Revue Italique

La poésie et les arts

OJ-italique-480

La poesia ecfrastica ed encomiastica tra elemento esornativo e documento storico: il caso della Felsina pittrice di Carlo Cesare Malvasia

Giovanna Perini Folesani

Mentre, o dotti Signori,
Del mio debile ingegno
Un picciol parto a tributarvi io vegno:
Chiedo scusa a l’ardir, menda agli errori,
Chè non ho, come in Voi, l’arte e i colori.

Così scrive «Carlo Malvasia» (come preferisce rmarsi anche nelle lettere) nella dedica manoscritta autografa vergata in bel corsivo sul risguardo della copia della Felsina Pittrice inviata in omaggio all’Accademia Reale di pittura e scultura di Parigi, sontuosamente rilegata in cuoio con incisioni decorative in oro personalizzate, simili ma non identiche a quelle di una delle copie mandate in dono al Re Sole, anch’esse chiaramente realizzate secondo precise indicazioni fornite al legatore da lui stesso.1 Con le poche, eleganti parole del suo madrigale Malvasia riesce a centrare due obiettivi: tramite la qualica di «dotti», ore ai pittori parigini (e per estensione a tutti i moderni pittori di qualità) il riconoscimento di quello status intellettuale cui, in seguito a due secoli di battaglie sulla condizione liberale della pittura, anche l’appartenenza all’Accademia contribuiva a dar loro diritto,2 e inoltre raorza ulteriormente questo risultato con la dichiarazione deferente di topica inferiorità del dilettante rispetto all’artista nel giudizio artistico anche se proprio scritti come quelli di Malvasia in Italia e di de Piles (e, prima, du Fresnoy) in Francia gioveranno ad armare tecnicamente i dilettanti in modo da non sgurare rispetto ai professionisti nel giudizio sull’arte ed inne a batterli.3

Iuxta la tradizione marinista, il madrigale è (come il sonetto) una forma metrica cara a Malvasia, che, per esempio, la utilizza anche in lode dell’incisore Giacomo Giovannini, in apertura del suo ultimo lavoro storico-artistico, Il claustro di S. Michele in Bosco, stampato postumo a Bologna nel 1694 con una dedica al Granduca Ferdinando III di Toscana rmata (come l’elaborata antiporta allegorica che le serve di rincalzo) dall’incisore Giovannini (autore anche di tutte le stampe di traduzione) e con privilegio di stampa a rma del Cardinal Giovan Francesco Albani quasi a smentire, nei fatti, passati e futuri problemi dell’autore defunto con la corte medicea, in ispecie il Baldinucci da un lato, e con il côté classicista romano di Bellori, Maratta e Vittoria, sponsorizzato dagli Albani, dall’altro:4

Oh, come ben s’unio,
Signor, per dare aita
A quell’Opra cadente e ormai smarrita,
Con la Vostra virtude, il genio mio:
Che mentre al
n sol io
Ricorro a Voi per ritornarla in vita,
Vedrem cangiarsi il Rinovato Chiostro
Teatro di Gloria al nome Vostro.
5

Più macchinoso e meno riuscito del precedente, fors’anche per via dell’encomio iperbolico che supera di molto i meriti di competente professionalità artistica del Giovannini,6 anche questo madrigale testimonia tuttavia la continuità di un esercizio poetico in lingua italiana iniziato da Malvasia in gioventù, sotto la guida di maestri del calibro di Cesare Rinaldi e Claudio Achillini, e proseguito poi negli anni, in composizioni edite e inedite di vario metro, stile, soggetto e qualità, ottenendo per loro tramite una prima, precoce, ma transeunte fama letteraria, assieme a signicativi successi socio-culturali in ambito accademico, sia a Bologna che a Roma.7 Soprattutto, può contribuire a spiegare un tratto qualicante e caratterizzante della Felsina Pittrice (1678), rispetto ad analoghe opere di biograa artistica anteriori, coeve o posteriori, a partire dal Vasari torrentiniano e giuntino, e cioè la cospicua, a tratti perno strabordante presenza, entro la maggior parte delle biograe, di testimonianze poetiche (opera qualche volta dell’artista trattato, ma, di norma, di letterati a lui coevi), con ni prevalentemente encomiastici o ecfrastici, ma non solo.

Di Vasari Malvasia possedeva le Vite nella ristampa bolognese del 1647, che divulgava il testo della Giuntina, con qualche aggiunta in Appendice:8 come noto, rispetto alla Torrentiniana (che di regola prevedeva almeno un epigramma, italiano o latino, in chiusura di ogni biograa, sovente commissionato ad hoc da Vasari ad un letterato amico, spesso appartenente alla corte medicea), la Giuntina aveva già subito un’opera di severa decurtazione dell’apparato poetico esornativo, essendo sopravvissuti solo i componimenti storicamente rilevanti, o perché coevi all’artista, o perché altrimenti signicativi, ad esempio per qualità letteraria.9 Anche nelle Vite del Ridol (1648), parimenti presenti nella biblioteca di Malvasia e da lui sistematicamente compulsate,10 proliferano i versi italiani e latini inseriti nelle varie biograe, spesso però con intento meramente esornativo, un’ostentazione di cultura letteraria, probabilmente perché Ridol si vantava d’essere non meno poeta e letterato che pittore (onde non mancano, inserite nel testo, composizioni sue e di suoi amici poeti).11 A Roma, il pittore Giovanni Baglione, nelle sue Vite (1642), ne aveva invece fatto del tutto a meno,12 mentre, trent’anni dopo, con somma parsimonia il letterato Giovan Pietro Bellori ne inserì alcune, talora di propria invenzione, entro i suoi dodici, algidi esercizi politico-retorici in formato biograco stilati d’intesa con Errard.13 Non è per amor di ricercato contrasto o correzione, però, che Malvasia dà tanto spazio alla poesia nel suo libro (spazio sottolineato anche dall’evidenza oertale nella capillare indicizzazione del volume),14 ma semmai per il convergere di molte, diverse ragioni di vario peso e natura, nessuna delle quali ha a che fare con l’ingenua esibizione culturale alla Ridol, degna di un parvenu del mondo letterario.

La formazione letteraria di Malvasia indubbiamente lo spingeva a prestare particolare attenzione a questo tipo di testimonianza, tanto più che alcuni dei suoi eroi artistici (i Carracci, in particolare Ludovico, oppure Guido Reni) o, più spesso e più specicamente, le loro opere erano stati destinatari di poesie scritte dai suoi eroi letterari (Cesare Rinaldi e Giovan Battista Marino in primis),15 mentre alcuni suoi amici e colleghi dell’Accademia dei Gelati (in particolare Gasparo Bombaci, Valerio Zani e, prima, Claudio Achillini) gli avevano dato una mano a trovare libri, notizie e riferimenti letterari di varia utilità per la composizione della sua Felsina Pittrice,16 onde alcune delle loro composizioni poetiche in onore di questo o quell’artista felsineo, anche minore, potevano e dovevano trovare accoglienza in nome non solo dell’adeguata documentazione su quell’artista e sulla sua fama, ma pure della implicita riconoscenza agli amici-collaboratori.17 Di poco diverso il caso del Boschini, incisore e poeta dilettante, incontrato da Malvasia durante il soggiorno veneziano del 1664:18 pur non esistendo tra i due uniformità di cultura e di status sociale, né una patria comune, Malvasia non poteva restare indierente alla Carta del navegar pitoresco (1660) non solo per l’esibita polemica antivasariana, masoprattutto per la difesa di valori estetici e linguistici propriamente veneti, ma da considerarsi, più estensivamente, «lombardi» o, come si dice oggi, «padani», comunque antitoscani e perciò comuni anche a lui. Scarso, invece, proporzionalmente, il peso di suoi contributi poetici personali: i due sonetti preliminari in cui Malvasia narra del munico dono (un gioiello di diamanti con al centro l’eigie miniata del Re Sole) inviato dal Re ad attestare il gradimento della dedica della Felsina Pittrice sono presenti solo nelle copie del libro successive al dono.19 In tutte si trovano invece altri due sonetti da lui composti, relegati in posizioni marginali: uno alla ne della ristampa della sua giovanile Lettera a Monsignor Albergati in cui descrive la Cena in casa del fariseo dipinta da Giovanni Andrea Sirani per la Certosa,20 e l’altro ben nascosto nelle notizie sul Bertusio, dove si parla di un libretto di caricature dei Massari delle Arti bolognesi disegnate e miniate da un giovanissimo allievo del pittore, tal Giacomo Maria Tosi dodicenne, per il Gran Principe Ferdinando di Toscana e recante in apertura un sonetto di Malvasia, a guisa di frontespizio.21 Il fatto poi che diversi pittori bolognesi di inegual valore (da Agostino Carracci a Agostino Mitelli,22 a Lionello Spada e Giovan Luigi Valesio, per esempio)23 fossero anche autori di composizioni poetiche e addirittura esponenti di accademie letterarie cittadine (in particolare, i primi due erano aggregati di seconda classe all’Accademia dei Gelati, mentre gli ultimi due appartenevano a pieno titolo a quella dei Selvaggi, alternativa provinciale più recente e meno aristocratica alla predetta),24 costituiva un ovvio stimolo ad inserire qualche loro verso (edito o inedito) che fungesse da pendant ai dipinti elencati e descritti nella biograa, onde completare i loro proli umani e culturali, ricorrendo ad un’esemplicazione un po’ più ampia di quanto non avesse fatto Ridol coi suoi pittori-poeti, Giovan Battista e Alessandro Maganza.25

Si aggiunga che Malvasia, ben più di tanti suoi contemporanei e prede-cessori, era documentabilmente impegnato nell’acquisizione sistematica di documenti originali (o supposti tali) relativi agli artisti da lui trattati,26 sicché non stupisce davvero apprendere che conservasse presso di sé la raccolta manoscritta di antiche poesie bolognesi creata dal notaio e poeta marinista Antonio Lamberti, defunto in seguito alla peste del 1630, e troppo a lungo considerato, almeno in ambito storico-artistico, un carneade, fors’anche ttizio:27 è facile supporre che provengano da essa, oltre ai componimenti dichiarati (tra cui il discusso sonetto del Francia a Raaello),28 anche altri, coevi e manoscritti, di cui non è espressamente indicata l’origine, oppure altri stampati in rare cinquecentine ed ivi presumibilmente ricopiati a mano (com’era uso): penso in particolare ai versi del bolognese Diomede Guidalotti e del portoghese Hermico Caiado su Guido Aspertini e sul Francia.29 È un fatto che, all’inizio del primo tomo della Felsina, le testimonianze poetiche (dallo scontato passo di Dante, nel Purgatorio, su Franco bolognese, ai prevedibili endecasillabi di Giovanni Filoteo Achillini, nel Viridario relativi al Francia, a Lorenzo Costa e a Guido Aspertini, o inne ai versi del Casio sul Francia),30 così come, in seguito, i versi del Giulio Cesare Gigli su Passerotti, Procaccini, Fialetti, Leonello Spada e i Carracci31 hanno tutti una funzione storico-critica e documentaria importante, in qualche modo già accennata nelle sinteticissime note latine sugli artisti felsinei no ai Carracci presenti nei Minervalia Bononiae del Montalbani e puntualmente richiamate da Malvasia.32 La fama letteraria, l’apprezzamento critico dei contemporanei espresso in versi italiani o latini costituisce, specie per i pittori rinascimentali su cui scarseggiano informazioni storiche o aneddotiche vericabili e memorie ancora «vive», un elemento utile e funzionale di ricostruzione storica e inquadramento critico, mentre, per gli artisti più recenti e famosi, meglio documentati, è la qualità letteraria delle poesie e dei loro autori a costituire una sorta di garanzia e conferma del giudizio critico favorevole sulle opere pittoriche espresso dallo storico dell’arte (sicché non sarà davvero un caso se i Carracci e Guido Reni possono vantare un numero di citazioni poetiche di gran lunga superiore a quelle presenti nelle biograe dei meno amati Domenichino, Albani, e Guercino).33

È quindi evidente che sugli artisti primo-rinascimentali valeva la proiezione retrospettiva della esperienza letteraria barocca e più specicamente marinista di Malvasia, con la conseguente consapevolezza di quanto in tale ambito (iuxta l’esempio della Galleria) valesse il dialogo tra le arti sorelle di pittura e poesia e di come l’elogio poetico non fosse solo vuoto encomio o impropria competizione emulativa, ma sovente anche strumento ermeneutico eicace. Già ho rilevato, in altra occasione,34 come, nell’apparato di decorazione tipograca della Felsina Pittrice, ben due dei tre nalini xilograci fatti realizzare ad hoc da Malvasia su proprio disegno celebrino, più o meno direttamente, il tema dell’ut pictura poesis: il primo, che rappresenta una penna e un pennello intrecciati entro una corona di alloro, avrà una fortuna tipograca settecentesca che lo vedrà riproposto non solo nella decorazione delle prime due edizioni, bolognesi, dell’Abecedario pittorico dell’Orlandi, ma anche, addirittura prima, nel frontespizio della guida bresciana dell’Averoldi (corrispondente antiquario e numismatico di Charles Patin e, anche per suo tramite, di Malvasia) e perno nel libello velenoso di Vincenzo Vittoria contro Malvasia.35 L’altro nalino (ripreso, a quanto mi consta, dal solo Orlandi) è pensato soprattutto in funzione encomiastica, per celebrare l’impegno francese nella elaborazione della teoria artistica, in continuità e in fertile collaborazione con la preesistente tradizione italiana: mostra infatti una tavolozza con pennelli e appoggiamano sovrapposti a due volumi identicati sul dorso e nel taglio come il Trattato di Leonardo (recente impresa editoriale barberino-gallica) e il carme didascalico di du Fresnoy nella versione francese di de Piles (nelle pagine della Felsina Pittrice, però, viene sempre citato nell’originaria versione latina).36 Essi sono disposti in modo da fungere da leggio di fortuna, sostegno materiale (benché condensato di teoria e di pratica artistica) su cui si squaderna, aperto, un volume che reca la scritta «Canto sesto» come titolino corrente il che, assieme alla disposizione delle linee dei versi nella pagina, evocative delle ottave, fa pensare ad un poema epico italiano, quasi a ricordare che la pittura italiana è pittura di storia, come asseriva già Leon Battista Alberti (1435), e che l’opera pittorica, se necessita di tecnica e teoria per realizzarsi, ha non meno bisogno di un’ispirazione poetica che la guidi, onde non per caso Annibale Carracci (il meno intellettuale della terna familiare), dipingendo, recitava ad alta voce i versi della Gerusalemme liberata.37

Esistono almeno due altre categorie di citazioni poetiche presenti nella Felsina Pittrice e che, pur quantitativamente rilevanti, riescono tuttavia insignicanti da un punto di vista critico: sono, da un lato, i versi presenti all’interno delle sovente lunghissime citazioni di testi altrui (si tratti delle biograe vasariane di artisti bolognesi, riportate integralmente, oppure della Descrizione dell’Escurial di Don Ilario Mazzolari, riportata quasi senza tagli nella Vita di Pellegrino Tibaldi per la parte relativa alle sue pitture, o inniti altri scritti simili,38 ma soprattutto nel caso di singolari documenti graco-letterari quali i libretti a stampa per i funerali di Agostino Carracci e di Elisabetta Sirani),39 e, d’altro canto, i versi presenti in calce alle stampe, nelle accurate descrizioni delle stesse che Malvasia fornisce nel suo ammire-vole e pionieristico catalogo delle incisioni di autori bolognesi posto in calce alla Vita di Marcantonio Raimondi.40 In questi casi non si tratta, evidentemente di scelte malvasiane, benché nelle stampe appaia evidente che la trascrizione dei versi, come di qualsiasi altra scritta presente, risulti del tutto funzionale all’univoca identicazione di ciascuna e addirittura del suo stato (va precisato tuttavia come quest’ultima sia distinzione su cui Malvasia non sembra attento: del resto essa, pur importante in ambito collezionistico e storico, avrebbe richiesto una conoscenza assai più sistematica e capillare dei fondi graci, a partire da quelli reali e principeschi italiani ed europei, e comportato perciò un eccessivo dispendio di tempo ed energie, per di più privo di precedenti, a esclusivo vantaggio di un ambito troppo ristretto della produzione artistica felsinea: non per caso, quindi, sarà compito dei successori sette-ottocenteschi europei, da Mariette, a Bartsch, a Basan, a von Heinecken, a Pietro Zani, occuparsi di ciò, partendo proprio dalla geniale intuizione ed esempio pionieristico di Malvasia).41 Da quanto si è succintamente osservato sin qui, appare di tutta evidenza il fatto che, da qualunque punto di vista si guardi alla Felsina Pittrice, essa appare al contempo opera perfettamente inserita in una tradizione e in un contesto storico determinati, ma anche foriera di novità più o meno signicative in quello stesso ambito: ciò vale parimenti per quel che riguarda l’uso delle testimonianze poetiche, e il confronto su accennato con gli immediati predecessori lo dimostra. Certamente l’esempio vasariano appare il più vicino,42 per vari aspetti: tuttavia Vasari, come poi Ridol, risulta fatalmente più legato al mondo letterario locale (la corte medicea cinquecentesca, e in precedenza quattrocentesca, laurenziana, con i suoi letterati, e, ancor prima, le tre Corone della letteratura italiana: Dante, Petrarca e Boccaccio), laddove Malvasia, nel momento in cui per gli artisti moderni si appoggia all’autorità poetica nazionale, tra gli altri, di Marino,43 del Bruni,44 di Maeo Barberini e Fabio Chigi,45 e perno del de Lemene (per Francesco Albani, con impreveduti strascichi di rimproveri veri o nti),46 non solo bilancia, ma addirittura supera il peso delle testimonianze letterarie felsinee, segno che il suo orgoglio era sì municipale, ma il suo orizzonte mentale e culturale (come gli riconobbe, per altri versi, il Lanzi)47 era almeno peninsulare (e per certi tratti continentale).

Che proprio ad alcune di queste testimonianze poetiche (e segnatamente, più che ai versi di Lemene indisputabilmente originali, ai sonetti del Francia per Raaello e di Agostino Carracci per Niccolò dell’Abate) siano tuttora legate polemiche così feroci e tenaci,48 incentrate per lo più sull’attendibilità storiograca di Malvasia, evidenzia almeno due ordini di questioni: da un lato l’importanza critica oggettiva che viene comunemente annessa anche oggi a queste stesse testimonianze poetiche, iuxta i desiderata originari di Malvasia e, dall’altro, la perdurante incomprensione (pur residuale) della struttura e della portata critica e metodologica dell’opera di Malvasia, delibata per excerpta di natura per lo più pratica, sia storico-artistica che letteraria,49 sovente nella totale inconsapevolezza o talora incomprensione del contesto storico circostante e comunque nella generale sottovalutazione della specica cultura (eminentemente giuridica e letteraria) di Malvasia, artatamente ridotta al letto di Procuste delle anacronistiche e abborracciate strutture mentali e culturali del presente, come i Longhi, i Mahon e inne gli Shearman hanno fatto e, purtroppo, insegnato a fare. Non c’è paragone tra l’organicità sedimentata della cultura umanistica barocca (che, per esempio, non tollera cesure o contrapposizioni con le scienze matematiche e siche), e l’attuale, schizofrenico divario tra «le due culture», aggravato dall’incombente prevalenza di uno scientismo tecnologizzato di valore istantaneo, transeunte, di natura sostanzialmente acritica, motivato solo economicisticamente, politicamente molto incentivato perché del tutto amorale, quando non dichiaratamente immorale, e perciò cognitivamente inerme e manovrabile. L’attuale deriva della cultura umanistica (sempre più superciale e marginalizzata) non favorisce e anzi, evidentemente, ostacola la vera comprensione del mondo di Malvasia (che è per certi versi lo stesso di Pascal, fatte salve le specicità aggiuntive da un lato della sua preparazione giuridica, il cui peso è ben evidente nel suo metodo storiograco, e, d’altro lato, della minor rilevanza di interessi scientici): cercare di capirlo davvero, però, può costituire l’antidoto migliore contro questo sconfortante presente.

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1 È stato dimostrato altrove che a Malvasia risale il design di tre nalini xilograci che decorano le pagine della Felsina Pittrice (Giovanna Perini Folesani, L’apparato illustrativo della Felsina Pittrice: riessioni su un prodotto editoriale della storiograa secentesca, in Clizia Gurreri et al. (a cura di), Le virtuose adunanze II Emblemi, simboli e linguaggi accademici a partire dal Cinquecento e sino alla ne del Seicento, Avellino, Sinestesie, in corso di stampa). Quanto ai piatti anteriori delle copertine delle due copie-omaggio parigine del volume (vedile riprodotte, in Elizabeth Cropper et al. (a cura di), Carlo Cesare Malvasia, Felsina Pittrice. I Lives of the Bolognese Painters, Turnhout e Washington DC, Brepols, Harvey Miller e CASVA, 2012, pp. 145-146, con un cenno di commento in Carlo Alberto Girotto, Some Bibliographical Questions Regarding Malvasia’s Felsina Pittrice (Bologna, Eredi di Domenico Barbieri, 1678, ivi, pp. 49-158, specie 66-67), la copia per il Re Sole (nella versione oggi ad Harvard) è caratterizzata, come è prevedibile, da un grande sole raggiante al centro, incorniciato da rami decussati di quercia ed alloro trattenuti da un nastro, cui se ne aggiungono altri due uguali che non so identicare (forse di piume? Non mi sembrano palme) con la scritta latina in maiuscole «SIC ORNAT DIADEMATE CRINES» posta in parte sopra e in parte sotto l’emblema reale. Lungo i bordi del piatto corre una cornice decorativa molto ampia ed elaborata, il cui motivo decorativo principale è la ripetizione regolare e sistematica di un’innità di piccoli gigli di Francia disposti a quincunce, cui si alternano sei ovali (uno in alto, uno in basso e due lungo ciascuno dei lati verticali) ospitanti ciascuno una corona: in alto quella regale di Francia, contraddistinta dai gigli, in basso la corona turrita della capitale Parigi (a 5 porte visibili), ai due lati a sinistra in alto un serto di quercia e in basso una corona forse di lingue di amma o di piume (in Egitto il Dio Sole Ra aveva una corona di piume simulanti lingue di amma, ma non so se ciò fosse noto prima di Champollion), a destra in alto una corona castrense e in basso un serto di alloro. La copia per l’Accademia presenta la stessa incorniciatura dei margini del piatto, con gli stessi sei ovali contenenti le stesse sei corone nella medesima sequenza, l’unica dierenza essendo che ai gigli di Francia propri della famiglia reale viene sostituito, come motivo decorativo, un elaboratissimo arabesco: al centro l’immagine lievemente ristretta e allungata del sole raggiante incorniciato dal solito mezzo serto di triplice fogliame è leggermente spostata verso l’alto, e da essa viene fatta discendere, appesa ad una catena d’oro, una tavolozza ovale macchiata di colori, con un fascio di pennelli che trapassa il foro destinato al pollice dell’artista, con la scritta «HINC LUMEN ET UMBRA». Non c’è dubbio che anche le scritte siano invenzione, intelligente, di Malvasia (peccato che il legatore, più abile nel disegno che nell’ortograa, sbagli sistematicamente la scrittura della lettera N, scrivendola sempre rovesciata come si farebbe per una lastra da incisione: poiché ciò non accade con altre lettere unidirezionali, non palindrome, come C, D, E, R ed S, è evidente che l’errore non è frutto di un’abitudine professionale all’incisione di stampe, ma di un’alfabetizzazione sommaria, visto che l’uso di scritte nelle decorazioni dei piatti delle legature è abbastanza raro). La scelta di puntare, leonardescamente e anche albertianamente, sul chiaroscuro per denire la pittura sembra voler tenere conto della divampante querelle sul disegno e sul colore che caratterizza l’attività accademica parigina di quegli anni, in cui Malvasia (naturalmente incline alla preferenza del colore e perciò amico di de Piles) preferisce non prendere in questo frangente parte, non tanto per prudenza, quanto per civiltà diplomatica: la scelta del chiaroscuro è in questo senso abilissima, perché è elemento comunque fondamentale e caratterizzante della pittura e peraltro anodino in quanto intermedio, essendo ascritto da de Piles al colore e da Alberti (e Le Brun) al disegno, e dunque ben accetto a tutte le fazioni in lotta, dentro e fuori l’Accademia Reale.

2 Per l’impegno di Malvasia nella creazione di un’accademia pubblica (non privata) di belle arti a Bologna, vedi il Memoriale manoscritto al governo cittadino da lui redatto, discusso in G. Perini Folesani, Qualche Memoriale anonimo di Carlo Cesare Malvasia: intrecci inosservati tra interessi storico-artistici e professione legale, «Arte a Bologna – Bollettino dei Musei Civici d’Arte Antica», 2010-2011, pp. 312-327.

3 In proposito vedi Sandra Costa et al., I savi e gli ignoranti Dialogo del pubblico con l’arte (XVI-XVII secolo), Bologna, Bononia University Press, 2017, specie pp. 59-102.

4 Si veda, da ultimo, G. Perini Folesani, Appunti preliminari per un’analisi semiotica della comunicazione non verbale nella letteratura artistica barocca, ovvero: il paratesto visivo, questo misconosciuto..., in Marieke von Bernstor et al. (a cura di), Vivace con espressione- Gefühl, Charakter, Temperament in der italienischen Kunst, Monaco, Hirmer, 2018, pp. 277-298, specie pp. 279-283.

5 Carlo Cesare Malvasia, Il claustro di S. Michele in Bosco di Bologna dipinto dal famoso Lodovico Carracci, e da altri eccellenti maestri usciti dalla sua scuola, Bologna, Pisarri, 1694, p. n.n., senza segnatura.

6 Aggrava la scarsa felicità del risultato poetico l’autocelebrazione della propria idea di immortalare con una restituzione graca restaurativa un ciclo di decorazione murale eccezionalmente signicativo e bello, ma in uno stato di conservazione ormai seriamente compromesso: sarebbe stato più elegante aidare tale celebrazione alla penna di qualche ossequioso amico accademico Gelato.

7 Sull’attività poetica di Malvasia vedi G. Perini Folesani, Il marinismo di Malvasia dalle poesie giovanili alla prosa della Felsina Pittrice, «Letteratura e arte», 2005, pp. 141-164.

8 Sulla biblioteca di Malvasia, in particolare sui suoi libri storico-artistici, vedi qualche anticipazione in G. Perini Folesani, Philosophie du droit, philosophie de l’histoire, curiosité antiquaire et histoire de l’art: la méthode de Carlo Cesare Malvasia, in Frederic Cousinié et al. (a cura di), L’artiste et le philosophe L’histoire de l’art à l’épreuve de la philosophie au XVIIe siècle, Parigi-Rennes, INHA-Presses Universitaires de Rennes, 2011, pp. 335-354, specie 279-283 e, per la parte giuridica, Ulrico Agnati, Malvasia giurista. Dati e ipotesi per un prolo, in Sabine Frommel (a cura di), Crocevia e capitale della migrazione artistica: forestieri a Bologna e bolognesi nel mondo (secolo XVII), Bologna, Bononia University Press, 2012, pp. 55-72 e id., La biblioteca giuridica di Carlo Cesare Malvasia, «Studi urbinati», 2014, pp. 399-451. L’edizione di Vasari (che l’inv. sommario indica solo essere in tre tomi, senza data o luogo di pubblicazione) si identica sulla base del confronto tra i rinvii paginali forniti negli appunti preparatori e la paginazione della edizione bolognese ed era già stata identicata, ancor prima del reperimento dell’inventario, dalla Arfelli: Adriana Arfelli (a cura di), Carlo Cesare Malvasia Vite di pittori bolognesi (appunti inediti), Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1961, p. XV, nota 9.

9 Sulle dierenze tra Torrentiniana e Giuntina, vedi Paola Barocchi, Storiograa e collezionismo da Vasari al Lanzi, in Giovanni Previtali (a cura di), Storia dell’arte italiana, Torino, Einaudi, 1979, II, pp. 3-82, specie 15-25. Per l’edizione bolognese, vedi Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori et architetti, Bologna, eredi del Dozza, 1647 (le parti aggiunte o variate rispetto alla Giuntina sono dichiarate ivi, I, pp. segn. ††1r-††2r).

10 A parte occasionali riferimenti presenti nel testo della Felsina Pittrice, l’attenta lettura del libro è testimoniata dagli appunti preparatori inediti: vedi ad es. per le sezioni pubblicate Lea Marzocchi (a cura di), Scritti originali del Conte Carlo Cesare Malvasia spettanti alla sua Felsina Pittrice, Bologna, Alfa, s.d. [ma 1983], pp. 37, 44, 48, 81, 94, 104, 120, 132, 135, 217, 218, 219, 247, 253, 299-300, 305, 315, 317, 318, 326, 346, 364, 383, 384, 389 e, per gli appunti sui Carracci, vedi Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna (d’ora in poi BCB), ms B 16, cc. 130v, 131v, 132r/v, 135 r/v, 149r, 159v, 166v e 174v.

11 Carlo Ridol, Le meraviglie dell’arte, ovvero le vite degl’illustri pittori veneti e dello Stato, Venezia, Sgava, 1648. Per sue composizioni poetiche in onore di artisti o loro opere, vedi ad es. ibid., I, pp. 113-114 e II, pp. 68, 224-225 e 313-315. Per versi di autori latini (in particolare Orazio, Ovidio, Virgilio, ma anche Catullo, Tibullo, Giovenale, Silio Italico, Properzio, Claudiano, nonché passi dalle tragedie di Seneca o da traduzioni latine di Omero ed Esiodo), vedi ibid., I, pp. 7, 88, 103, 112, 130, 143, 144, 160, 216, 229, 234, 237, 241, 250, 275, 280, 287, 298, 322, 333, 335, 347, 354, 364, 367 e II, pp. 106, 131, 223, 233, 290-291, 297. Per citazioni poetiche da Dante o Petrarca (sia dal Canzoniere che dai Trion), vedi ibid., I, pp. 17, 143, 235, 277, 292, 370 e II, pp. 127-128,e 324. Bembo, l’Ariosto, Guarino (Pastor Fido) i due Tasso (Bernardo e Torquato) sono pure oggetto di occasionali citazioni erudite e peregrine (ibid., I, pp. 56-57, 58, 72, 144, 145, 177, 229, 237, 287, 293, 333 e II, pp. 251, 299, 319 e 322). Oltre a occasionali citazioni di versi di poeti veneziani come Maeo Venier (ibid., I, p. 371), Pietro Michiel (ibid., I, pp. 242, 337 e II, pp. 200-201) e, limitatamente a Tiziano, di Partenio (ibid., I, pp. 152-153, 156-158, 165-166, 174-176), nonché di pittori-poeti quali Giovan Battista e Alessandro Maganza (ibid., I, pp. 230 e 243), prevalgono i versi di Marino (non solo dalla Galleria, ma anche dall’Adone: ibid., I, pp. 82, 142, 171, 181 e II, pp. 93, 155, 202-203, 268, 287) e di poeti marinisti, coevi o a lui o al Ridol e appartenenti alla sua cerchia letteraria (ibid., I, pp. 293, 337, 338 e II, pp. 65-68, 267, 294-295, 296-297, 319 senza tener conto delle composizioni italiane e latine poste nelle pp. n.n. all’inizio di ciascun volume).

12 Giovanni Baglione, Le Vite de’ pittori, scultori et architetti dal ponticato di Gregorio XIII del 1572 in no a’ tempi del papa Urbano VIII nel 1642, Roma, Fei, 1642: le uniche poesie si trovano all’inizio del volume, nelle pp. n.n. (cc. segnate a4r-a6v), e sono di Ottavio Tronsarelli e del Bellori, in onore di Baglione e della sua opera, secondo un uso editoriale ormai invalso da almeno un secolo.

13 Giovan Pietro Bellori, Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, Roma, Mascardi, 1672: per le sue poesie, vedi ibid., pp. 14, 79 e forse 439; per poesie altrui, vedi pp. 7, 9, 98, 124, 132, 211.212, 246, 345 (quelle di Marino su Annibale Carracci e Caravaggio sono alle pp. 98 e 211).

14 Sugli indici nella Felsina Pittrice di Malvasia, e in particolare sui lemmi «poesia» e «sonetto», vedi G. Perini Folesani, Elementi paratestuali di innovazione e approfondimento critico nella Felsina Pittrice di Carlo Cesare Malvasia: la struttura e compilazione degli indici nali, in Mariella Guercio et al. (a cura di), Disciplinare la memoria: strumenti e pratiche nella cultura scritta, Bologna, Patron, 2014, pp. 265-283, specie 280. Si possono richiamare qui ulteriori lemmi pertinenti dell’Indice, come ad esempio «ottave», oppure «epigramma», non meno che la pragmatica indicazione oerta per identicare i sonetti dispersi nel testo: «li troverai facilmente, essendo tirati dentro et in carattere corsivo» (C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, cit., II, p. 593).

15 Per poesie di Rinaldi, vedi ibid., I, p. 434, e II, pp. 42 e 85. Per quelle di Marino, ibid., I, pp. 222, 233, 292, 452, 453-454 e II, pp. 10-11, 23, 30, 41, 85, 119, 143-144, 233. Si noti che Reni, e in particolare il suo Ratto die Elena ora al Louvre, era stato fatto oggetto di molti omaggi letterari, specie poetici, dai fratelli Manzini, in particolare Luigi (vedi Anthony Colantuono, Guido Reni’s Abduction of Helen – The Politics and Rhetoric of Painting in Seventeenth-Century Europe, Cambridge, Cambridge University Press, 1997: i testi sono riportati, di solito con traduzione inglese, in Appendice, pp. 183-243): dati i cattivi rapporti di Malvasia coi suddetti, però, non stupisce che le loro composizioni non siano da lui ristampate.

16 Si vedano ad es. i materiali pubblicati in Giovanni Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, Bologna, Stamperia S. Tommaso d’Aquino, 1781-1794, IX, pp. 67-70, lettere e poesie del Bombaci reperibili nelle prime carte di BCB, ms B 153 (per altri scritti di Bombaci vedi invece C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, cit., II, p. 42).

17 Se considerare la Felsina Pittrice un’opera collettiva dell’Accademia dei Gelati sarebbe profondamente ingiusto nei confronti dell’autore, è però vero che è Malvasia stesso il primo a riconoscere il sostegno dei colleghi accademici non solo verbalmente, ma anche attraverso alcune spie paratestuali, come l’inserimento dell’impresa dell’Accademia tra i nalini xilograci esornativi del volume o l’evidenziazione dell’Accademia nell’indice analitico: in proposito vedi G. Perini Folesani, L’apparato illustrativo, cit. e id., Appunti preliminari, cit., specie, pp. 283-285.

18 Sul soggiorno veneto di Malvasia vedi ad es. G. Perini Folesani, Implicazioni semiotiche nella lettura dei quadri di uno storico, conoscitore e letterato del Seicento, «Notizie da Palazzo Albani», 2005-2006, pp. 141-158. Sulle citazioni boschiniane, vedi C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, cit., I, pp. 314-315, 385, 474-476 e II, p. 342.

19 Sulla presenza di questi due sonetti solo in alcune copie del libro, all’inizio del I tomo, vedi C. A. Girotto, cit., pp. 57, 66-67 e 156, gg. XXII-XXIV. I sonetti sono motivati anche dal furto del gioiello mentre era in mano al corriere inviato da Parigi, onde il Re dà ordine di spedirne subito un altro, circostanza ritenuta altamente onorica e degna di essere immortalata in versi.

20 C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, cit., II, p. 486 (la Lettera è ristampata alle pp. 482-486).

21 Ibid., I, p. 269-270. L’episodio testimonia la eettiva frequentazione degli studi degli artisti bolognesi, anche minori, da parte di Malvasia (e i suoi contatti diretti e indiretti con la Corte medicea, incluso il Gran Principe Ferdinando di passaggio a Bologna): altrimenti non avrebbe potuto dare il suo contributo poetico al libretto illustrato, di vena caricaturale alla carraccesca. Sui cataloghi informatizzati del Polo Museale Fiorentino non gura nessuna opera attribuita a Giacomo Maria Tosi, ma quello relativo al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uizi non è completo.

22 Sul sonetto di Agostino in onore di Niccolò dell’Abate, che Shearman e qualche altro ancora ritengono un falso malvasiano, vedi G. Perini Folesani, Gli scritti dei Carracci, Bologna, Nuova Alfa, 1990, pp. 44-69 e C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, cit., I, p. 159. Per le prove poetiche di Agostino Mitelli vedi ibid., II, pp. 413-414 e inoltre cenni in Christoph Lademann, Agostino Mitelli 1600-1660 Die Bolognesische Quadraturmalerei in der Sicht Zeitgenossischer Autoren, Francoforte, P. Lang, 1997, pp. 52, 64-65, 103-104 e 126.

23 C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, cit., II, pp. 113-114 e 124-125 (per Leonello Spada: vedi anche Giovanna Perini, Poems by Bolognese Painters from the Renaissance to the Late Baroque, in Thomas Frangenberg (a cura di), Poetry on Art, Renaissance to Romanticism, Donington, Shaun Tyas, 2003, pp. 3-28, specie pp. 11-12 e 15-20) e pp. 147-148, 148-149, 151-152 e 155 (per Giovan Luigi Valesio: su alcune sue poesie inedite, vedi G. Perini Folesani, Poems, cit., pp. 11, 13-15 e 21-28 e inoltre Kenichi Takahashi, Cleopatra, l’Accademia dei Selvaggi e Guido Reni, «Il Carrobbio» 2002, pp. 93-106 e id., Giovanni Luigi Valesio -Ritratto dell’«Instancabile Accademico incamminato», Bologna, Clueb, 2007, pp. 135-151); più recentemente, vedi Danielle Boillet, Il testo e l’immagine: a proposito del doppio contributo di Giovanni Luigi Valesio a raccolte per nozze (1607-1622), «Line@editoriale», 2011, n. 3 (http://revues.univtlse2.fr/pum/lineaeditoriale/index.php?id=749 ultima consultazione 13 luglio 2019).

24 La bibliograa sui Gelati è alquanto corposa: meglio quindi riferirsi al recente studio di Clizia Gurreri, Nec longum tempus: l’Accademia dei Gelati tra XVI e XVII secolo (1588-1614), in Jane Everson et al. (a cura di), The Italian Academies 1525-1700: Networks of Culture, Innovation and Dissent, Cambridge e Abingdon New York, Modern Humanities Research Association e Routledge, 2016, pp. 186-196 (con bibliograa precedente), più che alle sparse e non sempre corrette osserva- zioni in Simone Testa, Italian Academies and Their Networks, 1525-1700 – From Local to Global, Houndmills e New York, Plagrave Macimillan, 2015, pp. 11-14, 18-19, 45, 78-79, 121, 126, 129, 135-142, 151, 164, 174-175. Per i Selvaggi, si veda almeno Renzo Zagnoni, Accademie porrettane tra Cinquecento e Settecento, «Il Carrobbio», 1991, pp. 325-342. Sui pittori-poeti bolognesi vedi più specicamente G. Perini Folesani, Pittura e poesia arti sorelle nella Bologna rinascimentale e barocca, al convegno Doppio talento e doppia creatività – Scrittori artisti e artisti scrittori italiani tra XVI e XVIII secolo (Scuola Normale Superiore di Pisa, 29-30 novembre 2018).

25 C. Ridol, cit., II, pp. 230 e 242-243.

26 G. Perini Folesani, L’epistolario del Malvasia Primi frammenti: le lettere all’Aprosio, «Studi secenteschi», 1984, pp. 183-230, specie 191-194 e 215 e ead., L’oicina della Felsina Pittrice: le carte sui Tibaldi e i corrispondenti marchigiani di Malvasia, in Francesco Ceccarelli et al. (a cura di), Domenico e Pellegrino Tibaldi - Architettura e arte a Bologna nel secondo Cinquecento, Venezia, Marsilio, 2011, pp. 293-309.

27 Vedi C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, cit., I, pp. n.n. (segn. b3v), 46 e 49 e, negli Indici, II, p. 503 (dove, per un refuso non corretto, il cognome è alterato in Lambertini, determinando le confusioni successive). Per sillogi poetiche simili, vedi G. Perini Folesani, Poems, cit., pp. 13-14. Sul Lamberti vedi Mattia Lullini, «In questo libro serà notato il stato di me»: il libro di famiglia di Antonio Lamberti, «Il Carrobbio», 2009, pp. 121-162. Già nel Settecento bolognese, a partire dall’Orlandi (Abecedario pittorico, Bologna, Pisarri, 1704, p. 395), questo Lamberti, la cui esistenza era ormai dimenticata, venne confuso con un fantomatico esponente della famiglia Lambertini senatoria, a causa dell’improvvido refuso negli Indici malvasiani.

28 In proposito vedi G. Perini Folesani, Poems, cit., pp. 7-10.

29 C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, cit., I, rispettivamente pp. 146 e 49. Per l’epicedio di Guido Aspertini opera di Diomede Guidalotti, vedilo in id., Tyrocinio delle cose vulgari, cioè sonetti, canzoni, sestine, strambotti, barzellette, capituli, egloghe e prosa, Bologna, Bazaleri, 1504, c. segn. Hiii r/v (Per la morte de Guido pictore bolognese); per i parti poetici di Hermico Caiado, un portoghese molto attivo nella corte ferrarese, ma in stretto contatto anche con i docenti dello Studio felsineo e i letterati della corte bentivolesca, vedi invece id., Aeglogae, et Sylvae et Epigrammata, Bologna, Benedetto Ettori, 1501, c. segn. H8v (su Guido Aspertini; per un epigramma eulogistico del miniatore bolognese Giovanni Battista Cavalletto, ignoto a Malvasia, vedi ibid., c. segn. M5v, così come per un distico su un ritratto di Girolamo Casio, di artista non specicato, vedi c. segn. M3v, Sul Francia vedi invece ivi, c. segn.K6v, ultimi versi di un epigramma a Bartolomeo Bianchini che inizia a c. segn. K5v).

30 C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, cit., I, pp. 14 (ma anche, il passo su Cimabue e Giotto, alle pp. 9-10), 48-49, 59 e 145.

31 Ibid., I, pp. 246, 291, 314, 451 e II, p. 119 (cfr. Giulio Cesare Gigli, La pittura trionfante, Barbara Agosti et al. (a cura di), Porretta, I quaderni del Battello Ebbro, 1997).

32 Io. Ant. Bumaldo (anagramma di [Ovidio] Montalbani), Minervalia Bononiae, Bologna, Benacci, 1641, pp. 238-262.

33 Su questi ultimi vedi C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, cit., II, pp. 260-262, 290- 292, 342, 370-371, 381-382.

34 G. Perini Folesani, L’apparato illustrativo, cit. passim.

35 Ibid., e inoltre G. Perini Folesani, Appunti preliminari, cit., p. 282.

36 Per le citazioni del du Fresnoy in Malvasia e per il loro signicato e funzione, vedi Charles Alphonse Du Fresnoy, De arte graphica (Paris, 1668), Christopher Allen et al. (a cura di), Ginevra, Droz, 2005, pp. 123, 220-221, 270, 274, 277, 296, 305, 373, 380, 394.

37 C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, cit., I, p. 480 (cfr., per analogia, nella vita dell’Albani, II, p. 234).

38 Ibid., I, pp. 40-44 (Francesco Francia, con citazione vasariana di un epigramma del Fivizzano per la sua morte), 64-68 (Marcantonio Raimondi, da Vasari), 134-137 (Bartolomeo Ramneghi, da Vasari), 145 (Ercole Roberti, da Vasari), 152-155 (Primaticcio, da Vasari), 155-156 (id., da Félibien), 156-158 (Niccolò dell’Abate, dal Vidriani), 161 (Primaticcio, da Galeotti), 167-168 (Tibaldi, da Vasari), 170 (id., da Baglione), 170-192 (id., dal Mazzolari, con varie citazioni di epigrammi e distici latini). Vedi anche pp. 503-515 (Descrizione della Venere dormiente di Annibale Carracci oggi a Chantilly scritta da mons. Agucchi, conclusa da composizioni poetiche in italiano e in latino di Bartolomeo Dolcini, dell’Agucchi stesso e di altri).

39 La loro trascrizione in C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, cit., I, pp. 407-433 (funerali di Agostino Carracci) e II, pp. 455-462, 476-477, 480-482 (per la Sirani) è non solo integrale, ma assolutamente attenta e scrupolosa anche nella riproduzione dell’apparato gurativo: vedi G. Perini Folesani, L’apparato illustrativo, cit. e id., La vita dei Carracci di Carlo Cesare Malvasia: appunti in margine, in Monica Visioli (a cura di), La biograa d’artista tra arte e letteratura Seminari di letteratura artistica, Pavia, Edizioni Santa Caterina, 2014, pp. 77-100. Può stupire, semmai, l’omissione (intenzionale: al riguardo vedi C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, cit., II, p. 416) del libretto per i funerali di Agostino Mitelli, con dedica proprio a Malvasia (Nazaro Forte Colonna, Il Prencipe, orazione funebre avuta in Genova per la morte del Signor Agostino Mitelli, Bologna, Monti, 1667), mentre sono riportate le scritte commemorative presenti negli apparati in onore del defunto eretti a Roma e a Rimini (ibid., II pp. 416-419).

40 Ibid., I, pp. 68-131. Un’Appendice integrativa è nascosta negli Indici nali (ibid., II, pp. 593-596).

41 Sul catalogo delle stampe in calce alla vita di Marcantonio Raimondi, vedi Naoko Takahatake, Carlo Cesare Malvasia and Printmaking in Bologna, in E. Cropper et al. (a cura di), Carlo Cesare Malvasia, Felsina Pittrice. Lives of the Bolognese Painters, II/2- Life of Marcantonio Raimondi and Critical Catalogue of Prints by or after Bolognese Masters, Turnhout e Washington DC, Brepols, Harvey Miller e CASVA, 2017, I, pp. 1-51.

42 Sugli elementi di continuità tra Malvasia e Vasari sottostanti all’esibita polemica vedi Frédérique Dubard de Gaillarbois, Vasari selon Malvasia, ou la critique du «troppo tirannico giogo dell’ipse dixit», in Corinne Lucas Fiorato et al. (a cura di), La réception des Vite de Giorgio Vasari dans l’Europe des XVIe-XVIIIe siècle, Ginevra, Droz, 2017, pp. 157-176.

43 Vedi supra, nota 15.

44 C.C. Malvasia, Felsina Pittrice, cit., II, pp. 41e 86.

45 Ibid., II, pp. 20 e 260-261.

46 Ibid., II, pp. 290-292. Sull’irritazione (forse più nta che reale) del de Lemene per saper pubblicati i suoi versi in onore dell’Albani entro la vita dello stesso, anche se erano contenuti in lettere private da lui inviate al pittore e da questi cedute a Malvasia, vedi Cesare Vignati, Francesco de Lemene e il suo epistolario inedito, «Archivio storico lombardo», 1892, pp. 345-376 e 629-670, specie 661-662, recentemente ripreso in Clotilde Fino, Francesco de Lemene e gli artisti del suo tempo. Una rete di relazioni al servizio di Lodi, «Archivio storico lodigiano», 2006, pp. 203-246, specie 207-209 (con un grave errore interpretativo, perché, utilizzando la ri- stampa ottocentesca del libro malvasiano, attribuisce a Malvasia un commento in nota su de Lemene poeta che è invece di Zanotti).

47 Luigi Lanzi, Storia pittorica della Italia dal Risorgimento delle Belle Arti n presso al ne del secolo XVIII, Firenze, Sansoni, 1968-1974, III, p. 4, nota 1 (ove lo annovera tra le «abili penne» che si sono occupate della storiograa artistica bolognese e lo denisce «buon letterato» termine equivalente al coevo francese savant, pur avendo, nel testo, notato «anco nel Malvasia qualche difetto di buona critica, non avvertito nel bollore di quella contenzione» (col che allude alla polemica antivasariana e anti-toscana: il corsivo è mio) e soprattutto I, p. 40, nota 1: «Notisi che il Malvasia non combatteva solo a favor di Bologna, ma dell’Italia e dell’Europa».

48 Sulle alterne fortune di Malvasia storiografo d’arte (ma, per il Novecento, sarebbe più appropriato parlar di sfortune, con strascichi in questo secolo) vedi G. Perini Folesani, Documenti spariti, manipolati, falsicati, ritrovati – le alterazioni della memoria storica come problema di metodo critico: una casistica tratta dalla letteratura artistica barocca, in Grazia Maria Fachechi (a cura di), Lost and Found: ricostruire ciò che è andato distrutto, recuperare ciò che è andato disperso, Roma, Gremese, 2018, pp. 159-187.

49 Di norma gli storici dell’arte, specie di inclinazione connoisseuriale, compulsano il libro cercando conferma delle proprie attribuzioni e datazioni negli elenchi e descrizioni di opere di ogni pittore, censurando Malvasia quando le sue informazioni non corrispondono alle loro aspettative e seguendolo acriticamente quando per caso coincidono; gli italianisti invece si concentrano sulle parti narrative ed aneddotiche: vedi ad es. Bruno Basile, Qualche fonte per gli aneddoti caravaggeschi della Felsina Pittrice del Malvasia, «Filologia e critica», 1985, pp. 422-434, o, in precedenza, la discutibile antologizzazione curata da Marcella Brascaglia e le sue note introduttive al volume di Carlo Cesare Malvasia, Felsina Pittrice, Vite de’ Pittori Bolognesi, Bologna, Alfa, 1971.