Revue Italique

La poésie et les arts

OJ-italique-480

Inedite corrispondenze in versi tra Benedetto Varchi e Agnolo Bronzino

Antonio Geremicca

Questa ricerca è stata svolta nell’ambito di un mandato di «Chargé de Recherche» del Fonds de la Recherche Scientique – FNRS del Belgio. Sono grato, per i consigli e le riletture, a Lucia Aquino, Dario Brancato e Frédérique Dubard de Gaillarbois. Questo studio deve molto, inne, alla gentilezza di Paolo Celi, che ha generosamente accettato di revisionare le trascrizioni dei sonetti inediti.

I Sonetti di Benedetto Varchi

Presso lo stampatore ducale Lorenzo Torrentino, nel 1555 e nel 1557, uscirono a Firenze le due raccolte poetiche di Benedetto Varchi.1 Della prima, che nella città del giglio era apparsa con una dedica al principe Francesco de’ Medici,2 lo stesso anno sarebbe apparsa, pochissimo tempo dopo, una seconda edizione, per la tipograa veneziana di Plinio Pietrasanta; quest’ultima è introdotta da una lettera dedicatoria a Giovanni Della Casa, rmata da Giorgio Benzone.3

Le ragioni che spinsero Varchi a promuovere nello stesso anno due edizioni della medesima raccolta, edite a così breve distanza l’una dall’altra da essere quasi in concorrenza,4 potrebbero essere molteplici. Come già messo in luce dagli studi, un ruolo determinante giocò credibilmente la delusione provocata nel letterato dal lavoro poco puntuale condotto dallo stampatore.5 Il 6 di febbraio del 1555, non molti mesi prima dell’uscita del volume, Varchi scriveva difatti a Torrentino per chiedere di introdurre modiche e apportare migliorie:6 componimenti che aveva consegnato e prevedeva di inserire nel volume non erano menzionati nelle tavole; da ristampare era poi un intero sonetto destinato all’allievo e amico Lelio Bonsi.7 Nel frattempo, il letterato inviava, nondimeno, il titolo dell’opera, per rispondere alle richieste del tipografo che intendeva almeno avviare la stampa. La lettera tradisce l’inquietudine e l’imbarazzo di Varchi, preoccupato che il lavoro editoriale non fosse portato avanti con la dovuta attenzione; timori confermati, più tardi, dalle numerose imprecisioni segnalate in chiusura del volume. In molti punti, al di là di maldestre sviste tipograche, si tratta di errori grossolani: sonetti stampati due volte, numeri di pagine errati, incoerenze nella punteggiatura. Varchi non doveva essere per nulla soddisfatto, a considerare inoltre che il titolo della pagina recitava gli «errori più notabili»; altri, dunque, dovevano essercene.

In aggiunta ai problemi intercorsi con Torrentino, è lecito pensare che con l’edizione veneziana Varchi volesse dare maggiore diusione alla sua attività letteraria in laguna, tra Venezia e Padova, dove tante amicizie intellettuali aveva stretto nel corso dell’esilio, volontario, seguito alla battaglia di Montemurlo. Riprendendo un’ipotesi avanzata con cautela da Annalisa Andreoni, è probabile che il letterato tentasse di slarsi dal «giogo» cosimiano, cogliendo l’occasione di un allentamento momentaneo del suo legame col duca.8 A partire dal 1555, a causa degli ingenti costi della guerra contro Siena, Cosimo I de’ Medici aveva, difatti, sospeso lo stipendio del letterato, che aveva di conseguenza interrotto le sue lezioni presso l’Accademia Fiorentina e, una volta di più, vagava di città in città alla ricerca del sostegno degli amici, in particolare di Lorenzo Lenzi. Sulla scia di quest’ultimo si diresse prima a Orvieto e poi a Bologna, dove il vescovo aveva assunto la carica di vicelegato ponticio.9 In questa congiuntura, non sembra casuale che, tra la ne del 1554 e il principio del 1555, Varchi stringesse un forte legame pure con Giuliano Gosellini e Giovanni Vendramini, animatori della neonata Accademia dei Fenici di Milano.10 Con entrambi, e con altri intellettuali della corte milanese, sono documentati diversi scambi di sonetti, inseriti, si direbbe per il rotto della cuia, nell’ultima sezione delle rime del 1555, dal titolo Alcuni sonetti del medesimo autore, parte ritrovati nello stampare, e parte aggiunti di nuovo.11 Un gruppo nutrito di questi è consacrato all’elogio di Leone Leoni e della scultura bronzea da lui realizzata, sul nire del 1554, di Filippo II di Spagna; opera che fu esposta pubblicamente in occasione del matrimonio di Filippo con la regina d’Inghilterra Maria Tudor e della nomina dell’Asburgo a governatore di Milano.12 L’interessamento dimostrato da Varchi per Leone Leoni e per l’ambiente meneghino, inedito e circostanziato, parrebbe, insieme all’edizione veneziana, far parte di un’attenta strategia da lui messa in atto per vagliare un’alternativa a Firenze qualora il suo rapporto con Cosimo I si fosse interrotto, eventualità che a quel momento doveva apparirgli concreta.

Prescindendo da questa ipotesi, che andrà dimostrata con più solide argomentazioni, interessa rilevare il grande sforzo compiuto da Varchi per condurre a temine l’edizione dei suoi sonetti, che rappresentano una parte non trascurabile delle opere da lui pubblicate in vita, mentre è cosa notoria postume uscirono l’Hercolano e la Storia orentina, cui il letterato deve principalmente la sua celebrità.13 Il fondamentale studio consacrato da Giuliano Tanturli alla genesi di queste edizioni ha evidenziato il ne lavoro di cesello condotto da Varchi per perfezionare i suoi componimenti e organizzarli in una struttura coerente.14 Il poeta rivede di continuo la lingua e la metrica dei suoi versi, la loro disposizione nella raccolta, che smonta e rimonta più volte, no a sdoppiare in due quello che doveva essere un unico canzoniere; per l’appunto, De’ sonetti [...] parte prima (1555) e De’ sonetti [...] parte seconda (1557), quest’ultimo destinato alla poesia di corrispondenza. Diicile fu per Varchi arontare l’ordinamento di una produzione poetica sovrabbondante: non meno di cinquecento i sonetti che costituiscono la raccolta del 1555; più di quattrocento, di sua mano o dei suoi corrispondenti, quelli editi nel 1557. A questi dovranno aggiungersi i versi resi noti nelle edizioni postume: i Sonetti spirituali del 1573, raccolta uscita grazie alle cure dell’amico Silvano Razzi15 e quella, di qualche anno posteriore, dei Componimenti pastorali del 1577;16 questi ultimi comprendono solo in parte versi già editi. Consistente, inne, il gruppo delle rime mai pubblicate, perché escluse da Varchi nella preparazione dei due volumi del 1555 e del 1557, o, semplicemente, perché composte più tardi.

Davanti a una tale quantità di componimenti non sorprende lo scoraggiamento dello studioso moderno nel caso delle Filze Rinuccini, per esempio, si attende ancora un lavoro di indicizzazione dettagliata ,17 come non stupisce che, a seguito dell’edizione completa delle opere varchiane stampata a metà Ottocento,18 nessun nuovo progetto editoriale sia stato avviato in merito. La produzione lirica, che Varchi dimostrò di avere assai a cuore, ha goduto di poca fortuna e, solo di recente, all’interno di una più ampia rivalutazione critica della statura intellettuale della sua gura,19 ha cominciato a attirare l’attenzione degli studi.20

Scambi inediti tra Varchi e Bronzino

Verosimilmente all’indomani della pubblicazione dei Sonetti del 1555, si colloca un’inedita corrispondenza in versi che coinvolge Varchi e Agnolo Bronzino. Lo scambio è avviato dal pittore, con il componimento «Dolcezza grave e piano altero stile», al quale il poeta risponde con il «Troppo m’era da voi, Bronzin», s’a vile:

     Dolcezza grave e piano altero stile,
Arte profonda e pura leggiadria,
Pensier casti e soavi, e nova via
Per vecchia strada et alta gloria humile,
     Raccolto ha insieme il gran Tosco gentile,
Con celeste incredibile armonia,
Ond’uopo al famoso Arno homai non
a,
Dopo i due maggior suoi, cercar simile,
     E men teme chi ’l terzo honor gli tolga,
E sia, Sebeto e Po, con vostra pace,
E tua, che ’l dirò pure, Adria superbo,
     Cantava, e par cantando un serto avvolga
Di Lauro e dica: a te lo dono e serbo,
Rival mio V
archi, la primiera face.
     Troppo m’era da voi, B
ronzin, s’a vile
La tanto bassa e ’ncolta opera mia
Non prendevate, e ’n ver chiunche sia,
Assai le face honor, se di lei sile.
     Ma chi, che pesci il mar,
ori l’Aprile
Non desse o lume il sol, vietar porria?
Vostra troppa ver me bontà natia
Tien per caro rubin vetro ben vile.
     E ben
a chi di voi si lagni e dolga,
Ma chi può far che quel ch’al gusto piace
Non piaccia, se ben è lazzo ed acerbo?
     Altri non so se frutto alcun si colga
Del mio canto, io cantando disacerbo
Quanto d’aspro e d’amaro al cor mi spiace.21

Andando oltre le lodi di routine che contraddistinguono questo tipo di versi tra queste, il riferimento alla gloria resa dal poeta («gran Tosco gentile») all’Arno è necessario rilevare che l’elogio è innescato proprio dalla pubblicazione dei Sonetti del 1555, cui Bronzino fa riferimento nel richiamare i «pensieri casti e soavi» raccolti insieme da Varchi; tali pensieri non possono che essere le rime.

Il pittore compone, infatti, i suoi versi con sotto gli occhi l’incipit proemiale varchiano, «Quel ch’Amor mi dettò casto e sincero»,22 che quasi emenda, volgendo in elogio quello che per il poeta era ragione di preoccupazione: tanto il suo stile è per Varchi «rozzo e secco», tanto per Bronzino è «piano» e «altero». Il pittore riprende, inoltre, le parole «stile» e «humile», ponendole a sua volta in ne verso, attribuendo a «humile» la funzione di alleggerire la portata della «gloria» raggiunta dal poeta, il cui ne principale non era, lo spiegherà lui stesso nella risposta, la fama. In maniera meditata, inne, Bronzino qualica i pensieri varchiani di «casti»; «casto e sincero» è, difatti, l’amore di Varchi per Lorenzo Lenzi nel suo incipit. Come evidenziato da Laura Paolino, il poeta insiste in numerosi sonetti sulla castità dell’amore provato per il giovane, per ridurre la portata omoerotica del suo canzoniere e far passare in sordina la scelta, rivoluzionaria poiché contraria al canone, di dedicare i suoi versi a un uomo e non a una donna.23 Da parte sua, nella risposta, Varchi ringrazia Bronzino per il supporto, schernendosi: più che la qualità dei suoi versi, a detta del letterato, le parole di lode sarebbero dovute alla bontà dell’amico. Se «’incolta» è l’«opera» sua e non è certo che qualche frutto potrà esserne tratto dagli altri (v. 12), nella terzina nale, egli insiste nondimeno sul valore quasi «terapeutico» della sua poesia, per mezzo della quale disacerba «Quanto d’aspro e d’amaro al cor mi spiace».

Fig. 1. Agnolo Bronzino, Ritratto di Lorenzo Lenzi, Milano, Raccolte d’Arte Antica, Pinacoteca del Castello Sforzesco, inv. P 547.

(Copyright Comune di Milano, tutti i diritti riservati).

Parimenti a quanto accade con altri dedicatari o interlocutori dei suoi sonetti, la venerazione di Varchi per Lorenzo Lenzi è uno dei cardini delle conversazioni in rima con Bronzino, al quale il poeta era stretto da un’amicizia di lunga data, avviata almeno alla ne degli anni Venti. A documentarla è il Ritratto di Lorenzo Lenzi conservato ai Musei Civici del Castello Sforzesco (g.1), realizzato da Bronzino prima del 1530, anno della sua partenza per la corte di Guidobaldo II Della Rovere, dove si sarebbe fermato per circa un biennio.24 È questo uno dei capolavori dell’artista, a quelle date in una fase aurorale della sua carriera, che, per metterlo a punto, beneciò senza dubbio di un dialogo privilegiato con Varchi. Benché, di recente, la critica abbia espresso qualche perplessità sul riferire al letterato la commissione del dipinto,25 con una richiesta varchiana sarebbe coerente la presenza nell’opera, inserito nel libro mostrato dall’eigiato al riguardante, di un suo sonetto rivolto al Lenzi Famose Frondi, de’ cui santi honori, presentato in dialogo con il componimento O d’ardente vertute ornata et calda, da Petrarca composto in onore di Laura.26 Che nel Varchi si possa riconoscere il committente del ritratto, nondimeno, è suggerito da un altro sonetto, Voi che nel or della sua verde etate, presentato nella raccolta, rimasta inedita, dei Sonetti contro gl’Ugonotti. Nelle prime due quartine del componimento inviato a Bronzino in merito al successo raggiunto da Lorenzo Lenzi, quale vicelegato di Avignone, in uno scontro con gli Ugonotti Varchi ricorda, infatti, una sua precedente commissione all’artista di un ritratto del giovane; invitandolo, inne, nelle due terzine, a eseguire un nuovo dipinto per celebrare Lorenzo:

     Voi che nel or della sua verde etate,
Coll’alto vostro e si chiaro pennello,
A nome mio, B
ronzin, formaste il bello
Di fuor, cui par non fu mortal beltate,
     Se di me punto calvi o se curate
Di voi, coll’altro stile e non meno bello,
Formate il buon di dentro, ché con ello
Posta, vizio sarìa mortal bontate.
     Anzi scrivete e dipingnete insieme
Cercondato Avignon da quelle torme
Empie di Gesù sprezzan le norme
     E ’l mio sacro signor che l’urta e preme
Con tal virtù, che nel suo sangue immerso
Fugge l’audace e rio popolo perverso.
27

Senza troppo indugiare su questo sonetto, a proposito del quale c’è stata già l’occasione di intervenire diusamente,28 è però necessario sottolineare che la commissione in alcun modo potrà essere riferita alla famiglia del giovane che, come pure è stato suggerito, lo avrebbe richiesto prima della sua partenza per Bologna del 1532.29 Anche volendo accantonare la prova costituita dal componimento appena citato, non si comprende perché i Lenzi avrebbero voluto serbare un ricordo del glio che, per mezzo di un libro, ostentava al riguardante la devozione, inoltre problematica sul piano sociale, provata da Varchi nei suoi confronti. Anche senza il supporto del sonetto Voi che nel or della sua verde etate, il dipinto è costruito per «parlare» da solo: «Famose Frondi, de’ cui santi honori» presenta l’amore del poeta nei confronti del giovane, amore sublimato grazie all’aulico esempio oerto da Petrarca e Laura, richiamato per mezzo del componimento O d’ardente vertute ornata et calda. Quest’ultimo non è solo funzionale all’elogio di Lorenzo, nel quale uiscono per osmosi le qualità di Laura cantate da Petrarca,30 ma è anche atto a spiegare che si tratta, proprio come l’amore petrarchesco, di unamore platonico, fonte di ispirazione poetica e di venera- zione casta. A essere raccontata, difatti, è la storia di due amanti destinati a mai incontrarsi, se non nella dimensione tutta immaginaria della poesia.

Ancora intorno all’amore di Varchi per il Lenzi ruota una seconda corrispondenza in versi tra il poeta e il pittore che si vuole presentare in questa occasione e della quale era nota, sinora, solamente la proposta bronzinesca:

     Varchi, che quasi chiara amma e viva,
Poi c’ha più volte invan tentato il greve
E duro al ciel levar, leggiadra e schiva
Sen vola al proprio sito, e pura e leve,
     Cercaste hor poggio, hor valle, hor
ume, hor riva
D’amore acceso, al ver per cammin breve
D’alzarne – ahi lassi e quanto invan! che priva
Alma di gratia vuol quel che men deve.
     Hor lieve e puro a piè del sacro alloro,
Sì ben cólto da voi, vi sete assiso,
Fin vostro in terra e scala al paradiso:
     O leggiadre arti, una penna, un bel viso
Schivi del volgo, oprar, che sia di loro
Qui doppia gloria, e ’n ciel doppio tesoro.
     Qual è più,
Bronzin mio, che lieto viva
E nulla senta al cor noioso e greve?
Chi più le vili e basse cure schiva?
Chi è che più da terra alto si leve?
     A me di lungo spatio non arriva
Da che l’arbor gentil tra Garza e Sieve
Mirai, ch’ancor di libertà mi priva
Cinto la barba e ’l crin d’avorio e neve.
     E dite ver ch’io posi ogni lavoro,
Ogni mio studio intento tenni e
so,
Di che spesso hor mi son doluto hor riso,
     Per far dal volgo il volgo vil diviso,
Et hor vicino a lui, che ’n terra adoro,
Parmi d’essere in ciel nel più bel coro.
31

Il primo di questi è inserito pure nel manoscritto che raccoglie la poesia seria di Bronzino,32 dove è introdotto dall’intestazione «A Benedetto Varchi a Orvieto», non presente nelle carte varchiane. Tale precisazione permette di circoscrivere la datazione dei versi all’estate 1555, oltre a fornire la chiave di lettura per interpretare i due componimenti. Bronzino si felicita con il poeta, che, dopo tanto sorire, può ora ritrovare la fonte di ispirazione della sua poesia, Lorenzo, stargli vicino lontano dal volgo. Nella terzina di chiusura, densi di signicato sono l’invocazione alle arti leggiadre e l’accostamento della penna del letterato al volto del suo diletto, quel volto oggetto di molti versi varchiani e che Bronzino aveva, a eterna memoria, ssato nel suo ritratto. Nella risposta, Varchi appare pacicato, lieto, riunito al Lenzi, al quale tutto è devoto quasi privo di libertà, benché ormai canuto («Cinto la barba e ’l crin d’avorio e neve»), dal momento del loro primo incontro a Bivigliano, evocato nei versi. Il poeta, come aveva fatto il pittore prima di lui, insiste su questa lontananza dal volgo, in questo caso denito «vile»; volgo che tante volte gli aveva nuociuto e che ancora, in quel momento doveva aliggerlo, a causa del suo «secondo amore», Giulio della Stufa, anche lui oggetto della venerazione e della poesia varchiana nei Sonetti del 1555, oltre che di numerosi componimenti pastorali. Le attenzioni del poeta avevano insospettito la famiglia del giovane, che per questa ragione era stato inviato lontano da Firenze.33

In un momento cruciale del percorso di Varchi, alle prese con la pubblicazione dei suoi versi e lontano dalla corte medicea, Bronzino si dimostrò, ancora una volta, uno dei più fedeli amici e sostenitori del letterato, confermando quanto del loro rapporto è stato possibile desumere grazie al ritrovato interesse critico che ha riguardato, non solo Varchi, ma anche Bronzino, nella sua duplice attività di pittore cui sono state consacrate due mostre monograche, le prime in assoluto, nel 2010 34 e, nondimeno, di poeta. Che il Bronzino fosse stato poeta lo segnalava già Giorgio Vasari nelle Vite35 mentre, negli anni Venti dell’Ottocento, Domenico Moreni pubblicava i suoi versi seri e burleschi,36 ma mai la sua produzione era stata presa in considerazione con attenzione no al volume Bronzino Renaissance painter as poet di Deborah Parker,37 vero apripista su questo argomento.

La riscoperta del Bronzino poeta ha giovato alla comprensione del Bronzino pittore, ridisegnando, in maniera radicale, i contorni della sua personalità intellettuale, contribuendo a liberarlo da quella etichetta di artista manierista, orientato verso la sola forma, che per lungo tempo l’aveva connotato; ricomponendo forma e sostanza di una pittura erudita, non di rado ricca di contenuti altri e inaspettati.38 A questa metamorfosi critica che lo ha riguardato, senza dubbio, ha contribuito la documentazione rinvenuta sul suo rapporto con Varchi, che già si intuiva solido dai pioneristici studi di Alessandro Cecchi ma che non ci si aspettava di tale entità39. Tale documentazione ha permesso di mettere a fuoco il Bronzino oltre i Medici, di valutare il suo contributo all’ambiente culturale orentino, di cui fu parte attiva insieme a Varchi. Il legame che quest’ultimo strinse con Bronzino, fra tutti i rapporti che egli coltivò con gli artisti, è di certo il più duraturo, signicativo sul piano emotivo, quello che ha un evidente ritorno sulla produzione bronzinesca, artistica e poetica.

Senza troppo indugiare su questioni già note, andrà almeno ricordato che a una regia varchiana, o almeno al dialogo serratissimo tra il poeta e il pittore, vanno ricollegati, non solo il Ritratto di Lorenzo Lenzi, ma, tra gli altri, il complesso Ritratto di Ugolino Martelli40 e il Ritratto di Laura Battiferri,41 veri e propri manifesti del progetto culturale condiviso da Varchi con molti dei membri del suo entourage. Per nire, di certo debitrice di quelle conversazioni serali con Varchi e Luca Martini dedicate a Dante e Petrarca, evocate da Alessandro Allori nei suoi Ragionamenti,42 è l’intera impaginazione del Ritratto allegorico di Dante in collezione privata orentina:43 il dipinto è il solo superstite di un progetto molto più ambizioso, che prevedeva la realizzazione di ritratti di sei poeti toscani d’amore. I ritratti dovevano ornare una camera del palazzo di Bartolomeo Bettini, mercante e banchiere orentino, nella quale era collocata la Venere e Amore dipinta da Pontormo su un disegno di Michelangelo.44

Non meno centrale fu il ruolo incarnato da Varchi quale guida e nume tutelare del Bronzino poeta, del quale rivide con buone probabilità i versi e col quale scambiò rime, in diverse occasioni e sugli argomenti più disparati; tra questi: l’amore nutrito verso il Lenzi e la tensione spirituale all’elevazione attraverso la poesia; l’amarezza per le feroci dia- tribe sorte tra i ranghi dell’Accademia Fiorentina; il cordoglio per la scomparsa di cari amici o quella, tragica per tutta la corte, di Eleonora di Toledo e dei suoi gli Garzia e Giovanni; il giubilo per la guarigione del duca in seguito a un colpo apoplettico che lo aveva colpito nel 1563.45 Bronzino fu al anco di Varchi per diversi decenni e il suo nome appare sovente nelle Filze Rinuccini, al punto che è ancora possibile reperire versi inediti46 e aggiungere nuovi tasselli per la ricostruzione dell’attività di Bronzino, pittore e poeta, e di Varchi quale teorico delle arti e patrocinatore degli artisti.

La poesia come «fonte» per la storia dell’arte

Nel quadro appena descritto e lasciando da parte la valutazione della tenuta qualitativa della lirica varchiana, sulla quale si sono espressi e si esprimeranno gli specialisti, i versi del orentino assumono, dunque, un valore storico-documentario da non sottovalutare. Durante l’intero corso della sua vita, Varchi scrisse quotidianamente dei componimenti, piegando la poesia ai soggetti più diversi, rendendola, al pari dell’epistola, strumento di dialogo. Come hanno rilevato Domenico Chiodo e Silvano Ferrone, per Varchi la poesia è un’esperienza collettiva, che presuppone sempre un interlocutore, anche quando non si tratta di poesia di corrispondenza, poiché, quasi tutti i componimenti varchiani prevedono un destinatario, sovente esplicitato attraverso il sistema della dedica.47 I sonetti forniscono, dunque, notizie preziose, supplendo in qualche misura alla perdita del suo carteggio, che si conserva solo in minima parte.48 Attraverso i versi, è possibile seguire il suo percorso di vita, le sue peregrinazioni, prima e dopo l’esilio; conoscerne le delusioni e gli entusiasmi, anche rispetto a specici avvenimenti; interpretare i dialoghi con i più importanti letterati della sua epoca; contestualizzare le ragioni dei rapporti intrecciati con molti principi italiani, membri del clero, condottieri. La sua poesia, non esclusivamente consacrata all’amore, attraversa temi religiosi e losoci, letterari e artistici; argomenti che non sono arontati per mezzo di una riessione solipsistica ma traslati in una dimensione collettiva. Da questi scambi si desume una quantità di dati rilevanti in merito al letterato e, ancora, a proposito dei suoi interlocutori, specialmente quando si tratta di ricostruire i minori, per i quali altre fonti documentarie non sono disponibili.49 Se questo aspetto appare con evidenza a sfogliare le rime edite che analizzate pure solo nell’ottica nella ricostruzione del reseau del letterato su scala italiana consentono di chiarire dinamiche, più o meno importanti, degli scambi culturali dell’intera penisola in materia di letteratura, arte, religione, losoa si conferma nell’esaminare le Filze Rinuccini. Qui si scoprono dialoghi insospettati e personaggi non presenti nelle poesie edite; inne, corrispondenze che dai Sonetti del 1557 sembravano trascurabili, essere parte, viceversa, di ampi carteggi in versi.

Per la storia dell’arte questi componimenti forniscono informazioni di rilievo benché solo di rado, o forse per nulla, abbiano attirato l’attenzione degli specialisti. In primis, le carte varchiane costituiscono un accesso alla produzione poetica di molti artisti della corte medicea (tra questi Vincenzo Danti, Domenico Poggini, Antonio Crocini, Giovan’Angelo Montorsoli, Stoldo Lorenzi, ed altri), parte della quale non sarebbe altrimenti nota e che si aerma essere una realtà importante in aggiunta ai casi eccezionali, per qualità e quantità, costituiti da Agnolo Bronzino, Benvenuto Cellini, Michelangelo Buonarroti.50 Tale produzione poetica e il dialogo costruito da questi artisti con Benedetto Varchi svelano dettagli signicativi sul bagaglio di erudizione posseduto dagli artisti orentini del Cinquecento, sulla loro partecipazione ai circuiti accademici, valutando il loro contributo all’ambiente culturale cittadino, e non limitatamente al campo delle arti visive.

Non meno rilevante è la messa in luce di episodi specici, che aggiungono notizie non trascurabili sul Varchi e i suoi rapporti con gli artisti, oltre le conversazioni dedicate ai soggetti più elevati. È questo il caso del prima inedito scambio di sonetti tra il letterato e Domenico Poggini, in merito alla medaglia da lui realizzata del letterato,51 reso noto da Diletta Gamberini: «Varchi, chiaro splendor del secol nostro», dello scultore al poeta e «Poggino, il cui desio, le perle e l’ostro», del poeta in risposta.52 I sonetti hanno facilitato la comprensione del soggetto prescelto per il recto della medaglia e chiarito le ragioni dell’esecuzione della stessa, che si è rivelata essere un dono oerto dello scultore. La questione dei doni tra letterati e artisti è un aspetto cruciale delle dinamiche tra arti e lettere nel Cinquecento, in vero, poco sondato dagli studi.53 Se, come osservato dalla critica,54 Varchi, diversamente da Pietro Bembo e Giovanni Della Casa, non ebbe le possibilità nanziarie per imporsi quale mecenate e per costruire una propria collezione, il denso scambio da lui instaurato con gli artisti, dovette origli la possibilità di raccogliere un numero non indierente di opere d’arte. Non solo la medaglia di Domenico Poggini il quale, tra l’altro, doveva essere avvezzo a questo sistema, a voler considerare che orì in dono una medaglia pure a Lodovico Domenichi 55 ma, tra gli altri, il già menzionato Ritratto di Lorenzo Lenzi dipinto da Agnolo Bronzino o l’eigie di Giulio Della Stufa, richiesta a Alessandro Allori, come lo dimostra la lettera inviata dal giovane a Varchi l’8 marzo del 1555.56 Sebbene questa proposta resti, al momento, allo stadio di ipotesi da dimostrare, anche queste due opere furono probabilmente oerte in dono al letterato, che del resto non mancava di sostenere i suoi amici artisti laddove ne avesse la possibilità, rivedendone i testi, tra questi la Vita di Benvenuto Cellini,57 o consegnando loro la gloria eterna, nel dedicargli componimenti o nel metterli a confronto con gli antichi.

Le informazioni che si possono trarre dai sonetti, contestualmente a quelle fornite da altre fonti, dimostrano, inne, in merito a Benedetto Varchi, che il suo interesse per le arti non si espresse nelle sole Due Lezzioni del 1550, in quanto teorico, ma lo riguardò quale commit- tente, iconografo e promotore di artisti,58 aggiungendo uno spessore insospettato al suo contributo in questo campo. Tale contributo andrà vagliato ulteriormente anche in merito alle Due Lezzioni, per le quali, si ricorderà, non esiste un’edizione del testo nella sua interezza poiché a essere pubblicata è, generalmente, la sola Inchiesta sulla maggioranza delle arti –59 e manca uno studio che le ricontestualizzi nella produzione varchiana, non in termini di eccezionalità, ma di continuità con la Poetica elaborata, a partire dai testi aristotelici, in altre lezioni da lui tenute in seno all’Accademia Fiorentina.60

Annexe

Nel presentare i testi, accenti, apostro e punteggiatura sono stati conformati all’uso moderno.

I
BNCF
, Filze Rinuccini, 7, c. 329r; Filze Rinuccini, 6, c. 83r.
Di Benedetto Varchi a Agnolo Bronzino

     Da quell’ombrosa a me sì cara landa,
Dove più ch’altro mai superbo monte
Erge in
n presso al ciel l’altera fronte
E sé di sé medesmo orna e ’nghirlanda,
     
Dolce pensiero ad hor ad hor mi manda
Amor, perch’ all’orecchie mi racconte:
Delle frondi, due volte al mondo conte,
Le chiome t’ornarà verde ghirlanda.
     Io, che di lui mi do e che vorrei
In memoria di quelle che tanto amo,
L’ascolto intento e gliele credo al
ne.
     Così spero, Bronzin, quel che più bramo,
Non fosse ciò: come tante potrei
Lieto sorir, che sì pungommi spine?

II
BNCF, Filze Rinuccini, 7, c. 329v; Filze Rinuccini, 6, c. 85v.
Di Benedetto Varchi a Agnolo Bronzino

     Anzi, parte in pietate e parte in riso,
Con puro il volge e così dolce a
etto,
Che da quel sì felice e benedetto
Giorno, ch’ella hebbe me da me diviso,
     Huom non fu, né a mai, per quanto avviso,
Di me più lieto: oh sacro hermo ricetto,
Dove io sopra alto verde colmo eletto
Sostenni da vicin mirarla e
so.
     Di tanti or, quanti hoggi frutti piena,
Verdeggiava anzi Aprile e tale odore
Spargea, duo lustri non compiti a pena,
     Ch’io mossi riverente a farle honore,
E per vita menar sempre serena,

L’ingegno le sacrai, la penna e ’l core.

____________

1 Benedetto Varchi, De’ sonetti [...] parte prima, In Fiorenza, appresso M. Lorenzo Torrentino, 1555; id., De’ Sonetti [...] parte seconda, in Fiorenza, appresso M. Lorenzo Torrentino, 1557.

2 La lettera è datata al giorno del Corpus Domini, 12 giugno 1555.

3 Id., I sonetti di M. Benedetto Varchi, novellamente messi in luce, In Venetia, per Plinio Pietrasanta, 1555. La lettera è datata 1 luglio 1555.

4 Annalisa Andreoni, La via della dottrina. Le lezioni accademiche di Benedetto Varchi, Pisa, Edizioni ETS, 2012, pp. 25-29.

5 Vanni Bramanti, Corrispondenza e corrispondenti nel secondo libro dei Sonetti di Benedetto Varchi, «Italique», XIX (2016), pp. 88-112.

6 B. Varchi, Lettere, V. Bramanti (a cura di), Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2008, no 88, pp. 152-153.

7 Sul personaggio cfr. Gianni Ballistreri, Bonsi, Lelio, in Dizionario Biograco degli Italiani (DBI), XXII, Roma, Treccani, 1971, pp. 387-388.

8 Andreoni, La via della dottrina, cit., p. 28.

9 Sul Lenzi cfr. Stefano Simoncini, Lenzi, Lorenzo, in DBI, LXIV, 2005, pp. 389-392.

10 Sull’Accademia dei Fenici cfr. Simone Albonico, Il ruginoso stile. Poeti e poesia in volgare a Milano nella prima metà del Cinquecento, Bologna, Franco Angeli, 1990, pp. 235-272, 290-322.

11 B. Varchi, De’ sonetti [...] parte prima, cit., pp. 261-266 e, in part., pp. 262-265 per i componimenti dedicati alla statua di Filippo II di Spagna. Rispetto alle consuetudini varchiane, i versi dedicati alla scultura di Leone Leoni costituiscono un gruppo veramente corposo e comprendono anche epigrammi latini (id., Liber Carminum Benedecti Varchi, Aulo Greco (a cura di), Roma, ABETE, 1969, nno 220-224, pp. 135-137). Nello stesso 1555, versi del letterato e della sua cerchia più ristretta – Michelangelo Vivaldi, Lelio Bonzi e Lucio Oradini – dedicati al Leoni, con due di mano di Giuliano Gosellini, appaiono in Lodovico Dolce, Libro Quinto delle rime di diversi illustri signori napoletani, e d’altri nobilissimi ingegni [...], In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de Ferrari et fratelli, 1555, pp. 487-490. Su questo argomento cfr. Antonio Geremicca, Il «Cavaliere Inesistente». Benedetto Varchi su Leone Leoni e la statua bronzea di Filippo II di Spagna (1554-1555), «Marburger Jahrbuch für Kunstwissenschaft», 2018 (ma 2019), pp. 161-184. Al gruppo di sonetti discussi in quella sede, ne vanno aggiunti altri quattro scambiati tra Benedetto Varchi, Giovanni Vendramini e Giuliano Gosellini: «Varchi, che hoggi il ciel gioioso e solo», di G. Vendramini a B. Varchi (BNCF, Filze Rinuccini, 4, f. 152v; Filze Rinuccini, 7, f. 356r); «Vendramin, non io l’estremo volo», di B. Varchi in risposta (Filze Rinuccini, 4, f. 153r; Filze Rinuccini, 7, f. 356r); «Varchi, tosco Mirone e tosco Apelle», di G. Gosellini a B. Varchi (Filze Rinuccini, 4, f. 162v; Filze Rinuccini, 7, f. 356v); «Innalza spesso alla più chiare stelle», di B. Varchi in risposta (Filze Rinuccini, 4, f. 163r; Filze Rinuccini, 7, f. 356v). Nel secondo scambio, si tratta di un elogio congiunto di Leone Leoni e Giorgio Vasari. I versi, sul fronte varchiano, sono inediti, ma potrebbero essere stati stampati dagli altri due autori, benché nora non sia stato possibile trovarne traccia.

12 Sulla scultura di Leone Leoni, che, è noto, fu rinettata e rilavorata più tardi dal glio Pompeo, da qui la doppia rma apposta nel 1564 sulla base dell’opera cfr. Michael Ph. Mezzatesta, Imperial themes in the sculpture of Leone Leoni, PhD. Diss., I, New York University, 1980, pp. 108-111; Rosario Coppel Aréizaga, in Juan Urrea Fernández (a cura di), Los Leoni (1509-1608). Escultores del Renacimiento italiano al servicio de la corte de España, Madrid, Museo del Prado, 1994, cat. 10, pp. 128-130; R. Coppel Aréizaga (a cura di), Museo del Prado. Catalogo de la escultura de época moderna Siglos XVI-XVIII, Madrid, Museo del Prado, 1998, cat. 20, pp. 92-95; Walter Cupperi, «Leo faciebat», «Leo et Pompeius fecerent»: autorialità multipla e transculturalità nei ritratti leonini del Prado, in Leone & Pompeo Leoni, in S. F. Schröder (a cura di), Atti del convegno (Madrid, Museo del Prado, ottobre 2011), Turnhout, Brepols, 2012, pp. 66-84.

13 Come sottolineato da Annalisa Andreoni, la diusione degli scritti di Varchi non fu facilitata da Torrentino, che pubblicò – con qualche eccezione costituita dall’edizione delle Prose di Pietro Bembo del 1548 o dalle Due Lezzioni del 1550 – solo opere direttamente richieste dai duchi. Tra queste: l’orazione funebre di Stefano Colonna e quella di Maria Salviati; ancora la traduzione del De Consolatione Philosophie di Boezio e del De Beneciis di Seneca. A. Andreoni, La via della dottrina, cit., pp. 20-24. Le lezioni del Varchi, per esempio, diversamente da quelle di altri accademici orentini, furono edite, nel corso degli anni Cinquanta, grazie all’attività editoriale di Giunti. Ibidem, pp. 30-37.

14 Giuliano Tanturli, Una gestazione e un parto gemellare: la prima e la seconda parte dei Sonetti di Benedetto Varchi, «Italique», VII (2004), pp. 43-100. Questo lavoro di no compiuto dal poeta può essere riscontrato anche nelle sue carte custodite nelle Filze Rinuccini della Biblioteca Nazionale di Firenze. Si tratta soprattutto delle Filze Rinuccini 3-8, 12-15, alle quali vanno aggiunti altri manoscritti con sue rime, sempre di provenienza Rinuccini. Strumento fondamentale per attraversare la messe di manoscritti del letterato è Anna Siekiera, Benedetto Varchi, in Matteo Motolese et al. (a cura di), Autogra dei letterati italiani: il Cinquecento, I, Roma, Salerno Editrice, 2009, pp. 337-337.

15 B. Varchi, Sonetti spirituali di M. Benedetto Varchi [...], Silvano Razzi (a cura di), In Fiorenza, Nella stamperia de’ Giunti, 1573.

16 Id., Componimenti pastorali di M. Benedetto Varchi [...], In Bologna, A instanza de Gio. Battista Cesare & Salvietti,1577.

17 A colmare questa lacuna sta provvedendo Dario Brancato, che presto renderà noti i risultati dei suoi studi in merito. Intanto cfr. Catalogo delle opere di Benedetto Varchi che si conservano mss. nella Rinucciniana, in B. Varchi, Lezioni sul Dante e prose varie [...], Giuseppe Aiazzi et al. (a cura di), I, Firenze, Soc. ed. delle storie del Nardi e del Varchi, 1841, pp. XXXII-XXXVII.

18 Id., Opere di Benedetto Varchi ora per la prima volta raccolte, con un discorso di A. Racheli [...], II, Trieste, Sez. Letterario-Artistica del Lloyd Austriaca,1859, pp. 831-1016.

19 La bibliograa sull’argomento è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni. Per iniziare cfr. Massimo Firpo, Gli areschi di Pontormo a San Lorenzo. Eresia, politica e cultura nella Firenze di Cosimo I, Torino, Einaudi, 1997; Salvatore Lo Re, La crisi della libertà orentina. Alle origini della formazione politica e intellettuale di Benedetto Varchi e Piero Vettori, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2006; Vanni Bramanti (a cura di), Benedetto Varchi 1503-1563, Atti del convegno (Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, Accademia della Crusca, 16-17 dicembre 2003), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007; Salvatore Lo Re, Politica e cultura nella Firenze cosimiana. Studi su Benedetto Varchi, Manziana, Vecchiarelli Editore, 2008; S. Lo Re et al. (a cura di), Varchi e altro Rinascimento. Studi oerti a Vanni Bramanti, Manziana, Vecchiarelli Editore, 2013. Resta fondamentale, in merito alle dinamiche che segnarono l’esperienza varchiana presso l’Accademia Fiorentina, Michel Plaisance, L’Accademia e il suo principe. Cultura e politica a Firenze al tempo di Cosimo I e di Francesco de’ Medici/ Culture et politique à Florence au temps de Côme Ier et François de Médicis, Manziana, Vecchiarelli Editore, 2004.

20 Ai già menzionati G. Tanturli, Una gestazione e un parto gemellare, cit. e V. Bramanti, Corrispondenza e corrispondenti, cit., si aggiungano: Bernhard Huss, «Cantai colmo di gioia, e senza inganni». Benedetto Varchi Sonetti (parte prima) im Kontext des italianischen Cinquecento-Petrarkismus, «Romanistisches Jahrbuch», LII (2001), pp. 135-157; Laura Paolino, Il «geminato ardore» di Benedetto Varchi. Storia e costruzione di un Canzoniere ‘ellittico’, «Nuova rivista di letteratura italiana», VII (2004), no 1-2, pp. 233-314. Più di recente: Franco Tomasi, «Mie rime nuove non viste ancor già mai ne toschi lidi». Odi ed elegie volgari di Benedetto Varchi, in Varchi e altro Rinascimento, cit., pp. 173-214; Dario Brancato, «Una egloga con verso sciolto, secondo il costume moderno». Il ‘Dafni’ di Varchi e l’‘Alcon’ di Castiglione, «LaRivista», V (2017), pp. 23-57; Giovanni Ferroni, ‘Si ricerca ancora dottrina non piccola’. Varchi, la poesia pastorale e i Sonetti del 1555, «Italique», XX (2017), pp. 213-259; Selene M. Vatteroni, Le sezioni pastorali e la codica del ‘doppio amore’ nel canzoniere, «Italienisch», LXXIX (2018), 1, pp. 12-26.

21 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (BNCF), Filze Rinuccini, 7, f. 289v (si segue la numerazione moderna, a matita). Tra le carte varchiane, i versi si ritrovano anche in altri luoghi: Filze Rinuccini, 7, f. 359v; Filze Rinuccini, 5, . 601v-602r; Filza Rinuccini 12, . 280r e v.

22 Su questo sonetto, cfr. Selene M. Vatteroni, I testi proemiali nei Sonetti. Prima parte di Benedetto Varchi, «LaRivista», VII (2017), pp. 13-21.

23 L. Paolino, Il «geminato ardore», cit., pp. 254-256.

24 Sul dipinto cfr. Raaele De Giorgi, in Antonio Natali et al. (a cura di), Bronzino pittore e poeta alla corte dei Medici, (Firenze, Palazzo Strozzi, 24 settembre 2010-23 gennaio 2011), Firenze, Mandragora, pp. 202-203; Antonio Geremicca, in Carlo Falciani (a cura di), Florence. Portrait à la cour des Médicis, (Paris, Musée Jacquemart-André, 11 settembre 2015 - 25 gennaio 2016), Bruxelles, Fonds Mercator, 2015, cat. 31, pp. 162-163.

25 Elizabeth Cropper, Per una lettura dei ritratti orentini del Bronzino, in Bronzino pittore e poeta, cit., pp. 245-255: 247-248.

26 Alessandro Cecchi, «Famose Frondi de cui santi honori...», un sonetto del Varchi e il Ritratto di Lorenzo Lenzi del Bronzino, «Artista», II (1990), pp. 8-19; id., Il Bronzino, Benedetto Varchi e l’Accademia Fiorentina: ritratti di poeti, letterati e personaggi illustri della corte medicea, «Antichità viva», XXX (1991), 1/2, pp. 17-28.

27 B. Varchi, Sonetti contro gl’Ugonotti, BNCF, ms. II VII 137, f. 25v (a carta 48f è posta la risposta del pittore «Tali e tante vid’io grazie adunate»). I versi sono presenti nel canzoniere dell’artista: Delle rime del Bronzino libro primo, BNCF, ms. II IX 10, . 76v-77r.

28 Cfr. A. Geremicca, Agnolo Bronzino. «La dotta penna al pennel dotto pari», Roma, UniversItalia, 2013, pp. 86-96.

29 E. Cropper, Per una lettura, cit., passim.

30 Novella Macola, Sguardi e scritture: gure con libro nella ritrattistica italiana della prima metà del Cinquecento, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2007, p. 69.

31 BNCF, Filze Rinuccini, 7, f. 290r (ancora a f. 360r).

32 Delle rime del Bronzino, cit., f. 153r.

33 Si veda in particolare la lettera inviata da Giulio a Varchi l’8 marzo del 1554, nella quale riferisce dei sospetti nutriti dal padre Agnolo e dallo zio Piero rispetto alle attenzioni rivoltegli dal poeta, ricordandogli, inne, di fare attenzione a bruciare le loro lettere: V. Bramanti (a cura di), Lettere a Benedetto Varchi, Manziana, Vecchiarelli editore, 2012, no167, pp. 313-315. Su questo argomento, inoltre, cfr. S. Lo Re, Gli amori omosessuali del Varchi: storia e leggenda, in Extravagances amoreuses: l’amour au-delà de la norme à la Renaissance/ Stravaganze amorose: l’amore oltre la norma nel Rinascimento, Élise Boillet et al. (a cura di), Atti del convegno (Tours, Université de Tours, 18-20 settembre 2008), Paris, Champion, pp. 281-295.

34 Natali et al. (a cura di), Bronzino pittore e poeta, cit., Carmen Bambach (a cura di), The Drawings of Bronzino, cat. mostra (New York, Metropolitan Museum of Art, 20 gennaio 18 aprile 2010), New Haven, Conn., Yale University Press, 2010.

35 Paola Barocchi et al. (a cura di), Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, nelle redazioni del 1550 e 1568, VI, Firenze, S.P.E.S., 1987, p. 237.

36 Domenico Moreni, Rime inedite di Raaello Borghini e di Angiolo Allori detto il Bronzino, Firenze, Magheri, 1822; id., Sonetti di Angiolo Allori detto il Bronzino ed altre rime inedite di più insigni poeti, Firenze, Magheri, 1823. Sulle manchevolezze di queste due edizioni la critica si è espressa in diverse circostanze.

37 Deborah Parker, Bronzino Renaissance Painter as Poet, Cambridge, Cambridge University Press, 2000. Sul Bronzino poeta serio cfr. G. Tanturli, Formazione d’un codice e d’un canzoniere: «Delle rime del Bronzino pittore libro primo», «Studi di lologia italiana», LXXII (2004), pp. 195-224; id., Il Bronzino poeta e il ritratto di Laura Battiferri, in Marco Ariani et al. (a cura di), La parola e l’immagine. Studi in onore di Gianni Venturi, I, Firenze, Olschki, 2011, pp. 319-332; Paolo Celi, «Orme, del passo tuo l’empia ruina». Su un sonetto del Bronzino in morte del Pontormo, in Isabella Becherucci et al. (a cura di), Storia, tradizione e critica dei testi. Per Giuliano Tanturli, I, Lecce, Pensa Multimedia, 2017, pp. 65-74.

38 Per iniziare cfr. Stephen J. Campbell, Counter Reformation Polemic and Mannerist Counter-Aesthetics: Bronzino’s Martyrdom of St. Lawrence in San Lorenzo, «Res», XLVI (2004), pp. 98-119; id., Una certa amorevole sommessione: Bronzino’s Attachments, in Renaissance Love. Eros, Passion, and Friendship in H. Kohln et al. (a cura di), Italian Art Around 1500, Berlin-Münich, Deutscher Kunstverlag, 2014, pp. 195-218; Carlo Falciani, Della pittura sacra, ma anche di «anchi, stomachi ec.», in Bronzino pittore e poeta, cit., pp. 277-295; Stuart Lingo, Agnolo Bronzino’s Pygmalion and the Statue and the Dawn of Art, «Art history», XXXIX, (2016), 5, pp. 868-895.

39 Cfr. nota 26.

40 Agnolo Bronzino, Ritratto di Ugolino Martelli, Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie. Cfr. Elizabeth Cropper, Prolegomena to a New Interpretation of Bronzino’s Florentine Portraits, in Andrew Morrogh et al. (a cura di), Renaissance Studies in Honor of Craig Hugh Smyth, II, Firenze, Giunti-Barbèra, 1985, pp. 149- 162; Rudolf Wildmoser, Das Bildnis des Ugolino Martelli von Agnolo Bronzino, «Jahrbuch der Berliner Museen», XXXI (1989), pp. 181-213; Macola, Sguardi e scritture, cit., pp. 69-76; Maurice Brock, Le «Portrait d’Ugolino Martelli» par Bronzino: un Homère orentin?, in Luisa Capodieci et al. (a cura di), Homère à la Renaissance: mythe et transgurations, Atti del convegno (Roma, Villa Medici, 27 - 29 novembre 2008), Paris, Somogy Éditions d’Art, 2011, pp. 323-344; A. Geremicca, Agnolo Bronzino, cit., 2013, pp. 114-130.

41 Bronzino, Ritratto di Laura Battiferri, Firenze, Musei Civici, Museo di Palazzo Vecchio. Cfr. A. Geremicca, Agnolo Bronzino, cit., pp. 202-217; id., in Florence, cit., cat. 19, pp. 158-159.

42 P. Barocchi (a cura di), Ragionamenti delle regole del disegno d’Alessandro Allori con M. Agnolo Bronzino, in Scritti d’arte del Cinquecento, II, Roma-Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1975, p. 1965.

43 R. De Giorgi, in Bronzino pittore e poeta, cit., cat. IV.3 e IV.4, pp. 206-209; A. Geremicca, Agnolo Bronzino, cit., pp. 102-109 (con bibl. prec.).

44 Cfr. Franca Falletti et al. (a cura di), Venere e Amore. Michelangelo e la nuova bellezza ideale, (Firenze, Gallerie dell’Accademia, 26 giugno – 3 novembre 2002), Firenze, Giunti, 2002.

45 Cfr. A. Geremicca, Agnolo Bronzino, cit., pp. 29-84 (con l’analisi dei singoli fascicoli che costituiscono il manoscritto della poesia bronzinesca BNFC, II IX 10), pp. 217-218 (con alcuni rimandi ai versi di Bronzino presenti nelle carte varchiane della BNCF).

46 In appendice a questo testo, in aggiunta ai tre componimenti inediti già analizzati, se ne segnalano altri due dedicati da Benedetto Varchi a Bronzino: «Da quell’ombrosa a me sì cara landa» (BNCF, Filze Rinuccini, 6, f. 83r; Filze Rinuccini, 7, f. 329r); «Anzi, parte in pietade e parte in riso» (BNCF, Filza Rinuccini, 6, f. 85v; Filze Rinuccini, 7, f. 329v). Di questi non si sono rintracciate le risposte, ammesso che fossero previste.

47 Domenico Chiodo, Varchi rimatore: modi e forme della poesia di corrispondenza, in Benedetto Varchi 1503-1565, cit., pp. 157-171; Silvano Ferrone, Epigrammi a Silvano Razzi, Fiesole, Città di Fiesole, 2003, in part. pp. 9-23 (lo studioso insiste molto anche sull’aspetto didattico e pedagogico). Si aggiunga, inne, id. Dialoghi poetichi fra i Tasso e il Varchi, in M. Bandini et al. (a cura di), Scritti in memoria di Dino Pieraccioni, Firenze, Istituto papirologico «G. Vitelli», pp. 147-188.

48 Si veda in merito quanto scritto da V. Bramanti in B. Varchi, Lettere, cit., pp. xi-xxxv e in id., Lettere a Benedetto Varchi, cit., pp. 9-35.

49 La lista completa degli interlocutori di Varchi, per l’edizione del 1557, è riportata in Jean Balsamo (a cura di), De Dante à Chiabrera. Poètes italiens de la Renaissance dans la bibliothèque de la Fondation Barbier-Muller, II, Genève, Fondation Barbier-Muller, 2007, pp. 251-252.

50 Su questo argomento cfr. Benvenuto Cellini, Rime, D. Gamberini (a cura di), Firenze, SEF, 2014; Michael W. Cole et al., Vincenzo Danti’s deceits, «Renaissance quarterly», LXIX (2016), 4, pp. 1296-1342; D. Gamberini, I colloqui poetici degli artisti della corte orentina con Benedetto Varchi, «LaRivista», V (2017), pp. 61-69.

51 Per la medaglia: Marco Collareta, Varchi e le arti gurative, in Benedetto Varchi 1503-1565, cit., pp. 183-184; Giuseppe Toderi et al., Le medaglie italiane del XVI secolo, Firenze, Polistampa, 2000, II, no 1467, p. 495 e no1468, pp. 495-496; Philippe A. Attwood, Italian Medals c. 1300-1600, «British Public Collections», London, British Museum Press, no 817, p. 344.

52 D. Gamberini, A Bronze Manifesto of Petrarchism. Domenico Poggini’s Portrait Medal of Benedetto Varchi, «I Tatti Studies», XIX (2016), 2, pp. 359-383.

53 Sull’argomento, all’ormai classico Marcel Mauss, Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, Torino, Einaudi, 2002, si aggiunga Natalie Zemon Davis, Il dono. Vita familiare e relazioni pubbliche nella Francia del Cinquecento, Milano, Feltrinelli, 2002. Ha attirato molto l’attenzione degli studi lo scambio di doni artistici tra le corti europee, con nalità diplomatiche. Cfr. Suzanne B. Butters, The Uses and Abuses in the World of Ferdinando de’ Medici (1549-1609), «I Tatti Studies», XI (2007), pp. 243-254 (con ricca bibl. prec. a nota 6).

54 M. Collareta, Varchie le arti gurative, in Benedetto Varchi 1503-1565, cit., p. 184, in merito al cosiddetto Ritratto di Benedetto Varchi di mano di Tiziano del Kunsthistorisches Museum di Vienna. Sui ritratti di Varchi cfr. S. Lo Re, Il volto nel marmo: caccia al Varchi perduto, in Varchi e altro Rinascimento, cit., pp. 61-80 (con bibl. prec.).

55 D. Gamberini, A Bronze Manifesto, cit., pp. 374-375.

56 V. Bramanti, Lettere a Benedetto Varchi, cit., no167, pp. 313-315. Giulio riferisce di una visita del pittore Alessandro Allori, che si era da lui recato, su incarico di Varchi, per ritrarlo. Che il committente del ritratto fosse il letterato lo si comprende dalle parole del giovane, che a lui rimanda la decisione in merito alla proposta dell’artista di ritrarlo nudo, cfr. A. Geremicca, Sulla scia di Agnolo Bron- zino, Alessandro Allori sodale di Benedetto Varchi. Un ritratto ‘misconosciuto’ del letterato e un suo sonetto inedito, «LaRivista», VII (2017), pp. 86-112: 90-92.

57 A questo proposito cfr. la lettera inviata da Benvenuto Cellini a Benedetto Varchi il 22 maggio 1559, in V. Bramanti, Lettere a Benedetto Varchi, cit., no197, pp. 372-373.

58 A. Geremicca, ‘Damone’ per ‘Crisero’ e gli altri. Benedetto Varchi e gli artisti (prima e dopo l’Accademia orentina), in Carla Chiummo (a cura di), Intrecci virtuosi. Letterati, artisti e accademie tra Cinque e Seicento, Roma 2017, pp. 11-26 (con bibl. prec.). In merito alle Due Lezzioni la bibliograa ha assunto proporzioni assai consistenti, per iniziare cfr. Rensselaer W. Lee, Ut pictura poesis. The Humanistic Theory of Painting, «The Art Bulletin», XXII (1940), 4, pp. 197-269; Sergio Rossi, Dalle botteghe alle accademie; realtà sociale e teorie artistiche a Firenze dal XIV al XVI secolo, Milano, Feltrinelli, 1980, pp. 89-122; François Quiviger, Varchi and the Visual Arts, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», L (1987), pp. 219-224; Leatrice Mendelsohn, Benedetto Varchi’s «Due lezzioni» and Cinquecento Art Theory, Ann Arbor / Mich, UMI Research Press, 1982; Benedetto Varchi, Vincenzo Borghini, Pittura e Scultura nel Cinquecento, P. Barocchi (a cura di), Livorno, Sillabe, 1998. Di prossima uscita è un’edizione integrale del testo, con una sua traduzione in francese. Cfr. Benedetto Varchi, Deux leçons, Frédérique Dubard de Gaillarbois (a cura di), Paris, Garnier, in corso di stampa.

59 Questo, ovviamente, non ha impedito la discussione critica sulla prima delle due lezioni, cfr. Mendelsohn, Benedetto Varchi’s, cit., pp. 103-109; David Summers, Michelangelo and the language of art, Princeton / N.J., Princeton University Press, 1981, pp. 203-233; Benedetto Varchi, Paragone - Rangstreit der Künste, a cura di Oskar Bätschmann et al. (a cura di), Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 2013, pp. 42-47. Per un’edizione moderna della prima lezione cfr. P. Barocchi (a cura di), Scritti d’arte, cit., II, pp. 1322-1341.

60 Cfr., sulle lezioni dedicate alla Poetica, A. Andreoni, La via della dottrina, cit., pp. 291-304.