Revue Italique

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Lo studiolo di madama. Minuzie di interesse vasariano

Domenico Chiodo

Nel corso di un seminario organizzato a Pavia per onorare la memoria di Cesare Bozzetti, seminario al quale non ho partecipato ma che alla lettura degli Atti1si mostra assai interessante, Agostino Casu è intervenuto sull’opera di un autore, Anton Francesco Raineri, troppo a lungo sottovalutato e ora improvvisamente oggetto di nuove attenzioni culminatenella riedizione della sua raccolta di rime2. Sulla sua fama, anche in epoca di rivalutazione della poesia petrarchista, ha pesato più del dovuto il giudizio riduttivo espresso da Guglielmo Gorni in un intervento rimasto a lungo l’unica testimonianza critica contemporanea sull autore3. Ora l edizione dei Cento sonetti e la ricostruzione biografica che in quella sede è fornita risarcisce appieno l’autore, e contemporaneamente il dotto intervento di Casu illustra doviziosamente la vocazione epigrammatica del suo canzoniere, da lui definito “visivo” per il carattere di ecfrasis che presentano numerosi sonetti. È proprio da uno di questi, il LXXII che parte lostudio di Casu: lo trascrivo, comprendendone anche la relativa “esposizione” del fratello Girolamo, dall’ edizione Sodano:

LXXII
Qui di duo Regi il fero ardir estinse,
Sallo il Tesin; qui ’l suo nemico sciolse,
Non men forte che pio; qui chinar volse
Al Pontefice il crin, che d’oro il cinse.

Qui fe’ l’erbe vermiglie, e l’onda tinse
Del sangue moro; e reverenti accolse
Qui l’un duce e qui l’altro, e l’armi tolse
Al Germano empio; e venne, e vidde, e vinse.

Qui domò gl’Indi, e le vittrici insegne
Di Giesù stese a un nuovo altro orizzonte
L’immortal genitor Cesare vostro.

Voi ne’ specchi de l’opre eterne e degne
I begli occhi pascete, e d’oro e d’ostro
Ornate ognor quell’onorata fronte.

Per intender il presente sonetto è da saper che la sopradetta Madama d’Austria nel palazzo de’ Medici in Roma, ov’ella abitava allora, avea fatto far un studiuolo a canto a la sua camera, di lavori di marmo e di stucco, e di ornamenti d’oro e di pitture rarissimo, ov’ella tenea le gioie e le cose sue più care, et in mezzo una imagine di marmo finissimo di Cesare suo padre, il quale ella adorava, doppo Dio, con affetto mirabile. Era dipinto il detto studiuolo a parecchi quadri di mano dei più eccellenti pittori d’Italia, e tra gli altri si vedea la presa del Re di Francia e di quel di Navarra a Pavia, la liberazione dei detti Re, la Coronazione a Bologna di S. M., l’impresa di Tunisi, la restituzione in stato del Duca Francesco Sforza, la remissione del Duca di Cleves, la presa del Duca di Sassonia e di Langravio, e le vittorie nell’Indie Occidentali: sott’ai quali impuose a l’autore che facesse l’inscrizioni latine, da porvi come l’opra fosse finita; e così fece, ond’egli ne fu donato largamente, per mano di Mons. della Valle, da la generosa liberalità di S. Ecc., a la quale è diretto il presente sonetto.

Al di là delle osservazioni che, muovendo da questo testo, Casu propone, il sonetto raineriano e la sua “esposizione” sono documenti storici di un certo rilievo perché dello studiolo di Margherita d’Austria a Palazzo Madama altre notizie, assai meno dettagliate, si conoscono da un’opera ben più famosa dei Cento sonetti. Mi riferisco alle Vite del Vasari, ove dello studiolo si tratta in due differenti luoghi. Innanzi tutto nella vita di «Jacopo detto l’Indaco», ove, nel finale, l’autore ricorda come anche al fratello di lui, Francesco, fosse stato attribuito il medesimo soprannome e poi, ricordandone i lavori, conclude:

Ma la miglior opera che mai uscisse dalle mani di costui, e la più lodata fu, nel palazzo de’ Medici in Roma, per la duchessa Margherita d’Austria uno studiolo di stucco tanto bello e con tanti ornamenti che non è possibil veder meglio, né credo che sia in un certo modo possibile far d’argento quello che in quest’opera l’ Indaco ece di stucco4.

Lo studiolo torna poi al centro della narrazione vasariana quando si tratta dell’opera di Daniele Ricciarelli, ovvero Daniele da Volterra, e del favore di cui lo circondavano «i signori Farnesi» e in particolare il cardinale Alessandro:

E a madama Margherita d’Austria, figliuola di Carlo Quinto, nel palazzo de’ Medici a Navona, [’n]dello scrittoio del quale si è favellato nella vita dell’Indaco, in otto vani dipinse otto storiette de’ fatti et opere illustri di detto Carlo Quinto imperatore, con tanta diligenza e bontà, che per simile cosa non si può quasi fare meglio5.

Di tale studiolo si dice non sia rimasta traccia essendo andato distrutto in uno dei tanti rifacimenti cui è stato sottoposto Palazzo Madama; tuttavia la descrizione che ne offre in dettaglio Girolamo Raineri consente di dissipare ogni residuo dubbio su una questione sollevata da Vittorio del Gaizo nel suo studio storico artistico sul palazzo ora sede del Senato della Repubblica. La cosiddetta Sala Italia, un tempo Salone dei re, vasta sala di rappresentanza ricavata nel 1904 con l’abbattimento di una parete divisoria, presenta alle pareti, nella cornice in alto, riquadrati da fregi pittorici, sei affreschi dicarattere storico «che una volta erano otto ed ora sono sei, perché i due che si trovavano sui lati della parete divisoria furono asportati e collocati nella Sala Cavour». Esaminando tali affreschi lo stesso Vittorio del Gaizo nota la coincidenza numerica con l’indicazione vasariana relativa allo studiolo di Madama e, sia pure con molte cautele, tuttavia afferma di ritenere Daniele da Volterra «fuori causa per ovvie considerazioni stilistiche, senza dire che dalle storie non traspare alcun riferimento alla vita di Carlo V»6. Noti i soggetti dei quadri e nota l’indicazione che essi erano commentati da didascalie latine redatte dal Raineri, si può senza la minima esitazione escludere che gli affreschi superstiti abbiano a che fare con lo studiolo di Margherita, ma il commento di Girolamo Raineri suscita invece una nuova questione che va segnalata agli studiosi del Vasari. Questi infatti attribuisce senza meno a Daniele da Volterra la pittura di tutte otto le «storiette» a esaltazione dell’Imperatore, mentre il Raineri, che non soltanto quello studiolo avrà visitato ma che sarà stato anche spettatore dei lavori per il suo allestimento, parla al plurale dei «più eccellenti pittori d’Italia», espressione che potrebbe sottintendere una generica volontà di amplificare ulteriormente il tono encomiastico della descrizione, ma che più verosimilmente andrà intesa alla lettera e servirà dunque a correggere e integrare in sede di commento il passo delle Vite vasariane relativo a Daniele da Volterra.

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1 La lirica del Cinquecento. Seminario di studi in memoria di Cesare Bozzetti, a cura di Renzo Cremante, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2004.

2 Cfr. A. Casu, Romana difficultas. I «Cento Sonetti» e la tradizione epigrammatica, in La lirica del Cinquecento, cit., pp. 123-54; ma soprattutto Anton Francesco Raineri, Cento sonetti, altre rime e pompe. Con la brevissima esposizione di Girolamo Raineri, a cura di Rossana Sodano, Torino, Res, 2004. Si vedano però anche la sezione dedicata al Raineri in Poeti del Cinquecento, a cura di Guglielmo Gorni, 1.1, Milano-Napoli, Ricciardi, 2001; e la scheda sui Cento sonetti redatta da Simone Albonico in “Sul Tesin piantàro i tuoi laureti”. Poesia e vita letteraria nella Lombardia spagnola (1535-1706), Pavia, Cardano, 2002, pp. 95-99.

3 Cfr. G Gorni, Un’ecatombe di rime. I “Cento sonetti” di Antonfrancesco Rainerio, in «Versants», n. 15 (1989), pp. 135-52. Nel corso di un altro incontro fra studiosi della lirica cinquecentesca, questa volta a Padova pochi giorni dopo il seminario pavese del 13 e del 14 dicembre 2001, Gorni diede molto simpaticamente giustificazione dell’acrimonia eccessiva con cui si espresse sul Raineri, per essere questi stato oggetto della tesi di laurea che Bozzetti gli assegnò d’imperio rintuzzando ogni suo tentativo di sostenere la dissertazione su argomento dantesco, ambizione della cui legittimità il tempo è poi stato più sereno giudice.

4 Giorgio Vasari,Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori. Nelle redazioni del 1550 e del 1568, Testo a cura di Rosanna Bettarini. Commento secolare a cura di Paola Barocchi, Sansoni, Firenze, 1971, vol. III pp. 630-31. Il brano relativo all’Indaco è presente soltanto nell’edizione del 1568.

5 Vasari, Le Vite, vol. V p. 543.

6 V.del Gaizo, Palazzo Madama, in Il Palazzo Madama. Sede del Senato, Roma, Editalia, 1969, p. 74.