Revue Italique

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La «nobile e pregiata parte». Appunti sul primo salterio ginevrino in lingua italiana, i XX Salmi di David (1554)

Franco Pierno

Giovanni Scarola

Questo contributo approfondisce alcuni punti già trattati in una monograa (d’imminente pubblicazione presso le Edizioni di Storia e Letteratura) dedicata al rapporto tra lingua italiana ed esilio religionis causa nel Cinquecento; esso rientra nell’ambito del progetto di ricerca (da me ideato e diretto): «Un chapitre méconnu de la littérature de la Réforme en langue italienne: la production des immigrés italiens dans la Genève calviniste (1542-1607)», nanziato dal Social Sciences and Humanities Research Council of Canada (Standard Research Grant, 2010-2015; dossier n. 410-2010-1225). Parte di questa ricerca è stata resa possibile anche grazie a una borsa della Fondation Maison des Sciences de l’Homme di Parigi (estate 2017). I miei più sinceri ringraziamenti a Giovanni Scarola, già dottorando presso il dipartimento d’italianistica dell’Università di Toronto, che ha collaborato a questa ricerca, occupandosi nello specico della trascrizione dei XX Salmi e del rilevamento di diversi fenomeni stilistici e linguistici. Vorrei anche ringraziare Damiano Acciarino per l’accurata lettura di una prima versione di questo contributo.

Nel 1554, presso l’editore Jean Crespin1, era uscito il primo salterio a stampa destinato alla comunità italiana di Ginevra, i XX Salmi di David,2 realizzato seguendo letteralmente (inclusa la partitura musicale per accompagnare il canto)3 il precedente francese a cura di Marot e Beza (pubblicato sempre da Crespin qualche anno prima, nel 1551,4 e più consistente quanto al numero di salmi, ottantatré).

Il Salterio era uno dei testi più frequentati della liturgia comunitaria ginevrina5 e la sua traduzione in lingua francese aveva costituito l’applicazione più emblematica del pensiero stilistico di Calvino; accorgendosi degli eetti edicanti del canto dei salmi in forma di preghiera pubblica, n dagli anni del soggiorno strasburghese6 il riformatore si era messo al lavoro per produrne egli stesso una versione.7 La diicoltà dell’impresa lo aveva costretto a rivolgersi a letterati più sperimentati: dapprima Clément Marot, il quale si sarebbe però rivelato incompatibile col progetto calvinista.8 Dopo qualche tentativo condotto con altri traduttori (Guéroult, Louis Budé), Calvino aveva deciso di aidarsi al suo più fedele collaboratore (e, nel 1564, successore), Teodoro di Beza.9 Come ha ben riassunto Mario Richter, erano gli anni in cui se a Parigi

Ronsard e Du Bellay con il gruppo della Pléiade si facevano interpreti del prestigioso petrarchismo proveniente dalle corti italiane, a Ginevra le severe direttive di Calvino si esprimevano concretamente con una tragicommedia biblica come l’Abraham sacriant (1549), di Bèze, e soprattutto, dello stesso, appunto con la traduzione dei Salmi.10

La realizzazione del Salterio in francese, da una parte, forniva una risposta poetica alle tendenze paganeggianti e umaniste di una lirica ne a se stessa, nutrita da temi amorosi e profani; dall’altra, invece, rappresentava un’opportunità liturgica da orire alla comunità in preghiera, in particolar modo quella di Ginevra. Dalla ne degli anni Trenta, del resto, le edizioni ginevrine dei Salmi, sulla scia della promozione di Calvino, si moltiplicavano, coinvolgendo, come già ricordato, il talento letterario di poeti di prestigio.

Anche per la chiesa italiana di Ginevra, in genere fedele alle direttive politico-religiose calviniste (dalle quali mutuava, spesso traducendola, tutta la produzione trattatistica, biblica e devozionale), veniva dunque realizzato un Salterio che ricalcava perfettamente la struttura del modello francese.11

Poco o nulla si sa del traduttore (e dell’autore del sonetto proemiale, di cui ci si occuperà più sotto). Secondo Eugénie Droz potrebbe essere Massimiliano Celso Martinengo, bresciano, ministro della chiesa italiana dal 1552 al 1557,12 ma tale ipotesi non è confortata da prove documentarie.13 Come vedremo più avanti, la messa in evidenza di alcune caratteristiche linguistiche orirà qualche elemento per una nuova attribuzione autoriale.

Occuparsi dei XX Salmi di David permette non solo il recupero testuale di un’operetta pionieristica nel suo ambito (e, malgrado ciò, trascurata dalla critica specialistica a vantaggio di altri salteri cinquecenteschi di appartenenza protestante),14 ma, attraverso una veloce disamina linguistica e metalinguistica, anche la messa in luce di atteggiamenti ambivalenti nel rapporto esistente tra l’adesione al calvinismo e la condotta retorico-stilistica, quest’ultima d’importanza vitale in un sistema religioso sostanzialmente basato sulla diusione della parola scritta e stampata. In un’ideale Repubblica di Santi, alternativa alla Roma empia e dispotica dei papi, la chiesa calvinista locale applicava un severo codice morale, regolamentando tutti gli aspetti della vita sociale e religiosa, inclusi quelli riguardanti l’attività tipograca.15 Dal 1554, dopo la caduta del partito perrinista,16 il riformatore veniva regolarmente consultato sull’opportunità o meno di una pubblicazione, assumendo progressivamente un controllo quasi assoluto dell’editoria.17 In un periodo di rivoluzioni spirituali, in cui persino le tendenze letterarie erano facilmente sovrapponibili a ideologie morali e religiose, era necessario che anche la potenzialità della parola scritta fosse imbrigliata e assoggettata a direttive precise. Pur senza aver steso un trattato organico Calvino descrisse, in diversi luoghi della sua opera, un paradigma retorico-stilistico all’insegna dell’equilibrio e della medietas, in cui la Sacra Scrittura costituiva il riferimento principale grazie alla sua «simplicité rude, et quasi agreste»18 e, come si è detto in precedenza, forniva un modello di cui probabilmente nemmeno la comunità italiana non poteva non tener conto.

A quest’ultimo proposito, proprio il salterio in italiano sembra presentare un’immediata dichiarazione metalinguistica in perfetta sintonia con queste tendenze; dopo il testo introduttivo di Calvino (traduzione diquello inserito nell’originale francese) e prima dei Salmi (f. [A 8v]) si trova infatti un sonetto dedicato a coloro che «mal impiegano la propria lingua»:19

    O voi, che così nobile e pregiata
parte tra l’altre (quella che ’l Signore
per rendere a lui sol gloria e honore
ha propriamente in noi posta e creata)
quasi mai sempre per addietro usata
in suo dispregio havete e disonore,
seguendo il grave e reo comune errore
de la gente ver lui sì iniqua e ingrata.
Tempo sarebbe homai di rivoltarla
dritto al suo vero e glorioso
ne
lasciando il vecchio empio costume rio,
sì che quanto ella proferisce e parla
da hor innanzi lode alte e divine
risuoni al sommo nostro eterno Dio.

Sebbene i riferimenti siano abbastanza vaghi, e malgrado i chiari richiami al sonetto proemiale del canzoniere petrarchesco, non è azzardato parlare di una presa di posizione verso la letteratura profana in volgare,20 tenuto conto, oltre che della soggiacente visione calvinista della poesia, anche del rapporto più diretto del componimento con alcune parti dell’epistola in versi indirizzata da Teodoro di Beza «à l’Eglise de notre Seigneur», uscita nell’edizione dei Pseaumes Octantetrois de David sopra ricordata, ed esplicitamente polemica nei confronti delle mondane «feintes poésies».21 Questi versi, tuttavia, presentano soprattutto la traccia del clima antiretorico che si viveva nella comunità italiana ginevrina, un riesso delle opinioni derivate dall’establishment locale che avevo messo in luce in un contributo di alcuni fa, dedicato alle dichiarazioni metalinguistiche presenti in frontespizi, dedicatorie e introduzioni di testi italiani pubblicati a Ginevra tra il 1555 e il 1567, durante gli anni più intensi del controllo censorio calvinista.22

Come si è visto sopra, i XX Salmi, almeno nelle intenzioni esibite nel sonetto proemiale, rappresentavano l’ennesimo baluardo contro le elaboratezze retoriche di stampo pseudo-bembista. Del resto, il modello di partenza esibiva un francese spoglio di artici retorici, ossequioso verso il sermo humilis esaltato dall’estetica calvinista.23

Una lettura sinottica, tuttavia, mostra che la dipendenza è tutt’altro che pedissequa e che la versione italiana preferiva aderire al più sfrontato petrarchismo. Si prendano tre salmi a caso: I, LI (tradotti in francese da Marot) e LXXIII (tradotto da Beza):24

Ps i Beauts vir qui non abijt

Pseaumes Octantetrois, 1551, CrespinXX Salmi, 1554, Crespin
Qui au conseil des malins n’a esté, O beato colui che’l suo pensiero
Qui n’est au trac des pecheurs arresté,Al consiglio de gli empii non conforma,
Qui des moqueurs au banc place n’a prise: E col suo piè nel rio torto sentiero
Mais nuict et iour la Loy contemple et prise D’homini erranti mai non stampa un’orma,
De l’Eternel, et en est desireux: Né tra i maligni sprezzator del vero
Certainement cestuya est heureux.Siede, ma de la sacra eterna norma
Et si sera semblavle à l’arbrisseauDel Signor si diletta e notte e giorno
Planté au long d’un clair-courant ruisseau, Vi sta con l’alma a contemplarla intorno.
Et qui son fruict en sa saison apporte, E fia qual nobil pianta in su la sponda
Duquel aussi la feuille ne chet morte:Posta d’un chiaro rio, che fresca e viva
Si qu’ung tel homme, et tout ce qu’il fera,Sempre mantiensi, e al suo tempo abbonda
Tousjours heureux et prospere sera.Di dolci frutti e mai non resta priva
Pur d’una foglia e fertile e feconda.
Ciò che produce a perfettione arriva
Non così gli empij già, ma come leve
Paglia ch’un picciol soffio alzi e solleve.

Ps li Miserere mei Deus secundum

Pseaumes Octantretrois, 1551, CrespinXX Salmi, 1554, Crespin
Misericorde au povre vicieus,Habbi di me pietade,
Dieu tout puissant, selon ta grand’clemence,Signor, per tua bontate
Use à ce coup de ta bonté immense,E secondo la grande
Pour effacer mon faict pernicieux.Misericordia tua cancella e rade
Le mie transgressïoni empie e nefande.
Lave moy, Sire, et relave bien fort Lavami bene, ond’io
De ma commise iniquité mauvaise,Da così iniquo e rio
Et du pehé qui m’a rendu si ord,Fallo purgato e mondo
Me nettoyer d’eau de grace te plaise.Del tutto resti e ben netto dal mio
Peccato, ond’hor’ i’ son cotanto immondo.

Ps lxxiii Quam bonus Israel Deus

Pseaumes Octantetrois, 1551 CrespinXX Salmi, 1554 Crespin
Si est-ce que Dieu est tresdous Quanto benigno e pio
A son Israel, voir à tousVerso Israel suo popolo diletto
Qui gardent en toute droiture È ’l Signor nostro Dio
Leur conscience entiere et pure A quei che son di cor purgato e netto.
Mais i’ay esté tout prest à voir Et io stolto, ché poco
Mes pieds le bon chemin laisser,Quasi mancò ch’i miei piedi non torsi
Et mes pas tellement glisserE’n periglioso loco,
Que me suis veu tout prest de choir.Quasi che co’ miei passi i’ non trascorsi.

A fronte della semplicità metrica delle versioni francesi (ritmate in genere da décasyllabe e septénaire, spesso in rima baciata), l’ignoto autore in volgare sperimenta in tutti i modi la compagine endecasillabo settenario (con una sola incursione, qui non esemplata, nel quinario):25 l’ottava di endecasillabi ABABABCC (Salmo I); strofe di 5 versi a coppie, ciascuna di 3 settenari più 2 endecasillabi, aabBA ccdDC (Salmo LI); coppie di quartine, di settenari e endecasillabi alternati aBaB cDcD (Salmo LXXIII).

Nei XX Salmi è evidente un’esuberanza lessicale tendente a evitare l’isolamento di sostantivi (che nel francese di Marot è segno distintivo di nitidezza poetica) con accumulazioni aggettivali (per es., il trac nella prima stanza di Marot diventa un rio torto sentiero; la loy diviene una sacra eterna norma; nella seconda stanza l’arbrisseau è pianta non solo nobil, ma anche fresca e viva, mentre la feuille è una foglia e fertile e feconda; e ancora: empie e nefande, iniquo e rio, purgato e mondo, benigno e pio, purgato e netto); diverse anche le endiadi verbali: alzi e solleve, cancella e rade, etc. Altra evidenza sono alcuni inserti petrarcheschi, come le parole rimanti orma:norma (con inversione dei termini rispetto a Rvf 73, 56-58), il sintagma nobil pianta (cfr. Rvf 337, 10); appartenente alla grammatica lirica cinquecentesca e petrarcheggiante è poi l’utilizzo di forme verbali come leve e il futuro a,26 degli aggettivi picciol e periglioso, di alma, di rio (tanto come aggettivo quanto come sostantivo, in una combinazione pseudo-petrarchesca: chiaro rio), di piè, di cotanto; si noti anche la posizione enclitica del pronome atono in mantiensi.

Insomma, un aastellato codice poetico che, accompagnandosi inevitabilmente a un repertorio lessicale di sapore religioso-biblico (nefando, iniquo, purgato, netto, etc.), presentava un risultato d’ibrida goag gine. In modo abbastanza stridente le dichiarazioni di purezza e semplicità linguistica non trovavano dunque corrispondenza nel testo vero e proprio. Questo contrasto sembra essere ammesso in seguito; infatti, nell’edizione ampliata del Salterio italiano, pubblicata da Giovanni Battista Pinerolio27 nel 1560,28 esiste un secondo sonetto proemiale (aggiunto – con stesso schema metrico, ma con diverse rime, senza soluzione di continuità – a quello già citato e pubblicato nel 1554) dove, nelle terzine nali, aiora da parte dell’autore il bisogno di difendere il proprio operato poetico (adeguato al «linguaggio nostro») contro le probabili attese dei sostenitori dell’estetica calvinista:

    Voi ben vedete in quanti modi e quanti
egli a ciò vi chiama e invita ogni hora,
poi che non passa un sol momento d’hora
che de suoi bene
tii ei non v’ammanti.
Però non siate ingrati a lui di tanti
favor, ma voi laudatenelo ancora
come ’l buon Re che Palestina honora
facea co’ sacri suoi divini canti.
Parte de quai, non già con quel sì adorno
stil, com’in ver si converria tradotti
si son qui in rime del linguaggio nostro.
Se cantarli v’aggrada,
n ch’un giorno
in miglior forma alcun gli habbia ridotti
altra penna adoprando e altro inchiostro.

Tuttavia, sotto la scorza scontatamente petrarchista, nei XX Salmi emergono elementi linguistici che suggeriscono una provenienza non strettamente orentina, ma, piuttosto se non vado errato, velatamente senese:

innanzitutto, da un punto di vista fono-morfologico, si noti la presenza di futuri e condizionali in -ar-: Salmo 2, stanza 4,1: raccontarò; stanza 5,1: regnarai; Salmo 5, stanza 5,8: tornaranno; Salmo 7, stanza 5,5: speraranno; Salmo 32, stanza 8,4: consigliarotti; Salmo 37, stanza 1,8: seccaranno; stanza 6,3: dilettaranno; stanza 8,2: passarà; stanza 15,3: habitaranno; stanza 17,6: inalzaratti; Salmo 13, stanza 7,4: insegnarò; stanza 8,5: mandarà; Salmo 51, stanza 1,8: condarò; stanza 4,6: riguardarai; Salmo 107, stanza 11,8: raccontaran.

Poi, il risultato esc- < EX-: Salmo 8, stanza 9,4: escellente; Salmo 32, stanza 1,2: escessi; Salmo 51, stanza 2,2: escesso; Salmo 96, stanza 2,4: escellente; stanza 3,5: escellenza; Salmo 107, stanza 11,7: escellenti; Salmo 113, stanza 2,5: escede.

A questo proposito, eventuali tracce senesi erano ampiamente emerse in occasione di un’ipotesi autoriale che ho emesso in un’altra sede,29 ossia quella secondo la quale l’autore del Nuovo Testamento pubblicato a Ginevra nel 1555 (ancora dall’editore Jean Crespin)30 fosse Lattanzio Ragnoni.31 Ragnoni, di Siena, già molto attivo negli ambienti riformati in patria, arrivò a Ginevra nel 1551 con Galeazzo Caracciolo. Qui si distinse immediatamente come uno dei protagonisti della riorganizza zione della comunità italiana, in stato di abbandono dopo il ministero di Ochino (1542-1545); convinto calvinista, divenne uno stimato anziano della sua chiesa coronando la propria carriera colla nomina a pastore nel 1557,32 ruolo in cui si mostrò «più severo» del suo predecessore Martinengo.33 Il frontespizio di questo volgarizzamento era, tra l’altro, un chiaro manifesto anti-letterario/anti-toscanista come, tutto sommato, il sonetto proemiale dei XX Salmi:

Nuova traduzione dal testo greco in lingua volgare italiana diligentemente conferita con molte altre traduttioni, e volgari, e latine e insieme pura e semplicemente tessuta con quella maggior chiarezza e facilità di parlare ch’era possibile, fuggendo sempre (quanto però la qualità di tale scrittura e la natura de le cose che vi si contengono poteva comportare) ogni durezza e oscurità e, sopra tutto, ogni vana e indegna aettatione d’importuni e mal convenienti toscanismi.

Questo Nuovo Testamento veniva a compensare una situazione, in termini di traduzioni bibliche italiane, abbastanza carente, almeno dal punto di vista degli esiliati ginevrini: le edizioni di Antonio Brucioli34 erano ormai inadatte e invecchiate, mentre quella del monaco Massimo Teolo35 risultava troppo orentinizzante, inaccettabile da chi aveva aderito ai principi estetico-religiosi calvinisti.36

Ora, non si può escludere che Ragnoni (forse in collaborazione col suo predecessore Martinengo) avesse pensato a riorganizzare la vita religiosa e spirituale della Chiesa italiana a Ginevra fornendo strumenti per la lettura dei testi sacri e per la preghiera in comune.37 Non è poi trascurabile che entrambe le opere fossero state pubblicate da Crespin, con cui Ragnoni (alla stregua di altri membri illustri della comunità italiana) intratteneva rapporti privilegiati.38 Il primo salterio per la comunità italiana di Ginevra, dunque, sarebbe nato all’insegna di un compromesso abbastanza forzato tra le esigenze liturgiche di stampo calvinista (con il dovuto rispetto alle vigenti concezioni estetico-retoriche) e le muse toscaneggianti che, in un clima di dominante petrarchismo bembiano e/o pseudo-bembiano, non mancavano di far sentire tutta la loro inuenza.

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1 Per l’attività di Jean Crespin si può consultare la seguente monograa: Jean-François Gilmont, Jean Crespin. Un éditeur réformé du XVIe siècle, Genève, Droz, 1981.

2 XX Salmi di David, Tradotti in rime volgari Italiane, secondo la verità del testo Hebreo, con cantico di Simeone, e i dieci Comandamenti de la Legge: ogni cosa insieme col canto, [Ginevra], Jean Crespin, 1554.

3 In realtà, le melodie sono talvolta diverse (non hanno nessun punto in comune) e, talora, anche nel caso siano identiche, possono presentare leggere dierenze, a causa del numero di sillabe che le due versioni comportano. Ringrazio Daniel Saulnier, musicologo rinascimentalista del Centre d’Études Supérieures de la Renaissance dell’Università di Tours per aver cortesemente esaminato e confrontato le partizioni musicali dei due Salteri e avermi fornito delle esaurienti spiegazioni.

4 Pseaumes Octantetrois de David, mis en rime françoise par Clément Marot et Théodore de Bèze, Genève, Jean Crespin, 1551, con La Forme des Prières Ecclésiastiques et Catéchisme par Jean Calvin, Genève, 1552. Il Salterio si può consultare grazie a una ristampa anastatica (New Brunswick-New Jersey, Friends of the Rutgers University Libraries, 1973). Della fonte francese la versione italiana riprende innanzitutto la macrostruttura del volume, traducendo tutti i testi che precedono e seguono il Salterio (inclusa la celebre introduzione di Calvino), ma anche la microstruttura di presentazione dei Salmi, fatta di titolo, sommario, partizione musicale. Da non sottovalutare, inoltre, che l’edizione in francese in questione proviene dai torchi della stessa tipograa dei XX Salmi, lasciando presupporre un’operazione economica da parte dello stampatore e del suo presumibile entou rage collaborativo. Nel 1551, sempre dalla tipograa di Crespin era uscito anche il Salterio francese di Louis Budé (Les Pseaumes de David traduicts selon la verité hebraïque, avec annotations tres utiles, par Loys Budé. Preface, touchant l’utilité des pseaumes, et de la translation presente), ma quest’ultimo non sembrerebbe aver giocato un ruolo nella redazione della versione italiana. Sugli inizi dei Salteri francesi a stampa a Ginevra si veda Pierre Pidoux, Les origines de l’impression de musique à Genève, in Jean-Daniel Candeaux e Bernard Lescaze (éd.) Cinq siècles d’imprimerie genevoise. Actes du Colloque International sur l’histoire de l’imprimerie et du livre à Genève, 27-30 avril 1978, Genève, Société d’histoire et archéologie, 1980, pp. 97-108.

5 Insieme alla Forme des prières ecclésiastiques, manuale di preghiera spesso (soprattutto dal 1542 in poi) editorialmente «fuso» alle traduzioni dei Salteri, per facilitare il culto settimanale, cfr. Christian Grosse, Les rituels de la Cène. Le culte eucharistique réformé à Genève (XVIe-XVIIe siècles), Genève, Droz, 2008, pp. 161-179.

6 Calvino svolse il ministero di pastore a Strasburgo per la locale comunità francofona dal 1538 al 1541.

7 Su Calvino poeta con interessi per la traduzione dei Salmi, cfr. Philippe François, Calvin poète: le psautier de Strasbourg de 1539, in Matthieu Arnold (éd.) Jean Calvin: les années strasbourgeoises (1538-1541), Strasbourg, Presses Universitaires de Strasbourg, 2010, pp. 53-65.

8 Cfr. Mario Richter, Calvino e la poesia francese nel Cinquecento, in Pietro Bolognesi e Achille Olivieri (a cura di). Calvino ieri e oggi in Italia, Roma, Aracne, 2010, pp. 43-53.

9 Per l’attività di Beza come traduttore di Salmi, ma anche come giovane autore di poesia «profana», cfr. Alain Dufour, Théodore de Bèze: poète et théologien, Genève, Droz, 2006 (soprattutto le pp. 23-28); cfr. anche l’introduzione alla ristampa anastatica dei Pseaumes Octantetrois de David, cit., p. 6.

10 Cfr. Richter, Calvino e la poesia francese nel Cinquecento, cit., p. 46.

11 Del resto, le comunità straniere presenti a Ginevra dovevano dar prova della loro adesione al culto calvinista anche adottandone le pratiche liturgiche, cfr. Grosse, Les rituels de la Cène, cit., pp. 477-480.

12 Per Massimiliano Celso Martinengo si vedano la voce compilata da Laura Ronchi De Michelis, Martinengo, Celso (Massimiliano), in DBI, vol. 71, 2008, pp. 142-145, nonché il saggio di Roberto Andrea Lorenzi, Per un prolo di Massimiliano Celso Martinengo, riformatore, in id. (a cura di). Riformatori bresciani del ’500, id. San Zeno Naviglio, Grafo, 2006, pp. 105-168.

13 Cfr. Eugénie Droz, Chemins de l’hérésie. Textes et documents, Genève, Slatkine, t. 1, 1970, pp. 164-165; attribuzione confermata anche da Ronchi De Michelis, Martinengo, Celso (Massimiliano), cit., p. 145. Gilmont scrive che «le fait n’est pas prouvé» (Jean-François Gilmont, Bibliographie des éditions de Jean Crespin (1550-1572), Gason, Verviers, 1981, p. 42). Dei XX Salmi non parla Lorenzi, Per un prolo di Massimiliano Celso Martinengo, riformatore, cit.

14 Nessun cenno (in modo volontario e dichiarato) nel recente studio di Patrizia Bertini Malgarini Ugo Vignuzzi, «Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi»: traduzioni e parafrasi dei salmi in età moderna. Prime anticipazioni, in Rita Librandi (a cura di), Lingue e testi delle riforme cattoliche in Europa e nelle Americhe (secc. XVI-XXI). Atti del Convegno internazionale (Università di Napoli «L’Orientale», 4-6 novembre 2010), Firenze, Franco Cesati, 2012, pp. 251-264. L’attenzione critica sulle rese liriche del Salterio in lingua italiana e in terra ginevrina si è sostanzialmente concentrata su quello che può essere considerato il massimo poeta della Riforma italiana, Giulio Cesare Pascali. Pascali, già traduttore dell’Institutio christiana di Calvino (Bourgeois, 1577), aveva poi pubblicato i De’ sacri Salmi di Davidde (Stoer, 1592); basti citare gli studi di Pietrobon che hanno fatto luce sul lavoro stilistico di Pascali (e le necessità apostoliche a esso connesse): E. Pietrobon, La parafrasi dei «Salmi» di Giulio Cesare Pascali tra impegno apostolico e reinvezione stilistica, «Rivista di storia e letteratura religiosa», 50 (2014), pp. 285-314; Id., «Come unita in un sol corpo»: la sezione lirica del Salterio di Giulio Cesare Pascali, «Filologia e critica», 40 (2015), pp. 317-345. Su Pascali si possono consultare anche studi più datati: Arturo Pascal, La colonia messinese di Ginevra e il suo poeta Giulio Cesare Pascali, «Bollettino Società Studi Valdesi», 62-66 (1934-1936), nr. 62, pp. 118-134; nr. 63, pp. 36-64; nr. 64, pp. 7-35; nr. 65, pp. 38-73; nr. 66, pp. 21-54; Mario Richter, Giulio Cesare Paschali. Attività e problemi di un poeta italiano nella Ginevra di Calvino e di Beza, «Rivista di storia e letteratura religiosa», 1 (1965), pp. 228-257.

15 Un buon riassunto della parabola teocratica calvinista a Ginevra, con relativa bibliograa critica, si trova in Lucia Felici, La Riforma protestante nell’Europa del Cinquecento, Roma, Carocci, 2016, pp. 82-110.

16 Ossia i sostenitori di Ami Perrin (morto nel 1561), strenuo oppositore di Calvino e gura di spicco del libertinismo ginevrino.

17 «À partir de 1550, l’imprimerie genevoise prend plus d’ampleur et le contrôle du Conseil s’amplifie. Il se fait dans un climat partagé. Le clan hostile à Calvin, toujours présent au Conseil, s’efforce de limiter l’influence de Calvin [...]. Après l’écrasement du parti perriniste [verso il 1554], Calvin est très régulièrement consulté sur l’opportunité d’une publication» (Jean-François Gilmont, Jean Calvin et le livre imprimé, Genève, Droz, 1997, p. 327); una vera «lobby», quella che Calvino e i suoi sostenitori avevano formato nei confronti della produzione editoriale, cooptando editori amici e rendendo la vita diicile ai «non allineati»: cfr. Ingeborg Jostock, La censure négociée. Le contrôle du livre à Genève. 1560-1625, Genève, Droz, 2007, pp. 67-73. Non a caso, del resto, Pier Paolo Vergerio, dopo l’estate 1550, si tenne lontano dalle tipograe ginevrine (se non per le traduzioni francesi di alcuni suoi libelli), temendo i controlli delle autorità e di Calvino (cfr. Silvano Cavazza, Pier Paolo Vergerio nei Grigioni e in Valtellina (1549-1553), in Alessandro Pastore (a cura di), Riforma e società nei Grigioni. Valtellina e Valchiavenna tra ’500 e ’600, Milano, Franco Angeli, 1991, pp. 33-62, p. 39 e n.).

18 Cfr. Jean Calvin, Institution de la religion chrétienne, a cura di Olivier Millet, Genève, Droz, 2008, t. I, p. 223.

19 La trascrizione dei testi in volgare presenti in questo articolo segue criteri sostanzialmente conservativi; tuttavia si sono modernizzati la punteggiatura e gli accenti.

20 La scelta di allontanarsi dalla poesia amorosa e di avvicinarsi a una poesia religiosa si ritrova anche in certi componimenti di Giovanni Andrea Ugoni, diverse rime del quale furono inserite in un canzoniere di poeti bresciani, curato da Girolamo Ruscelli e pubblicato nel 1554 (Rime di diversi eccellenti autori bresciani, nuovamente raccolte et mandate in luce da Girolamo Ruscelli, Venezia, per Plinio Pietrasanta, 1554), una delle varie antologie liriche volgari in cui emergevano temi religiosi d’inuenza riformata (cfr. Massimo Firpo, «Disputar di cose pertinente alla fede». Studi sulla vita religiosa nel Cinquecento italiano, Milano, Unicopli, 2003, p. 132).

21 «Mais pour ce faire premierement / que reformiez vos coeurs entierement, / vos plumes lors d’un bon esprit poussées / descouvriront vos divines pensées [...]. / Sinon chantez vos feintes poésies, / dames, amours, complaintes, ialousies./ Quant est de moy, tout petit que je suis, / je veux louer mon Dieu comme je puis» (cfr. Pseaumes Octantetrois de David, cit., p. 6, dalla dedicatoria poetica Theodore de Besze à l’Eglise de notre Seigneur).

22 Franco Pierno, Una retrodatazione di «toscanismo» e appunti su una «questione della lingua» nella Ginevra di Calvino, «Lingua nostra», 65 (2004), pp. 6-15.

23 Per la poetica delle traduzioni salmiche di Marot si può consultare uno degli studi più recenti e completi: Catherine Reuben, La traduction des Psaumes de David par Clément Marot. Aspects poétiques et théologiques, Paris, Champion, 2000; sempre utile il capitolo 3 (Clément Marot) del lavoro di Michel Jeanneret, Poésie et tradition biblique au XVIe siècle. Recherches stylistiques sur les paraphrases des psaumes de Marat à Malherbe, Paris, Librairie José Corti, 1969, pp. 51-87.

24 Ho confrontato la versione dei Salmi di Marot (trascritta seguendo l’edizione Crespin) con l’edizione critica fornita da Gérard Defaux di cui, del resto, seguo i criteri di trascrizione (Clément Marot, Cinquante pseaumes de David mis en françois selon la vérité hébraïque, a cura di Gérard Defaux, Paris, Champion, 1995, pp. 101-102, 143); per quanto riguarda Beza, mi sono attenuto a criteri estremamente conservativi intervenendo solo sulla punteggiatura.

25 Nel Salmo XV (Domine quis habitabit).

26 Cfr. Luca Serianni, La lingua poetica italiana. Grammatica e testi, Roma, Carocci, 2009, pp. 60-61, 298.

27 Giovan Battista Pinerolio era torinese d’origine, con relazioni privilegiate presso i fautori della propaganda calvinista (cfr. Enea Balmas, L’activité des imprimeurs italiens réfugiés à Genève, in Cinq siècles d’imprimerie genevoise, cit., pp. 109-131). Il Formulario era la sua seconda pubblicazione, dopo una versione francese del Julius exclusus e cœlis stampata nel 1556 (cfr. Ugo Rozzo, Editori e tipogra italiani, in La stampa italiana nel Cinquecento. Atti del convegno. Roma, 17-22 marzo, Roma, Bulzoni, 1992, pp. 89-118, pp. 99-102).

28 Sessanta Salmi di David, tradotti in rime volgari italiane, secondo la verità del testo hebreo, col Cantico di Simeone, e i dieci comandamenti de la Legge: ogni cosa insieme col canto, [Ginevra], Giovan Battista Pinerolio, 1560.

29 Cfr. Franco Pierno, I volgarizzamenti biblici italiani nella Ginevra cinquecentesca e calvinista. Un contributo storico-linguistico e un’ipotesi autoriale, in Chiara Lastraioli & Renaud Adam (éd.), Itinéraires du livre italien à la Renaissance. Regards sur la Suisse romande, les anciens Pays-Bas et la Principauté de Liège, édité par Paris, Garnier, [in corso di stampa]. Anche i dati esposti in questo contributo sono conuiti nella monograa menzionata nella prima nota.

30 Del Nuovo Testamento di Iesu Christo Nostro Signore, Nuova e fedel traduttione dal testo greco in lingua volgare Italiana, [Ginevra], Jean Crespin, [15]55. Per una descrizione storico-bibliograca dell’edizione si può consultare il repertorio di Edoardo Barbieri, Le Bibbie italiane del Quattrocento e del Cinquecento, Milano, Editrice Bibliograca, vol. I (Testo), 1992, pp. 336-337.

31 Cfr. Mario Cignoni, Messer Lattanzio Ragnoni (1509-1559). Dalla Repubblica di Siena alla Ginevra di Calvino, Firenze, Pagnini e Martinelli, 2001. L’ipotesi si basa su una combinazione di fatti storici e linguistici; per il dettaglio rinvio alla lettura del mio contributo sopra citato.

32 Cfr. ibid., pp. 23-27.

33 La denizione è di Delio Cantimori (cfr. Delio Cantimori, Eretici italiani. Ricerche storiche, Firenze, Sansoni, 1939, p. 217).

34 Punto di partenza obbligato per una bibliograa su Antonio Brucioli (Firenze, 1487 - Venezia, 1556) è il catalogo esaustivo di Giorgio Spini, Bibliograa delle opere di Antonio Brucioli, «La Bibliolia», 46 (1940), pp. 129-181; a questo può aiancarsi, a rma dello stesso Spini, il volume Tra Rinascimento e Riforma: Antonio Brucioli, Firenze, La Nuova Italia, 1940. Si veda poi la voce del DBI compilata da Robert N. Lear, Brucioli (del Bruciolo), Antonio, vol. 14, 1972, pp. 480-485, sebbene, come osserva Rozzo, contenga diversi errori (cfr. Pier Paolo Vergerio, Scritti capodistriani e del primo anno dell’esilio, a cura di S. Cavazza e Ugo Rozzo, vol. 2, Il catalogo de’ libri (1549), a cura di Ugo Rozzo, Trieste, Deputazione di storia patria per la Venezia Giulia, 2010, p. 35n). Di recente, un agile ed eicace prolo biograco è stato stilato da Davide Dalmas, Antonio Brucioli, in Lucia Felici (a cura di), Fratelli d’Italia, Torino, Claudiana, 2011, pp. 19-26. Rimane inoltre fondamentale l’interpretazione dell’attività letteraria brucioliana di Carlo Dionisotti, La testimonianza del Brucioli, in id., Machiavellerie. Storia e fortuna di Machiavelli, Torino, Einaudi, 1980, pp. 193-226. Brucioli, per i tipi veneziani di Giunta, nel 1530 aveva pubblicato il Nuovo Testamento e, due anni dopo, la traduzione dell’intera Bibbia, l’inizio di una lunga serie di edizioni di volgarizzamenti.

35 Su Massimo Teolo, al secolo Massimo Leandro Masi (1509-1587), orentino, si vedano innanzitutto la voce di Achille Olivieri, Masi, Massimo Teolo, in DBI, vol. 71, 2008, pp. 597-599 e le pagine a lui dedicate da Massimo Zaggia, Tra Mantova e la Sicilia nel Cinquecento, Firenze, Olsckhi, vol. 2 (La congregazione benedettina cassinese nel Cinquecento), 2003, pp. 577-593. Più specici, poi, gli studi di Leandro Perini, Ancora sul libraio-tipografo Pietro Perna e su alcune gure di eretici italiani in rapporto con lui negli anni 1549-1555, «Nuova rivista storica» 51 (1967), pp. 375-385, di Marcella Morviducci, Un erasmiano italiano: il orentino Massimo Teolo, «Benedictina», 23 (1976), pp. 89-104, e di A. del Col, Il Nuovo Testamento tradotto da Massimo Teolo e altre opere stampate a Lione nel 1551, «Critica storica», 4 (1978), pp. 642-675.

36 Osservazioni linguistiche sulla traduzione biblica di Massimo Teolo si leggono in: Daniele D’Aguanno, Varianti lessicali delle Bibbie cinquecentesche, in Lingue e testi delle riforme cattoliche in Europa e nelle Americhe (secc. XVI-XXI), cit., pp. 201-250; id., Massimo Teolo, traduttore del Nuovo Testamento, «Lingua e stile» 52 (2017), pp. 49-85.

37 La parentela linguistica tra i due testi non si limiterebbe alle questioni idiomatiche senesi, ma toccherebbe altri aspetti, soprattutto di tipo fonomorfologico; entrambe le opere, per esempio, presentano la desinenza -orono per la terza persona plurale del passato remoto e eno per la terza persona plurale del presente; comune anche l’uso del tipo huomo/huomini. Si tratta certo di fatti linguistici non esclusivi e, per certi casi, usuali; tuttavia, essi corroborano l’ipotesi che il traduttore del Nuovo Testamento del 1555 e quello dei XX Salmi fossero la stessa persona.

38 Al punto da poter spingere l’editore a stampare, nel 1555, la traduzione francese dell’Anatomia della Messa di Agostino Mainardi (cfr. Cignoni, Messer Lattanzio Ragnoni, cit., p. 26).