo ad una hostaria, certi banditi il volsero amazar. Poi fattoli dar da cena fa contrasto con l’hosto, cosa bella e ridiculosa, s.n.t. [post 1586]
BUA XIII a. 57 13
Pandolfi I 239-246, Edit16 CNCE 71905

Disgratie del Zane narrate in un sonetto di diciasette linguazi, come giungendo ad una hostaria, certi banditi il volsero amazar, poi fatoli dar da cena fa contrasto con l’hoste cosa bella e ridiculosa, In Firenze, Alle Scale di Badia, s.d. [1580-1589]
New Haven, Yale University, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Commedia dell’arte 14

Disgratie del Zane, narrate in un sonetto di dicisette linguaggi; come giungendo ad una hostaria, alcuni banditi lo volsero ammazzare. Poi fattoli dar da cena fa un contrasto con l’hosto; cosa molto bella, e ridiculosa, s.n.t. [1590ca]
Hamburg, Staats- und Universitätsbibliothek Hamburg Carl von Ossietzky, Scrin A/448976

*Disgratie del Zane, narrate in un sonetto di diciasette linguazi, come giongendo ad una hostaria, certi banditi il volsero amazar. Poi fattoli dar da cena fa contrasto con l’hosto, cosa bella e ridiculosa, Verona, s.n., s.d. [1590-1599]
Roma, Biblioteca Nazionale Centrale, 69. 7. C. 37. 1
Edit16 CNCE 17292

Disgratie del Zani, narate in un sonetto di diciassette linguagi, come giungendo ad una hosteria, alcuni banditi volsero amazare, e poi fattoli dar da cena fa un contrasto con l’hoste. Cosa molto bella, e ridicolosa. Di Giulio Cesare Croce, In Bologna, presso l’Erede del Cochi, s.d. [anni ’40 o ’50 del sec. XVII] Bologna, Biblioteca d’arte e di storia di San Giorgio in Poggiale, AMBROSINI OP 0844 0002 4; BNCF RARI. B. R. 292. /6; BNM C 095C 265 014; BUB ms. 3878 XI/17; Raro B 94/170; ULC F164. e. 2. 8
Bruni 127, Fava 201e

III. Maridazzo della bella Brunettina

Il testo (116 vv., inc.: «Furnit tutti i bagord, furnit la festa»; linguaggi: berg. (cornice), grazianesco, franc., spagn., fior., roman., napol., ferrar., genov., mil., bol., venez., mantov., ted.) è attribuito a Croce sulla base dell’indice 1640S, dove è registrato il titolo Il maridazzo della Bruneta; nessuna delle edizioni note reca il nome dell’autore. L’ed. modenese, per cui il catalogo della BL propone, seppure in via dubitativa, una datazione assai alta, 1575, e un’attribuzione al tipografo Paolo Gadaldini (attivo tra il 1565 e il 1593) tramanda una redazione più breve del testo (inc.: «Ognun s’ fa bel tirand su i colar delle camis»), nella quale manca la porzione iniziale, fino alla settima cauda, e si inizia ex abrupto con la sfilata di «varii linguaggi» che doveva costituire la sezione più attraente dell’opera in termini di smercio.

*Opera nova nella quale si contiene il maridazzo della bella Brunettina, sorella de Zan Tabarì canaia de Val Pelosa. Et una vilanella in dialogo napolitana, con un sonetto sopra l’agio, cosa molto dilettevole, degna da esser letta da ogni spirito gentile, In Verona per Bastiano et Giovanni da le donne fratelli, et ristampata in Brescia, 1582
Fava 410a

Opera nova nella quale si contiene il maridazzo della bella Brunettina, sorella de Zan Tabarì Canaia de Val Pelosa, con un sonetto sopra l’alio, cosa molto dilettevole, degna da esser letta da ogni spirito gentile, In Lodi, Per Vincentio Taietto, 1585
BUB ms. 3878 XXI/11
Fava 410b

Opera nuova nella quale si contiene il Maridazzo della bella Brunettina, sorella de Zan Fritada de Valpelosa, con un sonetto sopra l’agio, cosa molto dilettevole, et degna d’esser letta da ogni spirito gentile, In Venetia, In Frezzaria al segno della Regina, 1585
BNF RES-YD-1471; BUA XIII a. 58 44
Pandolfi I 215-219

Il maridazzo della bella Brunettina. Con un sonetto sopra l’aglio, In Ferrara, per il Baldini, 1609
BCA 17-SCR. BOL. F. POES. ITAL. 09, 179
Fava 410c

Il maridazzo della bella Brunettina. Con un sonetto sopra l’aglio, In Verona, Per Bortolamio Merlo, 1612
ELTEK bar. 09911/c26

Opera nova nella quale si contiene il maridazzo della bella Brunettina sorella del Zan Tabarì canaia de val Pelosa, con alcune ottave sententiose, e un sonetto di Fetonte in bona lingua bergamasca, cose molto ridiculose e belle, da spasso e da piacere, In Modona, s.n., s.d.
BL 11426. b. 73. (9.)
Bruni 256, Fava 410d

IV. Nozze del Zane

Il testo (155 vv., inc.: «A’ no ’l fu ixì superb ol mangiamet»; linguaggi: berg. (cornice), napol., roman., mil., genov., venez., bol., ferrar., spagn., romagn., piacent., moden., fior., mantov., schiavonesco, franc., ted.) è attribuito a Croce sulla base dell’indice 1640S, dove è registrato il titolo Le nozze del Zani. Il nome dell’autore compare soltanto nelle edizioni Cochi. Non mi è stato possibile consultare l’ed. Consonancie di Echo. Molto belle sopra la bellezza di madonna Laura, s.n.t. (conservata in esemplare unico alla BT), già segnalata da Bernardino Biondelli, nella quale dopo il testo principale «tròvasi un piccolo poema intitolato: Le Nozze del Zane in vari dialetti, cioè: bergamasco, napolitano, romano, milanese, genovese, veneziano, bolognese, ferrarese, romagnolo, piacentino, modenese e mantovano»: il titolo e l’ordine dei dialetti suggeriscono l’identificazione con il nostro testo.77

Il sontuoso pasto fatto nelle nozze del Zacchagna di Val Pelosa, nel quale vi se interpone sedeci linguaggi delle piu famose città d’Italia. Et con alcune villanelle alla napolitano (sic). Cosa molto ridiculosa, di gran spasso, et di sommo piacere, Macerata, appresso Sebastiano Martellini, 1593 Firenze, Biblioteca Riccardiana, N.A.U. 287-316/312
Fava 397a

Le nozze del Zane, in lingua bergamasca; nelle quali si vede sedeci linguaggi: con un capitolo in lingua toscana sopra le maschere, nuovamente poste in luce, In Verona, Appresso Francesco dalle Donne, 1606
Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek, A: 566. 1. 1 Quod. (5)

Le nozze del Zane in lingua bergamasca; nelle quali si vede sedeci linguaggi. Con un capitolo in lingua toscana sopra le maschere mouamente (sic) poste in luce, In Verona, Per Bortolamio Merlo dalle Donne, 1611 ELTEK bar. 09911/c18

Le nozze del Zane in lingua bergamasca, nelle quali si vede sedici linguaggi. Con un capitolo in lingua toscana sopra le maschere, nuovamente poste in luce, In Verona, Per Bortolamio Merlo, 1626
BUB ms. 3878, opuscoli sciolti 3; BNCF 22. B. 10. 22
Fava 397b

Le nozze del Zane, in lingua bergamasca, nelle quali si vedono sedici linguagi diferenti, Di Giulio Cesare Croce, In Bologna, presso gli Eredi del Cochi, Al Pozzo rosso da S. Damiano, 1631
BAV Stamp. Ross. 6858 (int. 2); BL 1071. g. 12. (3.); BT Triv. L. 2031. 30; BUB Raro B 94/98
Bruni 250, Fava 397c

Esordio che fa il patrone al suo servitore Zanni, esortandolo che vogli andar con lui alla guerra. Con la risposta del detto Zanni, fatta al suo patrone. Nuovamente composto et stampato. Con un pasto in lingua bergamasca, nel qual vi si interpone sedici linguaggi delle più famose città de Italia, s.n.t. [1580ca?]
BAV Stamp. Cappon. V. 681 (int. 32); BL 1071. c. 51;78 BUA XIII a. 57 12
Pandolfi I 192-196, Bruni 249, Fava 223

Opera nuova nella quale si contiene un pasto in lingua bergamasca, nel qual si vede sedeci linguaggi, con due canzoni, la prima nell’aria della bufina, et l’altra della figliuola che non vuol il vecchio per marito, cose belle da intendere, s.n.t.
BNF RES-YD-1300

Un pasto in lingua bergamasca nel qual si vede sedici linguaggi con due canzonette bellissime, s.n.t. [sec. XVI]
Lyon, Bibliothèque Municipale, Rés 36641679

Le nozze del Zagni in lingua bergamascha, nella quale si vedono sedici linguagi tutti diferenti, Di Giulio Cesare Croce, In Bologna, per gli Eredi del Cochi, sotto le Scuole, s.d.
BNM C 095C 265 028; BPR Mt p 15588; BT Triv. L2490/II/64; BUB ms. 3878 XII/3; ULC F164. e. 2. 4
Bruni 251, Fava 397e

V. Questione di varii linguaggi

Il testo (362 vv., inc.: «Un giorno mi trovai a una baruffa»; linguaggi: it. (cornice), ferrar., mantov., bol., romagn., berg., fior., sicil., venez., franc., reggiano, moden., spagn., pedantesco, giudeo-italiano, furbesco, genov., socioletto dei cappelletti, ted.) è l’unica sonettessa “di varii linguaggi” la cui attribuzione a Croce sia del tutto indubitabile: lo si trova registrato, infatti, oltre che nell’indice 1640S (con il titolo: Questione di varij linguagi), anche nell’i. aut., con il titolo Barrua di vari lenguaggi, e in quello del 1608M (Barrua di vari linguaggi); che anche il titolo Barrua corrisponda al nostro testo è provato dall’incipit.

Questione di varii linguaggi, dove s’intende le ragioni allegate da diversi galant’huomini corsi a questo rumore per farli far la pace, e finalmente come un tedesco gli accorda, con patto d’andare tutti insieme all’hosteria. Opera nuova, ridicolosa, e bella, composta dal già M. Giulio Cesare Croce, In Bologna, Per il Benacci, 1612
BL 1071. g. 7 (36); Roma, Biblioteca Casanatense, VOL MISC. 17 24
Bruni 286, Fava 461a

Questione di varii linguaggi, dove s’intende le ragioni allegate da diversi galant’homini corsi a questo rumore per farli far la pace: e finalmente, come un todesco gli accorda, con patto d’andar tutti insieme all’hosteria. Opera nuova, ridicolosa, e bella, composta dal già M. Giulio Cesare Croce, In Bologna, al Pozzo rosso, 1618
BCA A.V.G. IX. 1 op. 075
Fava 461b

Questione di varii linguaggi dove s’intende le ragioni allegate da diversi galant’huomini corsi a questo rumore per farli far la pace. E finalmente, come un todesco gli accorda, con patto d’andar tutti insieme all’hosteria. Opera nuova, ridicolosa, e bella, composta dal già M. Giulio Cesare Croce, In Bologna, Per Bartol. Cochi, al Pozzo rosso, 1620
BCA 17-SCR. BOL. F. POES. ITAL. 09, 067; BPR Mt p 15637
Fava 461c

*Questione di varii linguaggi, dove s’intende le ragioni allegate da diversi galant’huomini corsi a questo rumore per farli far la pace [...], composta dal già M. Giulio Cesare Croce, In Bologna, et poi in Trevigi, Presso Angelo Righettini, 1623
Fava 461d

Questione di varii linguaggi, dove s’intende le ragioni allegate da diversi galant’huomini corsi a questo rumore per farli far la pace [...], composta da Giuglio Cesare Croce, In Bologna, per gli Eredi del Cochi, 1628
BCA 17-SCR. BOL. F. POES. ITAL. 09, 117; BT Triv. L. 2031. 21
Fava 461e

Questione di varii linguagi, dove s’intende le ragioni allegate da diversi galantuomini corsi a questo rumore per farli far la pace [...], di Giulio Cesare Croce, In Bologna, presso gli Eredi del Cochi, al Pozzo rosso da S. Damiano, 1631
BU Raro B 94/97; BNM C 025C 266 026
Fava 461f

Questione di varij linguaggi, dove s’intende le ragioni allegate da diversi galant’homini corsi a questo rumore, per farli far la pace [...], Di Giulio Cesare Croce, In Bologna, per l’Erede del Cochi, incontro lo Studio, s.d. [anni ’40 o ’50 del sec. XVII]
BCA A.V.G. IX. 1 op. 146
Fava 461k

*Questione di varii linguaggi, dove s’intende le raggioni allegate, da diversi galant’huomini, corsi a questo rumore per farli far la pace [...], del Croce, In Bologna, per l’Ere. del Cochi, incontro lo Studio, s.d.
Fava 461l

Questione di varii linguagi dove s’intende le ragioni allegate da diversi galant’huomini corsi a questo rumore per farli far la pace [...], del Croce, In Bologna, presso gli Eredi del Cochi, s.d.
BCA A.V.G. IX. 1 op. 304
Fava 461i

*Questione di varii linguagi dove s’intende le ragioni allegate da diversi galat’huomini, per farli far la pace [...], composta dal Croce, In Bologna, per gli eredi del Cochi, al Pozzo rosso da S. Damiano, s.d.
Fava 461j

Questione di varii linguaggi dove s’intende le ragioni allegate da diversi galant’huomini corsi a questo romore per farli far la pace [...], del Croce, In Bologna, per Girolamo Cocchi, s.d. [seconda metà sec. XVII]
BCA 17-SCR. BOL. F. POES. ITAL. 09, 146; BUB ms. 3878 III/12
Fava 461h

*Questione di varii linguaggi, Bologna, Girolamo Cocchi, s.d.
Fava 461n

*Questione di varij linguaggi, Milano, Giovanni Battista Malatesta, s.d.
Forlì, Biblioteca Comunale Aurelio Saffi, T 291. 4
Cfr. Rosaria Campioni, Giulio Cesare Croce nelle biblioteche dell’Emilia-Romagna: una prima ricognizione, in R. L. Bruni, R. Campioni e D. Za cani, Giulio Cesare Croce dall’Emilia all’Inghilterra, cit., pp. 171-208: p. 208.

*Questione di varii linguaggi dove s’intende le ragioni allegate da diversi galant’huomini corsi a questo rumore per farli far la pace [...], del Croce, In Bologna, per Antonio Pissarri, s.d.
Fava 461m

____________

1 Cfr. Olindo Guerrini, La vita e le opere di Giulio Cesare Croce, Bologna, Zanichelli, 1879 (rist. anast. Bologna, Forni, 1969), pp. 120 e 128; Monique Rouch, Les communautés rurales de la campagne bolonaise et l’image du paysan dans l’œuvre de Giulio Cesare Croce, Lille, Atelier National de reproduction de thèses, 1984, vol. I, p. 475.

2 Cfr. Luca D’Onghia, Sfortune filologiche di Giulio Cesare Croce, «Nuova Rivista di Letteratura Italiana», XVIII (2015), pp. 137-191, p. 182. Si vedano alcune recenti edizioni critiche di testi di Croce in dialetto bolognese: Fabio Foresti e Monique Rouch, L’edizione critica di un’opera in ‘lingua materna bolognese’ di Giulio Cesare Croce. ,«La scavezzaria della caneva del Barba Plin da Luvolè», «Rivista Italiana di Dialettologia. Lingue dialetti società», XXXVIII (2014), pp. 205-253; L. D’Onghia (a cura di), Giulio Cesare Croce autore plurilingue. Testi e studi, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2017, pp. 39-83, 107-172.

3 Per un inquadramento della produzione plurilingue di Croce cfr. M. Rouch, Les communautés rurales, cit., pp. 479-485; Fabio Foresti, Per una lettura critica dell’opera di Giulio Cesare Croce, «Rivista Italiana di Dialettologia. Lingue dialetti società», XXXVI (2012), pp. 193-234: pp. 194-196; L. D’Onghia, Sfortune filologiche, cit., pp. 182 e 189-191.

4 Cfr. Valentina Nieri, I gran cridalesmi che si fanno in Bologna nelle Pescarie tutta la Quaresima, in L. D’Onghia (a cura di), Sfortune filologiche di Giulio Cesare Croce, cit., pp. 135-172.

5 I parenti godevoli, opera piacevolissima, nella quale s’introduce un ridutto di gentilhuomini & gentil donne a metter ceppo insieme [...], del Croce, In Bologna per gli Heredi di Gio. Rossi, 1599, pp. 48-51. L’opera è edita criticamente in Giulio Cesare Croce, L’eccellenza e trionfo del porco e altre opere in prosa, a cura di Monique Rouch, Bologna, Pendragon, 2006, pp. 251-297 (la Serenata si legge alle pp. 289-292).

6 Serenata ridicolosa, overo cantata del Dottor Gratiano e Pedrolino, in lode delle loro innamorate, di Giulio Cesare Croce, In Bologna, per Girolamo Cochi, al Pozzo rosso, s.d.

7 Cfr. Giulio Cesare Croce, La Farinella, a cura di Pietro Cazzani, Torino, Einaudi, 1965.

8 I freschi della villa dove si contengono barzellette, canzoni, sdruccioli, disperate, grotteschi, bischicci, pedantesche [...], composti dal già M. Giulio Cesare Croce, In Bologna, Ristampata in Firenze, Alle Scale di Badia, 1617, pp. 54-57.

9 Cfr. Diego Zancani, Una «imperfettissima perfettione»: scelta di testi di G. C. Croce conservati alla British Library, in Roberto L. Bruni, Rosaria Campioni e Diego Zancani, Giulio Cesare Croce dall’Emilia all’Inghilterra. Cataloghi, Biblioteche e Testi, Firenze, Olschki, 1991, pp. 209-354: pp. 339-349.

10 Conservato alla Biblioteca Universitaria di Bologna, ms. 3878 XXV/2, con il titolo Operette da stampare. Si indica questo indice con la sigla i. aut.

11 Descrittione della vita del Croce. Con una esortatione fatta ad esso, da varij animali ne’ lor linguaggi, a dover lasciare da parte la Poesia. E dui indici, l’uno dell’opere fatte stampare da lui fin ad hora; l’altro di quelle che vi sono da stampare. Et altre Opere curiose e belle, In Bologna, Appresso Bortolomeo Cocchi, al Pozzo Rosso, 1608, pp. 37-45. L’indice è suddiviso in due parti: Indice dell’opere stampate fin’adesso e Indice dell’opere non stampate (disponibili soltanto manoscritte a quell’altezza cronologica), che si siglano rispettivamente 1608S e 1608M. Di 1608S esiste anche una redazione leggermente diversa, pubblicata dallo stesso editore come manifesto: Indice di tutte l’opere di Giulio Cesare dalla Croce, date da lui alla stampa fin a quest’anno 1608, appresentato all’illustrissima città di Bologna, In Bologna, Appresso Bartolomeo Cocchi, al Pozzo rosso, 1608.

12 Tre indici di tutte l’opere di Giulio Cesare Croce. Il Primo contiene tutte l’Opere fino ad hora stampate, il Secondo tutte l’Opere manuscritte dal medessimo e non stampate, nel Terzo tutte l’Opere che non si ritrovano, In Bologna, per gli Eredi del Cochi, 1640. L’indice delle opere che non si ritrovano è diviso a sua volta in Opere che si crede siano stampate e Opere che si crede siano scrite a mano. Si fa riferimento a questi quattro indici rispettivamente con le sigle 1640S, 1640M, 1640S n.r., 1640M n.r.

13 O. Guerrini, La vita e le opere di Giulio Cesare Croce, cit., pp. 319-504.

14 M. Rouch, Bibliografia delle opere di Giulio Cesare Croce, «Strada Maestra», 17 (1984), pp. 229-272.

15 Roberto L. Bruni, Giulio Cesare Croce nelle biblioteche inglesi, in R. L. Bruni, R. Campioni e D. Zancani, Giulio Cesare Croce dall’Emilia all’Inghilterra, cit., pp. 11-170.

16 Vladimir Fava, Saggio di una bibliografia delle opere di Giulio Cesare Croce, «Strada maestra», 68-71 (2010-2013), 1, pp. 39-47 (il saggio è scaricabile liberamente all’indirizzo http://maglioeditore.it/2014/06/02/strada-maestra/ data dell’ultima consultazione: 27/06/2020).

17 i. aut., 1640M.

18 i. aut., 1608M, 1640M n.r.

19 i. aut., 1608M.

20 Cfr. Chiara Kravina, Un rifacimento bolognese di un episodio dell’Orlando Furioso: l’Abbatimento di Rugiero e Rodomonte di Giulio Cesare Croce, in L. D’Onghia (a cura di), Sfortune filologiche, cit., pp. 107-133.

21 Le ventisette mascherate piacevolissime del Croce dalle quali pigliandosi l’inventioni si possono fare concerti dilettevoli et gratiosi, per passatempo il Carnevale, In Venetia, Appresso Nicolò Polo (con dedica del 20 dicembre 1603), pp. 34-37.

22 Dispute fra Cola et Arlechino, e L’incauto con il tempo. Operete piacevole, di Giulio Cesare Croce, In Bologna, per gli Eredi del Cochi, 1628, cc. [1]v-[2]v.

23 Sbravate, razzate, & arcibullate dell’arcibravo Smedolla vossi, sfonna pietti, sbrana leoni, sbudella tigre, ancidador delli huomini muorti, chillo che frange li monti e spacca lo monno per lo miezo, et in somma l’arcibravura, terrore e tremor della Tierra e dell’Infierno, Di Giulio Cesare dalla Croce, In Bologna, per Bartolomeo Cochi, al Pozzo Rosso, 1612.

24 Invettiva ridicolosa che fa un romagnolo contro Selino gran Turco, in lingua romagnola, Del già Giulio Cesare Croce, In Bologna, per Bartolomeo Cochi, al Pozzo rosso, 1612.

25 Cfr. Francesco Rustici, Dialetti di confine ai margini della letteratura. La Bravata di Babino dalla Torre di Cavodicuol con Bartolina vezzosa di Pian di Mugello. Opera da ridere di Giulio Cesare Croce, in L. D’Onghia (a cura di), Sfortune filologiche, cit., pp. 173-191.

26 Cfr. Silvia Terenghi, Il Testamento ridicoloso d’un contadin del Ferrarese, in L. D’Onghia (a cura di), Sfortune filologiche, cit., pp. 193-222.

27 Rissa tremenda fra Mardocai e Badanai, con il festino, colatione e musica fatta da loro in segno di pace. Opera piacevole e da ridere, di Giulio Cesare Croce, In Bologna, per gli Eredi del Cochi, 1629.

28 I freschi della villa, cit., pp. 46-49.

29 Le ventisette mascherate, cit., pp. 13-14.

30 G. C. Croce, Il tesoro; Sandrone astuto. Due commedie inedite, a cura di Fabio Foresti e Maria Rosa Damiani, Bologna, CLUEB, 1982, p. 151.

31 1640M.

32 1640M.

33 Cfr. almeno Gianfranco Folena, Le lingue della commedia e la commedia delle lingue, in Scritti linguistici in onore di Giovanni Battista Pellegrini, 2 voll., Pisa, Pacini, 1983, vol. I, pp. 1485-1513, poi in Id., Il linguaggio del caos. Studi sul plurilinguismo rinascimentale, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, pp. 119-146, e il recente contributo di Ivano Paccagnella, Le lingue della commedia. Il plurilinguismo nel teatro rinascimentale (e oltre), in Nicola De Blasi e Pietro Trifone (a cura di), L’italiano sul palcoscenico, Firenze, goWare & Accademia della Crusca, 2019, pp. 21-32.

34 L. D’Onghia, Drammaturgia, in Giuseppe Antonelli, Matteo Motolese e Lorenzo Tomasin (a cura di), Storia dell’italiano scritto, II. Prosa letteraria, Roma, Carocci, 2014, pp. 153-202, p. 192.

35 Romancina de dicisette linguaggi; fatta in Venetia una sera di Carnevale a certe corteggiane famose. Opera bella, e molto dilettevole, con un bellissimo Insonnio del Zane in lingua bergamasca, In Verona, Appresso Francesco dalle Donne, 1600. Unico esemplare noto: Wolfenbüttel, Herzog August Bibliothek A: 566.1.1 Quod. (4); Romancina de dicisette linguaggi, fatta in Venetia una sera di Carnevale, a certe corteggiane famose. Opera bella, e molto dilettevole, con un bellissimo Insonnio del Zane, in lingua bergamasca. Data in luce da Zan Polpetta, In Venetia, Presso il Bonfadino, 1610. Unico esemplare noto: Cambridge (Massachusetts), Harvard Library 26222.43.25* (51).

In questa sonettessa di 149 vv., con incipit «Me trovè l’altra sira a un’hostaria», si incontrano “solo” dodici linguaggi (diversamente da quanto annunciato nel titolo): bergamasco, veneziano, mantovano, bolognese, milanese, napoletano, fiorentino, spagnolo, tedesco, genovese, francese, piemontese. Il titolo Romanzina di linguaggi è registrato nell’indice 1640S, ma, secondo M. Rouch, Bibliografia delle opere di Giulio Cesare Croce, cit., p. 263 (seguita da V. Fava, Saggio di una bibliografia, cit., num. 485) sarebbe da associare al testo manoscritto non autografo che si legge a c. 81r del ms. 3878 XIV/30 della Biblioteca Universitaria di Bologna, con l’intitolazione «Romanzina di Linguaggi composta dal m. Giulio Cesare Croci», e incipit «L’autro iurno en Chiazza da serra». Come si argomenterà in un’altra sede, l’attribuzione a Croce di questo testo è da considerarsi piuttosto problematica; è invece possibile individuare notevoli punti di contatto tra la Romancina de dicisette linguaggi a stampa e le sei sonettesse plurilingui attribuite a Croce.

36 Si cita dalla seguente edizione: Gioco della sposa. Opera nova e piacevole, dove s’introduce una compagnia di cavaglieri e dame in un ridutto a far de’ giochi, ne’ quali si sentono molte argutie, motti, linguaggi, enimmi, et altre cose piacevoli, Di Giulio Cesare dalla Croce, In Bologna, presso Bartolomeo Cochi, 1615.

37 Veglia carnevalesca del Croce, nella quale s’introducono un bellissimo drapello di cavallieri et di dame a danzare, et si sentono varij linguaggi, & canzoni, et in ultimo una bella mascherata d’ortolane, che vendono del latte. Opera nova, bella, e di grandissimo spasso, In Bologna, per Bartolomeo Cochi, al Pozzo rosso, 1620.

38 Cfr. Alfredo Stussi, Lingua, dialetto e letteratura, in Storia d’Italia, I. I caratteri originali, Torino, Einaudi, 1972, pp. 677-728, poi in Id., Lingua, dialetto e letteratura, Torino, Einaudi, 1993, pp. 3-63: p. 30, dove lo studioso, senza nominare Croce, a proposito degli opuscoli con testi “alla bergamasca” stampati a partire dalla metà del Cinquecento, scrive che «la tendenza alla caratterizzazione dialettale dei personaggi non bergamaschi si manifesta fino all’estremo virtuosistico di alternare, come è dichiarato spesso nel titolo, perfino sedici o diciassette parlate “delle più strane famose città d’Italia”».

39 Cfr. Giuseppe Trenti, Voci di terre estensi. Glossario del volgare d’uso comune (Ferrara Modena), da documenti e cronache del tempo, secoli XIV-XVI, Vignola (MO), Fondazione di Vignola, 2008, s. v. capeleto.

40 Luciano Mariti, Commedia ridicolosa. Comici di professione, dilettanti, editoria teatrale nel Seicento. Storia e Testi, Roma, Bulzoni, 1978, p. CLXXIII per l’espressione cit. e 107-206 per l’edizione della commedia di Verrucci.

41 Cfr. Gianmario Merizzi, Giulio Cesare Croce e la musica, in Zita Zanardi (a cura di), Le stagioni di un cantimbanco. Vita quotidiana a Bologna nelle opere di Giulio Cesare Croce, Bologna, Compositori, 2009, pp. 243-255: pp. 244-245.

42 Cfr. V. Nieri, I gran cridalesmi che si fanno in Bologna nelle Pescarie tutta la Quaresima, cit., p. 139.

43 Cfr. Federico Baricci, Sogno del Zambù in lingua bergamasca, descritto in un soneto di molti linguaggi, in L. D’Onghia (a cura di), Sfortune filologiche, cit., pp. 7-37. Per le Disgratie del Zane cfr. G. C. Croce, Opere dialettali e italiane. Il mondo visto dal basso, a cura di Vladimir Fava e Ilaria Chia, Roma, Carocci, 2009, pp. 184-199, dove il testo è pubblicato sulla base dell’edizione Cochi 1621 senza il riscontro di altri testimoni.

44 Cfr. D. Zancani, Una «imperfettissima perfettione», cit., p. 225.

45 Vito Pandolfi (a cura di), La Commedia dell’Arte. Storia e testo, 6 voll., Firenze, Le Lettere, 1988, vol. I (ed. or. 1955).

46 Ivi, p. 162.

47 Cfr. ad esempio il fondamentale studio di Maria Luisa Altieri Biagi, Appunti sulla lingua della commedia del Cinquecento, in Atti del Convegno sul tema: Il teatro classico nel ’500, Roma, 9-12 febbraio 1969, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1971, pp. 253-300, poi con il titolo Dal comico del «significato» al comico del «significante», in Ead., La lingua in scena, Bologna, Zanichelli, 1980, pp. 1-57: p. 23. Nella raccolta di Pandolfi figura un solo testo tipologicamente del tutto affine ai nostri per cui non risulti documentata l’attribuzione a Croce: Opera nuova non più stampata, con un sonetto delle nozze di Zan Panza di Pegora, alias Simon, fatte in la Vala di Bufet, con molti lenguaggi di diversi paesi, che concorsero a quelle nozze, Venezia, al segno della Regina, 1585 (vol. I, pp. 226-231; inc.: «Dapò fornit la cena sontuosa»).

48 Cfr. Pietro Cazzani, L’opera teatrale di Giulio Cesare Croce, in Massimo Dursi (a cura di), Aanni e canzoni del padre di Bertoldo, Bologna, Alfa, 1966, pp. 5-36; cfr. anche Cesare Molinari, La Commedia dell’Arte, Milano, Mondadori, 1985, pp. 16 e 47.

49 Cfr. Pompeo Vizzani, Le disgrazie di Bartolino, a cura di I. Chia, Roma, Carocci, 2007.

50 Salvo diverse indicazioni, si citeranno i testi dall’edizione critica provvisoria, a cura di chi scrive, basata sulle edizioni finora consultate, per le quali si rimanda all’appendice.

51 Tratto fonetico del fiorentino popolare impiegato anche da un commediografo fiorentino (ma “plurilingue”) come Andreini: cfr. L. D’Onghia, Aspetti della lingua comica di Giovan Battista Andreini, «La Lingua Italiana. Storia, strutture, testi», 7 (2011), pp. 57-80: p. 74.

52 Cfr. Teofilo Folengo, Baldus, a cura di Mario Chiesa, Torino, UTET, 1997, libro II, vv. 100 (per Piacenza) e 103 (per Mantova).

53 Cfr. Ghino Ghinassi, Nuovi studi sul volgare mantovano di Vivaldo Belcalzer, «Studi di filologia italiana», XXIII (1965), pp. 19-172, poi in Id., Dal Belcalzer al Castiglione. Studi sull’antico volgare di Mantova e sul «Cortegiano», a cura e con una premessa di Paolo Bongrani, Firenze, Olschki, 2006, pp. 2-128, p. 80.

54 M. L. Altieri Biagi, Appunti sulla lingua della commedia del Cinquecento, cit., p. 26, n. 42.

55 Cfr. Giuseppe Olivieri, Dizionario genovese-italiano, Genova, Ferrando, 1851, s. v. tappanu.

56 G. C. Croce, Il tre. Operetta dilettevole. Con uno studio introduttivo di Charles Speroni, Firenze, Olschki, 1960.

57 Faccio riferimento al vol. edito In Bologna, per gli Eredi del Cochi, al Pozzo rosso di San Damiano, 1628.

58 Cito i vv. 103-104 dall’ed. Baldini 1609.

59 Si veda ad esempio l’ossessione per il galateo ostentata dallo spagnolo nel Sogno, vv. 33-44 e, per i testi del primo gruppo, la continenza del fiorentino nelle Nozze, vv. 115-116: «Ma noi mangiàn sì puoco e sì pulito / che sempre conserviamo l’apetito».

60 Similmente, nella commedia Il studio (1602) di Giovanni Gabrielli detto Sivello viene inscenata «una movimentata azione con finti bravi (ferrarese, genovese, romagnolo, bolognese, francese, spagnolo, che danno lo spunto per intercalare i rispettivi dialetti)» (V. Pandolfi, La Commedia dell’Arte. Storia e testo, cit., vol. V, p. 418).

61 arcuiai: letteralmente ‘raccogliate’, al congiuntivo presente; brogn: letteralmente ‘prugne, susine’, ma in senso figurato ‘colpi, botte’, come nel Baldus di Folengo; cfr. anche parm. brùgna ‘botta, percossa’ in Carlo Malaspina, Vocabolario parmigiano-italiano accresciuto di più che cinquanta mila voci, 4 voll., Parma, Carmignani, 1856-1859, s. v.; inasià: cfr. inasiar ‘apprestare, apparecchiare’ in Carlo Azzi, Vocabolario domestico ferrarese-italiano, Ferrara, Fratelli Buffa libraj-editori, 1857, s. v.; caiar: cfr. bol. cajar ‘cominciare ad aver paura, mancar d’animo’ in Carolina Coronedi Berti, Vocabolario bolognese-italiano, 2 voll., Bologna, Stab. tipografico di G. Monti, 1869-1874, s. v.; pavier: ‘carpìccio, rifrusto’ in Luigi Ferri, Vocabolario ferrarese-italiano, Ferrara, Tip. Sociale, 1889, s. v.; cfr. anche parm. paveri ‘busse, percosse’ in C. Malaspina, Vocabolario parmigiano-italiano accresciuto di più che ci quanta mila voci, cit., s. v.

62 Cfr. Dante Isella, Il Varon milanes de la lengua da Milan, in Id., Lombardia stravagante. Testi e studi dal Quattrocento al Seicento tra lettere e arti, Torino, Einaudi, 2005, pp. 221-310: p. 271.

63 Lelio bandito. Tragicomedia boschereccia di Gio. Battista Andreini fiorentino, In Venetia, Presso Gio. Battista Combi, 1624, p. 76.

64 Cfr. S. Terenghi, Il Testamento ridicoloso d’un contadin del Ferrarese, cit., p. 209.

65 Per frit cfr. Frühneuhochdeutsch fried ‘pace’.

66 M. L. Altieri Biagi, Appunti sulla lingua della commedia del Cinquecento, cit., passim.

67 Il presente contributo è stato scritto durante l’epidemia di Covid-19, che ha reso impossibile la consultazione di alcune delle edizioni individuate. Si contrassegnano con un asterisco le edizioni che non si sono potute al momento consultare. Le edizioni e i manoscritti di opere di Croce conservati a Bologna alla Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio e alla Biblioteca Universitaria sono liberamente consultabili in rete nella raccolta digitale Gli opuscoli di Giulio Cesare Croce, http://badigit.comune.bologna.it/GCCroce (data dell’ultima consultazione: 27/06/2020). Per le indicazioni relative alla datazione di edizioni sine data si fa tacitamente riferimento ai cataloghi digitali delle biblioteche dove sono conservati gli esemplari noti di tali edizioni, a Edit16. Censimento nazionale delle edizioni italiane del XVI secolo, a cura dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche, http://edit16.iccu.sbn.it/, e all’OPAC SBN, Catalogo del Servizio Bibliotecario Nazionale, https://opac.sbn.it/ (data dell’ultima consultazione: 27/06/2020).

68 Si tralascia il Sogno del Zambù, per cui si rimanda a F. Baricci, Sogno del Zambù in lingua bergamasca, cit., passim.

Per avere un quadro completo della tradizione di questi testi occorre tenere in considerazione anche le poche testimonianze manoscritte note: per i testimoni manoscritti non autografi di Disgratie, Nozze e Questione, conservati alla Biblioteca Nazionale Braidense, cfr. V. Fava 201d, 397d, 461g.

69 La data 1573 assegnata da Fava 80a alla Canzone de la casa nova e de’ tortelli è da correggere in 1585 con Edit16, cit., CNCE 14290.

70 http://nektar2.oszk.hu/ (data dell’ultima consultazione: 27/06/2020).

71 Federica Formiga, I Merlo tipografi veronesi fra Sei e Settecento. Documenti e annali, Firenze, Olschki, 2009. Nelle note editoriali Bartolomeo Merlo aggiunse spesso (fino al 1613) al proprio cognome quello del suocero Francesco Dalle Donne, da cui aveva ereditato l’attività tipografica: cfr. ivi, p. 59.

72 Data dell’ultima consultazione: 27/06/2020.

73 Cfr. Luisa Rubini Messerli, Ricerche ai margini: temi camporesiani fra Italia e Svizzera. In appendice Stanze della vita e morte di Tabarino Canaglia milanese, di possibile attribuzione a G. C. Croce, in Elide Casali e Marcello Soffritti (a cura di), Camporesi nel mondo. L’opera e le traduzioni, Bologna, Bononia University Press, 2010, pp. 267-312.

74 Cfr. M. Rouch, Bibliografia delle opere di Giulio Cesare Croce, cit., p. 267, e V. Fava, 568.

75 Esemplare digitalizzato: https://books.google.it/books?id=l95mAAAAcAAJ (data dell’ultima consultazione: 27/06/2020).

76 https://digitalisate.sub.uni-hamburg.de/de/nc/detail.html?tx-dlf%5Bid%5D=35138&tx-dlf%5Bpage%5D (data dell’ultima consultazione: 27/06/2020).

77 Bernardino Biondelli, Saggio sui dialetti gallo-italici, Milano, Bernardoni, 1853, p. 663.

78 Esemplare digitalizzato: https://books.google.it/books?id=lt5mAAAAcAAJ (data dell’ultima consultazione: 27/06/2020).

79 Ringrazio Luca D’Onghia per aver messo a mia disposizione la riproduzione fotografica di questa edizione.