Revue Italique

La poésie et les arts

OJ-italique-480

«Un modo nuovo di scolpire»: fonti per la fama della Santa Veronica di Francesco Mochi (con la prima poesia a stampa di Salvator Rosa)

Floriana Conte

Per avermi aiutato in vario modo sono grata ad Andrea Bacchi, don Giacomo Cardinali, Daniela Gallavotti Cavallero, Natalia Gozzano, Alessandro Poggio, Enrico Parlato. Francesco Caglioti ha letto generosamente il testo prima della consegna, ma ogni eventuale errore pertiene alla mia responsabilità.

Uno studio sistematico sulla fortuna storica della scultura monumentale nelle fonti dal Seicento al Novecento, a partire necesariamente dal contesto romano, potrebbe puntare l’attenzione sul ruolo che hanno assunto committenti, artisti e letterati contemporanei e critici e storici dei secoli seguenti attorno al corpus di eccezione di Francesco Mochi. Come quando ho tirato le la degli studi su un artista napoletano quale Salvator Rosa (peraltro coinvolto nella raccolta di cui tratterò a breve), poeta grazie a una for mazione scolastica non comune che genera aspirazioni di aermazione accademica sproporzionate rispetto ai meriti eettivi, non è fuori luogo aermare che anche il consolidamento della fama postuma di Mochi debba cominciare dall’analisi del ruolo che lo stesso scultore ha giocato nella pubblicazione de La Veronica vaticana del signor Francesco Mochi. Componimenti poetici di ventidue intellettuali e artisti scriventi in volgare, latino e spagnolo,1 stampata a Roma da Lodovico Grignani nel 1641 dopo la collocazione nella crociera della Basilica vaticana della Santa Veronica commissionata da Urbano VIII (g. 1).

Fig. 1. La | Veronica | vaticana | del signor Francesco Mochi. | Componimenti poetici, In Roma, | per Lodovico Grignani, 1641, Roma, Biblioteca Nazionale dell’Accademia dei Lincei e Corsiniana, collocazione 171 F 7 (6).

Sulla storia della fama di Rosa elabora intuizioni importanti Roberto Longhi; anche nel caso di una storia della fama degli scultori del Seicento che cominci con Mochi, i termini post e ante quem possono, per ora, opportunamente essere ssati nella raccolta della Veronica vaticana e nelle scarsissime osservazioni dello stesso Longhi.

Una prima occorrenza longhiana è riscontrabile nel riferimento generico a Mochi nella recensione, uscita su «L’Arte» nel 1916,2 all’articolo La scultura barocca a Roma: Caratteristiche generali, pubblicato da Antonio Muñoz in «Rassegna d’Arte», luglio 1916:

Ma, davvero, crede il M. che il concetto di movimento possa servire di base alla valutazione estetica di un periodo d’arte? [...] i vecchi critici del ’6 e del ’700 [...] giudicarono la scultura barocca in base alle sue tendenze verso gli eetti di «pittoresco». [...] Ed è strano che proprio il Muñoz, che nota le ainità tra la Niobide e la Veronica del Mochi, non si sia accorto che qui vi era la rivelazione di fallacia del «movimento» come preteso principio artistico. Infatti il gesto è di moto in entrambe le statue; ma l’eetto artistico è quasi di calma (di colore) nell’una, di vivacità (di pittoresco) nell’altra.

Due anni dopo avere lodato il dinamismo de La scultura futurista di Boccioni,3 Longhi nella Veronica riscontra «gli eetti di “pitto resco”» (usato come sinonimo di «vivacità») (gg. 2-2a). L’aggettivo4 di vasta e non univoca tradizione semantica nella letteratura artistica accentua il debito della vocazione cinetica di Mochi con l’arte bidimensionale. Se Longhi avesse avuto per la scultura a Roma del Seicento interessi purtroppo non profusi, probabilmente l’indagine sulla rappresentazione del movimento in Mochi, dall’Annunziata di Orvieto5 alla Santa Veronica, avrebbe consentito di individuarne le similitudini con gli esiti tanto apprezzati nelle Forme uniche nella continuità dello spazio di Umberto Boccioni. Ma il disinteresse del grande storico e critico ha impedito l’inserimento dello scultore di Montevarchi, e del collega Bernini con cui fu in competizione, nel «canone dei padri della scultura futurista e dunque» «nella genealogia dell’arte moderna».6

Fig. 2. Francesco Mochi, Santa Veronica, 1629-1639, marmo, 5 m ca., Città del Vaticano, Basilica di San Pietro in Vaticano (crediti fotograci: da Louise Rice, The Unveiling of Mochi’s Veronica, «The Burlington Magazine», CLVI, 2014, pp. 735-740: 735 g. 17).

Fig. 2a. Francesco Mochi, Santa Veronica, 1629-1639, marmo, 5 m ca., Città del Vaticano, Basilica di San Pietro in Vaticano (crediti fotograci: Carlo Del Bravo, Taccuino, in Francesco Mochi fotografato da Marcello Bertoni su indicazioni di Carlo Del Bravo, Regione Toscana / Comune di Montevarchi, Comune di Piacenza, Comune di Roma, Firenze, Eurograca, 1981).

Alcuni dati emergenti dalla lettura integrale de La Veronica vaticana (meritevole di edizione critica integrale e forse di un certo interesse per gli studiosi di storia, di storia della musica, del teatro, della letteratura, ecc.) restano, per ora, inutilizzati.7 L’analisi delle relazioni tra committenti/suscitatori delle poesie (Mochi, verosimilmente d’intesa con il papa, come vedremo di seguito), stampatore ed encomiasti meriterebbe attenzioni che lo spazio non permette di profondere; mi limito, a testo e in nota, a osservazioni sistematiche su tre soli dei ventisei componi- menti e sulla dedica Al virtuoso lettore (pp. 3-4) dello stampatore. Quest’ultimo è specializzato in edizioni musicali e «nella produzione di opuscoli popolari, opere di autori locali, testi teatrali, raccolte poetiche e, soprattutto, di avvisi e relazioni, che stampò nel corso di tutta la sua attività tipograca, diventando uno dei più famosi stampatori di avvisi del Seicento»; nel 1631 ottiene «il permesso di ristampare e di vendere insieme con Francesco Cavalli una nuova edizione del Breviario romano, voluta da Urbano VIII», nel 1633 stampa le Apes Urbanae «sive De viris illustribus di Leone Allacci [...], edizione dedicata al cardinale Antonio Barberini, il cui stemma si trova sul frontes- pizio e che testimonia il legame del tipografo con l’illustre famiglia».8 Con ogni evidenza, un ruolo di primo piano nell’operazione editoriale spetta a Ottavio Tronsarelli (lo attesta anche Vincenzo Maria Savarelli: testo XXVI, vv. 64-68, cfr. oltre), autore di tre componimenti in latino e di un sonetto in volgare. Vicino a Urbano VIII e alla sua famiglia almeno dal 1627, autore di drammi musicali e teatrali (tra cui La catena d’Adone e Il martirio de’ santi Abundio prete, Abundantio diacono, Marciano e Giovanni suo gliuolo cavalieri romani, entrambi musicati da Domenico Mazzocchi e stampati nel 1626 e nel 1641 dal Grignani),9 di poesie dedicate anche a opere di Caravaggio, Domenichino, Grechetto, Astolfo Petrazzi, Giovan Luigi Valesio, Pietro Ferreri, Giovanni Baglione, coinvolto sedici anni prima, insieme a Giovan Battista Marino, nella raccolta di versi in lode della cappella di Guido Nol nel Duomo di Fano dipinta da Domenichino: potrebbero dunque essere stati Tronsarelli e Baglione a suggerire a Urbano VIII e a Mochi di favorire l’apprezzamento di una scultura tanto inusitata come la Veronica tramite versi per i quali era vivo a Roma l’esempio illustre dei Coryciana. Ad ogni modo, i due rmano un numero di componimenti maggiore rispetto agli altri autori della raccolta;10 inoltre, il rapporto di Tronsarelli con Mochi risale a qualche anno prima, se nel 1634 lo scultore è già destinatario di un suo encomio.11

Il sonetto indirizzato da Rosa a Mochi, «essortando a scoprir» la Santa Veronica ed evocando «il sommo Sole Urbano», è databile certamente tra il 4 e il 20 novembre del 1640 (cfr. oltre):12

[XXII]
[p. 27] Del signor Salvator Rosa. Essortando a scoprir la Veronica al signor Mochi.
13

Scopri, scopri, Francesco, i tuoi tesori!
Già t’applaude la Fama e già t’invita
Roma, ché l’opra tua, rara e gradita,
ben degna stimerà de’ prischi honori.4
 
Qual mente a ch’a’ chiari tuoi lavori
non resti da stupor vinta, assorbita?
Sai dar moto alle membra, al moto vita,
e la vita arricchir d’alti splendori.8
 
I tuoi marmi emular vedrai le carte,
idolatrar gl’ingegni alla tua mano
e Natura ammirar l’opre dell’Artei
 
e ben de’ marmi tuoi nel Vaticano
s’udiranno le voci intorno sparte
all’apparir del sommo Sole Urbano.

Si tratta del primo componimento poetico elaborato da Rosa per la circolazione a stampa e della prima fonte diretta, ignota in versione manoscritta, nora reperita e precedente l’arrivo a Firenze; entro il 1641 il poeta-pittore darà a Siena la più antica recita pubblica della satira La Musica: alla luce di tale cronologia, appare da contestualizzare adeguatamente l’opportunità oertagli da parte del più noto editore di opere musicali vicino ai Barberini attivo in quel momento. Durante il primo soggiorno romano, la dimora presso il cardinal Francesco Maria Brancaccio consente a Salvatore di ancheggiare l’ambiente dei Barberini. Altri dati vanno in questa direzione: nel 1639 ca., la Cappella della Pietà nella chiesa di San Venanzio a Fabriano, per cui Rosa dipinge San Nicola da Tolentino in gloria e San Girolamo che ascolta la tromba del Giudizio, è decorata dal titolare Girolamo Toccacielo con api barberiniane;14 il 2 giugno 1640 Rosa è sicuramente a Roma, «favorito dal signor cardinale Brancaccio et da molti altri signori per la sua gran virtù nelle cose del depignere» (lo attesta Giuseppe Calasanzio nella lettera scritta a Giuseppe Fedele, padre provinciale delle Scuole Pie a Napoli),15 e vi lavora ancora con ogni probabilità no a novembre;16 Urbano VIII è esplicitamente lodato nel verso nale del sonetto per Mochi. È quindi prudente ipotizzare che l’artistascrittore sia stato coinvolto nell’operazione encomiastica in quanto gravitante attorno alla famiglia ponticia.

La raccolta di componimenti che ha motivato queste pagine consente anche di incrociare le prime indagini sulla fortuna storica della Veronica e della scultura colossale marmorea in età moderna a quella del Volto santo vaticano: la reliquia forse più celebre della Basilica, l’attra- zione principale dei pellegrini a partire dal Giubileo del 1300, la «vera icona» rappresentata da Mochi nel panno mostrato da Veronica.17 Difatti, nonostante gli studiosi si siano prodigati nell’elaborazione critica degli interessi scientici su di essa:

La gura monumentale della santa apocrifa sembra lanciarsi nello spazio in un gesto fermato nella pietra, mentre regge in alto il sudario con il disegno inciso del volto di Cristo. Il rilievo sovrapposto conferisce plasticità alla vera icona; inne, sulla balconata a un’altezza più «remota» si svolgono le ostensioni canoniche dell’originale allestito in una cornice barocca. Oppure quest’ultimo è sparito dalla chiesa già all’inizio del Cinquecento, trafugato durante il Sacco di Roma, come sostengono alcuni? Oppure, se ancor oggi sussiste un’immagine o un velo, che cosa vi si vede «veramente»? [...]. La storia della sua critica costituirebbe un capitolo a parte. [...] si vorrebbe esprimere il desiderio, pio e profano a un tempo, di sapere di più sulla natura dell’oggetto misterioso.18

Il 21 maggio 1606 la reliquia del Volto Santo viene spostata nella tribuna della cupola; poi Urbano VIII proibisce che della reliquia più venerata della Basilica si traggano ancora copie, disponendo la distruzione di quelle già esistenti;19 ordina inoltre la costruzione dell’altare e del tabernacolo nel 1625 e commissiona la statua di Santa Veronica prima a Bernini, poi, denitivamente, a Mochi nel 1629.20 La statua, terminata nel 1639, viene trasportata in San Pietro tra agosto e settembre. Il 4 novembre 1640 Urbano VIII visiona la statua in anteprima. In particolare, il papa viene positivamente impressionato dall’eetto Un modo nuovo di scolpire inusuale della stoa mossa dal vento. La cronaca di quei momenti ci è nota grazie al resoconto trasmesso dallo stesso Mochi a Francesco Maria Torrigio, erudito, scrittore di cose sacre, in età matura canonico di San Nicola in Carcere,21 il quale ne dà conto nella Historia del sacro Sudario della Beata Veronica che si conserva nella ecclesia basilica di San Pietro di Roma, detto il Volto Santo, di Francesco Maria Torriggio romano:

Quando fu scoperto la statua di S. Veronica, a dì 4 Novembre 1640, il Mochi si accostò alla sedia di Nostro Signore Urbano Ottavo. Nostro Signore li disse che lo facessi menare dove li piaceva per veder la detta statua, dove che subito lo menò in faccia proprio e lì si dimorò un pezzo con ragionar lungamente, con esso seco discorrendo, che la detta statua faceva un’attitudine che esprimeva tanto bene il suo concetto, che chi la guardava pareva che li volesse parlare, il movimento de’ panni pareva che vi fusse dentro il vento, con dirli che il detto Mochi haveva osservato l’arte grandemente, e disse che mostrava in un istesso tempo il nudo e ’l vestito, con esprimere che il vento faceva volare talmente i panni che non si poteva far più. Allora il sudetto Mochi pregò nostro Signore che si volesse degnare di veder in quel altra veduta di sopra. Rispose Nostro Signore di sì e così fu portato alla veduta che li parve, al detto Mochi, che Nostro Signore potesse goderla meglio. E lì Nostro Signore cominciò dal conciero della testa, della bizzarria e vaghezza così modesta, d’una vaghezza strasordinaria, e poi se ne venne giù a parte per parte, con dir che: «Ah, bravi, bellissimi il sventolar del velo così bello, così de l’exprimere delle coscie e gambe, così ben vestite con l’oservanza de l’arte», che invero era la veduta assai più bella anche che le altre, con dir che: «sì piace per tutte le vedute ma questa particolarmente, che questa statua si puol dire che sia un modo nuovo di scolpire». Dapoi chiamò Sua Eminenza Signore Cardinale Sacchetti, quasi con dire che lo chiamassi per testimonio del gusto che haveva hauto, con replicarli le sudette cose. Hora, essendosi trattenuto tanto, il Signore Mastro di Cammera si aacciò lì alla seggetta, dicendo: «Padre Santo, l’aria non è troppo bona, che ancora ci sarebbe». Nostro Signore allora dette la benedizione al detto Mochi et esso li baciò il piede, ringratiandolo di tante favore e gratia che Sua Santità li haveva fatto.22

Torrigio informa inne che «in lode di detto Mochi furono attaccati per la chiesa 15 sonetti [...] Et a dì 12 ne furono attaccati sei altri fra quali uno in cinque stanze.23 [...] Datami a dì 8 di Decembre 1640 dal sig. Francesco Mochi che fece detta statua». «Un modo nuovo di scolpire» apprezzato dal committente della Santa Veronica, il toscano Urbano VIII Barberini, che è conoscitore attento, insieme ai familiari, dei pittori che hanno studiato presso la medesima bottega presso cui, verosimilmente, si è formato lo scultore. Per Mochi e il papa il precedente di riferimento è piuttosto alto: si tratta dei versi latini dei Coryciana, generati in maniera simile attorno all’altare con l’Isaia e il gruppo con Sant’Anna, la Vergine e il Bambino, chiesti a Raaello e ad Andrea Sansovino dal protonotaro apostolico lussemburghese Johannes Goritz.24 Sansovino riceve lodi ricorrenti nei componimenti in ragione dell’eccezionalità tecnica del gruppo, composto da tre gure tratte da un unico blocco di marmo, assecondando la topica dell’ex uno lapide che congiunge il Laocoonte alla Pietà di Michelangelo.25 All’artista, che ormai rappresenta la norma per la scultura in marmo, colossale e no, Mochi viene topicamente accostato da Vincenzo Maria Savarelli (cfr. vv. 49-52):

[XXVI]
[p. 33] Del signor Vincenzo Maria Savarelli al signor Francesco Mochi. Per la statua della Veronica alzata in San Piero in Vaticano.
26

Taccian Olimpia e Rodi i lor portenti,
ceda i pregi del tempio Efeso a Roma.
Giace dal Tempo ogni lor pompa doma,
ma qui discordi invan son gli elementi.
 
Svisceratogli il seno, hor lieta Paro5
nelle perdite sue vanti gli acquisti,
mentre al Mochi inalzar trofei non visti
non fu di marmi ogni suo monte avaro.
 
L’idolo de’ colossi oggi si vede
moto e favella aver per la sua mano.10
E, con l’eternità, nel Vaticano
maggior l’antico Latio al mondo riede.
 
[p. 34] Mochi, la mano tua che i sassi avviva
come poté, senza celeste aiuto,
ritrar volto da te mai non veduto15
e dargli moto e far che parli e viva?
 
Come sapesti, del suo aspetto privo,
scolpir dell’alta ebrea vivi i sembianti?
Poggiasti per mirarla in ciel fra’ santi,
ov’ella stanza, e disegnarla al vivo?20
 
Cui salisti, che già mai sì bella
di Davide la reggia non la scorse,
quando pietosa al suo Signore accorse
a ministrargli i lini, umile ancella.
 
Là su scorgesti ancor l’impressa tela.25
Ma, se nel ciel salisti, a che il ritratto
ritrar, s’il volto eterno onde fu fatto
nell’empirea magion mai non si cela?
 
Cristo, che fu di Dio corporea imago,
nel Calvario i sembianti suoi divini30
lasciò a costei, ne’ suoi pietosi lini,
quando in croce morir per noi fu vago.
 
[p. 35] Ma ceda a te l’eigiata ebrea.
Quando Giesù già conversò fra noi,
ella il ritrasse, e tu ne’ seggi suoi )35
volasti ad improntar di Lui l’idea.
 
Mente mortal fra noi folle vaneggia,
mirare Iddio co ’l nostro umano velo.
Solo puoi tu scolpirlo, or che nel cielo
stassi a beare la stellante reggia.40
 
L’ebreo legislator già mai non scorse
l’invisibile aspetto, e pure a fronte
già favellogli nel sacrato monte,
quando l’antiche leggi Iddio gli porse.
 
L’incomprensibil Re per te sol lice
                [‘che non si arriva a conoscere’]45
a’ mortali qua giù scoprire in terra
Sì, trionfando de l’umana guerra,
fai, col vedere Iddio, l’uomo felice.
 
Oh, quanto il gran Michel sudò ne’ marmi
per dar materia al mondo oggi veda,50
ch’essendo norma a tutti, a te sol ceda
e si vanti cadere a sì grand’armi.
 
[p. 36] Egli del sole tuo già fu l’aurora,
vinse Roma per lui d’Atene i fasti,
et ora a superar tu solo basti55
l’attiche pompe e le romane ancora.
 
Ben giustamente, a simulacro degno
ch’in marmi la tua mano industre impresse,
regio tempio di marmi al cielo eresse
della città dell’Arno il chiaro ingegno.60
 
Fia muta l’eloquenza a dir tuoi vanti,
perciò l’adombra invan roca zampogna.
Suon ch’avanzi le trombe a te bisogna,
onde Ottavio sarà che ben ne canti.
 
Ei, ch’a’ trion del gran duce Ibero65
fe’ risonare in mar l’ultima Tile,
sarà bastante col sonoro stile
spiegar tuoi vanti e pareggiarli al vero.

Mochi utilizza tre blocchi di marmo per facilitare il trasporto? O, piuttosto, si attiene a una prescrizione del De statua di Leon Battista Alberti, secondo cui la statua si può ricavare da parti separate e connesse orizzontalmente?27 Mochi ricava dai blocchi un colosso di cui cerca di rendere pressoché invisibili le commettiture. Tuttavia, nel 1642 proprio la precarietà di questa scelta e il peso eccessivo del colosso rispetto al basamento tengono Mochi in allarme, soprattutto in relazione alla manutenzione settimanale a cui sono sottoposte tutte e quattro le statue:

Francesco Mochi, scoltore et humilissimo Oratore dell’Eminenze Vostre, li signica come, doppo le continue fatiche d’anni intorno cinque, ha lasciata in S. Pietro nel Vaticano la statua della S. Veronica per nita, e per tale hora consegna all’Eminenze Vostre, supplicandole a compiacersi, con la singolare prudenza loro, d’haver riguardo alli studi et opra del detto Oratore, acciò che possa ricevere l’honore e la remuneratione de suoi sudori dalla mano liberale delle Eminenze Vostre, con quella consolazione e quiete che spera. E perché, come il presente Oratore non può restar senza grave gelosia della sicureza di detta Opera, supplica che si degnino di riguardare alla sicureza detta, per le imperfettioni del piedistallo inhabile in ogni modo a sostenere il peso, come altre volte fu espresso al’Eminenze Vostre. Inoltre essendosi introdotto il far scopettare le statue ogni settimana, l’Oratore espose all’Eminenze Vostre che la sua non ha bisogno di tale diligenza perché, essendo nita in tutte le parti, la polvere non ha dove attaccarsi.28 E perché la negligenza e la disgratia potrebbe far cadere scala o altro stromento che gettarsi a terra, braccio, mano, velo, o altra parte. Ancorché la statua non sia di più pezzi che delli tre dati dalle Eminenze Vostre al detto scoltore [...].29

Anche referti indiretti, destinati a una diusione a stampa seriore, rendicontano i clamori suscitati dallo scoprimento pubblico del colosso. Giovan Battista Passeri non giudica eccezionali le dimensioni della Veronica che, anzi, egli ritiene identiche per le quattro statue («d’altezza di 23 palmi l’una»), ed è il primo a subodorare che ci sia Mochi dietro l’operazione encomiastica:

Urbano [...] ordinò che se gli desse da fare una delle statue grandi d’altezza di 23 palmi l’una, che sono collocate nelle quattro nicchie maggiori, ne’ pilastroni di San Pietro che sostengono la Cuppola. Fu data a lui quella della Veronica, la quale è una gura di tutto spirito e maestria. La rapresentò in atto di moto, e d’un moto violento, non solo di caminare, ma di correre con velocità. E qui mancò (e sia detto con sua pace) dalla sua propria essenza, perché, se la parola nominativa di «statua» deriva dal verbo latino «stostas», che signica ‘esser fermo, stabile et in piedi’, quella gura non è più statua permanente et imobile, come esser deve per formare un simulacro da essere goduto et amirato dai riguardanti, ma un personaggio30 che passa e non rimane. Questo che io dico non sia preso sinistramente, che io pretenda di fare il censore e di biasimare quella bell’opera che è degna d’ogni applauso, ma si discorre per un certo passaggio di favellare; del rimanente ciascheduno difenda sé stesso con quell’armi che tien preparate. Il gesto della gura è singolare, con tutte quelle osservazioni che si richiedeno ad un atto di moto, con le sue parti contraposte regolatamente. Lo scherso del panneggiare è mirabile, per- ché fa che la veste riceva un vento che la rende agitata e percossa in modo che, conservando tutto il nudo distintamente del corpo, rimane articiosamente vestita, scherzando nel lembo con uno svolazzo che rende adornamento e vaghezza. Mostra alquanto le braccia nude, le quali, esponendo quel lino ove sta impresso il volto sudante di Christo ai riguardanti, fanno un gesto leggiadrissimo delle mani, di graziosa e vaga proporzione. Nel sembiante è tutta spirito, perché nel moto degl’occhi e della bocca fa conoscere che esclama ad alta voce il mirabile portento della impressione di quel Santissimo Sudario, et ha lavorato quel marmo con sommo articio e fatica, con fondi gagliardissimi di scuri e piegature di panni oltra modo sollevate e, benché di più pezzi congiunti, non lascia penetrare il luoco ove insieme siano collegati quanto ha saputo schermire l’arte con l’arte. Ne riportò applauso il Mochi da questo suo bel lavoro et andò in giro alla stampa una raccolta di varie poesie in sua lode; ma questo non rende sicura testimonianza del valore d’una operazione, perché questi applausi mendicati possono guadagnarli ancora quelle opere che si sono fabricate, con le debolezze, più il vilipendio che la lode. Non dico ch’egli lo procurasse, perché era uomo modesto e sodo; ma delle volte alcuni parziali fanno al galant’uomo più danno che benecio con certe lodi sfacciate, senza proposito e senza proporzione. Il pontece Urbano lodò sommamente questa bell’opera uscita dal suo valoroso scalpello e, quanto alla soddisfazione del prezzo, non è bene discorrerne, perché andò per ciascheduno con qualche torbidezza e negl’interessi che hanno più del publico che del privato; per la partecipazione di molti ministri sono più li discorsi vani che le risoluzioni stabilite. Ciascheduno si accomodò alla stranezza della congiuntura e si fece virtù della necessità, tanto più che si haveva a combattere con l’aria.31

Molta parte degli encomi insiste sull’eetto del vento, che non ci si aspetta in una statua di materiale così poco duttile come il marmo e di dimensioni colossali. Il concetto di statua (e la sua relazione semantica col verbo stare) deriva da quello espresso da Alberti nel De statua, in cui la «risemantizzazione rinascimentale» dell’uso linguistico medievale, a sua volta derivato dalla tradizione classica, consiste «nella rigorosa denizione spaziale di quella gura singola, che si organizza ora intorno al proprio asse in modo da leggersi autonomamente nello spazio. Quest’idea di statua, che è anche la nostra, fa leva sul nesso etimologico con il verbo stare». Per Alberti, la statua è un «edicio in forma umana», tanto che egli dichiara nell’epistola dedicatoria del De statua che il suo proposito riguarda architetti e pittori, mostrando loro come «si possa innalzare un colosso», che con l’architettura condivide l’uso della pietra, l’isolamento monumentale e la scala dimensionale superiore al vero.32

Lione Pascoli aggiunge l’aneddoto che testimonia la rivalità (e la dierenza di intendere il mestiere) tra Mochi e Bernini:

Figurò la Santa in atto di correre, ed agitata la veste dal vento, vedesi quasi tutto il nudo del corpo distintamente. Quindi, additando a braccia alquanto scoperte il sacro lino col divin volto sudante, par che dica con occhj e bocca loquace: «ecco il gran prodigio!» agli astanti. E benché si vedesse artiziosamente, giudiziosamente lavorato quel marmo con oscuri gagliardi panneggiamenti sollevati, e con esatta proporzione e disegno in ogni sua parte, non mancarono, siccome non mancan mai alle bell’opere, le censure, l’invidie, le maldicenze, e le critiche. Fuvi tra gli altri uno sciocco pittore (e quanti ve ne sono alle volte di cotali ignoranti che parlando allo sproposito si rendono, per farsi creder sacciuti, scipiti e ridicoli!) che, tacciandola insipidamente, disse che, derivando il nome della statua dal verbo stare, non poteva in verun modo fare quel moto; ma star dritta, salda, ed immobile. Povero stivale! Bisognerebbe dunque torre ogni azione a’ simulacri! O quanto giusto e degno sarebbe il toglier loro piuttosto la professione e il parlare! Fuvi anche il mentovato Gianlorenzo, che rifar volendosi (ma saporitamente e da par suo) della taccia che unitamente con gli altri gli diede Francesco allorché andava dicendo che, per la fabbrica delle scale e delle nicchie fatte da lui negli anzidetti piloni, s’erano scoperte le note crepature nella cupola, disse che compativa estremamente la sforzata e caricata agitazione della Veronica, perché il difetto derivava dal vento che prendeva dalle crepature della cupola e non da insuicienza dell’autore. Né, all’incontro, mancò chi, per gara e per l’aetto che portava a Francesco, pubblicò in lode sua una raccolta di varie poesie, le quali non so di verità se avessero l’applauso che se ne sperava. So bensì che i parziali fanno a’ valenti arteci, colle loro soverchie, improprie e sfacciate lodi, più danno che benezio; e succede bene spesso, ed è una compassione a sentire anche modernamente.33

Si ricavano altre notizie dal manoscritto Osservazioni della scoltura antica elaborato nel sesto decennio del Seicento da Orfeo Boselli. I rapporti tra questi e Mochi sono di sicuro positivi: dopo che, il 28 maggio 1645, Mochi viene nominato «stimatore della scultura» (cioè perito uiciale) dell’Accademia di San Luca insieme ad Alessandro Algardi, Boselli pure lui scultore membro dell’Accademia designa il collega toscano perito di parte per «stimare et apprezzare il valore di due modelli di creda da esso fatti» (contemporaneamente, Mochi è impegnato nella rivendicazione di un compenso maggiore per la Veronica presso la Fabbrica di San Pietro).34 Per Boselli la Veronica è degna di nota anche per l’abilità dimostrata dal suo artece nell’essere riuscito a nascondere le giunture tra i blocchi in sculture monumentali, e la cita come esempio appropriato assieme al Sant’Andrea di Duquesnoy e al San Longino di Bernini.35 Nel capitolo delle Osservazioni intitolato De’ panni volanti così Boselli descrive l’uso del vento da parte degli antichi:

ne’ capelli e barbe [...] così aplicato negli habiti [...] e nelle forme alate [...]. In gure tonde poco se ne valsero, o per la scarsezza de’ marmo, o per la diicoltà di eternarli, mira principale et ultimo scopo di tanta arte; ma ne’ bassi rilievi, dove il campo è maggiore et la tavola dietro li sostenta, se ne servirono tanto, et tanta ricchezza apportarono alle opere loro, che è imposibile più avventarsi. Per questo li pittori più famosi, et Rafaelle in particolare, da’ bassi rilievi presero l’idea del’opere loro. Polidoro, che amò i gran moti, arrichì l’opre co’ gran voli. Rafaelle, più dotto, fu in ciò più riservato. Si servì de’ voli, se ciò sia per regola, in formare Dio, stante in Cielo pieno di maestà, o creante il mondo, o ordinante precetti, et negli angeli di lui ministri, e così in gure moventi, come nelle Loggie Vaticane è manifesto.

Il movimento dato dal vento non pertiene alla scultura monumentale, bensì ai bassorilievi antichi, a cui si ispira la pittura decorativa in età moderna del sommo classico del Cinquecento, Raaello, e del suo collaboratore più fantasioso in tale ambito, Polidoro da Caravaggio. Inoltre:

Gli antichi l’usavano nelle Baccanti, le quali, o per loro lascivi scherzi o per l’ebrietà da Bacco conferitali, con poco decoro violentemente si movevano, e così il moto et il vento faceva scivolare i panni loro anco inhonestamente. Usarono i panni volanti nelle forme alate, come si è detto, et nelle Vittorie parimente alate, come negli archi di Tito, di Setti- mio et di Costantino si vede.36

«Il sventolar del velo così bello» apprezzato come una novità da Urbano VIII appare, dunque, il più decisivo riferimento concettuale alle arti «bidimensionali». La Veronica di Mochi è declinata in una delle iconograe meno note: la donna è colta nel momento in cui rende testimonianza alla folla delle fattezze divine impresse sul panno, prima di trasformare l’occasione in missione, partendo alla volta di Roma per l’ostensione della reliquia attestante il sacricio di Gesù.37 Non è da escludere che l’idea per calibrare il rapporto tra la gura della santa e il panno della tradizione acheropita sia passata a Mochi da una delle più note incisioni di Dürer, realizzata nel 1516: l’Angelo col Volto Santo (g. 3)38 trattiene per le cocche superiori il panno sollevato dal vento, con una gestualità più vicina a una dimensione quotidiana che solenne arriveremmo a dire come quando si trattiene il bucato strattonato a sorpresa dal vento mentre si cerca di stenderlo. A proposito dell’incisione, che appare come «una delle più ardite creazioni grache di Dürer», Gerhard Wolf ha messo in evidenza la «metafora nautica» evocata da Erwin Panofsky: «Come la vela di una nave in una notte tempestosa»; ha altresì rilevato la sproporzione dimensionale e prospettica tra la metà superiore del foglio, in cui l’angelo si libra spiegando ali gigantesche, e quella inferiore, col gruppo di angeli che ostendono venerano i simboli della Passione: la croce, la lancia, la corona di spine, il agello.39 Si tratta pressappoco del medesimo contesto devozionale e iconograco a cui la Veronica di Mochi è destinata nel progetto di valorizzazione della crociera di San Pietro che impegna Urbano VIII dal 1624 ca.: la Veronica è associata alla reliquia del Volto santo, la Sant’Elena a quella della Croce, il San Longino a quella della lancia, il Sant’Andrea a quella del capo dello stesso santo e, con esplicitezza, alla croce decussata su cui fu martirizzato.40 Perno il sovradimensionamento della Veronica rispetto alle altre statue anch’esse colossali, misurando tutte tra 4,68 e 4,40 m ca., pur rispetto ai 5 m della statua di Mochi 41potrebbe essere stato raorzato dalla sproporzione suggerita dall’incisione di Dürer, in cui la reliquia del Volto santo appare più importante rispetto agli altri simboli della Passione, in quanto testimonianza diretta del volto di Cristo. Ben dierente e statica appare invece l’impostazione spaziale della Santa Veronica tra i santi Pietro e Paolo «fatta da Ugo da Carpi intagliatore, non dipinta da mano umana»42 per l’altare del Ciborio della Veronica, probabilmente per l’Anno Santo del 1525. Nel 1518 Ugo ottiene da Leone X il privilegio per due stampe tratte da Enea e Anchise e da La morte di Anania di Raaello in Vaticano, facendo leva sull’originalità della tecnica silograca a chiaroscuro da quattro legni. Inoltre la «Strage degli innocenti, idea di Raaello, incisa due volte da Marcantonio, appare anche in un chiaroscuro rmato Ugo, con l’invenit di Raaello, derivata chiaramente dalla stampa del bolognese senza la «felcetta», ossia quella rmata».43 Rispetto a Marcantonio, pertanto, Ugo ottiene eetti che tentano di riprodurre la materialità dell’originale raaellesco nelle stampe suddette e nelle altre che realizza allo stesso modo, in competizione con i disegni colorati. Per tale ragione, egli può fare disinvoltamente riferimento anche alle stampe di Marcantonio, non sempre direttamente alle invenzioni originali di Raaello: all’incisore interessa dare conto del rilievo e della tridimensionalità.44 Sia in quanto autore della precedente icona sostitutiva della «vera icona» in San Pietro, sia in quanto incisore di stampe come quelle suddette, Ugo può essere stato per Mochi un personaggio attrattivo con cui fare i conti. In particolare, la posa e la collocazione della Veronica nello spazio potrebbero essere in debito anche con il fulcro spaziale, narrativo ed emozionale della Strage degli innocenti (g. 4), eettivamente una delle più celebri stampe di Raaello e Marcantonio, in cui l’iconograa evangelica è ripensata genialmente come un cruento fatto di sangue contemporaneo, «su una terrazza romana in vista dell’isola Tiberina, del ponte Fabricio, della chiesa di San Bartolomeo. [...] un capolavoro assoluto, [...] più che una stampa, una idea, [...] fatta propria [...] da artisti di molte generazioni a venire, nel corso di più secoli».45 Veronica si slancia fuori dalla nicchia il cui arco e la cui decorazione marmorea richiamano la salda inquadratura della madre protagonista, inserita nell’arco del ponte in mezzo a tre fornici semicircolari.

Fig. 3. Albrecht Dürer, Angelo col Volto santo, 1516, acquaforte su lastra di ferro, 181 × 131 mm [da Giovanni Maria Fara, Albrecht Dürer. Originali, copie, derivazioni [Soprintendenza speciale per il Polo Museale orentino. Gabinetto Disegni e Stampe degli Uizi. Inventario generale delle stampe. I], Firenze, Leo S. Olschki, 2007, pp. 69-70, scheda 10. Angelo col Volto santo].

Fig. 4. Raaello Sanzio e Marcantonio Raimondi, Strage degli innocenti, 1511-1512 ca., bulino, 440 mm × 283 mm (crediti fotograci: http://www.lombardiabeniculturali.it/stampe/schede/F0130-00317/ (ultima consultazione 13 luglio 2019).

Fig. 4a. Francesco Mochi, Santa Veronica, 1629-1639, marmo, 5 m ca., Città del Vaticano, Basilica di San Pietro in Vaticano (crediti fotograci: da Louise Rice, The Unveiling of Mochi’s Veronica, «The Burlington Magazine», CLVI, 2014, pp. 735-740: 737 g. 18).

Le prime conclusioni emergenti dalle relazioni della Veronica vaticana con le altre fonti nora note attestano che gli encomi del 1640 nascono dalla necessità di preparare un terreno favorevole alla ricezione dell’opera: un colosso in marmo in corsa è un ossimoro per peso e dimensioni, tipiche delle statue antiche (per di più sovradimensionato di almeno mezzo metro o un metro rispetto a quelle delle altre tre nella crociera), e per il motivo iconograco, associabile alle menadi danzanti con i veli gonati dal vento tramandate dai sarcofagi antichi alla pittura del Cinquecento.46 Nel componimento XVI, vv. 14-18, Michelangelo Lualdi focalizza la propria attenzione sulla rappresentazione della Veronica in corsa con i bulbi oculari privi dell’indicazione dell’iride e sulla genesi della metamorfosi:

[p. 21] Del Signor Michelangelo Lualdi. La Veronica del signor Mochi, in atto di caminare.

Dove, donna veloce, hor volgi il piede?
Se nel candido lino,
predatrice amorosa, il tesoro divino
ne porti gloriosa?5
Ferma, ferma le piante,
acciò che ’l miri il popolo infedele
e ne divenga amante.
Ah, che turba crudele!
Non vuol ssar già mai10
i lumi ov’ha pietà sculti i suoi rai.
Ma che veggio? Accorrete, oimè, che fate,
turbe? Più non tardate!
Duolsi la diva e spira.
E, bench’ella apra i lumi, il dì non mira.15
Ed ecco, per stupore,
o caso strano, ahi lasso, s’è cangiata in un sasso.

La metamorfosi in statua di marmo della donna in corsa per sfuggire a un evento doloroso è condivisa dalla Veronica con un’altra statua di cui Maeo Barberini, non ancora papa, aveva apprezzato proprio le qualità cinetiche: alle «fugitivae gaudia formae» di una ninfa, sottratta a uno stupro dalla metamorfosi, Bernini aveva donato sembianze di marmo.47

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1 Anton Francesco Tacchini, Bartolomeo Tortoletti, Carlo Ferrarini, Curzio Pichi, Francesco Bracciolini (segretario di Maeo Barberini prima e di Antonio Barberini dopo l’ascesa al ponticato del primo), Francesco Fomigheri, Giacomo Guglielmi, accademico umorista, Giovanni Baglione, Giovan Battista Giangrandi, Simone Ruggieri, Gregorio Leone, il conte Giovanni Antonio da Reggio, Marco Antonio Tornioli, Martino Longhi (l’artista nel 1639 pubblica «un Canzoniere recitato all’Accademia dei Fantastici, di cui è membro»: M. Longhi, Poesie de’ signori Accademici Fantastici di Roma, raccolte e stampate da Lodovico Grignani, Roma 1637: cfr. Gianluigi Lerza, Longhi, Martino, il Giovane, in Dizionario Biograco degli Italiani (da ora in poi DBI), 65 (2005), pp. 658-662); tutte le voci dal DBI sono consultabili online qui: http://www.treccani.it/biografico/elenco-voci/a (ultima consultazione 13 luglio 2019); Mathias Pradas (autore dell’unica poesia in spagnolo), Michelangelo Lualdi, Stefano Cilini detto l’Occupato nell’Accademia degli Ottusi, Tito Livio Cascina, Tomaso di Leva (probabilmente «de Leyva»?), Vincenzo Maria Savarelli.

2 Alle pp. 368-369, ora in Roberto Longhi, Edizione delle opere complete di Roberto Longhi, vol. 1, Scritti giovanili. 1912-1922, Firenze, Sansoni, 1961, tomo 1, pp. 317- 318.

3 Così recita il titolo del saggio del 1914, ora in R. Longhi, Scritti giovanili, 1912-1922, cit., pp. 133-162, e tomo 2, tavv. 66-85, «uno dei principali dei juvenilia», secondo Francesco Caglioti, Michelangelo e altri problemi di scultura, in Anna Maria Ambrosini Massari et al. (a cura di), Il mestiere del conoscitore. Roberto Longhi, Bologna-Lavis (TN), Fondazione Federico Zeri-Esperia srl, 2017, pp. 125-224: 195, 198-201 e nn. 6, 10, 19-20, 22, che dedica preziose attenzioni alle rare indagini di Longhi nei confronti degli scultori non contemporanei. Oltre a considerazioni positive sulla scultura del Duecento (in alternativa realista alla deriva della pittura bizantina), in particolare sul «Maestro di Naumburg» e a quelle sugli «scultori in legno del Rinascimento tedesco» Veit Stoss, Nicolas Gerhart, Tilman Riemenschneider a paragone con Guido Mazzoni (sul tema cfr. almeno Marco M. Mascolo, «Una spuntatura arettata»: Arte italiana e arte tedesca di Roberto Longhi,«Prospettiva», 155-156 (2014), pp. 151-166: 159-161; 165 nn. 57, 66; 166 n. 83, perle recensioni di Longhi alla serie di articoli di Muñoz sulla scultura barocca), Longhi si cimenta con problemi relativi proprio e soltanto a scultori toscani, «su cui [...] scrive le poche volte che si occupa di scultura» (p. 197); riguardo al Seicento, per il «bistrattato [...] Bernini nei primi tempi di Longhi» (il riferimento è a R. Longhi, La scultura futurista di Boccioni, cit., passim), Caglioti rimanda ai «tre articoli monograci che Longhi dedica alla scultura del Quattro, Cinque, Seicento nei numeri – pochissimi – di Vita artistica negli anni ’26-27», ricordando: «Longhi divora letture di articoli e libri nelle principali lingue della critica d’arte europea perché, al servizio di Adolfo Venturi e de «L’Arte», cura quell’interessantissimo bollettino bibliograco che è crepitante e pieno di spunti per capire anche il Longhi successivo. Roberto Longhi, Recensioni [1912-1920], in Edizione delle opere complete di Roberto Longhi, vol. 1, cit., tomo 1, pp. 15-19 [1912], 55-58 [1913],163-173 [1914], 213-215 [1915], 285-323 [1916], 347-400 [1917], 409-421 [1918],441-463 [1919, 1920]. Se non m’inganno, per volontà di Longhi stesso, una parte non lieve di questo blocco compatto di recensioni è stata scorporata nel 1961 dalla riedizione nel vol. 1 delle Opere complete, dove avrebbe trovato la sua sede più ovvia e coerente, per essere dierita al vol. 13, così com’è annunciato in Antonio Boschetto (a cura di), Bibliograa di Roberto Longhi, Firenze, Sansoni, 1973, pp. 9-42 passim: ma, nei fatti, e come si ricava n dal sottotitolo cronologico di quel postumo vol. 13 (Critica d’arte e buongoverno, 1938-1969, Firenze, Sansoni, 1985), essa non vi ha poi ottenuto spazio, rimanendo di fatto esclusa da ogni forma di ristampa. Un lavoro come quello che sarebbe opportuno fare, pertanto, terrebbe a mente di eettuare lo spoglio sistematico delle recensioni e degli articoli non conuiti nelle Opere complete.

4 Altre occorrenze di pittoresco/a nell’opera di Longhi sono ora indicizzate nel Lemmario della banca dati La lingua della storia dell’arte nel XX secolo. Roberto Longhi, progetto in collaborazione tra Accademia della Crusca e Fondazione Memofonte: http://longhi.accademiadellacrusca.org/lemmario-longhi.asp?l=p&idc=1 (ultima consul-tazione 13 luglio 2019).

5 La sfortuna critica, avanzata di pari passo con quella espositiva, delle sculture in movimento di Mochi e di quelle di Orvieto in particolare è stata denunciata anche a un pubblico non specialista da Federico Zeri nel documentario Arte negata di Nino Criscenti andato in onda su Raiuno il 24 e il 25 giugno 1997: ne parla Elena Guicciardi, Capolavori perduti. La denuncia di Zeri, «la Repubblica.it», 25/11/1997 (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/11/25/capolavori-perduti-la-denuncia-di-zeri.html ultima consultazione 13 luglio 2019). Ancora insoluto il problema della formazione di Mochi, che secondo Passeri avrebbe studiato nella bottega orentina del pittore Santi di Tito: senza pretesa di esaustività, segnalo qui che le riessioni di Evelina Borea, Francesco Mochi, Milano, Fabbri, 1966, sono state rivalutate adeguatamente da Davide Gasparotto, Francesco Mochi nel Duomo di Orvieto, in Laura Andreani et al. (a cura di), Le cattedrali, segni delle radici cristiane in Europa. Atti del I convegno (Orvieto, 11-13 novembre 2005). Il ciclo scultoreo degli Apostoli e dell’Annunciazione nel Duomo di Orvieto. Atti del II convegno (Orvieto, 16 - 17 novembre 2007), Orvieto, Opera del Duomo di Orvieto, 2010, pp. 245-254: 248-249 nn. 10-11, 13-14, con rinvii alla bibliograa precedente. Tra questi segnalo i contributi, di diverso valore, di Valentino Martinelli, Irving Lavin e Maria Grazia Ciardi Duprè Dal Poggetto in Maddalena De Luca Savelli (a cura di), Francesco Mochi 1580-1654, catalogo della mostra, Firenze, Centro Di, 1981, pp. 15-34.

6 Cito Tomaso Montanari, La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere, Torino, Einaudi, 2016, pp. XVI, 298, che sulle responsabilità di Longhi nella valutazione critica novecentesca della scultura barocca romana ore impor tanti aondi. In particolare (p. 299 n. 27) segnala che «nel 1913, e cioè mentre Roberto Longhi si preparava a estromettere Bernini dal canone dei padri della scultura futurista e dunque dalla genealogia dell’arte moderna, Umberto Boccioni vericava la storia [...] delle “forme uniche di continuità nello spazio” disegnando, a Villa Borghese, proprio l’Apollo e Dafne» di Bernini «che Maeo Barberini aveva denito una “forma che fugge”». Cfr. dopo la n. 46.

7 Mi rifaccio ad alcuni presupposti di metodo messi a frutto in precedenza: cfr. l’esordio dell’Introduzione a Floriana Conte, Tra Napoli e Milano. Viaggi di artisti nell’Italia del Seicento. II. Salvator Rosa, Firenze, Edir, 2014, pp. 9-14: 9-10, 12.

8 Carla Casetti Brach et al., Grignani, Lodovico, in DBI, cit., 59 (2002), pp. 418-421.

9 Ibid., p. 421.

10 Guglielmo Facciotti (a cura di), Poesie di eccellentissimi autori in lode della famosis sima cappella del sig(nor) Guido Nol nel Duomo di Fano, Roma, 1625. Sul ruolo di Tronsarelli nell’ambiente artistico e antiquario romano, non solo in relazione al peso avuto nell’elaborazione e revisione delle Vite del Baglione, ancora da preci sare compiutamente, cfr.: Maria Giulia Aurigemma, Del Cavalier Baglione, «Storia dell’Arte», 80 (1994), pp. 23-53: 24-25, 43 n. 38, che trascrive il sonetto in lode di Mochi pubblicato in L’Apollo, Roma, Francesco Corbelletti, 1634, p. 235 (a esso credo faccia riferimento Terzaghi nel contributo che cito all’inizio della n. 11); Matteo Lafranconi, Antonio Tronsarelli: a Roman collector of the late sixteenth century; documents for the history of collecting; 26; published with assistance from the Provenance Index of the Getty Information Institute, «The Burlington Magazine», CXL, 1145, August 1998, pp. 537-550: 538 n. 10; particolarmente approfondito e utile il contributo di Maria Cristina Terzaghi, L’accademico Ottavio Tronsarelli e il suo contributo alle «Vite» di Giovanni Baglione, in Carla Chiummo et al. (a cura di), Intrecci virtuosi. Letterati, artisti e accademie tra Cinque e Seicento, Roma, De Luca Editori d’arte, 2017, pp. 213-227, al quale mi rifaccio per le notizie riassunte a testo [la stessa studiosa in Men of letters around Caravaggio: the Rime of Ottavio Tronsarelli, in Maj-Britt Anderson (a cura di), New Caravaggio. Atti del convegno internazionale (Uppsala-Roma, aprile 2013), Firenze, Edizioni Polistampa, 2016, pp. 141-163, ha messo in vista il ruolo assunto da Tronsarelli come encomiasta della Buona ventura (Parigi, Musée du Louvre) di Caravaggio appartenuta ad Alessandro Vittrice]; Fabrizio Federici, Il poeta e il collezionista: l’apporto di Ottavio Tronsarelli al trattato «Delle memorie sepolcrali» di Francesco Gualdi, ibid., pp. 229-240.

11 Lo segnala Maria Cristina Terzaghi, L’accademico Ottavio Tronsarelli, cit., p. 220, n. 47 (distinguendolo, a p. 222, dalla «lirica dedicata alla inaugurazione della Veronica», con riferimento a Michele Nicolaci, Giovanni Baglione, Francesco Bassano e Antonio Maria Panico: lettere dal carteggio di Onofrio Santacroce (1568-1604), «Storia dell’arte», N.S. 37/38=137/138 [2014], pp. 33-68), senza specicarne titolo e contenuto: Ottavio Tronsarelli, L’Apollo, Roma, Francesco Corbelletti, 1634,p. 235. Alla stessa p., stando a M. C. Terzaghi, L’accademico Ottavio Tronsarelli, cit.,p. 221 n. 53, si colloca l’elogio dell’aresco con la Lavanda dei piedi del Baglione, presentato al pubblico da Urbano VIII nel 1628. Nel 1634 Mochi sta lavorando alla Santa Veronica e, il 26 novembre, in veste di Consigliere dell’Accademia di San Luca riceve l’incarico, con lo stesso Baglione e Giovanni Battista Soria, di «stabilire la concessione a Giovan Battista Muti del “luogo che è incontro all’altare del signor cavaliere Baglione per farvi una capella dedicata alli tre santi...”»: cito daM. De Luca Savelli, Regesto, in Francesco Mochi. 1580-1654, cit., pp. 100-136: 130.

12 Secondo il resoconto nelle Memorie di Giacinto Gigli (ms. presso l’Archivio Vaticano in copia del secolo XVIII, 1608-1657, p. 257), la statua era stata scoperta alla presenza di Urbano VIII il 4 novembre, in relazione all’evento erano statidiusi degli Avvisi, all’11 novembre risale la rivelazione uiciale: cfr. M. De Luca Savelli, Regesto, cit., p. 134 e cfr. oltre, a testo.

13 Si ordinano con numeri progressivi romani i componimenti trascritti, editi secondo criteri solo moderatamente conservativi: si sciolgono senza avvertire i pochi consueti segni abbreviativi, si uniformano all’uso moderno maiuscole, minuscole e segni d’interpunzione, ecc. Il sonetto non mi era noto al momento di pubblicare Tra Napoli e Milano. II. Salvator Rosa, cit., e non è incluso da Daniela De Liso, Salvator Rosa tra pennelli e versi, Firenze, Franco Cesati editore, 2018, nel corpus aspirante a fornire l’edizione completa delle poesie di Salvatore; il libro, pubblicato in una collana dotata di pregevole comitato scientico, ha contratto con F. Conte, Tra Napoli e Milano. II. Salvator Rosa, cit., con miei precedenti articoli e con gli studi sui medesimi argomenti pubblicati da colleghe storiche dell’arte debiti maggiori rispetto a quelli esplicitamente dichiarati (le citazioni sono a volte imprecise o lacunose o del tutto assenti). Oreste Ferrari, Poeti e scultori nella Roma seicentesca: i diicili rapporti tra due culture, «Storia dell’arte», 90 (1997), pp. 151-161: 154, trascrive il sonetto nell’ambito del primo tentativo di contestualizzazione del libro tra le fonti dell’epoca (pp. 153-155). Indipendente appare Marcella Favero, Francesco Mochi. Una carriera di scultore, Trento, UNI Service, 2008, p. 81: «Un’altra testimonianza di grande stima da parte dei contemporanei [nei confronti di Mochi] è una raccolta di poesie di autori vari, tra i quali Salvator Rosa, Martino Longhi, il Baglione ed il Bracciolini, intitolata La Veronica vaticana del signor Francesco Mochi, pubblicata nel 1641».

14 F. Conte, Tra Napoli e Milano. II. Salvator Rosa, cit., pp. 43-67, 83-93 nn. 94-164, a cui rinvio pure per tempi e modi dell’elaborazione della strategia autopromozionale messa in atto da Rosa a partire dal soggiorno toscano attraverso la sollecitazione di componimenti in latino e in volgare presso prestigiosi uomini di lettere, memore delle tecniche encomiastiche di creazione della fama artistica apprese durante la formazione a Napoli.

15 Ibid., p. 37. La lettera rappresenta la più antica fonte indiretta contemporanea testimoniante lo status di Salvatore in questo periodo cruciale ma lacunoso di documentazione di prima mano.

16 Ibid., pp. 58, 67, 95-99, 118, 200 n. 4, 208 n. 82: tra le quattro lettere risalenti al periodo 18 luglio-1°settembre 1640 inviate da Francesco Mantovani da Roma al duca di Modena, di cui è agente, si può inserire ora il sonetto elaborato da Rosa entro il 20 novembre; la prima lettera nota di Rosa, indirizzata da Firenze a Giulio Maei, risale al 24 gennaio 1641.

17 Cfr. Maddalena Spagnolo, La crociera: iconograa, simboli, signicati, in Antonio Pinelli (a cura di), La Basilica di San Pietro in Vaticano, 4 voll., Modena, Panini, 2000, Testi. Saggi, pp. 367-373: 370-371, 373 nn. 20-21.

18 Così auspica Gerhard Wolf, «Or fu sì fatta la sembianza vostra?». Sguardi alla «vera icona» e alle sue copie artistiche, in Giovanni Morello et al. (a cura di), Il volto di Cristo, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 9 dicembre 2000-16 aprile 2001), Milano, Electa, 2000, pp. 103-114: 114. Cfr. anche Rudolf Preimesberger, Skulpturale Mimesis. Mochis Hl. Veronika, in Künstlerischer Austausch. Artistic Exchange. Akten des XXVIII. Internationalen Kongresses für Kunstgeschichte (Berlin, 15-20 Juli 1992), Gaehtgens, Thomas W. (Herausgeber) voll. 3, Berlin, Akademie-Verlag, 1993, II, pp. 473-482, e id., «Respice faciem Christi tui», in Christoph L. Frommel et al. (a cura di), L’immagine di Cristo dall’acheropita alla mano d’artista. Dal tardo medioevo all’età barocca, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2006, pp. 397-412. I due studiosi non menzionano la fonte che qui si pubblica. Sul possibile trafugamento della reliquia da San Pietro durante il Sacco cfr. anche Heinrich W. Pfeier, scheda IV.56, Cosiddetta «copia» della Veronica romana, in G. Morello et al. (a cura di), Il volto di Cristo, cit., p. 207: «Tutte queste “copie”» (il riferimento è alle sette di cui si ha notizia, autorizzate dopo il 1616 da PaoloVe da Gregorio XV) «sono caratterizzate da un fatto curioso: in contrasto con quelle anteriori, che mostrano Cristo con gli occhi aperti, egli tiene gli occhi chiusi e ciò fa presupporre che l’originale non fosse più a Roma in quel momento».

19 Elena Filippi, Il volto di Cristo negli Apocri e il ritratto di nuova specie nella prima età moderna, in Alessio Geretti (a cura di), Apocri. Memorie e leggende oltre i Vangeli. Mostra (Illegio, Casa delle Esposizioni, 24 aprile-4 ottobre 2009), Serenella Castri (a cura di), Catalogo, Milano, Skira, 2009, pp. 67-83: 68, 81 nn. 8, 10; M. Spagnolo, Crociera. Pilone sud-ovest (Pilone della Veronica), Francesco Mochi (1580-1654). Santa Veronica (1629-1640), in La Basilica di San Pietro in Vaticano, cit., Testi. Schede, pp. 773-776.

20 Cfr. M. Favero, Francesco Mochi. Una carriera di scultore, cit., p. 80, che in Appendice non inserisce la Veronica vaticana tra i documenti né ordina questi ultimi diacronicamente, come sarebbe stato più utile. M. Spagnolo, 1261-1263. Crociera. Pilone sud-ovest (Pilone della Veronica), cit., p. 775, ore un’utile rassegna bibliograca sulla statua, con rinvio indiretto alla raccolta poetica («le lodi raccolte in versi»: il riferimento è al commento di Manuela Migheli a Lione Pascoli, Vite de’ pittori, scultori ed architetti moderni, Alessandro Marabottini (a cura di), Perugia, Electa Editori Umbri, 1992, pp. 849-862: 860 n. 27).

21 Cfr. Massimo Ceresa, Notizie per la biograa di Francesco Maria Torrigio, in Daniela Gallavotti Cavallero (a cura di), Francesco Maria Torrigio (1580-1649). San Pietro e le sacre Memorie, Roma, Istituto Nazionale di Studi Romani, 2015, pp. 5-15: 10-15, contenente (pp. 125-127) un elenco delle opere manoscritte e a stampa di Torrigio conservate presso la Biblioteca Vaticana.

22 Louise Rice, The Unveiling of Mochi’s Veronica, «The Burlington Magazine», CLVI, 1340, November 2014, pp. 735-740: 740, Appendix, «doc. 11», «fols. 252r-v: [on or before 8th December 1640]», pubblica un estratto dall’Historia del Sacro sudario, BAV, ms. Arc. Cap. S. Pietro H 71, . 252r-253r, che riporto a testo con qualche ritocco formale a seguito di verica sull’originale. Rice integra con questo ritrovamento i dati disponibili grazie a Oskar Pollak, Die Kunsttätigkeit unter Urban VIII. Die Peterskirche in Rom, Vienna, B. Filsner, 1931, ristampa Hildesheim and New York, Georg Olms, 1981, pp. 450-451, doc. 1751 = BAV, ms. Barb. Lat. 6357, c. 121r (riprodotto in bassa risoluzione e liberamente accessibile qui: https://digi.vatlib.it/view/MSS-Barb.lat.6357 (ultima consultazione 13 luglio 2019): nell’Avviso del 9 giugno 1640 lo scultore è menzionato come «Andrea Mochi da Cortona»), 1752 = ms. Ottob. lat. 3342, . 471v-472r, e 1753 = Vat. lat. 8717, pp. 206-207. Rice (n. 24) sostiene che una buona parte dei componimenti èconfezionata per diondere le opinioni del papa. La convinzione poggia sulla prima quartina del sonetto di Bartolomeo Tortoletti, che accentua l’eccezionalità di una statua a destinazione sacra contemporaneamente nuda e vestita (di seguito trascrivo anche la seconda quartina): «[I] [p. 6] Del signor Bartolomeo Tortoletti. Per la Santa Veronica vaticana, statua spiritosissima del signor Francesco Mochi. Mochi, d’alto silentio hoggi mi desta / la Veronica tua negli ultimi anni: / qui contemplo l’ignudo, ammiro i panni / e ne la nudità godo la vesta. / Verace è l’arte, e la natura honesta, / e fanno a gara altrui soavi inganni. / Se parla, se camina e s’è in aanni, / è marmo questa diva? È statua questa?». Estelle Lingo, Mochi’s Edge and Bernini’s Baroque, London, Turnhout, Harvey Miller Publishers, 2017, p. 188, traduce in inglese le due quartine e le trascrive in italiano a p. 263 n. 7. Enrico Parlato, Erudizione, archeologia cristiana e apologetica barberiniana ne I sacritroferi romani di Francesco Maria Torrigio, in D. Gallavotti Cavallero (a cura di), Francesco Maria Torrigio, cit., pp. 71-72 nn. 23, 28, segnala che la poesia viene ripubblicata da Bartolomeo Tortoletti in Sacrosanta, admirabilis, inconcussa Vaticana petra, nuovamente per Lodovico Grignani nel 1644, p. 88, insieme a un carme latino dedicato a tutte e quattro le statue della crociera. Sul ruolo di Tortoletti nel contesto dell’encomiastica barberiniana, promossa anche dallo stampatore Grignani, cfr. E. Parlato, Erudizione, cit. pp. 71-72. Il ms. BAV, ACSP, H71 non mi pare menzionato nell’elenco di M. Ceresa, Notizie per la biograa, cit., il quale scheda «De sacro sudario B. Veronicae...» senza segnatura e con rinvio, nella sua nota 16: «Citata in Allaci 1633, p. 109» (si tratta delle Apes Urbanae disponibili ora nell’anastatica a cura di Michel-Pierre Lerner, Lecce, Conte editore, 1998, in cui ap. 109 si menziona: «De Sacro Sudario B. Veronica, Tractatum» nell’elenco delle opere di Torrigio che comincia a p. 108. A cominciare dai titoli, uno in volgare e uno in latino, sembrerebbero due fonti diverse).

23 Il numero degli encomi a stampa, che sono ventisei, non corrisponde a quello comunicato da Mochi a Torrigio.

24 Cfr. Rosanna Alhaique Pettinelli, IV. Ars Antiqua e Nova religio: gli autori dei Coryciana tra classicità e modernità, in id., Tra antico e moderno. Roma nel primo Rinascimento, Roma, Bulzoni Editore, 1991, pp. 63-81: 63-64, 72.I Coryciana nascono da un’occasione continuativa: a partire dall’inaugurazione dell’altare di Goritz in Sant’Agostino, probabilmente risalente al 26 luglio 1512, i letterati amici del lussemburghese orono ogni anno nella ricorrenza dell’inaugurazione, coincidente con la festa di sant’Anna, i propri componimenti, facendoli aiggere in tabelle collocate all’uopo nei pressi dell’altare e declamandone e aiggendone altri negli orti in cui lo stesso Goritz ospita i medesimi amici dopo la funzione solenne. Cfr. R. Alahique Pettinelli, IV. Ars antiqua, cit., p. 64 e n. 6, con rinvio opportuno a Virginia Anne Bonito, The St. Anne altar in Sant’Agostino in Rome: a new discovery, «The Burlington Magazine», CXXII, 933, December 1980, pp. 805-812.

25 Estelle Lingo, Francesco Mochi’s Balancing Act and the Prehistory of Bernini’s Four Rivers Fountain, in David Young Kim (a cura di), Matters of Weight. Force, Gravity, and Aesthetics in the Early Modern Period (Workshop held at the Kunsthistorisches Institut in Florenz Max-Plank-Institut in 2012), Emsdetten, Edition Imorde, 2013, pp. 129-151: 137, 149 n. 21, rinvia opportunamente a Irving Lavin, «Ex uno lapide»: the Renaissance Sculptor’s Tour de Force, in Il Cortile delle Statue. Der Statuenhof des Belvedere im Vatikan, Akten des Internationalen Kongresses zu Ehren von Richard Krautheimer (Rom, 21.-23. Oktober 1992), Matthias Winner et al. (hrsg.), Mainz, von Zabern, 1998, pp. 191-210; Virginia L. Bush, The Colossal Sculpture of the Cinquecento, New York, Garland, 1976, pp. 24-26; Salvatore Settis, Laocoonte. Fama e stile, Roma, Donzelli editore, 1999, pp. 19, 49-50, 79-81. Inoltre, «l’idea di far praticamente scomparire gli altari stessi sotto il pavimento, collocandoli nelle Grotte, era di certo rivoluzionaria, poiché in questo modo l’enfasi era tutta sul Baldacchino bronzeo centrale, e sulle colossali statue di San Longino, Sant’Elena, Sant’Andrea e della Veronica: ed erano queste le vere e proprie pale di quegli altari. [...] nel gennaio del 1633 [...] furono commissionate quattro pale d’altare [...] ad Andrea Sacchi. Ma un fedele, nella crociera della basilica, non avrebbe potuto vedere quelle tele, e sebbene fossero celati gli altari stessi, il rapporto tra i colossi marmorei e le balconate delle reliquie soprastanti avrebbe chiaramente indicato nei primi le immagini di devozione a cui rivolgere le proprie preghiere»: lo nota Stefano Pierguidi, Pittura di marmo. Storia e fortuna delle pale d’altare a rilievo nella Roma di Bernini, Firenze, Leo S. Olschki, 2017, pp. 75-76, a conferma indiretta che l’altare cinquecentesco nella basilica di Sant’Agostino, con l’encomiastica che ne era conseguita, doveva avere costituito un modello con cui fare i conti

26 E. Lingo, Mochi’s Edge and Bernini’s Baroque, cit., p. 188, traduce in inglese i vv. 49-60 e li trascrive in italiano a p. 263 n. 188.

27 Cfr. Marco Collareta (a cura di), Leon Battista Alberti, De statua, Livorno, Sillabe, 1998, pp. 8, 16 (testo latino), 9, 17 (traduzione italiana): «E [...] una metà di essa, se così ti piacerà, la caverai e la porterai a termine nell’isola di Paro e l’altra a Luni, in modo tale che entrambe le parti, fatte aderire ed unite, rendano l’aspetto della gura intera e corrispondano ai loro modelli»; cfr. id., La gura e lo spazio: una lettura del De statua, ibidem, pp. 31-52: 52, e id., Considerazioni in margine al «De statua» e alla sua fortuna, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», serie III, XII, 1 (1982), pp. 171-187: 176 e n. 30.

28 Tuttavia, anche il San Longino di Bernini, alto 440 cm ca., è composto da «quattro diversi blocchi di misura più contenuta», al contrario del Sant’Andrea di Duquesnoy, scolpito in un «masso colossale»: cfr. San Longino, in Andrea Bacchi et al., Bernini. La scultura in San Pietro. Fotograe di Aurelio Amendola, Milano, Federico Motta Editore, 1998, p. 84; ibidem, pp. 20-21, 65 nn. 40-41.

29 Trascrivo da O. Pollak, Die Kunsttätigkeit unter Urban VIII. Die Peterskirche in Rom, cit., doc. 1754, Archivio della Fabbrica di San Pietro, pp. 450-451, anche in questo caso con qualche intervento minimo. E. Lingo, Francesco Mochi’s Balancing Act, cit., pp. 145, 150 n. 33, traduce in inglese e commenta una parte della supplica (da «E perché come il presente Oratore» no a «dalle Eminenze Vostre al detto scoltore»).

30 Cfr. anche E. Lingo, Mochi’s Edge and Bernini’s Baroque, cit., pp. 187 e 263 n. 155, con riferimento a «Crusca 1691, vol. 3, 1195; pp. 172-190: 187-190; Battaglia 1961-2002, vol. 13, 108-9, denitions 1, 5, 8»: «Was Passeri implying then that the statue’s action was inappropriate for a depiction of Veronica? For a cult statue? Or for a colossus? All objections that could be made. Passeri’s choice of the resonant word personaggio to describe the work suggests ways to read between the lines. The primary meaning of personaggio was [...] a person of importance. [...]A personaggio could also be a performer’s guise, a recognizable character» (approfondirò anche questo argomento in altra sede).

31 Cfr. Giovan Battista Passeri, Die Künstlerbiographien von Giovanni Battista Passeri. Nach den Handschriften des Autors, Jacob Hess (hrsg.), Leipzig, Keller, 1934, pp. 108-109, 133-134 n. 4, 247, per la fonte trascritta a testo e per la segnalazione da parte di Hess della Veronica vaticana (p. 134 n. 4), a cui poi dedicano attenzione.O. Ferrari, Poeti e scultori, cit., pp. 153-155 (che non crede al coinvolgimento diretto di Mochi, senza tenere conto che per gli artisti, a Roma ma non solo, si tratta di una consuetudine), id., Bernini e i letterati del suo tempo, «Rendiconti. Accademia Nazionale dei Lincei, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche», s. IX, CCCXCVI (1999), X, 4, pp. 595-615: 596, ed Enrico Parlato, Erudizione, archeologia cristiana e apologetica barberiniana ne I sacri trofei romani di Francesco Maria Torrigio, in Francesco Maria Torrigio, cit., pp. 67-77: 71 n. 27, che ore dati meritevoli di approfondimenti sui rapporti tra Torrigio, Grignani, Urbano VIII e Mochi.

32 A testo cito e parafraso Marco Collareta, Rileggendo il De statua dell’Alberti, in Luca Chiavoni et al. (a cura di), Leon Battista Alberti e il Quattrocento. Studi in onore di Cecil Grayson e Ernst Gombrich, Atti del Convegno internazionale (Mantova 29-31 ottobre 1998), Firenze, Leo S. Olschki, 2001, pp. 285-290: 288-290.A p. 290 n. 17 rinvia all’uso invalso nel Rinascimento del lemma colossus in Giovanni Tortelli, Commentaria grammatici de othographia, Romae, per Ulricum Gallum et Simonem Nicolai, 1471, s. v. colossus, e Niccolò Perotti, Cornucopiae sive linguae Latinae comentarii, Venetiis, in aedibus Aldi et Andreae soceri, 1517, ad indicem s. v. colossus. Cfr. anche M. Collareta, Considerazioni in margine al «De statua», cit., pp. 175-176, che fornisce la fonte di Alberti, da qui passata a Passeri, cioè le Elegantiae di Lorenzo Valla, V, ivi: «Quaedam dicentur stare, quae erecta sunt, quamdiu non cadunt. Sed haec fere sunt inanimatae: ut arbor stat, simulachrum stat, domus stat, columna stat», e mette in evidenza la ricezione postuma del De statua attra- verso la traduzione di Cosimo Bartoli dedicata a Bartolomeo Ammannati e uscita a Venezia nel 1568, contenente, nell’ultima illustrazione gurata, «un personaggio panneggiato, nato probabilmente dalla fantasia manieristica di qualche artista contemporaneo di Bartoli», come modello (ibidem, p. 185 tav. I, 1). E. Lingo, Mochi’s Edge, cit., p. 187, riferisce l’etimologia, «already employed in mid- fourteenth century France», al De sculptura di Gaurico (1504, p. 193 dell’edizione curata da Chastel e Klein nel 1969). All’inconciliabilità tra statuaria, movimento e«historia» nelle fonti secentesche fa riferimento O. Ferrari, Poeti e scultori, cit., p.155, con riferimento in particolare a Bellori; cfr. qui inoltre la n. 35.

33 L. Pascoli, Vite, cit., pp. 851-852. Cfr. su tale fonte A. Bacchi – S. Tumidei, Bernini. La scultura in San Pietro, cit., pp. 20-21, 65 nn. 40-41.

34 De Luca Savelli, Regesto, cit., p. 136.

35 Orfeo Boselli, Osservazioni della scultura antica: dai manoscritti Corsini e Doria e altri scritti, Phoebe Dent Weil (a cura di), Firenze, S.P.E.S., 1978, . 68-68v, a proposito di cui E. Lingo, Francesco Mochi’s Balancing Act, cit., pp. 138, 142, 145,150 n. 25 (con rinvio a M. Favero, Francesco Mochi, cit., p. 241, lettera del 12.3.1640), 30, 32, riporta l’unica altra attestazione in Boselli riferibile, a parere suo e di Dent Weil, alla Veronica, rinviando al suo Mochi’s Edge, «Oxford Art Journal», 32, 1 (2009), pp. 1-16: 14 e n. 1: «Orfeo Boselli, Osservazioni della scoltura antica, Phoebe Dent Weil (ed.) (SPES: Florence, 1978), f. 158: ‘che signicassero tante rotelle sopra un braccio’. Dent Weil suggested that the reference was to the St. Veronica; see Boselli, Osservazioni, p. 60».

36 O. Boselli, Osservazioni della scultura antica, cit., Ms. Corsini, . 99v-100. Cfr. i riscontri sul testo adesso resi possibili dalla sezione Lessico diacronico delle tecniche artistiche del progetto Le voci del marmo , (ultima consultazione 13 luglio 2019), diretto da Sonia Maei (Università di Pisa), con l’aiuto di un comitato scientico di cui fanno parte Marco Collareta (Università di Pisa) e Massimo Ferretti (Scuola Normale Superiore di Pisa); sul progetto cfr. Sonia Maei, Lessicograa artistica online: metodologie, possibilità e innovazioni, in Floriana Conte (a cura di), Le risorse digitali per la storia dell’arte moderna in Italia. Progetti, ricerca scientica e territorio, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2018, pp. 69-83: 77 n. 28). Nel progetto è schedato anche il ms. in questione.

37 La tradizione iconograca emergente da fonti di varie epoche ed estrazione geograca e culturale è alquanto confusa, consentendo interpretazioni contrastanti o, per lo meno, sincretistiche: cfr. E. Filippi, Il volto di Cristo negli Apocri, cit., pp. 68-69.

38 Giovanni Maria Fara, Albrecht Dürer. Originali, copie, derivazioni (Soprintendenza speciale per il Polo Museale orentino. Gabinetto Disegni e Stampe degli Uizi. Inventario generale delle stampe. I), Firenze, Leo S. Olschki, 2007, pp. 69-70, scheda 10. Angelo col Volto santo.

39 Gerhard Wolf, scheda IV.47. Albrecht Dürer. Angelo con il sudario, in G. Morello et al. (a cura di), Il volto di Cristo, cit., pp. 201-202, da cui cito a testo. Cfr. pure Herbert L. Kessler, Face and Firmament: Dürer’s An angel with the Sudarium and the limit of vision, in C. L. Frommel et al. (a cura di), L’immagine di Cristo, cit., pp. 143-165: 143, 155.

40 Cfr. M. Spagnolo, La crociera, in La Basilica vaticana, cit., Testi. Schede, pp. 769-781: 770-771.

41 Ibid., pp. 768-781.

42 Così rma lo stesso artista, che ha usato anche le dita per realizzare il volto di Cristo, come confermano indagini diagnostiche e ispezioni autoptiche, stando al referto di Nicole Blackwood, Printmaker as painter: looking closely at Ugo da Carpi’s «Saint Veronica Altarpiece», «The Oxford art journal», 36, 2 (2013), pp. 167-184, 317: 176.

43 Così Evelina Borea, Lo specchio dell’arte italiana. Stampe in cinque secoli, 5 voll., Pisa, Edizioni della Normale, 2009, I, p. 58.

44 Ibid., pp. 57-58.

45 Ibid., p. 48, con rinvio a II, gg. 19 per la stampa e 19a per uno dei sei disegni (quello al British Museum) connessi a essa (menzionati, senza rinvio ai numeri di inventario, in I, p. 60 n. 26).

46 Secondo E. Lingo, Mochi’s Edge, cit., pp. 174-187, «Veronica is a “Nympha”, the ancient gure type that so entranced Aby Warburg, who spotted her advent in fteenth-century Florentine painting», e soddisfa i presunti obiettivi dello scultore e di Urbano VIII «to preserve the artistic language of the body, so central to the Florentine Renaissance tradition to which they were both devoted, and to observe the demands of Christian modesty through drapperie that did not simply cover the body but made comparable claims upon the beholder’s attention. [...] Mochi’s use of the Nympha for the St. Veronica surely went unrecognized for so long in the modern art historical literature because the statue fuses this early Renaissance ideal with the Michelangiolesque» (p. 182). La carrellata di confronti iconograci e iconologici presentata dalla Lingo inizia dalla perduta Dovizia di Donatello per il Mercato Vecchio di Firenze (p. 175) e dalla Nascita di Venere di Botticelli; ma non fa riferimento all’analisi delle opere di età moderna in cui «il vento svolge un ruolo di primo piano» procurata da Alessandro Nova, Il libro del Vento. Rappresentare l’invisibile, Milano-Genova, Ultreya-Marietti, 2007, pp. 87-110, che dal quadro di Botticelli giunge a Poussin, individuando nei pittori operanti no al pieno Seicento l’impegno maggiore nel raigurare i panni addosso alla gura umana mossi dal vento. Si parta da M. Favero, Francesco Mochi, cit., per cominciare una rassegna della fortuna critica della Veronica.

47 Cfr. n. 5. Su entrambe le caratteristiche iconograche della statua cfr. almeno Maria Giovanna Muzi, La Veronica e i temi della visione faccia a faccia, in C. L. Frommel et al. (a cura di), L’immagine di Cristo, cit., pp. 91-116: 94-95.