Revue Italique

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Un libro «non approvato né in parole né in sentenze»: Dello Divino Amore Christiano di Antonio Brucioli

Matteo Fadini

1. Brucioli «noto»

Antonio Brucioli è un personaggio che non ha goduto di giudizi lusinghieri da parte della storiografia ottocentesca filoprotestante. Questo il ritratto che ne fa Cesare Cantù:

Antonio Bruccióli, autore di dialoghi sulla filosofia pagana stampati a Venezia li 1537, durando ancora la repubblica fiorentina aveva cominciato a sparlare dei monaci [...]. Stabilitosi il dominio dei Medici, e svelenendosi egli anche contro di questi, fu tenuto prigione [...] pubblicò diverse versioni dal greco e dal latino, e la Bibbia tradotta in lingua toscana (1532). Questa dedicò al re di Francia, e pretende averla vulgarizzata sull’originale, ma facilmente un si convince ch’egli conosca ben poco d’ebraico [...]. Inoltre noi trovammo ch’è [= ch’ei] faceva da spia al duca, riferendogli i fatti de’ fuorusciti. Non sembra disertasse dalla Chiesa cattolica; pure fu notato dal Concilio di Trento fra i condannati di prima classe.1

Più articolata la posizione di Comba:

Dopo avere discorso di uno [Bartolomeo Fonzio] che protestò meglio col martirio che ne’ suoi scritti, diamo ora la nostra attenzione ad un altro, il quale se non si cinse la fronte di un’aureola di sangue, lasciò non pertanto vitale ricordanza come scrittore col riaprire alla sua generazione le fonti delle Sacre Scritture [...]. La carriera del Brucioli è una parabola che si affretta a discendere, e di cui la fine contrasta colle promesse iniziali; ché gli ardori suoi, come patriota e come credente, sostennero malamente la doccia fredda delle avversità [...]. Pur troppo la ritrattazione del Brucioli macchiò la sua protesta. Ma non l’annullò, poiché questa gli è sopravvissuta lungamente.2

Fino a quella che potremmo definire come una fioritura recente, gli studi fondamentali sono rappresentati dal dittico di Spini uscito nel 1940.3 A partire dal saggio di Dionisotti4 e poi dalla edizione dei Dialogi all’interno del Corpus reformatorum italicorum,5 il nome di Brucioli inizia ad essere familiare anche negli studi letterari, ma è il convegno svoltosi nel 2005 a rappresentare lo snodo fondamentale e la definitiva riscoperta del fiorentino.6

2. Dello amore divino christiano

Accanto alla produzione di trattati, alle traduzioni bibliche, ai commenti ai classici della letteratura e all’attività di stampatore, esiste un’opera poetica di Brucioli poco frequentata dagli studiosi: la raccolta di rime intitolata Dello amore divino cristiano. Quest’opera, inedita a parte alcuni estratti pubblicati da Benrath e da Spini,7 è stata citata e sommariamente descritta a più riprese,8 ma al momento manca uno studio sistematico. Allo stato attuale delle ricerche sono emersi due testimoni manoscritti della raccolta: il Magl. VII 116 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze9 e il manoscritto 8554 della Bibliothèque de l’Arsenal di Parigi.10

Il primo è un manoscritto di mm. 220×160 di 440 carte (d’ora in poi F), integralmente vergato da una sola mano (antica, con altro inchiostro ma probabilmente di altra mano la numerazione delle carte nel margine esterno superiore),11 che Mazzatinti identifica con quella di Brucioli. Nel codice si legge la lettera di dedica al duca Cosimo senza luogo né data (cc. 1r-3v) e a seguire l’opera poetica, divisa in cinque libri, che si compone di 200 hymni (madrigali) e 200 cantici (canzoni): il primo libro ospita i 200 madrigali mentre i successivi quattro libri riportano 50 canzoni ciascuno. Nel manoscritto, ogni testo poetico è preceduto da un cappello introduttivo di estensione variabile che funge da commento e da riassunto del tema del componimento.

Il manoscritto ora a Parigi (d’ora in poi A) consta di 324 carte e trasmette una redazione dell’opera suddivisa in tre libri: il primo (cc. 4r-106r) contiene 209 hymni,12 il secondo (cc. 108r-283r; bianche le cc. 106v-107v) 104 cantici e il terzo (cc. 84r-323r) 21 psalmi, in realtà dei capitoli ternari. Alle cc. 2r-3v si trova la lettera di dedica alla regina di Francia Caterina de’ Medici. Anche questo manoscritto è trascritto da una sola mano, che da un raffronto con quello fiorentino risulta essere la medesima (le due serie di cartulazioni, una presente nel margine superiore e una in quello inferiore, sono di due mani diverse e differenti rispetto a quella principale).

In realtà i componimenti che abbiamo definito come «canzoni» – e che così sono sempre citate dai critici – non sono sempre tali da un punto di vista metrico. Si leggono canzoni regolari, come ad esempio Forse penserà alcun mio pensier vano,13 canzone di 5 stanze di schema ABCBAC.cddEEFeF (congedo = sirma), omometrica di Rerum vulgarium fragmenta L, oppure Io cerco pur andare al mio Signore,14 5 stanze ABCABC.cDEeDFF, esemplato su Rvf CXXIX (ad eccezione del congedo: in Brucioli è XzZ, in Petrarca è uguale alla sirma); ma ci sono anche componimenti che, metricamente, sono ballate: Chi non ama te Signore, ballata di 4 stanze di soli ottonari con schema xyyx-ababbccx,15 e Io fui già bella, giovinetta et grata,16 ballata di due stanze con schema XYYX-AbABBXXZkkZ. Accanto a queste tipologie metriche, la maggior parte dei testi presenta delle strutture non regolari, a metà strada tra la ballata e la canzone, come ad esempio Se così dolcemente,17 componimento di tre strofe dallo schema abCcBA con un congedo di settenari a rima baciata. In ogni caso si tratta di poesie pluristrofiche, la maggior parte delle quali – incluse molte ballate – presenta un congedo. Per comodità, si continuerà a definire questi testi come canzoni, per il fatto che agli occhi dell’autore rappresentano un genere metrico unitario, nonostante le notevoli differenze interne.

Oltre ai due manoscritti autografi, abbiamo informazioni circostanziate dell’esistenza di un terzo testimone, al momento irreperibile. Nel suo saggio dedicato a Girolamo Muzio e Pier Paolo Vergerio, Valentina Grohovaz pubblica una lettera del Muzio indirizzata a Ludovico Beccadelli, datata 8 febbraio 1554 e trasmessa dal Palatino 1033/31 della Biblioteca Palatina di Parma. Riproduco di seguito i passi della lettera che riguardano la raccolta di Brucioli, posticipando l’analisi più approfondita degli altri passi:

Già più giorni il Brucioli mandò un suo gran volume di rime intitolato a questa Signora nostra illustrissima duchessa [...]. Io ho voluto dare questa notitia alla Signoria Vostra Reverendissima percioché io penso che colui peraventura penserà di fare stampare quelle sue rime in Vinegia. Mostra haverne assai che questi erano due libri, il quarto et il quinto et non era minor volume di tutti i sonetti et canzoni del Petrarca. I buoni arbori partoriscono i buoni frutti et i cattivi i cattivi.18

Tralasciando per un momento le note per così dire di recensione che Muzio dedica al contenuto delle rime, si può subito notare che alla data del febbraio 1554 Brucioli aveva da poco indirizzato alla duchessa di Urbino Vittoria Farnese un gran volume di rime contenente soltanto il IV e il V libro di un’opera più vasta. Pur in assenza di questo manoscritto, possiamo desumere che si tratti una trascrizione parziale della medesima redazione in cinque libri attestata dal Fiorentino.

Accanto al manoscritto per la Farnese, ci sono notizie dettagliate dell’esistenza di almeno altri due manoscritti latori dell’opera di Brucioli, anch’essi al momento irreperibili. Queste informazioni non sembrano essere state utilizzate dai precedenti studiosi di Brucioli. Nella corrispondenza conservata nei mss. 9737 ie 9737 k della Österreichische Nationalbibliothek di Vienna tra Georg Tanner (1520-1580), giurista e professore di greco presso l’ateneo viennese, e Caspar von Nidbruck (1525-1593), consigliere imperiale, si leggono queste affermazioni:

Nunc mitto reliquia tria canticorum D. Ant. Brucioli Florentini volumina, lib. videlicet 2. 3. et 4., deinde eiusdem hymnorum libros duo, qui inscribuntur Dello amore divino christiano; sunt folia in universum 385, pro singulis foliis, ut antea scripsi, singulos quinque solidos.19
...Sunt enim omnia verae pietatis, doctrinae, suavitatis et consolationis plenissima, Maximiliani et ipsius coniugis lectione dignissima.20

Il grecista Tanner, nell’estate del 1555, mandava da Venezia a Vienna una copia della raccolta poetica del Brucioli, giudicandola una lettura degnissima per l’imperatore Massimiliano II e per la sua consorte. L’esemplare da cui stava traendo i testi era un ms. di 385 carte ed è sicuramente un testimone della fase redazionale in 5 libri. Differentemente da F e, per quanto possibile capire, dal codice inviato alla duchessa di Urbino, il ms. fatto copiare da Tanner sembra avere una diversa organizzazione: i libri 2, 3 e 4 ospitano i cantici e il libro 1 e 5 gli hymni. Questa conformazione non corrisponde né ad A (3 libri: hymni, cantici e psalmi) né a F (5 libri: I libro di hymni e a seguire 4 libri di cantici). Sembrerebbe trattarsi di un esemplare di una redazione intermedia, più simile a F, ma non è possibile formulare ulteriori ipotesi dal momento che entrambi i mss. – tanto l’antigrafo che la copia inviata a Vienna – risultano allo stato attuale delle conoscenze dispersi.

Prima di passare al contenuto dell’opera, occorre individuare i rapporti che intercorrono tra la redazione attestata dal Magliabechiano (F) e quella testimoniata dal manoscritto ora a Parigi (A).

A è, come si diceva, dedicato alla regina di Francia Caterina de’ Medici e nella lettera di dedica – su cui poi torneremo – si legge:

Et perché l’animo mio è stato sempre et è anchora tutti i libri della Sacra Scrittura, et che parlono della omnipotentia et virtù di Iddio, mandare in luce dedicati a vostra maiestà christianissima, gli ho voluto dedicare anchora questo.21

Brucioli dedicò alla regina Caterina una sua edizione del Nuovo Testamento uscita nel 1547,22 ed è quindi probabile ch’egli abbia inviato alla regina il manoscritto Dello divino amore cristiano dopo averle offerto la traduzione del Vangelo, quando ancora pensava di indirizzarle una edizione complessiva della Scrittura a Caterina, anche se questa impresa non fu mai portata a termine.23 D’altra parte è sicuro – anche se non notato da nessuno dei critici che si sono occupati del testo – che l’invio di A debba essere successivo al 1547: è solo a partire da quell’ anno che Caterina de’ Medici può vantare il titolo di regina di Francia. Per A possediamo un termine post quem certo ed è probabile che l’invio non sia di molto successivo al 1547 poiché nella parta finale della lettera si legge:

Vostra maiestà, sì per la pietà christiana che fu sempre in lei, et sì per essere in alto grado eminente posta, vegendosi grandemente obligata alla bontà divina [...] gli renderà continue gratie [...] gliene harà a rendere per le egregie et pietose opere che Iddio opererà per lei nella christiana republica, et tali che anchora ha da essere chiamata magna et madre della patria, titoli non mai più dati in tutti i secoli del mondo a donna alcuna.24

Come si può notare, le espressioni riportate in corsivo sembrano rivolgersi ad una regina da poco salita sul trono, in particolare il riferimento alle opere che Iddio opererà in un futuro sarebbe fuori luogo se rivolto ad una monarca da lunghi anni al potere.

Anche per F abbiamo alcuni dati esterni che ci permettono di datare la redazione dell’opera trasmessa dal Fiorentino. Nella lettera di dedica a Cosimo I del trattato Del governo dello ottimo Principe et Capitano dello esercito25 si legge che Brucioli aveva intenzione di mandare al duca anche:

tutti i libri di philosophia da me composti ridotti in uno dedicato a V. Eccellentia, più i libri di Aristotile [...] di maggior consideratione tutti i sacrosanti libri della divina scrittura [...] et di più tre libri di Hymni, Cantici et Psalmi dello Amor di Dio christiano, che sono 200 Hymni (madrigali) et 100 Cantici (canzoni) et 20 Psalmi (capitoli).26

La lettera di dedica non è datata, ma in una successiva lettera spedita da Venezia l’8 giugno 1549 il Brucioli, scrivendo sempre al duca, fa menzione della dedicatoria del dialogo Del governo e si riferisce alla raccolta Dello amore divino cristiano: «La quarta opera che io dissi, nella epistola della dedicazione del libro, aver principiato per V. E. per buon rispetto ho voluto serbarmi a dirla qui».27 È quindi chiaro che poco prima del giugno 1549 Brucioli aveva annunciato a Cosimo l’invio della raccolta di rime spirituali che, a quella data, si componeva di tre libri contenenti 200 madrigali, 100 canzoni e 20 capitoli ternari. Si tratta – con piccole discrepanze – dello stesso contenuto della redazione testimoniata da A e per la quale si è suggerito una datazione attorno al 1547. Si può con buone ragioni ipotizzare che, successivamente all’invio a Caterina della redazione in tre libri, Brucioli stesse lavorando alla raccolta per poterla dedicare al duca di Firenze. Sembra di capire che a quell’altezza di tempo il progetto prevedesse ancora la suddivisione in tre libri, ma nelle intenzioni la mole ha già subito alcuni cambiamenti poiché è in programma la riduzione del numero dei madrigali (da 209 a 200), delle canzoni da (104 a 100) e dei capitoli (da 21 a 20), sempre che i numeri annunciati nella lettera da Brucioli a Cosimo non siano il frutto di una semplificazione. In ogni caso, all’altezza del 1549 la redazione che l’autore aveva in mente era ancora strutturalmente simile a quella testimoniata da A.

Se è vero che Brucioli inviò i soli libri IV e V a Vittoria Farnese nel 1554 (e questo lo testimonia la citata lettera di Muzio a Beccadelli), è probabile che la redazione testimoniata da F sia collocabile tra il 1549 e il 1555 o al massimo 1557. Il termine post quem è fornito dalle lettere citate sopra, quello ante quem dal titolo col quale Brucioli si indirizza a Cosimo nella lettera di dedica – allo illustrissimo et eccellentissimo duca Cosimo de’ Medici, duca di Firenze –: Siena venne conquistata nel 1555 e da quell’anno Cosimo può vantare anche il titolo di duca di Firenze e Siena, ratificato nel 1557 dall’investitura feudale. Brucioli, persona con accortezze politiche spesso spregiudicate, avrebbe certamente utilizzato il titolo nobiliare completo.

Un ulteriore elemento per datare F è rappresentato dalle filigrane che è possibile rintracciare nel manoscritto.28 La prima filigrana che si nota nel codice è presente verso il margine inferiore esterno e rappresenta il numero «3» seguito da una «a» abbastanza simile ad una alfa, posti entrambi in verticale (III c. di guardia, c. 4 ecc.); questa filigrana dal disegno povero non è censita dal Briquet.29 La seconda filigrana è presente con regolarità e si trova nel margine interno a metà altezza (si vede, ad esempio, tra le cc. 9 e 14 e tra c. 16 e 20). Questa filigrana è con ragionevole sicurezza la Briquet 6098, attestata a Siena nel periodo 1550-1555 e, con varianti non meglio precisate, a Lucca (1554) e Fabriano (1550); la presenza a Praga nel periodo 1543-1559 credo non sia pertinente. I dati di quest’ultima filigrana, pur con le dovute cautele, confermano sostanzialmente il termine ante quem avanzato per F (1554 massimo 1557), e non confliggono con quello post quem proposto (1549).

Volendo riassumere: ragioni esterne spingono a collocare A attorno al 1547 e comunque non molto dopo, mentre F è databile tra il 1549 o forse il 1550 e il 1555 o al massimo il 1557; A dovrebbe quindi rappresentare un testimone della prima redazione dell’opera, mentre F uno della seconda.

2.1. Confronto tra le due redazioni

Il passaggio tra A e F non si sostanzia soltanto nell’eliminazione di un certo numero di componimenti e nella suddivisione degli stessi in cinque libri a fronte della precedente in tre. L’ordinamento dei componimenti della seconda redazione è differente rispetto alla prima ma, fatto ancora più importante, una sommaria collazione dei due manoscritti ha permesso di cogliere un profondo lavorìo rielaborativo. Una precisazione prima di presentare i risultati del lavoro: non si è inteso svolgere una collazione approfondita di tutti i componimenti – la mole complessiva dei due manoscritti supera le 750 carte – ma ci si è limitati a collazionare i primi due versi di ciascun componimento per saggiare la portata delle varianti utilizzando come barometro l’incipit delle poesie, luogo che più di altri qualifica un testo. Si è quindi proceduto ad una integrale collazione dei testi che presentassero varianti nei primi due versi e si è potuto notare che il sistema variantistico nella maggioranza dei casi non si limita ai versi iniziali, ma interessa tutto il corpo del componimento. Le eventuali varianti presenti solo nel corpo e che non hanno abbiano interessato la porzione iniziale non sono state censite. Il campione di testi collazionati è in ogni caso significativo e, allo stato attuale delle ricerche, permette di formulare alcune ipotesi che successivi studi potranno meglio precisare.

Tra i 200 madrigali del libro I di F, almeno 35 hanno un incipit differente o delle varianti significative nei primi due versi rispetto a quelli presenti in A; 3 di questi madrigali hanno subìto, nel passaggio dalla prima alla seconda redazione, un processo di modifica tale che si può parlare di riscrittura. Di seguito si riporta la trascrizione di questi tre casi.30

A, inno 176, c. 90rF, inno 184, c. 86r
AbbACCDDAbbACDcDA
Prece al signore che non si voglia partir da essoOratione al signore che non si voglia partir da esso
 
    Non voler, signor mio, da me partire    Deh non voler, Giesù, da me partire
perché io resto languendoquel lume del tuo volto,
et misero piangendo,dove ogni bene è accolto,
por vorrei fin, per morte, al mio martire:et prèndati pietà del mio languire
se mi abandoni, dolcie mio signore,perché se mi abandoni, alto signore,
et mi privi del chiaro uo splendore,sarò qual orbo sopra scogli et sassi
resto qual orbo sopra scogli et sassiche, pien di cieco errore,
che cade sempre, come muove i passi.inciampa et cade come muove i passi,
et nel peccato mi vedrò perire.
 
A, inno 182, cc. 92v-93rF, inno 149, cc. 72v-73r
aBbAcdDCEEabCacBdDEE
Canta quanto sia buono et suave lo Spirito del Signore che entro a’ nostri cuori ci ammunisceCanta quanto sia buono et suave lo spirito signore che entro a’ nostri cuori ci ammunisce de’ nostri errori de’ nostri errori
 
    Quanto è buono et suave    Chi esprimer potria,
in tutti noi il tuo spirito, signore,quanto è buono et suave
che dentro al nostro cuorein noi il tuo santo spirito, signore,
ci ammunisce qual sien l’opre prave, (-)et la tua bontà pia
et parlaci dicendoche dentro al nostro cuore
che lasciam la malitia,ci amunisce qual sien l’opere prave
et seguitiam la vera tua giustitia,et parlaci dicendo
se noi voglian fuggire giudicio horrendo (+)che, se voglian fuggir giudicio horrendo,
questo è: che confidiam sempre in te solo,bisogna confidian sempre in te solo,
di Iddio vero et santissimo figliuolo.di Iddio vero et santissimo figliuolo.
 
A, inno 183, c. 93rvF, inno 149, cc. 73rv
aBcBCdeeDFFabacBCdD
Canta che chi teme il Signore non può
amare il male perché è custodito da Iddio
Canta che chi teme il Signore non può
amare il male perché è custodito da Iddio
    A chi ama il Signore,    Chi ama te, Signore,
con mente pura et cuor tutto sincero,con affetto sincero,
non occorono i mali,ardendo nel tuo amore
tenendo sempre a lui vòlto il pensierosanto, pio et clemente,
et a gli eterni beni celestiali,volta a servirti tutto il suo pensiero,
ma nella tentationecon l’anima, col cuore et con la mente,
di quel maligno et rioperché quel santo fuoco
lo conserverà Iddio,non gli lascia trovare altrove loco
et farà forte in ogni sua afflitione,
ché sempre si vedrà pronto et intento
a fare ogni suo buon comandamento.

Pare evidente che nel passaggio da A a F si assiste ad un miglioramento del materiale poetico: nel primo esempio si nota l’eliminazione del v. 4 di A, dal dettato un po’ faticoso, e il potenziamento della similitudine finale; nel secondo caso il medesimo contenuto – l’infinita bontà divina – è reso in A con l’interrogativo quanto che conferisce al madrigale un andamento prosastico, mentre in F notiamo la presenza della domanda retorica che aggiunge il tema dell’ineffabilità della bontà di Dio; infine nel terzo esempio F attua una riduzione rispetto alla prima redazione che, eliminando la porzione di contenuto non pertinente rispetto alla didascalia, garantisce al componimento una maggiore forza.

Collazionando allo stesso modo le canzoni, si nota che anche questi testi sono interessati da un processo di riscrittura. Non meno di 16 delle 200 canzoni di F hanno un diverso incipit o presentano varianti significative rispetto alle medesime attestate da A. Almeno 4 canzoni presentano una mole di varianti tale da consentire di definire i testi di F come vere e proprie riscritture e non solo testi con varianti. Di seguito riporto la trascrizione della prima stanza e del congedo di una di queste canzoni e la prima stanza di un’altra.

A, cantico 20, cc. 153r-156rF, inno I.20, cc. 136r-139r
Che chi segue il mondo sta sempre ansio [sic] et senza quiete et che la dottrina mondana è stolta et fallace et conduce gli huomini in perditione et come sien fatti i veri christiani che debbono sopportare i frategli et non si volere vendicare di ogni picciola cosa.Che chi segue il mondo non ha mai quiete et che la dottrina mondana è stolta et fallace et conduce gli huomini in perditione et come sien fatti i veri christiani che debbono sopportare i frategli et non si volere vendicare di ogni picciola cosa.
 
    Chi follemente al mondo si marita    Chi segue il mondo et le sue pompe ammira
sempre in angoscie et in penevive in angosce et in pene
vive et in lacci et in catene,et in lacci et in catene,
né potrà esser mai lieto o contentoné mai si può veder lieto o contento
se altra strada a ire a dio non tiene,se altra strada a ire a dio non tiene,
et a lui chiegga aita,a dio ch’a sé ci tira,
di sua gravosa vitaet in noi il suo lume spira
ché questo mondo è fumo, nebbia o ventoché mostri il viver nostro fumo et vento
che passa in un momento,che passa in un momento,
e sofiando va via;et soffiando va via;
adunque, anima mia,adunque, anima mia,
vòltati a dio et fa quanto a lui piace,vòltati a lui, s’haver vuoi in terra pace,
fuggi il mondo fallace,fuggi il mondo fallace
et ciò che follemente quel desia,et ciò che follemente ama et desia
ché col suo falso mele, zucchero et manna,perché questa iniquissima sirena
chiunque gli crede, malamente inganna.è d’ogni falsità et inganno piena.
A, cantico 19, cc. 150r-153rF, cantico I.19, cc. 132r-136r
Che non si debbe biasimare il prossimo ma beneficarlo et pertutto il cantico descrive come debbe essere fatto il christianoChe non si debbe biasimare il prossimo ma beneficarlo et pertutto il cantico descrive come debbe essere fatto il christiano
    Chiunque il prossimo suo biasima et danna    Chi senza carità il prossimo danna
erra non poco certocol suo giuditio incerto,
col suo giuditio incerto,ne riceve per merto
et spesso più di lui vien poi biasmatoche spesso più di lui è poi biasmato,
quando il suo maggior fallo è discoperto;quando il maligno cuor viene scoperto
ché il suo viver condannache il suo viver condanna;
et non sa che si ingannaet non sa che si inganna,
chi crede essere a dio accetto et gratochi crede essere a dio accetto et grato
sol per lo altrui peccato,sol per l’altrui peccato,
O questo, o quello erroreo questo, o quello errore,
ché la fede et l’amoreché la fede et l’amore
che s’ha verso del prossimo et di Iddio,che s’ha verso del prossimo et di Iddio,
et ogni a etto pio,et ogni a etto pio,
ci rende chari al nostro creatore:ci rende chari al nostro creatore:
m’ascolti ogni huom come esser dee il christianom’ascolti ogni huom come esser dee il christiano
e non ne vuole havere il nome in vano.se non ne vuole havere il nome in vano.
[...] [...]
Canzon parla a ciascunoCanzon parla a ciascuno:
et di’: «Per questa strada«per questa vera strada
bisogna che si vadabisogna che si vada
ché per ogni altra si percuote et inciampaché per ogni altra si percuote et inciampa
et la divina stampaet se si rompe la divina stampa
si rompe et il resto male convien poi vadail resto non ha più remedio alcuno siché
siché abbraciam Giesù nostro per duceabbraciam Giesù nostro per duce
ch’alla vera salute ci conduce.»ch’alla vera salute ci conduce.»

Le osservazioni fatte a proposito delle varianti dai madrigali possono essere estese anche al processo rielaborativo delle canzoni: nel passaggio da A a F si assiste ad un tentativo di migliorare il dettato poetico.

Un ultimo aspetto che merita di essere sottolineato riguarda i 21 psalmi presenti in A. Sembrerebbe che questa sezione di poesie, che componeva nel Parigino il III libro, venga a cadere, ma si tratta di una conclusione affrettata. In realtà in F si assiste ad un recupero di quasi tutti questi capitoli ternari che vengono modificati e riscritti. Il risultato è una trasformazione di 17 capitoli in altrettante canzoni, due delle quali presentano anche un incipit diverso rispetto al corrispondente psalmo (si tratta dei capitoli 5 e 12, rispettivamente le canzoni IV.48 e IV.22); si veda la tabella sottostante per il confronto.

Mi sembra che si possa dire che la modifica dei capitoli ternari in canzoni sia un processo del tutto coerente con la direttrice delle varianti che si è appena descritta, vale a dire col tentativo di migliorare il testo e innalzarne la forma poetica. I capitoli sono una forma metrica impiegata soprattutto nella poesia comico-realistica o in quella satirica31 e sono programmaticamente assenti dalle raccolte cinquecentesche di liriche; la loro trasformazione in canzoni può quindi trarre origine dalla volontà di eliminare dalla raccolta un genere metrico percepito come basso. I capitoli ternari hanno ovviamente anche una tradizione alta e antica – basti citare l’inaggirabile esempio delle Commedia – e una più recente e forse maggiormente prossima al tipo di poesia di Brucioli, come l’impiego delle terzine per i volgarizzamenti dei salmi, in particolare di quelli penitenziali.32 Anche nel settore dei salmi, però, è probabilmente il precedente pseudo-dantesco a giocare un ruolo determinante nell’utilizzo del metro da parte di altri autori, ma, si badi, quasi immancabilmente le terzine sono impiegate per sezioni autosufficienti, quali appunto i salmi penitenziali, e praticamente mai nelle versioni integrali. Al riguardo mi pare significativo che la traduzione completa dei salmi di Giulio Cesare Pascali, pur aperta a uno sperimentalismo metrico notevole, presenti un solo salmo (il CXIX) nella forma delle terzine, e solo dopo averlo prima tradotto con delle sestine.33 Nel medio Cinquecento, sia nel versante della poesia lirica, sia in quello della poesia religiosa, è la mescolanza tra la terzina e gli altri metri ad essere percepita come bassa, e questo senza pregiudizio valoriale per la forma ternaria se impiegata da sola.

Prima di passare all’analisi per campioni del contenuto delle rime, si intende analizzare le significative presenze eterodosse rintracciabili nei testi delle lettere di dedica.

Corrispondenza psalmi (capitoli ternari) cantici (canzoni).

Psalmi (A)Cantici (F)
1-4III.40-43
5IV.48
7III.44
8IV.40
9-12IV.18-IV.22
14IV.22
16IV.41
17-20III.46-III.49

2.2. Le lettere di dedica

Lettera di dedica di A34

Alla Serenissma regina Caterina, regina di Francia, Antonio Brucioli, salute et pace nel Signore Christo Giesù, Salvatore nostro.

Veggendo, magnanima regina, quanto la lascivia delle canzoni amorose scorra per tutto destando spesso ne’ giovinili petti, a non dire anchora ne’ vecchi, torti appetiti, et desiderando in qualche parte voltare gli huomini dal cantare le laude delle creature a quelle del creatore, et dallo amore cieco et pieno di tenebre – come essi medesimi suoi poeti dicano – a quel luminoso et celeste, ho composti tre libri dello amore divino christiano, a modo di madrigali, canzoni et capitoli, se bene sono intitolati hymni, cantici et psalmi. [c. 2v] Et perché l’animo mio è stato sempre et è anchora tutti i libri della Sacra Scrittura, et che parlono della omnipotentia et virtù di Iddio, mandare in luce dedicati a vostra maiestà christianissima, gli ho voluto dedicare anchora questo et non solamente dedicare, ma et in modo darglielo che a lei stia di tenerlo per sé sola, o di volerne fare partecipi gli altri christiani. Et così a christianissima regina mando questi christianissimi misteri, ne’ quali potrà benissimo vedere con quanto amore Iddio creassi l’universo, et con quale lo regga et governi; con quale creassi gli angelici spiriti et l’anime degli huomini, et come si dia loro a conoscere; et come si convenga amare et temere et adorare con ogni humiltà et reverentia, et contemplare nel suo figliuolo, Christo Giesù, ammirando tanta sua benignità per la quale habbia talmente amata l’humana creatura che lo mandassi in terra a salvarla et, finalmente, come sia fatta tutta la vita del christiano.

Havendo anchora in questa nuova poesia, o divine laude, come si debbe pregare Iddio [c. 3r] nelle avversità et nelle prosperità ringratiarlo, et come ci dobbiamo comporre con tutti i suoi santissimi precetti, pregandolo che ci guardi da’ peccati et perdoni i commessi. Le quali tutte cose non poco possono giovare a’ christiani, oltre al conforto et recreatione di animo che si potrà pigliare sentendosi cantare le laude del suo Signore et Re dell’universo.

Et vostra maiestà, sì per la pietà christiana che fu sempre in lei, et sì per essere in alto grado eminente posta, vegendosi grandemente obligata alla bontà divina con più pronto et devoto cuore di ogni altra devotissima anima, giubilando nelle laude del Signore et cantando quelle, gli renderà continue gratie per i tanti benefici ricevuti da lui. Et le quali duplicate, certo, gliene harà a rendere per le egregie et pietose opere che Iddio opererà per lei nella christiana republica, et tali che anchora ha da essere chiamata magna et madre della patria, titoli non mai più dati in tutti i secoli del mondo a donna alcuna.

Pigliate adunque, serenissima regina, questo mio picciolo dono di alti et christianissimi misteri pieno et, leggendo quale sia il vero amore del christiano verso Iddio et degli huomini et [c. 3v] le magne opere sue, si potrà vostra maiestà eccitare con somma pietà a laudarlo et ringratiarlo di tanti beni ricevuti da esso, per i quali anchora più si infiammerà a’ benefici del prossimo et di quegli che sono afflitti et poveri et in gran necessità constituti, et io a quella humilissimamente mi raccomando et bacio con ogni reverentia le reali mani.

Lettera di dedica di F

Allo illustrissimo et eccellentissimo duca Cosimo de’ Medici, duca di Firenze, Antonio Brucioli salute et pace in Christo Giesù salvatore nostro.

Considerando talhora meco medesimo con quante lode fussino sempre celebrati quegli antiqui poeti greci che cantorno le laude de’ loro iddii, se bene furno idoli falsi et la scientia di quegli vana, non poco veramente mi sono maravigliato che nessuno, per quanto io sappia, infino a questi tempi, si sia nella honorata nostra lingua toscana messo a cantare le divine virtù del sopra celeste Christo Giesù, Signore et Salvatore nostro, et a celebrare lo immenso suo amore per il quale ci ha di tanto amati che sia disceso in terra per tirarci in cielo, essendo nel vero per sé cosa impia che con tanta cura et diligentia si celebrino et inalzino le fragili bellezze [c. 1v] di uno corpo di vile et corruttibile creatura, o si esaltino i monstruosi fatti de’ finti cavalieri erranti et lascisi di celebrare la suprema omnipotentia eterna del vero Iddio, et quella luce che per tutto penetra col suo lume divino et dalla quale piglia ogni sua luce ciò che splende et è bello nell’universo.

Et di qui è venuto, signore illustrissimo, che, desiderando io grandemente che si levassino dalla bocca de’ christiani le profane et false lode delle creature et i loro lascivi canti che non solamente per le camere et fra gli ardenti giovani et cupide donne si fanno, ma anchora bene spesso in luoghi sacri et convenienti al culto divino et mettervi quelle di Iddio in divini cantici et sacri hymni che rinsuonino la gloria del fattore nostro Christo Giesù, ho composti cinque libri del vero amore divino christiano, con nuovi versi et rime cantando in essi quale sia stato et sarà sempre l’amore di Iddio verso l’humano genere, et quanto grande la misericordia sia, quanto ammirabili i benefici co’ quali ogni hora ci incita, quanto immensa la pietà et la bontà infinita et quanto splendida luce esca da esso, et con quanta benignità ci illumini et indirizzi [c. 2r] per le vie sue che ne guidano al cielo et con quanto [sic] inestimabile gratia ci habbia adottati, per Christo Giesù, in suoi figlioli per farci seco heredi del paradiso, et quali gratie per tanti ricevuti benefici se gli debbino rendere, et con quale pietà et reverentia si debba pregare quella alta maiestà divina, et come degnamente adorare con ogni humilità. Et trovandomi havere condotto a quel perfetto fine che io ho saputo o che lo Spirito mi ha dettato una tanta opera – grande nel vero per il suo sugghietto – sono andato lungamente fra me pensando a chi dedichare la dovessi, sotto il cui nome più honorata ne venissi in luce, né alcuno fra’ molti signor et principi di gran dignità et nome nella christiana republica, mi è venuto nell’animo al quale dovessi, anzi fussi tenuto, commettere simili parlari sacri et pieni di divini affetti che Vostra eccellentia illustrissima, come quella alla quale, secondo che universalmente rinsuona la vera fama, è a cuore il sacro santo verbo di quello Iddio che ha miracolosamente dimostrato di havere speciale cura di essa. Et come quella che fa celebrare et [c. 2v] ampliare nel suo dominio la dottrina di quel Signore che sopra tanti ha esaltato [il] suo nome illustrissimo, giudicando non si potere locare meglio le laude divine che a tanta bontà di signoresì pio, sentendosi già per l’universa Italia, a non dire christianità, come quella pone ogni cura et diligentia di tirare per i santi ministri suoi et ottime leggi alla cognitione di Iddio que’ popoli sopra i quali è stata messa al governo, et fatta ammirabile nella universa christianità.

Et così dedico queste mie vigilie, fatte in honore et gloria del Salvatore superno, a vostra illustrissima signoria, come a quella la quale con mente pia fa ogni suo sforzo che si metta ne’ cuori del popolo suo il santo nome di quel Signore che ha fatto il nome di essa reverendo a’ popoli et genti, et come a quella che cerchi che la sola unica gloria di Iddio sia predicata inquel dominio nel quale l’ha fatta più di ogni altro gloriosa, et come a quella che opera che sia unicamente amato et temuto il Signore in quelle città nelle quali l’ha fatta ammirabile a’ buoni et tremenda a’ rei. Mandole, dico, a vostra eccellentia come a quella che voglia che sia esaltato [c. 3r] sopra tutte le cose quel Signore che ha posto il seggio al giudicio di essa sopra moltitudine di popoli et fatto più mirabile di tutti i suoi mirabili passati et come a quella che mai non pensa ad altro che a vedere come quel solo Iddio sia adorato, et a quel solo si dia ogni divino culto, che l’ha fatta tale che gli occhi delle migliaia stanno intenti a riguardare come da essa con somma giustitia sieno retti, le quali tutte cose et ciascuno per sé considerando mi fanno credere che meglio non si possa locare un tale thesoro, et che da Vostra eccellentia saranno abracciati et havuti cari questi theologici versi et pie rime, poi che rinsuonano le laude del suo creatore et gran benefattore Christo Giesù, il quale sempre con tutta l’anima et cuore vostro havete amato et temuto con ogni reverentia.

Et così fermamente spero che come sempre ha fatto et fa ogni suo sforzo vostra illustrissimasignoria che tutti quegli che sono sotto il suo reggimento habbino la cognitione di Iddio et consanta religione vivino nel timore di quello, così anchora vorrà che quegli non più cantino et [c. 3v] rinsuonino ne’ loro petti i lascivi amori delle creature che corrompono i costumi de’ giovani et delle giovanette et bene spesso quegli de’ vecchi, ma il divino et santo di Christo redentore che sempre ne fa migliori et più accetti a Dio, et che in quello giubilino et si rallegrino.

Pigliate adunque, signor illustrissimo, questo mio picciol dono di sacri misteri pieno, et il quale anchora ha da portare per quanto si distende il nome di Christiano l’honoratissimo nome vostro, et date laude a Dio che di sì alte doti vi habbia voluto dotare che al governo di tanti popoli siate eletto, accioché sinceramente et non con hypocresia sia celebrato il santo nome suo in essi et hora et sempre, sotto il santissimo et giusto governo di vostra eccellentia et di quegli che da quella dietro a essa verranno, i quali tutti prego Iddio che gli voglia perpetuare nella sua felicissima gratia.

Nella parte iniziale di entrambe le lettere l’autore giustifica la scelta di scrivere l’opera come reazione alla lascivia delle canzoni amorose (A)35 e per voltare gli huomini dal cantare le laude delle creature a quelle del creatore (A). Nel Fiorentino, però, questa excusatio è intrecciata con la rivendicazione del primato poetico: non poco veramente mi sono maravigliato che nessuno [...] si sia nella honorata nostra lingua toscana messo a cantare le divine virtù del sopra celeste Christo Giesù. È chiaro che Brucioli non intende dire di essere il primo scrittore a comporre poesie religiose di lode di Cristo e infatti il periodo continua così: Signore e Salvatore nostro, et a celebrare lo immenso suo amore per il quale ci ha di tanto amati che sia disceso in terra per alzarci in cielo.

Mi sembra di poter dire che il primato rivendicato da Brucioli sia quello relativo al contenuto dottrinale della poesia religiosa: il fiorentino sarebbe, a suo dire, il primo ad aver composto poesie religiose che trattano le lodi di Cristo per i tanti ricevuti benefici. Abbiamo a che fare, quindi, con un testo che mette al centro della motivazione poetica la lode a Cristo e che si inserisce nel filone della spiritualità valdesiana del Beneficio di Cristo. Molti sono i passi delle lettere che echeggiano il trattato di Benedetto da Mantova, come indica la spia linguistica «benefici [di Christo]», accanto all’insistenza sull’adozione dell’umanità presso Dio per il tramite di Cristo.

In entrambe le lettere di dedica è possibile rintracciare numerosi passi che caratterizzano il contenuto dell’opera in direzione eterodossa. Si può notare, però, che nella più lunga lettera del Fiorentino il discorso di Brucioli tende a specificarsi in direzione politica. I due terzi della missiva sono occupati da una lode di Cosimo alquanto particolare; si legga questo passaggio che compendia bene l’intero brano:

dedico queste mie vigilie [...] a vostra illustrissima signoria, come a quella la quale con mente pia fa ogni suo sforzo che si metta ne’ cuori del popolo suo il santo nome di quel Signore che ha fatto il nome di essa reverendo a’ popoli et genti, et come a quella che cerchi che la sola unica gloria di Iddio sia predicata in quel dominio nel quale l’ha fatta più di ogni altro gloriosa, et come a quella che opera che sia unicamente amato et temuto il Signore in quelle città nelle quali l’ha fatta ammirabile a’ buoni et tremenda a’ rei [...] come a quella che mai non pensa ad altro che a vedere come quel solo Iddio sia adorato, et a quel solo si dia ogni divino culto.36

Brucioli dedica l’opera a Cosimo poiché vede in lui un esempio di regnante pio, intento a promuovere il culto divino tra le popolazioni che si trova a governare. È il dato linguistico che sorprende: in questo breve passo l’autore insiste per quattro volte su come Cosimo abbia operato affinché la predicazione e l’adorazione sia rivolta esclusivamente a Dio. In questo caso la lettera del testo è oltremodo significativa proprio per l’insistito richiamo a solo Iddio. Questa insistenza ha per lo meno due aspetti che connotano di venature eterodosse il messaggio: da una parte la ripetizione del termine solo Iddio (ed equivalenti) allude necessariamente al solus Christus di matrice protestante, dall’altra Cosimo37 viene presentato come un regnante che si occupa delle pratiche religiose e che le indirizza verso una pietà Cristo-centrica. Il Cosimo elogiato in questa dedica è quanto di più distante dall’immagine posttridentina del sovrano: interviene in materia religiosa, riforma le pratiche e fa ciò senza dialogare in nessun modo con l’autorità ecclesiastica. La religiosità propugnata da Brucioli, che appare come una questione individuale, ha però una forte dimensione collettiva e politica: ad essere auspicato è un maggiore sforzo di riforma di tutti gli ambiti del culto attraverso un più incisivo intervento pubblico.

3. I testi poetici

Accanto alle lettere di dedica, anche i testi poetici dell’intera raccolta trasmettono una concezione individuale della fede aliena da qualsiasi forma tradizionale di mediazione. Il complessivo tono pedagogico che traspare dai versi presenta sì l’ideale di una comunità religiosa, di una Chiesa (si veda, infra, il sesto poetico presentato), ma che è appunto un insieme di credenti stretti attorno alla mediazione di Cristo e non una struttura gerarchica formale.

Di seguito si fornirà l’edizione di alcuni componimenti rappresentativi del contenuto complessivo dell’opera, ciascuno dei quali è preceduto da alcune brevi note di commento. La scelta del testo-base ricade su F, testimone della seconda fase redazione del testo: le varianti di A sono ospitate in nota, le eventuali correzioni in una seconda fascia di apparato. Mostrasi che Giesù è solo quello che può condurre noi al padre et alla beatitudine celeste

F, cc. 15v-16r hymno 25; A, c. 23rv hymno 37

Questo madrigale è una dichiarazione di fiducia in Cristo che esalta il suo ruolo di unico mediatore. I versi 7-8 paiono quasi una provocazione: invece del tradizionale motto extra Ecclesiam nulla salus si legge che non esiste salvezza al di fuori di quella concessa da Cristo. Il concetto è ribadito nei versi 10-12, nei quali si legge che tutto ciò che si può trovare di buono, in cielo o in terra, deriva da lui e nessuno spazio è lasciato ai meriti individuali.

    Alma, tutto il tuo affetto,
se vuoi salire al cielo,
con puro et santo zelo:
«Sia Giesù benedetto». 4
Questo è la porta vera
per la quale al suo ben ciascuno ascende,
et fuor di lui chi spera
venire a Dio, in van suo camin prende, 8
con mente cieca e altiera.
Perché ciò che risplende
in cielo, o sotto a quello altra virtute,
piglia l’esser da lui et la salute.12
Dunque a quel ti rivolta con tutti i piensier tuoi,
anima, se tu vuoi
che la strada del ciel non ti sia tolta.16

⎯⎯⎯⎯⎯
8 suo camin prende] sempre contende
A
9 con mente cieca e altiera] verso assente in A.
---
6 ben] bene A e F
⎯⎯⎯⎯⎯

Dimostra che se tutte le creature fussino accolte con ogni loro potere a fare qualche opera, non potrieno non che fare quanto Iddio, ma neanchora muoversi senza la sua volontà et di poi esorta l’anime che stieno allegre per si gran signore

F, cc. 25v-26r hymno 44; A, c. 33rv hymno 56

Il testo parla della onnipotenza divina, ma ad una lettura più attenta si scorgono significative emersioni eterodosse dietro le affermazioni apparentemente in linea con l’ortodossia cattolica.

Si può suddividere il contenuto del madrigale in tre temi: il primo nucleo, che occupa il primo periodo (vv. 1-9), tratta dell’impotenza umana a confronto con la potenza divina; segue una domanda retorica all’anima del poeta che contiene la certezza della salvezza per sola fede; infine, nella chiusa, si può leggere una decisa affermazione della predestinazione divina. In particolare l’ultimo verso assegna et conferma sua natura mi sembra si debba interpretare come un’affermazione che postula la predestinazione: Dio assegna, donando la vita, la natura a ogni creatura e conferma questa predestinazione per mezzo della fede. Interessante, al riguardo, la variante di A al v. 8; nel testo del Parigino il concetto della predestinazione divina è anticipato e maggiormente scoperto: nessun uomo potrebbe fare alcunché se non gli fusse già stato concesso da Dio; siamo nel cuore del concetto del servo arbitrio.

    Se tutto l’universo fusse accolto
a voler far, con ogni estrema cura,
qualche opra grande et nuova,
non potre’ assai o molto,4
quanto Iddio a un cenno del suo volto,
né forza harà alcun mai
muoversi per se stesso,
se non gli fia concesso8
da lui il potere et tutta la sua voglia.
Dunque, o mio cuore, o mia alma,
che hai che spesso par ti doglia?
Se poni tua speme in lui,12
puoi dir: «Beata fui
quando io voltai il pensiero a quel Signore
che, col gran suo splendore,
la vita dà a ogni creatura,16
et assegna et conferma sua natura».

⎯⎯⎯⎯⎯
5 quanto Iddio a un cenno del suo volto] In questo verso, identico in entrambi i manoscritti, occorre ipotizzare una doppia dialefe per considerarlo endecasillabo.
6 né forza harà alcun mai] et nessun certo harebbe forza mai A
8 se non gli fia concesso] se non gli fusse già stato concesso A
17 et assegna et conferma sua natura] Anche per questo verso occorre ipotizzare una doppia dialefe per poterlo considerare endecasillabo.
⎯⎯⎯⎯⎯

Canta che il nimico Satan non ha più forza in noi poi che il figliuolo di Iddio è disceso di cielo per salvarci

F, c. 33v hymno 59; A, c. 41rv hymno 70

Questo componimento, che trasmette un messaggio di fiducia nella salvezza eterna, termina con un verso che afferma in maniera chiara che tutti i peccati sono rimessi per il merito del sangue di Cristo.

    Che potrà più il nimico nostro farne?
Non è Giesù quel gran signor superno
che dalla eccelsa corte
scese a pigliar per noi humana carne,4
per ridurci al benigno padre eterno
con la sua propria morte?
Adunque ogni temenza nostra è vana,
se confidiamo in esso,8
ché per salvarci il proprio sangue ha messo,
col qual tutte le nostre piaghe sana.

⎯⎯⎯⎯⎯
1 nostro] alma mia A
2 quel gran signor superno] colui A
5 per ridurci al benigno padre eterno] et per tor sopra sé gli error d’altrui A
8 confidiamo] fidereno A (ritengo sia un errore per fideremo).
10 sana] In A seguono 5 versi, assenti nel Fiorentino: O charità immensa, / tanto magior quanto più vi si pensa, / poscia che, per cavarci dello abisso,/ ha voluto egli stesso / esser per nostra emenda crocifisso.
---
10 qual] quale (lezione di entrambi i mss., che rende ipermetro il verso).
⎯⎯⎯⎯⎯

Canta come sieno fatte le pie anime de’ christiani elette da Dio herede del cielo

F, cc. 80v-81r hymno 168; A, c. 105rv hymno 207

Anche in questo madrigale si tratta della predestinazione divina – tema esplicitato già dall’incipit – e della contentezza nella quale vivono gli eletti. Nella chiusa del componimento è riaffermato il tema, caro alla trattatistica protestante, delle opere come conseguenza della fede e come testimonianza della giustificazione. In questo caso sembra utile osservare una scelta lessicale di Brucioli, il quale utilizza il termine fede al v. 10 in maniera volutamente ambigua: letteralmente il passo dice che le opere del fedele, le quali tendono al bene, testimoniano (fede fa) dell’amore del cristiano nei confronti di Dio, ma al contempo il termine in questione allude al fatto che è la fede, dono divino, che genera (fa) le buone opere.

    L’alme che son da Dio al cielo elette
sempre a lui stanno intente,
et d’ogni sorte lor vivon contente,
nel sangue del suo figlio benedette.4
Queste, dell’alte sue virtù ripiene,
ne vanno humili et non superbe et altiere,
et puossi anchor vedere
che tutte l’opre lor tendono al bene, 8
et tanta gratia in esse appar di fuore,
che fede fa del lor divino amore.

⎯⎯⎯⎯⎯
3
lor] loro (lezione di entrambi i codici, che rende ipermetro il verso)
⎯⎯⎯⎯⎯

Canta come il Signore illustri il giusto et lo circondi di buona volontà, ma che nessuno è giusto se non è aiutato et illuminato da Iddio

F, c. 191rv cantico 4 del II libro; A, c. 209rv cantico 56.

In questo testo è esplicito il rifiuto della dottrina romana della giustificazione, alla quale si contrappone una dottrina che ha fatto propri i capisaldi teologici della Riforma. Si prenda la prima stanza, nella quale è detto chiaramente che la salvezza proviene da Dio, che si è giustificati per fede e che le opere non collaborano alla giustificazione, ma sono solo un segno esteriore di quella. Altro esempio significativo viene offerto dalla IV stanza, nella quale mi sembra si alluda alla predestinazione divina: nessuno è giustificato senza l’intervento divino e senza che prima Dio non abbia indirizzato l’uomo verso la fede.

    Signor, tu salverai il giusto per la fede
ch’in te confida et crede,
et ne l’opere sue l’esalterai.4
    Il tuo lume gli fia
sempre mai scorta et guida,
et come rocca fida
per la tua santa immensa bontà pia.8
    Et sarà circundato
di volontà perfetta,
et l’alma benedetta
ne l’altissimo regno tuo beato.12
    Ma senza te, Signore,
nessun giusto si truova,
onde convien che muova
prima tu l’alma et l’intelletto e il cuore.16
    Onde, signor benigno,
il lume del tuo volto
priego non mi sia tolto,
ma levato da me il viver maligno,20
    accioch’io possa, con fervente zelo,
quando a te piacerà, fruirti in cielo.

⎯⎯⎯⎯⎯
1 salverai] illustrerai A
4 ne l’opere sue l’esalterai] in eterno lo benedirai A
16 l’alma et l’intelletto] signor mio, l’alma A
⎯⎯⎯⎯⎯

Oratione della chiesa a Christo che la soccorra nelle sue tribulationi

F, cc. 437r-438v cantico 50 del IV libro; non sembra essere attestato da A.

Nella citata lettera a Beccadelli, Girolamo Muzio segnalava che l’opera di Brucioli in «molti luoghi parla delle persecutioni della Chiesa in modo che si comprende che parla delle inquisitioni che fa la Chiesa catholica contra gli heretici et di quella ne fa i rammarichi et le querele». Questa canzone pare un esempio di quella tipologia testuale che aveva attirato i sospetti di Muzio.

Mi sembra chiaro che nel testo della canzone si assiste ad uno slittamento semantico in virtù del quale ciò che viene detto della chiesa è da intendersi riferito alla comunità dei veri credenti, perseguitata dalla chiesa di Roma. È difficile interpretare come una descrizione della chiesa cattolica all’altezza degli anni Cinquanta del Cinquecento versi come i seguenti: piena d’uccision, di infamie et scherni, / d’incendi et di rovine, / dal mondo oppressa et dal suo cieco errore (vv. 5-7) oppure il mondo ruggie / contro di me, ciascun m’ha in odio et fuggie (vv. 19-20). Questo procedimento retorico non è di certo un caso isolato o una invenzione di Brucioli: molte Odi di Marcantonio Cinuzzi sono costruite sul tema del lamento del fedele perseguitato38 e, tra gli altri, anche il volume di Curione delle Quatro lettere Christiane39 è tutto intrecciato di lamenti e di incoraggiamenti per i fratelli i quali per tutto il regno di Babilonia sono sparsi, perseguitati per la vera fede.

    Signore Iddio, che il ciel reggi et governi,
pietà ti prenda hormai del mio dolore,
del mio dolor ch’io veggio senza fine,
pel zel del tuo honore:4
piena d’uccisïon, di infamia et scherni,
d’incendi et di rovine,
dal mondo oppressa et dal suo cieco errore,
et pur fui già di gratie alte et divine8
adorna, come piacque a te talmente
ch’altra non ne fu mai sì rilucente.
    Hora il mio volto a tutto il mondo sembra,
poi che perduto ho ogni mio decoro,12
dell’impia tua nimica, signor mio,
stando sempre in continüo martoro,
nelle misere mie afflitte membra,
né maraviglia è s’io16
di giorno in giorno più mi discoloro,
perendo fra la speme et fra il desio,
et mentre cresce il male, e il mondo ruggie
contro di me, ciascun m’ha in odio et fuggie.20
    O terra, o acqua, o aria, o fuoco, o cielo,
deh, fate fede voi della mia pena,
che mi vedete ogni hor fra ’ boschi et balze
d’affanno et dolor piena,24
ahi lassa, al caldo e al gielo,
con le minor sorelle scinte et scalze,
dove doglia et paura ogni hor mi mena,
perché co’ prieghi a Dio sicura inalze28
la voce, et dove più pianger mi giova,
perché a pietà di me il signor si muova.
    Ne’ membri miei non è più parte sana,
Signore Iddio, ogniun sospira et geme32
che porta entro del cuor tuo nome santo,
et quello honora et teme;
muovi dolcie signor, muovi la mana,
et rasciuga il mio pianto36
pel grave affanno che mi stringe et preme,
e in me ritorna quel ch’io bramo tanto:
che è la tua virtute, sì i cuori accenda,
che da te, non dal mondo, ciascun penda.40
    Torna a rivisitar tua cara sposa,
dàgli hormai, signor mio, qualche quiete,
né più si stia in paura et fugitiva
in parti aspre e secrete;44
questa, del tuo splendor già luminosa,
hora è di virtù priva
e ’l tristo frutto del suo seme miete,
onde signor, se vuoi che al mondo viva,48
manda il santo tuo spirito, in noi spento,
ché il mondo se lo fa d’oro et argiento.
    Torna a veder tua sposa et sue belleze,
et vedràle oscurate e in vesta negra52
andar fuggendo dove è gente allegra,
che segue il mondo et sue vane ricchezze.

⎯⎯⎯⎯⎯
1 ciel] cielo F
39 virtute] virtù F
51 veder] vedere F
53 andar] andar F
⎯⎯⎯⎯⎯

3.1 La riscrittura di Vergine bella

Sopra si è fatto menzione della lettera di Girolamo Muzio con la quale informava Ludovico Beccadelli dell’invio dell’opera di Brucioli alla duchessa d’Urbino Vittoria Farnese; è opportuno a questo punto leggerla in maniera estesa:

Già più giorni il Brucioli mandò un suo gran volume di rime intitolato a questa Signora nostra illustrissima duchessa. Il quale veduto qui non è stato approvato né in parole né in sentenze et, percioché le parole poco sarebbono importate quanto le sentenze fossero state approbabili, quelle lasciando, dirò di queste.

Il suo procedere non è già in maniera che si possa manifestamente riprendere, ma è tale che dà molta suspitione, ché prima tiene tutte le sue preghiere indirizzate in un certo modo a Christo, che si vede che vuol dire che il ricorrere alla intercessione de’ santi sia di soverchio, poi fa una canzone ad imitatione di Vergine bella che di sol vestita et le cose che in quella si dicono di nostra Donna le rivolge a Cristo. Il che non dico che sia male, ma che vuole inferire che quelle cose a lei non si convengono et che a Cristo si debbia ricorrere et che altra intercessione non ci sia. Poi in molti luoghi parla delle persecutioni della Chiesa in modo che si comprende che parla delle inquisitioni che fa la Chiesa catholica contra gli heretici et di quella ne fa i rammarichi et le querele.

Vedutosi questo libro tale, parve bene passarlo senza altra risposta. Ma esso, non vedendo apparir cosa che gli aspettasse, tornò a scrivere in modo che quando questa Signora fosse così altera come ella è modestissima, ella haverebbe forse fatto ammonir lui di modestia. La somma fu che haveva mandato quel libro con intentione che gli fosse donato et che haveva speso in farlo legare et iscirvere. La Signora humanissimamente gli rispose che quel libro non faceva per lei et che gliele haverebbe rimandato et così gliele rimandò et con esso gli mandò anche a donar dieci scudi.

Io ho voluto dare questa notitia alla Signoria Vostra Reverendissima percioché io penso che colui peraventura penserà di fare stamapre quelle sue rime in Vinegia. Mostra haverne assai che questi erano due libri, il quarto et il quinto et non era minor volume di tutti i sonetti et canzoni del Petrarca. I buoni arbori partoriscono i buoni frutti et i cattivi i cattivi40

Accanto alla presenza quasi ossessiva di Cristo, al Muzio non è sfuggito che nella raccolta di Brucioli si trova un rifacimento sospetto di RVF CCCLXVI, nel quale ogni riferimento alla Vergine è eliminato a favore di una costante invocazione a Cristo.

Benché non ci siano espliciti elementi eterodossi – almeno così è parso al Muzio – la trasformazione di una canzone per la Vergine in una per Cristo instillava il sospetto che sotto quella riscrittura ci fosse e silentio una presa di posizione teologica molto forte. Brucioli avrebbe messo in campo la ben nota strategia nicodemitica di procedere affermando e non negando, lo stesso stratagemma contro cui Celso Martinengo si scaglierà, dopo essersi rifugiato a Ginevra, con queste parole, indirizzate nel 1554 a fra’ Angelo Castiglione da Genova:

I predicatori d’Italia, de’ quali io sono stato uno un pezzo, vivon in quello errore pensando esser iscusati per questi due rispetti: l’uno che giovino al fratello in quel stato; l’altro che, sebben non dicano la negativa, almeno insistano nell’affermativa.41

Come detto sopra, non possediamo il manoscritto indirizzato a Vittoria Farnese, però è possibile riconoscere nel primo cantico del quinto libro di F la canzone fatta a imitazione di Vergine bella che di sol vestita. Se la struttura del volume dedicato alla duchessa fosse identica a quella del Fiorentino, la canzone rappresenterebbe il testo centrale, poiché il Muzio ci informa che il volume indirizzato alla Farnese conteneva solo i libri IV e V.

Venendo ora al testo della canzone: non si tratta di un rifacimento del tutto fedele poiché l’originario schema metrico petrarchesco ABCBAC.CddCEf(f)E è modificato in ABC-BAC.CddCEffE; l’autore ha cioè eliminato la rima al mezzo nell’ultimo verso di ciascuna stanza e ha inserito un settenario in più, in penultima posizione, per evitare che la rima F restasse irrelata. A parte questa particolarità, la canzone si compone di 10 stanze più un congedo con la stessa struttura della sirma, come nell’originale petrarchesco. Rimando allo studio di Dalmas per un commento complessivo del testo, accostato al rifacimento di Curione del medesimo componimento, ma presento di seguito l’edizione critica della canzone.42

La canzone si può leggere anche in A – è il cantico 13 – con alcune varianti e un differente cappello introduttivo. Di seguito riporto il testo pubblicando la redazione di F e segnalando in nota le varianti presenti in A; nella seconda fascia di apparato si da conto degli interventi che si sono resi necessari per correggere la lezione del manoscritto Fiorentino. Sottolineo col corsivo i versi e le porzioni di versi che risultano identiche a RVF CCCLXVI.43

Oratione a Christo che voglia aiutarne alla salvatione per che senza il suo aiuto siamo perduti et seco conseguiamo tutti i beni

F, cantico I del V libro, cc. 350r-354r; A, cantico 13, cc. 130r-134r

   Signor, che a reparar l’eterna vita
venisti in terra per la humana prole,
e il tuo divino, in noi mortal, s’ascose,
ascolta l’oration di mie parole
che pregan per la tua bontà infinita,5
la qual benignamente in noi si pose,
et per sua gran pietà sempre rispose
a chi chiama con fede,
e in essa spera et crede
che con quelle alte luci luminose,10
a me rivolti il tuo bel volto santo,
dolcie signore et Dio,
e aiuti il fallo mio,
ch’io bagno con le lacrime del pianto.
   Giesù pietoso, altissimo et eterno,15
refugio et scudo delle afflitte menti,
mostrane, priego, qualche chiara lampa
de’ dolcissimi tuoi splendori ardenti
che, se non pigli tu di me il governo,
l’ardor del mondo sì la carne avvampa,20
che tosto fia ogni divina stampa
toltagli dal maligno, ma tu, signor benigno,
poi che ne’ lacci suoi l’anima inciampa,
la santa mano a lei aiutrice porgi,25
e accendi in me quel zelo
pel qual si saglie al cielo,
mentre il vero camin ne mostri et scorgi.
   Signor, ch’a noi per la pietà tua immensa
con la morte volesti vita darne,30
onde nostre alme d’alte gratie adorni,
degnandoti vestir l’humana carne,
per levar l’ira in Dio da quella accensa,
io ti priego che in questi estremi giorni
a porgerne il tuo aiuto non soggiorni,35
perché tu solo ellett o pel seme benedett o
il pianto d’Eva in allegreza torni,
fammi, Signor, della tua gratia degno,
o senza fin giocondo,40
il quale hai sopra il mondo
un sempiterno et glorïoso regno.
   O eccelso signor di bontà pieno,
che per vera et altissima humiltate
salisti al cielo onde i miei preghi ascolti,45
tu il vero fonte sei d’ogni pietate;
sol di giustitia onde si fa sereno
il secol pien d’errori, oscuri et folti,
havendo i tuoi fedeli a te raccolti
et per tua gratia eletti,50
nel sangue benedetti,
che gli ha da’ lacci del peccato sciolti,
tu vedi come il mondo ogni hor mi preme
onde il tuo divin volto
priego non mi sia tolto55
perché conforta il cuor, ch’afflitto teme.
   Signor, che sol o al mondo senza esemplo,
per dar la vita a noi, morte patisti,
fatto pietoso delle humane doglie,
et le porte del ciel serrate apristi60
pel sacrificio del tuo vivo templo,
che i dur legami di Satan discioglie,
et a sé mirabilmente ci raccoglie,
poi che hai trïomphato,
del mondo et del peccato,65
riportando di loro eterne spoglie,
con l’alma et con la mente humili e inchine
ricorro a te, mia scorta, che la mia via ch’è torta
dirizar voglia a più sicuro fine.70
   Signor, se per pietà patir volesti,
et farti in questo periglioso mare
de l’alme fida scorta, guida et stella,
porgi il tuo aiuto, ché all’onde sue amare
senza esso converrà che morto resti; 75
risguarda in che terribile procella
io mi ritrovo, in questa parte e in quella
agitato, et ti priego,
peccatore e no ’l niego,
che tiri la smarita pecorella80
ne’ paschi tuoi, et quivi sia cibata,
e al divin padre vero,
sotto tuo santo impero,
vegga in eterno lieta ritornata.
   Io non mi parti’ mai dalla tua vista,85
per ir cercando il bene in altra parte,
che non sien poi, et con mio grave danno,
lacrime amare da me, lasso, sparte
ch’ogni altra cosa fuor di te m’attrista,
perché il mondo ne tesse qualche inganno,90
accrescendo miseria al mio affanno,
così tornar conviene
al pianto et alle pene,
che m’han condotto quasi all’ultimo anno,
però, signor, da questo mondo cieco95
la tua gran bontà pia liberi l’alma mia
e al padre etterno in ciel la tiri seco.
   Alto signor, se il volto tuo non pieghi
ver’ me a darmi spirito et baldanza,100
non sarà mai ch’al ciel rivolti gli occhi,
ch’a sì alto mirar non ho possanza,
però la gratia tua non mi si neghi,
ma fa’ che in modo la mia alma tocchi
che tutta del tuo amore arda et trabocchi,105
né volga altrove il cuore che a te, süo Signore,
avvilendo la turba degli sciocchi
che chi non ti conosce tien per savi,
deh, fa’ che sien costoro110
da me fuggiti, e i loro
mondani affetti, odiosi, iniqui et pravi.
   Signore, in cui ogni mai speme ho posta,
che possa et voglia al gran bisogno atarmi,
non mi lasciar in preda al gran nimico,115
poi ch’al mondo venisti per salvarmi,
soccorri l’alma, ché da te la scosta
l’impio avversario, che dal tempo antico
sempre cercò far misero et mendico
chiunche ti vuol servire, et lei farà morire120
che mai non fu di nostra vita amico;
o dolcie signor mio, fa’ che sia presto
il tuo celeste aiuto
percioché per perduto,125
senza esso, in periglioso mar mi resto.
   Non voler, santo Iddio, pel mio fallire
che il largo fonte di pietà si secchi,
ma la tua faccia sopra me riluca,
tal ch’io conosca i venenati stecchi130
che il mondo tesse per farmi morire
intorno a questa mia veste caduca,
ché l’alma teme al fin non la conduca
a qualche tristo porto,
onde, signor, in corto135
fa’ che il tuo lume entro di me riluca,
tal ch’io non segua con miserie tante,
accostato a te solo,
d’Iddio vero figliuolo,
questo misero mondo, cieco, errante.140
   L’hora s’appresa et non può esser lunge
ché il tempo vola et fugge,
e il gran nimico rugge,
e il cuore hor conscïentia, hor morte punge,
onde io ti priego, o signor mio verace,145
ver’huomo et Iddio certo,
che pel tuo santo merto,
accoglia l’alma a viver teco in pace.

⎯⎯⎯⎯⎯

Oratione [...] salvarla] Fannosi ardentissimi prieghi a Christo che voglia aiutarne alla salvatione, perché senza il suo aiuto siamo perduti et seco conseguiamo tutti i beni, et mostra che debbe fare questo poi che volle discendere a noi di cielo in terra et pigliare la carne humana per salvarla, A.
1 a reparar l’eterna] per salvar l’humana A
2 per la humana prole] qual celeste sole A
5 per la tua bontà] la bontà tua A
6 la qual benignamente] poscia che amando noi A
7 et per sua gran pietà] la qual invocho et che A
10 che con quelle alte luci luminose] avvilendo per lei l’humane cose A
11 a me] ch’a me A
12 dolcie signore et Dio] e aiuti il fallo mio A
13 e aiuti il fallo mio] dolcie Signore et Dio A
14 ch’io bagno con le lacrime del pianto] se misero io ho ben peccato tanto A
---
3 mortal] mortali F, A
---
24 poi che ne’ lacci suoi] mentre ne beni mondani A
25 a lei] tua A
26 quel] il tuo A
27 pel qual si saglie] che a te salga A
28 mentre il vero camin ne mostri et] et la via signor mio sempre mi A
29 ch’a noi per la pietà tua] che per la tua bontate A
30 con la morte volesti vita darne] venir volesti in terra per salvarne A
31 nostre alme d’alte gratie] la nostra vita allumi et A
32 degnandoti vestir l’humana] poi che vestir degnasti humana A
33 per levar l’ira in Dio da quella accensa] et cancellar la antiqua nostra oensa A
34 io ti priego che in questi] prego che in questi miei A
43 O eccelso signor di bontà] Signor d’ogni virtù et gratia A
46 il vero fonte sei] sei signor il fonte A
53 tu vedi come il mondo ogni hor mi preme] et liberato il misero human seme A
54 onde il tuo divin] volta in ver me il tuo
A
55 priego non mi sia] et non mi sia mai A
56 perché conforta il cuor, ch’alitto teme] vivere o signor mio con teco insieme A
80 tiri la smarita] tu aiuti questa
A
81 ne’ paschi tuoi, et quivi] che ne tuoi paschi sempre A
82 divin] tuo A
87 che non sien poi, et con mio] che dipoi con mio troppo A
88 lacrime amare da me, lasso] non sien da me molte lacrime A
90 il mondo ne tesse qualche] presto m’accorgo dello A
91 accrescendo miseria al mio affanno] ch’alla fine m’apparecchia grave danno A
---
58 dar] dare A, F
60 ciel] cielo A, F
82 divin] divino (lezione di F che rende il verso ipermetro).
---
96 la tua gran bontà pia] sia l’alma mia remossa A
97 liberi l’alma mia] accioché io star possa A
98 e al padre etterno in ciel la tiri seco] per sempre poi nella tua patria teco A
99 il volto tuo] gli occhi tuoi A
101 ch’al ciel] che a te A
108 avvilendo] et odiando A
110 deh, fa’ che sien] fa’ sempre che A
111 da me fuggiti, e] fugga et insieme A
112 mondani affetti] costumi a te A
114 atarmi] atarme A
116 poi ch’al mondo] poscia che tu A
116 salvarmi] salvarme A
117 l’alma, ché da te la scosta] il cuor che da te si discosta A
118 l’impio avversario, che] per l’impio che anchor A
121 lei farà] per farmi A
122 che mai non fu di nostra vita amico] m’ha troppo in odio l’aversar ch’io dico A
126 esso, in periglioso mar mi] di quello in gran miseria A
129 la tua faccia sopra me riluca] quello amore al mi’ aiuto ti induca A
---
110 deh, fa’ che sien] deh fa che sieno F
---
130 tal ch’io conosca i venenati stecchi] che già in terra di ciel ti fe venire (A viola lo schema rimico della canzone, si cfr. il anche il verso seguente).
131 che il mondo tesse per farmi morire] vedi del mondo i venenati stecchi
A
148 accoglia] accolga A
⎯⎯⎯⎯⎯

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1 Cesare Cantù, Gli eretici d’Italia. Discorsi storici, 3 voll., Torino, Unione tipograco-editrice, 1865-1866, vol II, p. 436. Alla nota 41 (pp. 446-447) Cantù chiosa «eppure solamente ieri, un di questi storici ciarlatani che or vanno per la maggiore, noverare il Bruccioli fra i martiri della buona causa, sol perché messo all’Indice».

2 Emilio Comba, I nostri protestanti, 2 voll., Torino, Claudiana, 1895-1897, vol. II, pp. 117, 123 e 126 rispettivamente. Il medaglione su Brucioli si trova alla pp. 115-150, anche se da p. 127 in poi il focus della ricostruzione riguarda l’edizione Brucioli della Bibbia e il confronto con le altre coeve edizioni del testo sacro.

3 Giorgio Spini, Bibliograa delle opere di Antonio Brucioli, «La Bibliolia», XLIII (1940), pp. 129-180; Giorgio Spini, Tra Rinascimento e Riforma. Antonio Brucioli, Firenze, La Nuova Italia, 1940.

4 Carlo Dionisotti, La testimonianza del Brucioli, in Id., Machiavellerie. Storia e fortuna di Machiavelli, Torino, Einaudi, 1980, pp. 192-226 (originariamente pubblicato nella «Rivista Storica Italiana», XCI (1979), pp. 26-51).

5 Antonio Brucioli, Dialogi, a cura di Aldo Landi, Napoli-Chicago, Prismi-Newberry Library, 1982.

6 Élise Boillet (a cura di), Antonio Brucioli. Humanisme et Évangélisme entre Réforme et Contre-Réforme, Paris, Champion, 2008. A questo volume, pur senza pretesa di completezza, vanno aggiunti perlomeno i seguenti contributi: Franco Pierno, Il modello linguistico decameroniano e il suo rapporto con il volgare nel pensiero di Antonio Brucioli, «Cahiers d’études italiennes», VIII (2008), pp. 99-114; Edoardo Barbieri, Tre schede per Antonio Brucioli e alcuni suoi libri, «Aevum», LXXIV (2000), pp. 709-719; Davide Dalmas, Antonio Brucioli editore e commentatore di Petrarca, Antonio Brucioli. Humanisme et Évangélisme, cit., pp. 131-145; id., Antonio Brucioli, in Mario Biagioni, Matteo Duni e Lucia Felici (a cura di), Fratelli d’Italia. Riformatori italiani nel Cinquecento, Torino, Claudiana, 2011, pp. 19-26.

7 Karl Benrath, Poesie religiose di Antonio Brucioli, «Rivista cristiana», VII (1879), pp. 3-10; Comba, op. cit., pp. 122 e 126, Spini, Tra Rinascimento e Riforma, cit., pp. 243-248.

8 In particolare, si veda Barbieri, Tre schede per Antonio Brucioli, cit.; Valentina Grohovaz, Girolamo Muzio e la sua «battaglia» contro Pier Paolo Vergerio, in Ugo Rozzo (a cura di), Pier Paolo Vergerio il Giovane, un polemista attraverso l’Europa del Cinquecento, Udine, Forum, 2000, pp. 179-206; Antonio Corsaro, Manuscript Collections of Spiritual Poetry in Sixteenth-Century Italy, in Abigail Brundin e Matthew Treherne (éd.), Forms of Faith in Sixteenth-Century Italy, Aldershot, Ashgate, 2009, pp. 33-56.

9 IMBI. Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, Forlì, Bordandini (poi Firenze, Olschki), 1890-, vol. XIII, p. 31.

10 Cfr. Giuseppe Mazzatinti, Inventario dei manoscritti italiani delle biblioteche di Francia, 3 voll., Roma, Bencini, 1886-1888, III, p. 129.

11 Le carte sono numerate [I] I-III, 1-438 [I], bianche le cc. 4r, 93v-94rv, 349rv; alcuni errori di numerazione: mancano i numeri 134 e 415 e non sono numerate le cc. successive a 8, 78, 83 e 347. Ciononostante, si utilizzerà la numerazione presente nel ms. per riferirsi alle carte.

12 I madrigali sono in eetti 209, e non 208 come sostenuto dai precedenti studiosi. È bensì vero che il testo che conclude il primo libro riporta la rubrica Hymno 208 (cc. 105v-106r), però ci sono due madrigali numerati 195 (Non guardar Giesù dolcie mio signore, c. 99v; Non mi lasciar Giesù benigno et pio, cc. 99v-100r).

13 A, cantico 2 (cc. 112r-114r); F, primo componimento del II libro (cc. 94r-96r).

14 A, cantico 12 (cc. 128r-130r); F, trentaseiesimo del IV libro (cc. 318r-320r).

15 A, cantico 10 (cc. 125r-126r); non attestato da F.

16 A, cantico 103 (cc. 280r-281r); F, penultimo testo del V libro (cc. 436v-437r).

17 A, cantico 6 (cc. 116v-117r), F quarto testo del II libro (cc. 98r-99r).

18 Grohovaz, op. cit., pp. 204-206.

19 Si tratta di una lettera di Tanner a Nidbruck, spedita da Venezia il 4 settembre 1555.

20 Sempre da Venezia, il 18 luglio 1555. Citazioni tratte da Vicktor Bibl, Nidbruck und Tanner. Ein Beitrag zur Entstehungsgeschichte der Magdeburger Centurien und zur Charakteristik König Maximilians II, «Archiv für österreichische Geschichte», LXXXV (1898), pp. 379-430, p. 416.

21 A, c. 2rv.

22 Il Nuovo Testamento di Giesu Christo, salvatore nostro, di greco tradotto in vulgare italiano. Per Antonio Brucioli, Venezia, Alessandro Brucioli e fratelli, 1547. Sull’impresa editoriale dei fratelli Brucioli, rimando a Edoardo Barbieri, La tipograa dei fratelli Brucioli, l’attività editoriale di Antonio e il Cabasilas di Gentien Hervet, in Antonio Brucioli. Humanisme et évangélisme, cit., pp. 53-76.

23 Questa deduzione è stata già formulata da Barbieri, cfr. Barbieri, Tre schede per Antonio Brucioli e alcuni suoi libri, cit., p. 717n.

24 A, c. 3r; corsivi miei.

25 Opera rimasta manoscritta: Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magl. XXX 19.

26 Citazione tratta da Benrath, op. cit., p. 3.

27 Notizia fornita da ibid., p. 4; cfr. Carteggio universale di Cosimo I de’ Medici. Archivio di Stato di Firenze. Inventario, Firenze, Regione Toscana, 1982-, vol. IV, p. 28.

28 Non ho preso di visione di persona di A, quindi mi è per il momento impossibile eettuare un analogo controllo sul Parigino.

29 Charles-Moïse Briquet, Les ligranes. Dictionnaire historique des marques du papier dès leur apparition vers 1282 jusqu’en 1600, 4 voll., Paris, Picard, 1907.

30 Le trascrizioni che seguono sono interpretative e non intervengo per sanare le ipometrie e ipermetrie presenti nei versi e che vengono semplicemente segnalate. Si è provveduto a distinguere «u» da «v», si sono unite e separate le parole secondo l’uso moderno (ma non quando ciò comportasse il raddoppiamento), mentre l’uso delle maiuscole, della punteggiatura e dei segni diacritici è stato ammodernato.

31 Si cf. Silvia Longhi, Lusus. Il capitolo burlesco nel Cinquecento, Padova, Antenore, 1983; Paolo Orvieto e Lucia Brestolini, La poesia comico-realistico. Dalle origini al Cinquecento, Roma, Carocci, 2000; Antonio Corsaro, La regola e la licenza. Studi sulla poesia satirica e burlesca fra Cinque e Seicento, Manziana, Vecchiarelli, 1999.

32 I salmi penitenziali sono volgarizzati in terzine dallo Pseudo-Dante (princeps 1471), da Girolamo Benivieni nel 1505, da Luigi Alamanni all’interno delle Opere toscane (Firenze, 1532). Sui salmi nella letteratura italiana del XVI secolo si veda Ester Pietrobon, La penna interprete della cetra. I salmi in volgare e la tradizione della poesia spirituale italiana nel cinquecento, tesi di dottorato XXVII ciclo, tutor Franco Tomasi, Università degli studi di Padova, 2015.

33 Cfr. De’ sacri Salmi di Davidde, dall’hebreo tradotti, poetica et religiosissima parafrase, pel signor Giulio Cesare Paschali, Geneve, Jacob Stoer, 1592 e il relativo saggio di Ester Pietrobon, La parafrasi dei «Salmi» di Giulio Cesare Pascali tra impegno apostolico e reinvenzione stilistica, «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa», L (2014), pp. 285-314.

34 I criteri di trascrizione sono i medesimi già impiegati sopra in relazione ai componimenti, le rare integrazioni testuali sono inserite tra parentesi quadre.

35 In F si legge «i loro lascivi canti».

36 F, c. 3rv; corsivi miei.

37 Sulla politica religiosa di Cosimo e sulle travagliate vicende della cultura religiosa toscana nel pieno Cinquecento la bibliograa è molto vasta. Si vedano gli studi di Firpo (tra gli altri, Gli areschi di Pontormo a San Lorenzo. Eresia, politica e cultura nella Firenze di Cosimo I, Torino, Einaudi, 1997 e I processi inquisitoriali di Pietro Carnesecchi (1557-1567), a cura di Massimo Firpo, Dario Marcatto, Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 2000), Chiara Lastraioli, Utopies célestes et terrestre dans la production d’Antonio Brucioli, «Morus. Utopia e Renascimento», VIII (2012), pp. 233-245 e Marco Cavarzere, Cosimo I, pater ecclesiae, tra eresia, riforma religiosa e ragion di Stato, Annali di Storia di Firenze», IX (2014), pp. 77-86. L’ultimo saggio insiste molto sulla componente politica dell’azione di riforma religiosa di Cosimo; ad es.: «Anche la “reformatione del clero” e il sostegno che Cosimo assicurò a molti esponenti della variegata eterodossia italiana vanno interpretati in un senso tutto politico, che tenga conto, da un lato, dell’alleanza costituitasi tra Stato mediceo e Papato tra Quattro e Cinquecento e, dall’altro lato, degli interessi dinastici dei Medici, ormai, in pieno XVI secolo, schierati dalla parte dell’Impero» (ibid., p. 78).

38 In attesa del volume delle opere di Cinuzzi, che è preparazione, rimando a Matteo Fadini, L’inquietudine in versi. Le opere di Marcantonio Cinuzzi e la letteratura religiosa eterodossa, tesi di dottorato (XXVI ciclo), Università di Trento, tutor Andrea Comboni, a.a. 2012-2013.

39 Celio Secondo Curione, Quatro lettere Christiane, con uno paradosso, sopra quel detto Beati quegli che piangono et un Sermone, o ver discorso de l’orazione, et uno de la Giusticatione, novamente posti in luce a consolazione e confermazione de le pie persone e de la verita amatrici, Bologna, Pietro e Paulo Perusini [ma: Basilea, Johannes Oporin], 1552. L’accostamento della poesia religiosa di Brucioli a quella di Curione è al centro del contributo di Davide Dalmas, Letture e riscritture «riformate» della canzone alla Vergine di Petrarca nel Cinquecento, in Véronique Ferrer et Rosanna Gorris Camos (dir.), Les Muses sacrées. Poésie et Théâtre de la Réforme entre France et Italie, Genève, Droz, 2016, pp. 203-221.

40 Grohovaz, op. cit., pp. 204-206.

41 Arturo Pascal, Una breve polemica fra il Riformatore Celso Martinengo e fra’ Angelo Castiglione da Genova, «Bulletin de la Société d’Histoire Vaudoise», XXXV (1915), pp. 77-89, p. 83.

42 Davide Dalmas, Letture e riscritture «riformate» della canzone alla Vergine di Petrarca nel Cinquecento, cit.

43 In alcuni casi la ripresa lessicale petrarchesca non avviene tra versi corrispondenti, ma anche ad una certa distanza.