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Per la datazione di un sonetto di Vittoria Colonna (e di un probabile ritratto della poetessa ad opera di Sebastiano del Piombo)
Al Museu Nacional d’Art de Catalunya è conservato un enigmatico ritratto di donna, dipinto da Sebastiano del Piombo. La dama tiene aperto con la mano sinistra un codicetto di poesie, l’indice appoggiato sulla pagina a richiamare l’attenzione sul testo trascritto : il sonetto di Vittoria Colonna ovunque giro gli occhi o fermo il core. Poiché la cronologia del ritratto e, di conseguenza, l’identità dell’effigiata sono oggetto di discussione da più di un secolo, si propone qui un’ipotesi di datazione del sonetto quale contributo ad una più precisa collocazione del dipinto all’interno della produzione del Luciani.
Privo di tradizione manoscritta, ovunque giro gli occhi o fermo il core1 fu stampato solo nel 1546,2 un anno prima della morte della poetessa. Secondo Carlo Ossola il sonetto sarebbe permeato di concetti valdesiani. Nelle pagine introduttive all’edizione de lo evangelio di san Matteo, dopo aver citato i vv. 5-14, lo studioso conclude : « “Quanto più dentro a lei si sta romita” : miglior emblema non poteva darsi, che questo, per l’‘hésuchisme’ italiano, per quella ‘conversation evangelique’ ed insieme ‘silencio Pytagórico’ che Juan de Valdés ed il Flaminio avevano intessuto di discrezione, e Vittoria Colonna sigillato in emblematica clausola, in rima assegnando “tranquilla pace” a “l’uom che tace” [S1 : 38, 1-7] ».3
Juan de Valdés, nato in Spagna nel 1490 ca., aveva dovuto lasciare negli anni Trenta del Cinquecento il paese natale per motivi religiosi, trasferendosi in Italia : prima a Roma, poi a Napoli, dove aveva raccolto intorno a sé un folto gruppo di discepoli colti e aristocratici, tra i quali Giulia Gonzaga, sua interlocutrice in una delle opere più celebri, l’alfabeto cristiano, composto nel 1536.4Allo stato attuale delle ricerche le fonti non attestano alcun rapporto diretto tra la Colona e il Valdés né una conoscenza da parte della poetessa degli ancor inediti scritti dello spagnolo prima del 1540-1541.5 Soltanto nei primi anni Quaranta, a Viterbo, parte di quel cenacolo che si era riunito intorno al cardinale inglese Reginald Pole, Vittoria avrebbe letto, meditato e discusso le opere del Valdés.6 ovunque giro gli occhi o fermo il core esprime effettivamente una ‘sensibilità’ valdesiana, ma nelle principali opere dello spagnolo – dove pure è ricorrente il motivo dell’« incorporazione » del fedele in Cristo –7 non si trova un’immagine paragonabile a quella delle piaghe di Cristo come porto o nido sicuro in cui trovare rifugio dai mali del mondo. La metafora, molto forte, pur essendo riconducibile ad una spiritualità di ascendenza valdesiana, non può derivare dalla lettura diretta delle opere del Valdés, e deve avere, quindi, una fonte diversa.
Ad esclusione dell’epistola in terzine excelso mio signor, questa ti scrivo, databile al 1512,8 e del sonetto odolce un tempo, or lagrimosa oscura (scoperto da Tobia Toscano nel ms. V. E. 52 della Biblioteca Nazionale di Napoli successivamente all’edizione Bullock),9 la produzione poetica di Vittoria Colonna è tutta posteriore alla morte del marito, Ferrante Francesco d’Avalos, avvenuta il 25 novembre 1525. Se non mancano testimonianze relative ad un suo esercizio lirico nei primi anni di vedovanza,10 la Colonna ebbe cura di serbare gelosamente i suoi testi, distruggendo le prove più “acerbe”. Tra i primi testi composti ci fu, forse, il madrigale ogni loco mi attrista, ove non veggio, rinvenuto da Tobia Toscano nel ms. 617 della Biblioteca Real di Madrid, il quale, secondo lo studioso, « coglie al vivo l’esperienza di un dolore non ancora sublimato nell’ascesi della rinuncia ».11 Il 20 gennaio 1530 da Bologna Pietro Bembo scriveva a Vittoria : « il detto M. Fl[aminio Tomarozzo] vi potrà dire quanto io mi sia rallegrato, avendo veduto a questi giorni qui molti sonetti vostri fatti per la morte del S.r Marchese vostro marito ».12 La Colonna avrebbe poi indirizzato al Bembo un sonetto, ahi quanto fu al mio sol contrario il fato, al quale il veneziano avrebbe risposto per le rime nel maggio dello stesso anno.13 Certo stupisce, come notava Dionisotti, che nonostante quella che il Bembo definisce « antica devotion » egli mostrasse di scoprire solo allora – nel 1530, nella Bologna che festeggiava l’incoronazione di Carlo V – l’attività poetica di Vittoria.14 Il 10 giugno 1530, dopo aver letto il sonetto composto dalla Colonna in onore di Carlo V,15 il Bembo commentava compiaciuto in una lettera all’amico Carlo Gualteruzzi : « Ho veduto il Sonetto della Marchesa allo imperatore. Piacemi che ella è stata maggior poeta meco che con S. M.tà ».16 All’altezza del 1530 Vittoria sembra quindi scrivere solo rime ‘deploratorie’ e qualche componimento ‘epistolare’ o ‘d’occasione’.
Il ms. XIII. G. 43 della Biblioteca Nazionale di Napoli conserva nella sezione iniziale, che Tobia Toscano data anteriormente al 1531,17 64 sonetti di Vittoria Colonna, tutti amorosi, ad eccezione di le nostre colpe han mosso il tuo furore(Si : 99 dell’edizione Bullock). Si tratta senz’altro di un sonetto assegnabile ai primi anni dell’attività poetica di Vittoria,18 ma anche di un testo ‘spirituale’ sui generis. Rinaldo Corso, primo commentatore delle rime di Vittoria, nella dichiaratione fatta sopra le seconda parte delle rime della divina vittoria collonna marchesana di pescara, uscita a Bologna nel 1543, pone il sonetto in relazione alle « tante calamità, fame, peste, guerra, sacchi, ruine di tante Città, e delle più nobili, che già gran tempo nella misera Italia intra parti del mondo sono ».19 Nel corso del triennio 1527-1530 l’Italia fu colpita da una serie di sciagure (il sacco di Roma, in primis, seguito dall’epidemia di peste e dallo straripamento del Tevere), che furono interpretate come castigo divino per la degenerazione dei costumi, e, di conseguenza, come segno della improcrastinabile necessità di una riforma della Chiesa.20 Nei giorni terribili del Sacco, Vittoria, allora a Ischia, si era prodigata in soccorsi ai cittadini romani, aiutata dal cugino del marito Alfonso d’Avalos, recatosi a Roma pochi giorni dopo l’ingresso dell’esercito imperiale.21 Ad una attenta lettura il sonetto rivela di avere in comune con gli scritti ispirati ai flagelli che colpirono la Città santa non pochi elementi. Ad esempio l’interpretazione della calamità come punizione divina per i peccati umani (in special modo per la superbia e per l’ostentazione del lusso) ; la descrizione di un’umanità sconvolta e impaurita, pronta a chiedere umilmente perdono a Dio per gli errori commessi ; la preghiera all’Onnipotente perché plachi la sua ira.22 le nostre colpe han mosso il tuo furore non è quindi un sonetto spirituale vero e proprio, ma una delle numerose suppliche a Dio in versi che vennero scritte successivamente al Sacco di Roma. In considerazione di ciò la sua composizione intorno alla fine degli anni Venti non può essere assunta come indizio sicuro di una produzione spirituale già in corso. Il 12 giugno 1536 Carlo Gualteruzzi scriveva a Cosimo Gheri : « la Signora Marchesa di Peschara ha rivolto il suo stato a Dio, et non scrive d’altra materia ».23 Il mutamento di ispirazione poetica in Vittoria si colloca quindi tra il 1530 (anno delle lettere del Bembo) e il 1536. Già dopo la morte del marito è da pensare che sia iniziato per la Colonna un percorso di tipo spirituale, caratterizzato da una particolare venerazione per Maria Maddalena. 24 Il carteggio documenta come la poetessa chiedesse nel marzo 1531 da Ischia a Federico II Gonzaga « una pittura [...] di mano di un pittore excellente d’una figura di S.ta Maddalena ».25 Il dipinto, opera di Tiziano, le era recapitato nel luglio. Due anni dopo ne chiedeva un altro a Isabella d’Este. Non stupisce quindi che tra i primi componimenti spirituali databili sia da collocarsi il sonetto donna accesa, animosa e dell’errante (S1 : 121), preghiera alla Maddalena, che, avendo come sfondo Ischia, è collocabile verosimilmente entro il 1534, prima cioè della partenza di Vittoria per Roma. Nuova luce sulla prima produzione spirituale della Colonna ha portato la scoperta da parte di Fabio Carboni di una raccolta di rime della poetessa datata al 1536.26 Nel ms. Chigiano L. IV. 79 della Biblioteca Apostolica Vaticana da c. 319r a 351r si leggono, trascritti dalla stessa mano, 107 sonetti di Vittoria, di cui otto spirituali.27 La sottoscrizione indica che la silloge fu trascritta da un “Alessandro”, per ora non identificato, poco più di tre mesi dopo la lettera del Gualteruzzi al Gheri.28 La testimonianza – pur essendo di notevole valore in quanto terminus ante quem per tutte le rime ivi trascritte – non permette tuttavia di retrodatare in modo significativo, rispetto a quanto già noto, la produzione spirituale della poetessa.
Ciò che spinse la Colonna a dedicarsi esclusivamente alla poesia religiosa, fu, verosimilmente, l’influenza dell’allora celeberrimo predicatore Bernardino Ochino, che tra il 1534 e il 1536 entrò nella vita della poetessa, diventandone presto la prima, ascoltatissima e venerata, guida spirituale.29 Vittoria conobbe Bernardino Ochino probabilmente fin dal suo apparire come predicatore a Roma nella primavera del 1534 e fu, l’anno successivo, tra le più assidue ascoltatrici del quaresimale pronunciato dal senese a San Lorenzo in Damaso.30 Nella quaresima del 1536 l’Ochino predicò a Napoli, venendo per la prima volta in contatto con Juan de Valdés. È l’anno al quale risalgono i suoi primi scritti nei quali si notino posizioni ed idee più o meno eterodosse.31 Vittoria lo difese nel 1537 dalle « calunnie » che cominciavano a circolare sul suo conto32 e lo seguì poi tra 1537 e 1538 di pulpito in pulpito a Ferrara, Bologna, Firenze, Pisa e Lucca. L’Ochino tornò a Napoli per la quaresima del 1540 e allora la sua partecipazione al circolo valdesiano fu sicura e l’adesione alle nuove idee completa.33 La venerazione della Colonna per l’Ochino emerge con evidenza anche dalla sua prima produzione spirituale ; le sue rime furono decisamente influenzate sia nei contenuti che nella forma dalle prediche del senese e dalle conversazioni che la marchesa ebbe frequentemente con lui.34
La prima opera dell’Ochino ad uscire a stampa furono i dialogi : nello stesso anno, il 1540, furono pubblicati a Venezia presso lo Zoppino i dialogi quattro, seguiti dai dialogi sette35. Il dialogo della divina professione, ultimo in entrambe le edizioni, ha come interlocutori un « predicatore » e una « donna », che risulta essere Caterina Cybo, duchessa di Camerino, interlocutrice anche dei dialoghi i, ii e iv. Nella « divina professione » del titolo, posta a conclusione del dialogo,36 la Cybo promette :
Et così alienata da tutti gli miei meriti, anzi a dio rendendo il tutto, restando povera in me medesima, fo professione e prometto per sempre povertà, cioè riconoscer per sempre ch’io non ho alcuna cosa mia ; e così d’ogni merito e propria virtù spogliata, mi ascondo per sempre nel costato di Christo e de glì non intendo mai partirmi, ma in lui sempre sperare ; né al ponto della morte intendo altramente comparire innanti al trono dell’altissima trinità, se non insanguinata del sangue di Christo et arricchita delli meriti suoi ; né voglio per altra via o modo entrare in paradiso.37
Ugo Rozzo ha scoperto una redazione del dialogo anteriore a quella conservata dalle stampe veneziane, che vedeva come interlocutore del predicatore un « gentiluomo ».38 In essa il testamento o « professione » che chiude l’opera porta la sottoscrizione : « Et in fede di ciò Io N. ho scritto la presente di mia propria mano a dì IIII di Settembre MDXXXVI ».39 Settembre 1536 : il dialogo risulta composto nell’anno della predicazione napoletana in San Giovanni Maggiore e dell’incontro, determinante, con il Valdés. L’adesione alla dottrina della giustificazione per sola fede fa di questo dialogo una delle prime espressioni dell’eterodossia dell’Ochino ; di un Ochino che si rivela influenzato dalla teologia aristocratica del Valdés.40
Due anni dopo la prima stesura del dialogo della divina professione l’Ochino predicò nella cattedrale di san Martino di Lucca. Dell’edizione che ci ha conservato i cinque sermoni (prediche predicate dal r. padre frate Bernardino da siena dell’ordine de frati capuccini, ristampate Nuouamente. et giontoui vnaltra predicha, Venezia, Bernardino da Viano de Lexona Vercellese, 1541) resta un solo esemplare alla British Library di Londra, riscoperto da Philip McNair.41 Veramente notevole la prossimità del nostro sonetto con la quinta delle prediche tenute a Lucca :
Ecome gli uccelli del cielo non si riposano mai se non nel nido, così noi cristiani in questo aere, in queste cose caduche e flussibile del mondo, momentanee e transitorie, non ci possiamo riposare né quietare se non in nel nido della croce, cioè, nel costato di Cristo, in fede viva e carità infiammata, dispregiando tutte le cose che sono sotto il cielo.42
Ovunque giro gli occhi o fermo il core sembra seguire passo passo l’argomentazione ochiniana, quasi ne fosse la versione poetica :
noi cristiani in questo aere, in queste cose caduche e flussibile del mondo, momentanee e transitorie | in questa oscura luce e viver morto nostro, dove il sentier dritto dal torto mal si discerne infin a l’ultime ore (vv. 2-4) |
non ci possiamo riposare né quietare se non in nel nido della croce, cioè, nel costato di cristo | sento or per falsa speme, or per timore, mancar a l’alma il suo vital conforto s’ella non entra in quel sicuro porto de la piaga ch’in croce aperse amore. Ivi s’appaga e vive [...] (vv. 5-9) |
in fede viva e carità infiammata | [...] ivi s’onora per umil fede, ivi tutta si strugge (vv. 9-10) |
dispregiando tutte le cose che sono sotto il cielo | tanto ella queste fosche e mondane ugge schifa [...] (vv. 12-13) |
La poetessa, che nel marzo del 1538 aveva ascoltato con entusiasmo il quaresimale pisano-fiorentino,43 era a Lucca nei giorni in cui l’Ochino predicava,44 ed è quindi molto probabile che abbia udito il sermone. L’immagine della piaga di Cristo crocifisso come porto sicuro non ritornerà nei successivi sermoni veneziani dell’Ochino del 1539 né in quelli che il senese pubblicherà nel 1542, appena arrivato a Ginevra, dopo essere dovuto fuggire dall’Italia in seguito alla formale convocazione a comparire a Roma davanti al Santo Uffizio.45 Si tratta quindi, anche per il predicatore, di una immagine che ha una sua precisa collocazione temporale.
Dato lo stretto legame con i due testi ochiniani, ovunque giro gli occhi o fermo il core sembra da ascriversi alla prima fase dell’esercizio poetico spirituale di Vittoria, e non a quella databile al periodo viterbese. La presenza nel sonetto dell’immagine forte delle piaghe di Cristo come porto o nido sicuro – traduzione del valdesiano “incorporarsi” del cristiano in Cristo o in Dio ad opera dell’appassionata oratoria omiletica di Bernardino Ochino – situa la stesura del componimento tra il 1536 e il 1538. Sembrando ipotesi onerosa, anche se affascinante, che il sonetto sia stato suggerito alla poetessa dalla predica ochiniana, pure molto probabilmente da lei ascoltata a Lucca, la composizione andrà posta in relazione alle conversazioni che la poetessa ebbe in quegli anni con il celebre predicatore : conversazioni caratterizzate da un linguaggio condiviso di cui abbiamo testimonianza da una parte nella predica dell’Ochino dall’altra nel sonetto della Colonna.46
Come accennato all’inizio di questo contributo, alla base del mio interesse per il sonetto di Vittoria Colonna sta il dibattito, riaperto negli ultimi anni da Novella Macola, su un ritratto di donna, opera di Sebastiano del Piombo.47 Il dipinto – olio su tavola, di cm 96 × 72,5 – è conservato a Barcellona al Museu Nacional d’Art de Catalunya, Collezione Cambó (inv. 64984). La dama, dall’espressione enigmatica, la mano destra sul cuore nell’atto di scostare la veste, tiene aperto con la mano sinistra un piccolo codice. Nel foglio di destra del volume si individua il sonetto ovunque giro gli occhi o fermo il core.48 Gli altri libri appoggiati sul tavolo, coperto da un tappeto, accentuano la sensazione che la donna raffigurata sia una poetessa o comunque una dotta amante delle lettere mentre la mano sul cuore sembra « sottolineare il senso di appartenenza che i versi hanno per l’effigiata ».49 Già Piero D’Achiardi nel 1908 aveva proposto di identificare la protagonista del ritratto Cambò con Vittoria Colonna, sulla base della testimonianza di Giorgio Vasari che assicurava nelle vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori l’esistenza di un ritratto della marchesa eseguito da Sebastiano del Piombo.50 Il D’Achiardi datava il dipinto agli anni Venti del Cinquecento (1520-1523),51 seguito dalla maggior parte della critica successiva : da Adolfo Venturi (1932),52 a Bernard Berenson (1935),53 Luitpold Dussler (1942),54 Rodolfo Pallucchini (1944),55 Mauro Lucco (1980),56 Józef Grabski (2004).57 Per una datazione alta, pur con meditati distinguo, propende anche Roberto Contini, estensore della scheda dedicata al ritratto nel catalogo della recente mostra romana sebastiano del piombo (1485-1547).58 L’unico ad esprimere un diverso parere fu nel 1981 Michel Hirst, il quale giudicò l’opera posteriore al 1530 a causa della ieraticità della posa e dell’alto grado di astrazione psicologica.59
Un altro ritratto muliebre di Sebastiano dal Piombo (olio su tela, cm 80 × 60, Leeds, Earl of Harewood)60 raffigura la stessa donna del ritratto Cambó : uguali il viso, l’acconciatura e il velo posto sui capelli. La tenda, che nell’altro ritratto era annodata in alto a destra lasciando intravedere la finestra, è qui abbassata e l’interno, reso cupo dai colori smorzati, ha un che di sepolcrale. La donna, la cui figura occupa tutto lo spazio, tiene con la mano destra una coppa. La data di esecuzione del dipinto è fissata dal Lucco (ma già prima dal Dussler), per motivi stilistici, agli anni Trenta del Cinquecento.61 La donna, sulla base della coppa, era stata identificata (Berenson, Pallucchini) con Sofonisba, la figlia di Asdrubale che aveva preferito alla prigionia romana la morte bevendo il veleno.62 Novella Macola ha invece proposto l’identificazione della donna con Artemisia, la moglie di Mausolo, satrapo della Caria, che alla morte del marito non solo gli fece erigere come tomba il celebre Mausoleo, ma bevve le ceneri di lui, sciolte in un liquido, per essergli tomba vivente, diventando simbolo di devozione coniugale. Nel secolo XVI colei che veniva naturalmente paragonata dai contemporanei ad Artemisia era proprio Vittoria Colonna, che alla memoria del marito aveva dedicato tanta parte della sua produzione poetica. Nella terza redazione dell’orlando furioso – siamo negli anni Trenta, quelli in cui si colloca l’esecuzione del ritratto Harewood – Ludovico Ariosto così omaggiava la Colonna : « Questa è un’altra Artemisia, che lodata / fu di pietà verso il suo Mausolo ; anzi / tanto maggior, quanto più assai bell’opra, / che por sotterra un uom, trarlo di sopra ».63 L’identificazione della donna del ritratto Harewood con Vittoria Colonna nei panni di Artemisia porta ad individuare nella poetessa anche la dama effigiata nel ritratto Cambò. L’ipotesi è, a mio avviso, convincente oltre che estremamente affascinante. La donna fissa lo spettatore – la mano destra posata sul cuore, l’indice sinistro sul codice – invitandolo alla lettura di un sonetto-emblema, il cui significato è tanto più pregnante se chi lo indica è colei che l’ha composto ; se quelle parole sono sue parole. Non si tratta di un testo di Petrarca, nei versi del quale, allora, si riconoscevano quasi tutti i cultori di poesia, ma di un sonetto in cui echeggia strettamente unita alla voce della poetessa quella della sua guida spirituale, Bernardino Ochino. Sembra difficile pensare che un dialogo tanto intimo da far uso di un linguaggio condiviso potesse essere fatto proprio da terzi.64
Rimane tuttavia irrisolto il problema dello scarto tra la datazione del ritratto Cambó e quella del sonetto ivi trascritto : « È possibile quindi ipotizzare che Sebastiano del Piombo abbia dipinto Vittoria Colonna due volte e in due momenti diversi della vita di lei : uno negli anni giovanili prima della morte di Ferrante, dunque tra il 1520 e il 1525, l’altra dopo la morte di Ferrante, considerando come riferimento cronologico la terza edizione dell’orlando furioso del 1532 ».65 Come ho cercato di mostrare, nulla di quanto sappiamo per ora della vita e della produzione della Colonna può far pensare alla stesura da parte sua negli anni tra il 1520 e il 1525 – quindi prima della morte del marito – non solo di un sonetto di quel tenore, ma anche soltanto di un sonetto religioso. Prima della morte di Francesco Ferrante la sua stessa produzione poetica è alquanto limitata e solo successivamente a quell’avvenimento ci risulta sia iniziata la crisi spirituale che l’avrebbe portata alcuni anni dopo a scrivere sonetti di argomento spirituale. È vero che non sappiamo molto delle letture fatte dalla Colonna né della sua produzione poetica prima della morte del marito e che ancora oscuro è per molti aspetti il suo percorso spirituale dall’inizio della vedovanza all’incontro con l’Ochino. Nota poi giustamente Gigliola Fragnito che « fin dalle rime amorose [...] la sua meditazione “si fa sempre più folta di motivi spirituali e sempre più raccolta nell’interiorità della propria coscienza” e sceglie un linguaggio sempre più mistico e biblico ».66 Ma ovunque giro gli occhi o fermo il core non è un testo che, stante la sua matrice valdesiana e la chiara impronta retorica ochiniana, si possa facilmente datare anteriormente al 1536-38 (ad esempio agli anni del sonetto sulla Maddalena).
La cronologia del testo poetico (assegnabile, come spero di aver provato, alla metà degli anni Trenta del Cinquecento) e quella del ritratto (dipinto, secondo la quasi totalità degli studiosi, negli anni Venti) sembrano, per il momento, inconciliabili. Finora uno studio che assegnasse al sonetto una collocazione cronologica chiara e motivata mancava. La mia proposta si offre, in vista di una riconsiderazione da parte degli storici dell’arte della cronologia della tavola nel suo complesso (pittura e testo poetico), come contributo alla ricomposizione di un puzzle tanto affascinante quanto complesso.
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1 « Ovunque giro gli occhi o fermo il core / in questa oscura luce e viver morto / nostro, dove il sentier dritto dal torto / mal si discerne infin a l’ultime ore, // sento or per falsa speme, or per timore, / mancar a l’alma il suo vital conforto / s’ella non entra in quel sicuro porto / de la piaga ch’in croce aperse amore. // Ivi s’appaga e vive, ivi s’onora / per umil fede, ivi tutta si strugge / per rinovarsi a l’altra miglior vita ; // tanto ella queste fosche e mondane ugge / schifa, e del vero Sol gode l’aurora, / quanto più dentro a lei si sta romita » : Vittoria Colonna, Rime, a cura di Alan Bullock, Bari, Laterza, 1982, p. 119 (S1 : 69).
2 Cfr. Le rime spirituali della illustrissima Signora Vittoria Colonna Marchesana di Pescara. Non più stampate da pochissime infuori le quali altrove corrotte et qui corrette si leggono, Venezia, Vincenzo Valgrisi, 1546, c. 21r. L’edizione, curata da Donato Rullo, agente di Casa Colonna a Venezia, uscì, come tutte le precedenti, senza l’autorizzazione della poetessa, che anzi se ne adirò.
3 Carlo Ossola, Introduzione a Juan de Valdés, Lo evangelio di san Matteo, a cura di Carlo Ossola, testo critico di Anna Maria Cavallarin, Roma, Bulzoni, 1985, pp. 86-87.
4 Cfr. Massimo Firpo, Introduzione a Juan de Valdés, Alfabeto cristiano. Domande e risposte. Della predestinazione. Catechismo, Torino, Einaudi, 1994, pp. vii-cl. Sull’attività del Valdés in Italia si vedano anche Massimo Firpo, Tra alumbrados e spirituali. Studi su Juan de Valdés e il valdesianesimo nella crisi religiosa del ’500 italiano, Firenze, Olschki, 1990 ; Id., Dal sacco di Roma all’Inquisizione. Studi su Juan de Valdés e la Riforma italiana, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1998.
5 « Fino a prova contraria, le fonti non attestano alcun rapporto diretto tra la Colonna e il Valdés. Prima del 1540-1541 una sua conoscenza degli ancor inediti scritti dello spagnolo è solo ipotizzabile sulla base di una possibile mediazione ochiniana » : Massimo Firpo, Vittoria Colonna, Giovanni Morone e gli “spirituali”, in Id., Inquisizione romana e Controriforma. Studi sul cardinal Giovanni Morone e il suo processo d’eresia, Bologna, Il Mulino, 1992, p. 120. La Colonna avrebbe potuto incontrare il Valdés nel 1534, anno in cui lo spagnolo si trasferì a Napoli e la poetessa lasciò Ischia per Roma.
6 Vittoria si era trasferita a Viterbo nel settembre del 1540. Verso la fine del 1541 Giulia Gonzaga affidò al cenacolo del Pole gli scritti del Valdés, deceduto in quell’anno, perché fossero tradotti e pubblicati. Sull’Ecclesia viterbiensis, di cui faceva allora parte Marcantonio Flaminio, già seguace del Valdés a Napoli, si veda Massimo Firpo, Valdesianesimo ed evangelismo : alle origini dell’Ecclesia Viterbiensis (1541), in Libri, idee e sentimenti religiosi nel Cinquecento italiano (Ferrara, 3-5 aprile 1986), Modena, Panini, 1987, pp. 53-71 ; Massimo Firpo, Juan de Valdés tra alumbrados e ‘spirituali’. Note sul valdesianesimo in Italia, in Id., Dal sacco di Roma all’Inquisizione, cit., pp. 89-117.
7 Il motivo, presente nell’Alfabeto cristiano (Valdés, Alfabeto cristiano, cit., p. 90) e nelle Cento e dieci divine considerazioni (cfr. considerazione LXXXIV : Che solamente la incorporazione in Cristo è quella che mortifica in Juan de Valdés, Le cento e dieci divine considerazioni, testo comparato, note, introduzione a cura di Teodoro Fanlo Y Cortés, prefazione di Paolo Ricca, Milano-Genova, Marietti, 2004, pp. 384-86), è ricorrente ne Lo Evangelio di San Matteo (Valdés, Evangelio, cit., pp. 30-42). Il legame tra crocifissione e incorporazione in Cristo è in Valdés simbolo non solo della remissione gratuita dei peccati ottenuta attraverso la fede nel sacrificio di Cristo (« E all’Evangelo credono coloro che, accettando l’indulto e il perdono generale, si tengono per perdonati e per riconciliati con Dio per Cristo e in Cristo, incorporati per fede in Cristo » : Matth., XVII, 14-21 in Valdés, Evangelio, cit. p. 365), ma anche della santità del popolo cristiano (« e tutti li veri cristiani siamo incorporati in Cristo, figli di Dio per la rigeneratione, la quale filiatione ne fa amici di Dio, percioché non ne considera Dio per quel che siamo in noi stessi, ma per quel che siamo incorporati in Cristo, in cui siamo giusti e santi, perché egli è giusto e santo » : Matth. VII, 7-11 in Valdés, Evangelio, cit., p. 214).
8 Il componimento (A2 : 1 dell’edizione Bullock) ci è conservato dal Vocabulario di cinquemila vocabuli toschi di Fabricio Luna (Napoli, Sultzbach, 1536).
9 Cfr. Vittoria Colonna, Sonetti in morte di Francesco Ferrante d’Avalos marchese di Pescara. Edizione del ms. XIII. G. 43 della Biblioteca Nazionale di Napoli, a cura di Tobia R. Toscano, Milano, Giorgio Mondadori, 1998, ora in Tobia R. Toscano, Letterati corti accademie. La letteratura a Napoli nella prima metà del Cinquecento, Napoli, Loffredo, 2000, p. 18.
10 Paolo Giovio nel Dialogus de viris et foeminis aetate nostra florentibus, ambientato nel 1527, così descriveva gli etrusca carmina di Vittoria : « quibus interlita celsioris ingenii luminibus ? Quibusque numerorum artificiis exornata esse conspicimus ? Quam porro gravitatem ? Quod virile decus ? » : Toscano, Letterati, cit., p. 16.
11 Toscano, Letterati, cit., p. 21.
12 Pietro Bembo, Lettere, edizione critica a cura di Ernesto Travi, III. (1529-1536), Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1992, p. 100.
13 Pietro Bembo, Rime CXXV (Cingi le costei tempie de l’amato).
14 Cfr. Carlo Dionisotti, Appunti sul Bembo e Vittoria Colonna, in Miscellanea Augusto Campana, I, Padova, Antenore, 1981, pp. 259-260.
15 Si tratta di Vincer i cor più saggi e i Re più altieri (E 27 dell’edizione Bullock).
16 Bembo, Lettere, cit., p. 147.
17 Cfr. Toscano, Letterati, cit., p. 35.
18 Il sonetto si legge nella prima raccolta a stampa di rime della poetessa : Rime de la divina Vittoria Colonna Marchesa di Pescara, Parma, s. e., 1538, c. G 3r.
19 Dichiaratione fatta sopra le seconda parte delle rime della divina Vittoria Collonna Marchesana di Pescara da Rinaldo Corso, Bologna, Giambattista Faelli, 1543, c. 33v.
20 Si vedano in particolare gli scritti di due personaggi vicini alla Colonna : Jacopo Sadoleto ed Egidio da Viterbo. Il primo, lasciata Roma pochi giorni prima del Sacco, scriveva da Carpentras a Giovan Francesco Bini l’8 giugno del 1527 una lettera in cui la colpa per « la rovina et calamità » era ravvisata nel « secolo corrotto et i costumi della corte [che] hanno tirato adosso la sì grande ira di Dio » (Jacobi Sadoleti Epistolae quotquot extant proprio nomine scriptae, I, Romae, Generosus Salomonius, 1730, p. 178). Il secondo nella Scechina alla domanda « Cur [Deus] passus est sacra prophanari ? » rispondeva « Non sacra prophanari : sed prophanata sacra vindicari tandem permisit. Sacerdocii enim munus ut divinissimum : ita oportet esse mundissimum : a sordibus : ab immundis : ab inscitia : ab omni cupiditate : alienissimum » (Egidio da Viterbo, Scechina e Libellus de litteris hebraicis, inediti a cura di François Secret, Roma, Centro internazionale di studi umanistici, 1959, p. 136). Sul sacco di Roma e sulla sua ricaduta nell’immaginario collettivo cfr. André Chastel, Il sacco di Roma. 1527, Torino, Einaudi, 1983 ; Daniel Arasse, Alberto Asor Rosa, Vincenzo De Caprio, Massimo Miglio, Il sacco di Roma del 1527 e l’immaginario collettivo, Roma, Istituto nazionale di studi romani, 1986 ; Massimo Firpo, Il sacco di Roma del 1527 tra profezia, propaganda politica e riforma religiosa, Cagliari, CUEC, 1990.
21 Omaggio alla generosità della marchesa in quell’occasione è la lunga digressione sul Sacco presente nelle Stanze a Vittoria Colonna marchesa di Pescara di Ludovico Martelli, scritte a ridosso degli avvenimenti (il poeta fiorentino morì tra l’inizio dell’estate del 1527 e i primi mesi del 1528). Paolo Giovio, rifugiatosi dopo il Sacco a Ischia, vi compone il Dialogus de viris et foeminis aetate nostra florentibus (ambientato nell’isola nel novembre 1527), dove le stragi compiute a Roma sono ricordate da Giovanni Antonio Muscettola.
22 Cfr. « Le nostre colpe han mosso il tuo furore / giustamente, signor ne’ nostri danni » (vv. 1-2) ; « Chiede mercé ciascun, carco d’orrore / deposta la superbia e i ricchi panni » (vv. 5-6) ; « Scorga il bel raggio tuo la cieca gente / [...] / aprasi di pietà l’immensa porta » (vv. 11-14). Alla bibliografia citata alla nota 20 si aggiunga Gilda Corabi, « Pegio che Babilonia è fatta Roma » : gli scrittori del Gran sacco, in Apocalissi e letteratura, a cura di Ida De Michelis, Roma, Bulzoni, 2005, pp. 81-96 ; Angelo Alberto Piatti, 1527 : “Lo spaventevole caso di Roma” nella poesia di Giovanni Guidiccioni, « GSLI », CXXII (2005), pp. 42-68 ; Giulia Ponsiglione, Due ignoti documenti a stampa sulla “ruina di Roma” (1527-1530), « Roma nel Rinascimento », XXIV (2007), pp. 339-48.
23 Ornella Moroni, Carlo Gualteruzzi (1500-1577) e i corrispondenti, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1984, p. 65.
24 Cfr. Barbara Agosti, Vittoria Colonna e il culto della Maddalena, in Vittoria Colonna e Michelangelo, catalogo della mostra (Firenze, Casa Buonarroti, 24 maggio-12 settembre 2005), a cura di Pina Ragionieri, Firenze, Mandragora, 2005, pp. 71-81. Si veda, tra le altre cose, la testimonianza di Rinaldo Corso nella Dichiaratione. Il commento al sonetto Quando vostra mercé quasi presente (Quando, mercé del ciel, quasi presente : S1 : 50) inizia « Giudico io Vittoria nostra in questo sonetto col divotissimo padre fra’ Bernardino da Siena del venerabile ordine de’ poveri Cappuccini di san Francesco, di cui ella non men che Maddalena già di Christo si mostra discepola, ragionare [...] » : Corso, Dichiaratione, cit., c. K 3v.
25 Cfr. Vittoria Colonna, Carteggio, raccolto e pubblicato da Ermanno Ferrero e Giuseppe Müller, Torino, Loescher, 1889, pp. 65-66.
26 Fabio Carboni, La prima raccolta lirica datata di Vittoria Colonna, « Aevum », LXXVI (2002), pp. 681-707.
27 Degli otto sonetti spirituali, cinque furono editi nel 1538 [Gl’angioli eletti a quel ben infinito (c. 325v, S1 : 24) ; Le nostre colpe han mosso il tuo furore (c. 333v, S1 : 99) ; Signor ch’in quella inaccessabil [sic] luce (c. 334v, S1 : 88) ; Vergine pura hor da bei raggi ardenti (c. 335v, S1 : 100) ; Le tante opre divine el gran impero (c. 347v, S1 : 139)], due nel 1546 [Guarda l’alto principio onde deriva (c. 343r, S1 : 86) ; Apra il sen giove e di sue gratie tante (c. 350r, S1 : 23)], uno nel 1840 [Beata lej ch’eterno amore accese (c. 341r, S2 : 25)].
28 « Deo gratias. / Alexander manu propria scripsit / Die XVIII Octobris M D XXXVI. / Auro carior libertas » (c. 351r). Cfr. Carboni, La prima raccolta lirica datata, cit. p. 690.
29 Sull’Ochino si veda almeno Roland H. Bainton, Bernardino Ochino esule e riformatore senese del Cinquecento (1487-1563), versione dal manoscritto inglese di Elio Gianturco, Firenze, Sansoni, 1940 ; Benedetto Nicolini, Il pensiero di Bernardino Ochino, Bologna, Patron, 1970 ; Ugo Rozzo, Nuovi contributi su Bernardino Ochino, « Bollettino della Società di studi valdesi », CXLVI (1979), pp. 51-83 ; Gigliola Fragnito, Gli “spirituali” e la fuga di Bernardino Ochino, in Ead., Gasparo Contarini. Un magistrato veneziano al servizio della Cristianità, Firenze, Olschki, 1988, pp. 251-306 e l’introduzione a Bernardino Ochino, I laberinti del libero arbitrio, a cura di Marco Bracali, Firenze, Olschki, 2004. Per i suoi rapporti con Vittoria Colonna cfr. Emidio Campi, Michelangelo e Vittoria Colonna : un dialogo artistico-teologico ispirato da Bernardino Ochino e altri saggi di storia della Riforma, Torino, Claudiana, 1994 e Giovanni Bardazzi, Le rime spirituali di Vittoria Colonna e Bernardino Ochino, « Italique », IV (2001), pp. 61-101.
30 Scrive Agostino Gonzaga in una lettera a Isabella d’Este del 12 marzo 1535 : « Essa S.ra di Pescara alloggia cum le sore di S.to Silvestro, né vole che alcuno la visiti et quando va per Roma va sconosciuta, in un abito abiettissimo. Queste due mattine è stata alla predica in S.to Lorenzo in Damaso, ove è uno ex.mo predicatore de l’ordine de quelli Capucini do s.to Francesco chiamato fra Bernardino da Siena, uomo di santissima vita et molto dotto » : Alessandro Luzio, Vittoria Colonna, « Rivista storica mantovana », I (1885), p. 26.
31 Cfr. Bernardino Ochino, I “Dialogi sette” e altri scritti del tempo della fuga, edizione, introduzione, e apparato iconografico a cura di Ugo Rozzo, Torino, Claudiana, 1985, p. 10.
32 « Andamo a le calunnie, a pervertir le parole, a seminar occulte spine » scriveva al cardinale Ercole Gonzaga il 22 aprile 1537 : Colonna, Carteggio, cit., p. 139.
33 Come confermerà all’Inquisizione Pietro Carnesecchi. Cfr. Giacomo Manzoni, Estratto del processo di Pietro Carnesecchi, « Miscellanea di storia italiana », X (1870), p. 196.
34 Cfr. infra nota 46.
35 I Dialogi sette furono ristampati nel 1542, a Venezia, sia dallo Zoppino che da Bindoni e Pasini. L’edizione dei Dialogi quattro conserva la redazione definitiva dei testi che propone : per i quattro dialoghi il testo non cambia sia nella princeps dei Dialogi sette che in quella del 1542 (caratterizzata semmai dai numerosi errori dovuti a incomprensione del testo o a refusi). Cfr. Rozzo, Nuovi contributi su Bernardino Ochino, cit., pp. 56-57.
36 Il “testamento” si chiude con una sottoscrizione (« Et in fede di ciò io D.D.C. [= duchessa di Camerino] ho scritto la presente di mia propria mano. 1539 » : Ochino, I “Dialogi sette”, cit., p. 117) che permette di identificare l’interlocutrice.
37 Ochino, I “Dialogi sette”, cit., p. 113. Il corsivo, qui e dove non altrimenti indicato, è mio.
38 La redazione è conservata da una stampa uscita ad Asti nel 1540. Si tratta della riproposta da parte di un modesto tipografo di una precedente edizione, come dimostra il fatto che l’Ochino, dal 1538 generale del suo Ordine, sia indicato nel frontespizio semplicemente come « Bernardino da Siena della Congregazione de Capuccini » (sul frontespizio dei Dialogi quattro sarà « frate Bernardino da Siena detto il Scapuzzino » e in quello dei Dialogi sette « generale di frati cappuzini »). Cfr. Rozzo, Nuovi contributi su Bernardino Ochino, cit., pp. 51-83.
39 Rozzo, Nuovi contributi su Bernardino Ochino, cit., p. 58. Nella redazione successiva il dialogo non subirà modifiche sostanziali, fatti salvi il cambiamento di genere e la sottoscrizione. Secondo Ugo Rozzo la sostituzione del “gentiluomo” con la “donna” si colloche-rebbe tra il 1538 e il 1539. In quegli anni morì Bartolomeo Carli Piccolomini – con cui va probabilmente identificato il gentiluomo della prima redazione del dialogo – che aveva conosciuto l’Ochino a Roma tra il gennaio e il marzo del 1536, diventandone ammiratore e seguace. Tra il marzo e l’aprile del 1538 l’Ochino aveva predicato a Firenze e in quell’occasione i suoi rapporti con Caterina Cybo, che conosceva dal 1535, si erano fatti più profondi. La morte del Carli Piccolomini e l’avvicinamento alla Cybo avrebbero motivato il cambiamento di interlocutore. Cfr. Rozzo, Nuovi contributi su Bernardino Ochino, cit., pp. 68-69, 77-79.
40 L’Ochino propone alla duchessa di entrare in una « religione tutta divina » in cui « non bisogna mutar luogo, ma costumi, mutar vita, non panni, tagliar da sé tutti gli tristi pensieri e desideri e non gli capelli, orare a Dio col cuore, non con la bocca, ubbidir a Dio, non a gli huomini » e nella quale « non ci ponno entrar se non spiriti gentili » : Ochino, I “Dialogi sette”, cit., pp. 108-109.
41 Philip McNair, Patterns of Perfection. Seven Sermons preached in Patria by Bernardino Ochino (1487-1564), Cambridge, Anastasia Press, 1999.
42 McNair, Patterns of Perfection, cit., pp. 31-32.
43 « Il dì medesimo che dal Castello partii per andarvi [a Bologna] hebbi risposta da madama [Margherita d’Austria] qui che faceva predicar el padre in Pisa, non in Fiorenza ; così voltai le redine ... Ma infin quanto più godeva delle mirabil prediche » : Colonna, Carteggio, cit., pp. 156-157.
44 La sua presenza a Lucca è testimoniata da una serie di lettere che vanno dal 9 aprile (a Ercole II d’Este) al 3 ottobre del 1538 (al cardinale Agostino Trivulzio). Cfr. Colonna, Carteggio, cit., pp. 159-166.
45 Cfr. Prediche nove predicate [...] nella inclita città di Vinegia del MDXXXIX, Venezia, Nicolò d’Aristotile detto il Zoppino, 1541 ; Prediche [...] “Si me persequuti sunt, et vos persequentur, sed omnia vincit veritas”, Ginevra, s. e., 1542.
46 Furono le frequenti conversazioni il principale mezzo grazie al quale idee e immagini ochiniane passarono nelle rime di Vittoria come sottolinea Giovanni Bardazzi : « Non si tratta di “fonti” in senso tradizionale, ma spesso non si tratta neanche di coincidenze imputabili alle comuni matrici scritturali o ad una comune spiritualità valdesiana. L’ipotesi più probabile mi pare quella di un lento assorbimento, da parte della Colonna, di moduli espressivi, tematico lessicali, ochiniani : percepiti di frequente, attraverso le parole ufficiali del pulpito o le private della conversazione, da un orecchio quanto mai recettivo ed emotivamente partecipe, per affetto e condiviso sentire » : Bardazzi, Le rime spirituali di Vittoria Colonna, cit., pp. 85-86.
47 Novella Macola, Sebastiano Luciani detto Sebastiano del Piombo. Ritratto di donna (Vittoria Colonna ?), in Vittoria Colonna e Michelangelo, cit., pp. 49-50 (scheda n. 10) ; Ead., Sguardi e scritture. Figure con libro nella ritrattistica italiana della prima metà del Cinquecento, Venezia, Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, 2000, pp. 38-52 e 155-58.
48 Il ritratto fu usato nel 1936 dai miliziani spagnoli come tavola per il tiro al bersaglio venendo colpito trenta volte e, nonostante il restauro effettuato nel 1940, non versa in buone condizioni. Del sonetto, che si poteva ancora leggere alla fine dell’Ottocento (fu trascritto nel catalogo dell’Exhibition of works by the old masters tenutasi alla Royal Academy di Londra nel 1881), attualmente si individuano le iniziali delle due quartine e della prima terzina. Del tutto impossibile, a causa dello stato irrimediabilmente compromesso della superficie pittorica, individuare il componimento alla sinistra. Cfr. Macola, Sguardi e scritture, cit., pp. 38-39.
49 Macola, Ritratto di donna, cit., p. 49.
50 « E per vero dire, il ritrarre di naturale era suo proprio, come si può vedere nel ritratto di Marc’Antonio Colonna, tanto ben fatto che par vivo ; et in quello ancora di Ferdinando Marchese di Pescara, et in quello della signora Vettoria Colonna che sono bellissimi » : Giorgio Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e del 1568, testo a cura di Rosanna Bettarini, commento secolare a cura di Paola Barocchi, V, Firenze, Studio per Edizioni Scelte, 1984, p. 93.
51 « Il ritratto [...] fu probabilmente dipinto negli anni nei quali il Vasari pone quello della colonnese (1520-1523) a poca distanza di tempo dalla Visitazione del Louvre. La fattura è larghissima, il colorito robusto e smagliante, il disegno di una grandiosità tutta michelangiolesca » : Pietro D’Achiardi, Sebastiano del Piombo : monografia storico artistica, prefazione di Adolfo Venturi, Roma, Casa Editrice de “L’Arte”, 1908, pp. 204-8 : 206-7.
52 Il dipinto è vicino al Ritratto di Clemente VII per « il massimo accostamento [di Sebastiano] al fare michelangiolesco. Per la prima volta, nel nobilissimo quadro, egli ci dà un esempio tipico dello stile fermo e rigido, talora crudo, che caratterizza i ritratti, e particolarmente i ritratti muliebri, del periodo post-raffaellesco » : Adolfo Venturi, Storia dell’arte italiana, IX. La pittura del Cinquecento, Parte V, Milano, Hoepli, 1932, pp. 62-64 : 62-63.
53 « La signora che posa l’indice sopra il suo Petrarchino [...] potrà precedere solo di poco la Madonna di Burgos del 1520 ed è come quella del tutto michelangiolesca, come lo sono del resto, inutile dire, tutte le susseguenti » : Bernard Berenson, Andrea di Michelangelo e Antonio Mini, « L’Arte », XXXVIII (1935), pp. 243-83 : 250.
54 Luitpold Dussler, Sebastiano del Piombo, Basel, Holbein-Verlag, 1942, pp. 65 e 128 (scheda n. 3).
55 « Il ritratto di gentildonna della collezione Cambó di Barcellona, che il D’Achiardi tentò di identificare in Vittoria Colonna, è certo posteriore al ritratto del Colombo di New York [...]. L’inserzione del paesaggio romantico alla veneta ha un semplice ufficio illustrativo. Si potrebbe notare una certa conoscenza della Velata di Raffaello [...]. Soprattutto per Sebastiano conta il volitivo risalto plastico della forma, dilatata in quella cadenza monumentale che abbiamo visto concretarsi parallelamente nella Madonna di Burgos » : Rodolfo Pallucchini, Sebastian Viniziano (fra Sebastiano del Piombo), Milano, Mondadori, 1944, p. 63. Nella scheda alle pp. 164-65 il ritratto è datato « c. 1520 ».
56 « La tavola precede di oltre un decennio il Ritratto femminile di Lord Harewood [...]. Stilisticamente l’opera si colloca non lontano dal Ritratto di umanista di Washington ; il tappeto turco presenta motivi decorativi assai simili a quelli del Ritratto Sauli [datato 1516] mentre i toni cromatici ancora “veneti” si sposano alla dilatata cubatura dell’immagine in un tono sentimentale di dolente raccoglimento » : Mauro Lucco, L’opera completa di Sebastiano del Piombo, presentazione di Carlo Volpe, Milano, Rizzoli, 1980, rist. 1999, p. 113 (scheda n. 61).
57 Józef Grabski, The lost Portrait of a young man (attrbutes to Raphael) from the Collection of the Princes Czartoryski family in Cracow. A contribution to the Renaissance portrait, « Artibus et historiae », L (2004), pp. 215-39.
58 « Nel presumere legittimamente che i guasti e le relative riparazioni abbiano corroso la sostanza pittorica a un segno tale da assegnare alla tavola stimmate astrattive che le furono magari solo in parte proprie (chi scrive è assai scettico in ordine ad una seriazione tarda dell’opera), è incauto pronunciarsi in termini apodittici sul tempo di esecuzione, tenendo tuttavia quale referente approssimativo la Resurrezione di Lazzaro per Giulio II » : Roberto Contini, Ritratto di donna (Vitoria Colonna ?), in Sebastiano del Piombo (1485-1547), catalogo della mostra (Roma, Palazzo Venezia, 8 febbraio-18 maggio 2008 ; Berlino, Gemäldegalerie, 28 giugno-28 settembre 2008), Milano, Federico Motta, 2008, p. 192 (scheda n. 39).
59 Il colore forte e la presenza della finestra aperta sarebbero da porsi in relazione con il soggiorno di Sebastiano a Venezia nel 1528. Il ritratto, eseguito negli anni 1530-1535, rappresenterebbe però non Vittoria Colonna, allora sulla quarantina, ma Giulia Gonzaga (per la pertinenza del sonetto lo studioso ricorda ARIOSTO, Orlando furioso, XLVI, 8). Cfr. Michael Hirst, Sebastiano del Piombo, Oxford, Clarendon Press, 1981, pp. 116-19.
60 Novella Macola, Sebastiano Luciani detto Sebastiano del Piombo. Ritratto di Vittoria Colonna come Artemisia ?, in Vittoria Colonna e Michelangelo, cit., p. 52 (scheda n. 11) ; Ead., Sguardi e scritture, cit., pp. 47-52 e 158-60 ; Roberto Contini, Ritratto di donna (Vittoria Colonna come Artemisia ?), in Sebastiano del Piombo (1485-1547), cit., p. 220 (scheda n. 52).
61 « Il ritratto rivela una morbidezza di stesure luminose, una ispessita pasta cromatica, un meditativo intenerimento insieme artistico e umano, che meglio possono collegarlo con le opere degli anni Trenta ; per cui è preferibile la datazione proposta dal Dussler » : Lucco, L’opera completa di Sebastiano del Piombo, cit., p. 119 (scheda n. 83).
62 Bernard Berenson, Pitture italiane del Rinascimento : catalogo dei principali artisti e delle loro opere con indice dei luoghi, Milano, Hoepli, 1936, p. 448 ; Pallucchini, Sebastian Viniziano, cit., p. 63 (nella scheda alle pp. 165-66 il ritratto è datato « c. 1522-25 »).
63 Ludovico Ariosto, Orlando furioso, XXXVI, 18. Vittoria è paragonata ad Artemisia anche nella dedica che apre il XXII libro (databile al 1533) degli Hieroglyphica di Pierio Valeriano e, cosa più notevole, già nel 1510 (quando era da pochi mesi sposa all’Avalos) nella dedica dell’esemplare manoscritto dell’Itinerario nello Egypto, nella Surria, nella Arabia [...] nella Persia, nella India et nella Ethiopia di Ludovico de Varthema ora alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (Landau Finaly 9). Cfr. Macola, Sguardi e scritture, cit., pp. 49-51.
64 Risulta e contrario difficile pensare che la dama possa essere Giulia Gonzaga che, fedele seguace del Valdés, con l’Ochino ebbe rapporti sporadici.
65 Macola, Sguardi e scritture, cit., p. 52.
66 Gigliola Fragnito, Vittoria Colonna e il dissenso religioso, in Vittoria Colonna e Michelangelo, cit., p. 100.