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La censura ecclesiastica romana e la cultura dei « semplici »

Gigliola FRAGNITO

Università degli studi di Parma

NdA : Abbreviazioni : BAV = Biblioteca Apostolica Vaticana ; ILI = Index des livres interdits, ed. J.-M. De Bujanda, Sherbrooke-Genève, Centre d’études de la Renaissance-Droz, 10 vol., 1984-1996 ; ACDF = Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Sant’Ufficio) ; Index= Archivio della Congregazione dell’Indice (la numerazione romana indica le serie, quella araba i volumi all’interno delle serie).

L’apertura nel 1998 dell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, che ospita l’archivio della Congregazione del Sant’Ufficio e quello della Congregazione dell’Indice dei libri proibiti, ha indubbiamente segnato una svolta profonda negli studi sulla censura ecclesiastica in Italia e sulle sue ripercussioni sulla produzione, la circolazione e il consumo dei libri. Sebbene, anche alla luce dei numerosi « cantieri » ancora aperti, appaia prematuro un bilancio di quasi un quindicennio di ricerche, l’accesso a fonti nuove sembra aver orientato l’attenzione degli studiosi su settori della produzione editoriale precedentemente trascurati. Lo sguardo si è, in effetti, spostato dal terreno, fino ad anni recenti maggiormente dissodato, della circolazione del libro teologicamente ereticale o delle opere di singoli protagonisti della vita intellettuale italiana – quelli che la storiografia liberale e anticlericale del Risorgimento definiva i « martiri del libero pensiero » – ad ampi filoni dell’industria tipografica, mettendo in luce interventi delle autorità ecclesiastiche in campi prima poco esplorati o sui quali indagini limitate ad aspetti specifici non permettevano di formulare interpretazioni complessive.

In quest’ottica, per quanto riguarda l’Età moderna, sono stati presi in esame i provvedimenti che hanno colpito, pur tra ambiguità, incertezze, oscillazioni, intere categorie di scritti, dai trattati sul duello ai testi giuridici e filosofici1, dalle opere astrologiche2 ai libri ebraici3, dalle opere bibliografiche ai classici dell’illuminismo italiano ed europeo4, dalla letteratura di evasione alle raccolte epistolari e all’agiografia5, dalla letteratura devozionale e mistica6 a quel vastissimo settore rappresentato dalle traduzioni nelle lingue materne della Sacra Scrittura e da un’ampia gamma di testi in volgare di contenuto biblico7. Questo nuovo approccio, pur non trascurando categorie di libri o singole opere destinate prevalentemente ai professionisti, ha privilegiato i testi frequentati da coloro che la documentazione coeva definiva simplices, rudes, indocti. Definizione che rinvia a quel « mondo anfibio ai confini tra oralità e scrittura »8, a uomini e donne di ogni strato sociale, dotati di capacità intellettuali e di livelli di cultura tutt’altro che omogenei, ma accomunati dall’esclusione da un regolare processo di scolarizzazione incentrato sugli studi classici e sulla conoscenza del latino. La categoria dei simplices comprendeva in effetti individui che sapevano leggere e scrivere ; che sapevano solo leggere, correntemente o stentatamente ; o che non sapevano né leggere, né scrivere ma che erano capaci di entrare in contatto con la parola scritta attraverso l’oralità, ascoltando chi sapeva leggere o recitare. Da questo nuovo approccio risaltano in maniera sempre più evidente le tracce profonde e durevoli lasciate dalla censura nella cultura e nella religiosità dell’italiano « comune » e s’impone una valutazione più articolata della politica repressiva della Chiesa e della sua incisività.

Alla luce delle ampie crepe determinate dai farraginosi sistemi di controllo, appare, infatti, bisognosa di correzione o quantomeno di attenuazione la tesi dell’isolamento culturale della penisola rispetto al resto d’Europa. Obiettiva impraticabilità di una sorveglianza capillare, commercio clandestino, circolazione manoscritta di opere vietate, disponibilità di mercanti e diplomatici a introdurre nella penisola opere stampate fuori d’Italia, scambi all’interno della Repubblica delle lettere, consentono al mondo delle università, delle accademie, delle professioni liberali, sia pure entro certi limiti e tra infinite cautele, l’accesso alla produzione proibita d’oltralpe9.

Se le misure prese per bloccare la circolazione di libri « perniciosi » fra i dotti e gli eruditi furono spesso aggirate, ben altrimenti efficaci e di più vasta portata appaiono i provvedimenti che colpirono, in conseguenza dei progressi dell’arte tipografica e della diffusione della Riforma protestante, il mondo dei non professionisti, ossia la massa dei fedeli. Ad allarmare la Chiesa furono infatti, da un canto, l’incremento, lungo il Cinquecento, della produzione a stampa in volgare, che aveva consentito a fasce sociali, precedentemente escluse, di avvicinarsi alla parola scritta e di superare la barriera costituita dalla sempre più estesa incomprensione del latino ; dall’altro, la penetrazione nella penisola delle dottrine protestanti che aveva suscitato un vivace risveglio d’interesse e di curiosità per le tematiche religiose. Uomini e donne di ogni ceto si erano sentiti legittimati a « por bocca nelle cose pertinenti alla religione et de essa ragionare così alla libera come se fossero gran theologi »10 e a interrogarsi sul significato della propria fede, mostrando di non rassegnarsi più a « stare cheti ai precetti, comandamenti et declaratione della Santissima Romana Chiesa »11. Il dilagare, oltre che nelle piccole comunità rurali, nei mercati, nelle botteghe, nelle piazze cittadine, dei dibattiti sulle dottrine controverse aveva bruscamente abbattuto gli steccati che separavano chierici e uomini di cultura dal comune fedele. Era, quindi, urgente difendere la sacralità e l’universalità del latino e riaffermarne il monopolio sulla cultura religiosa, riducendo progressivamente gli spazi crescenti che la lingua italiana si era conquistata.

Fu attraverso un percorso contrastato – che delineerò brevemente – che si pervenne a privare gli italiani per oltre duecento anni delle traduzioni integrali della Bibbia e di una serie di volgarizzamenti della Scrittura che dal tardo medioevo avevano nutrito la loro pietà. Solo nel 1758, in un clima ricco di fermenti muratoriani e giansenistici, Benedetto XIV autorizzerà chiunque a leggere versioni volgarizzate della Sacra Scrittura, purché corredate da annotazioni e approvate dalla Santa Sede. Nel 1773 venne ristampata in Italia la revisione di Alvise Guerra della traduzione del Malerbi, seguita dalla versione italiana della Bibbia francese di Louis-Isaac Le Maistre de Sacy (1775-1779) e dalla traduzione di Antonio Martini (1769-1781). Erano trascorsi oltre due secoli dall’ultima edizione veneziana di una traduzione integrale della Bibbia (1567).

Risaliva al 1558, anno in cui l’Inquisizione emanò il primo indice romano, il primo divieto delle traduzioni integrali del Vecchio e del Nuovo Testamento nelle lingue vernacolari12. Tale divieto venne, però, fortemente attenuato nell’indice del 1564 preparato, al Concilio di Trento, da una commissione di vescovi, che prevedeva nella regola IV che vescovi o inquisitori, sentito il parere dei parroci o dei confessori, potessero autorizzarne la lettura. Questa attenuazione permise la ripresa in Italia della stampa di traduzioni della Bibbia, che s’interruppe solo nel 1567 dopo l’ascesa al papato del cardinale Michele Ghislieri. Tra gli estensori del primo indice, questi diede avvio alla progressiva erosione della legislazione tridentina al fine di ripristinare e di inasprire le proibizioni del 1558. Due obiettivi, che verranno meglio precisandosi nel tempo, sottendevano gli orientamenti intransigenti di Pio V : impedire l’accesso al testo sacro a chi non sapesse il latino e ridurre gli spazi del volgare nella pratica religiosa e devozionale13.

Emblematica in tale prospettiva la sorte riservata ai libri di ore nel quadro della riforma dei libri liturgici14. La revisione del breviario romano, destinato al clero e alle monache tenuti a recitare l’ufficio divino, comportò la correzione dell’Officium beatae Mariae Virginis che ne era una versione meno autorevole, ma ampiamente diffusa anche tra i laici. Depurato di « molte cose superflue » atte a incoraggiare « varie superstizioni »15, l’Officium reformatum venne pubblicato nel marzo del 1571 preceduto dalla bolla Ac ut fidelium in cui Pio V stabiliva che gli esemplari delle vecchie edizioni potessero essere salvati, ma previa espurgazione da parte degli inquisitori.

Il restauro filologico del testo latino della liturgia delle ore non mancò di richiamare l’attenzione dei revisori sulle sue molteplici versioni in volgare, nelle quali la presenza degli « abusi » denunciati nell’Officium destava maggiori preoccupazioni per il loro larghissimo consumo da parte di laici, chierici e monache digiuni di latino, che ne faceva in assoluto uno dei best-sellers della letteratura devozionale europea prima dell’apparizione di Lutero16. Tuttavia, lungi dal prevedere, come per gli Officia latini, la possibilità di un loro recupero attraverso l’espurgazione, la stessa bolla proibiva i libri di ore nelle lingue vernacolari – in primis in italiano17 – e prescriveva che fossero consegnati « quanto prima » agli inquisitori « senza speranza alcuna di recuperarli mai ». Estendeva, inoltre, il divieto alle orazioni e alle litanie in volgare. Questo diverso trattamento evidenzia senza equivoci lo scopo precipuo delle proibizioni : non tanto la lotta alle « superstizioni », contro le quali si poteva ricorrere all’espurgazione, quanto il contenimento del dilagante uso del volgare nelle pratiche religiose pubbliche e private, in particolare laddove esso consentiva l’accesso a estesi brani della Scrittura come nel caso degli Ufficioli della Madonna.

Con la rimozione dei libri d’ore è indubbio che Roma intendesse reagire a due principi cardine della Riforma : l’importanza attribuita alla diffusione della Bibbia e l’insistenza su una pietà più consapevole e più individuale, fondata sulla comprensione delle pratiche religiose. Nel divieto degli Ufficioli della Madonna, tramite prevalente per la formazione biblica dei laici, si saldarono il riacutizzarsi dell’avversione nei confronti delle traduzioni della Scrittura e l’opposizione sempre più forte alla tesi secondo cui l’efficacia della preghiera era strettamente legata alla comprensione letterale dei testi.

Il divieto del 1571 non fu, comunque, un provvedimento isolato : esso si iscriveva in un disegno più ambizioso che, tra profonde lacerazioni ai vertici stessi della Chiesa, l’Inquisizione avrebbe perseguito con tenacia e successo. Nelle more della promulgazione del terzo indice romano che la Congregazione dell’Indice, istituita a tal uopo nel 1572, porterà a compimento solo nel 1596, si moltiplicarono, infatti, le proibizioni relative a opere volgari di contenuto biblico. A partire dagli anni settanta, per ordine dell’Inquisizione, non soltanto venne revocata ai vescovi e agli inquisitori la facoltà di autorizzare la lettura delle traduzioni integrali della Bibbia prevista dalla regola IV tridentina, ma furono proibiti testi devozionali di largo consumo come le Epistole & Evangelii per l’anno liturgico, i salmi, i Fioretti della Bibbia, le Figure della Bibbia, le storie sacre, le versificazioni bibliche. Si trattò, tuttavia, di interventi frammentari e surrettizi in quanto in aperta violazione dell’indice conciliare ancora formalmente in vigore18. Essi, inoltre, contrastavano con le decisioni della Congregazione dell’Indice che, incurante dei provvedimenti adottati dal Sant’Ufficio, ripropose la quarta regola tridentina nell’indice promulgato da Clemente VIII il 27 marzo 1596. Decisioni respinte dall’Inquisizione che obbligò il pontefice a sospendere l’indice per inserirvi rettifiche. Nella Observatio circa quartam regulam venne ribadita la revoca della facoltà concessa a vescovi e inquisitori di autorizzare la lettura di versioni integrali della Bibbia e dei summaria e compendia della Scrittura in volgare, il che in sostanza equivaleva a vietarli19.

La formulazione tutt’altro che precisa dell’Observatio provocò un profluvio di allarmati quesiti da parte di coloro che dovevano applicarla e costrinse la Congregazione dell’Indice a chiarire l’estensione e i contenuti delle proibizioni20. Estremamente chiara quanto alle versioni integrali o parziali della Bibbia, la Observatio lo era assai meno nel riferimento ai « summaria » e « compendia ». La sua genericità consentiva, infatti, il sequestro e il rogo di una molteplicità di testi che, sia pure in diversa misura e forma, presentavano materiali di derivazione scritturale e andava a colpire opere che godevano di vasta fortuna non soltanto tra i comuni fedeli, ma anche tra i chierici secolari e regolari e tra le monache21. A quelle già menzionate si aggiungevano ora tutte quelle opere che, in versi o in prosa, riportavano il « nudo » testo della Scrittura : dai sermonari alle Meditationi della vita di Gesù Christo dello pseudo-Bonaventura, allo Specchio di Croce di Domenico Cavalca, alle raccolte di salmi, alle Vite e Passioni di Gesù, alle Vite e Lamenti della Madonna. Un divieto così onnicomprensivo che, interpretato rigorosamente, avrebbe impedito di recitare perfino il Padre Nostro e il decalogo nelle lingue materne – come osservava polemicamente Roberto Bellarmino22 – non poteva non suscitare le vibrate proteste dei fedeli che si vedevano spogliati di opere frequentate da secoli, e nel contempo, spesso, privati della loro « biblioteca minima ». Piovvero negli uffici romani, provenienti da ogni angolo della penisola, le reazioni indignate e incredule delle popolazioni, di cui si fecero portavoce vescovi e inquisitori.

Nelle centinaia di lettere indirizzate alla Congregazione dell’Indice è documentata quella lunga consuetudine degli italiani con il sacro testo che i padri al Concilio di Trento avevano cercato di difendere. Certo le traduzioni integrali non erano appannaggio di tutti. Ma principi, magistrati, uomini di legge, soldati, donne dell’aristocrazia e dei patriziati cittadini, monache, frati e preti, che le possedevano e chiedevano di poterle trattenere nonostante i divieti, condividevano con uomini e donne, alfabetizzati e non, di tutti i ceti sociali, testi di contenuto biblico. Ufficioli della Madonna, Epistole et Evangeli per l’anno liturgico, raccolte di salmi, Fioretti della Bibbia, Figure della Bibbia, storie sacre, Meditazioni della Passione di Cristo, Vite di Cristo e della Vergine, spesso scritte in ottava rima per una più facile memorizzazione : questi i libri – tra i prediletti, è noto, del mugnaio Menocchio23 – a fine Cinquecento risultano essere in assoluto i libri più posseduti, più sequestrati e più bruciati, ma anche i più strenuamente difesi dai loro proprietari24.

Se molti esecutori dell’indice non si fecero troppi scrupoli e mandarono al rogo bibbie integrali e volgarizzamenti di ogni sorta, altri non mancarono di segnalare a Roma che « il levar le Biblie volgari alle donne et gli Evangelii dello anno le confonde et quasi si risolvono a non lo poter credere »25 ; « che tutte queste monache, et infinite altre persone del’uno et l’altro sesso, pie e devote, si querelano grandemente di non poter’ tenere il testamento novo vulgare, o almeno li evangelii e l’Epistole correnti »26 ; che « duole infinitamente a le persone devote et a le monache particolarmente di perdere la lettione delli evangelii vulgari, ne quali mostran che si consolavano grandemente »27. Né mancava chi ricorreva a Roma chiedendo di essere autorizzato a restituire ai suoi fedeli, come si era impegnato a fare :

Evangelii, Salmi vulgari con qualche parafrasi, come del Panigarola et altri, Vita dei santi tradotta in lingua italiana, detta altrimenti Flos sanctorum ; qualche quadragesimale, sebbene [al loro interno] siano dichiarati in lingua vulgare gli evangeli, qualche bibbia vulgare, Fioretti della bibbia, da lui sequestrati a molte persone pie et veramente catoliche [...] con tanta loro malagevoleza che non bastarei per esprimerla28.

Alcuni trasmisero il disagio del loro gregge con toni ben più risentiti. Dopo aver sottolineato « lo scandolo che pigliano i semplici » di essere privati dei lezionari e aver comunicato che « vanno dicendo che leggeranno la Quaresima il Boccaccio et il Morgante e che possono fare senza andare a prediche perché non le intenderanno », non esitavano a chiedere di liberare « questo popolo da questo scandolo »29.

Queste e molteplici altre testimonianze documentano in maniera inequivocabile come l’offensiva della Chiesa contro la Scrittura, spazzando via un patrimonio largamente e lungamente condiviso, creasse una profonda cesura nelle consuetudini devozionali degli italiani e come a fine Cinquecento fosse ormai radicata l’equiparazione tra testo sacro e testo eretico, se nel perorare un’attenuazione dei divieti gli esecutori dell’indice clementino avvertivano il bisogno di sottolineare che coloro i quali chiedevano la restituzione dei testi biblici sequestrati erano « persone pie et veramente catoliche », persone non sospette di propensioni ereticali.

Il settore biblico non fu, però, il solo settore editoriale di grande consumo a essere oggetto dei rigori della censura. Anche le opere letterarie, nessun genere escluso, vennero prese di mira, ma in maniera assai più subdola30. Chi sfogliasse gli indici romani del Cinquecento s’imbatterebbe, infatti, in poche condanne di opere e di autori. Persino il primo catalogo – il più devastante tra gli indici romani – ne registrò pochi. Alcuni autori, Ortensio Lando, Anton Francesco Doni, Niccolò Franco, vi appaiono perché ritenuti eretici o sospetti di eresia ; altri per opere giudicate irriverenti nei confronti delle istituzioni della Chiesa, del papato, del clero, delle monache, o perché moralmente scabrose, oscene o sconvenienti, come Giovanbattista Gelli, Luigi Pulci, Francesco Berni, Giovanni Della Casa, Giovanni Boccaccio, Masuccio Salernitano, Poggio Bracciolini, Pietro Aretino, Luigi Tansillo. Dall’indice del 1564, più moderato del precedente, vengono depennati Della Casa, Berni e Tansillo e il Morgante del Pulci, mentre per i Capricci del bottaio del Gelli e per il Decameron di Boccaccio è prevista l’espurgazione. Sarebbe, tuttavia, incauto fermarsi agli autori e alle opere esplicitamente menzionati negli indici. Per cogliere le dimensioni reali dell’attacco degli organi repressivi alla letteratura d’evasione occorre guardare soprattutto alle regole che, introdotte a partire dal 1564 in apertura degli indici, ne costituiscono una specie di cornice normativa.

Delle dieci regole generali dell’indice tridentino, mentre alcune formalizzavano il principio dell’espurgazione, la settima, vietando opere che « trattano, narrano o insegnano ex professo cose lascive o oscene », investiva direttamente la letteratura, anche perché la genericità del divieto si sarebbe prestata a ogni sorta di arbitrio interpretativo. Lo si vide a partire dagli anni settanta quando si verificò un generale irrigidimento dei criteri censori e maturò la convinzione che la lascivia e l’oscenità, ma anche l’anticlericalismo e l’anticurialismo, la commistione tra temi sacri e temi profani, l’accondiscendenza verso ogni tipo di pratiche magiche, che connotavano gran parte dei testi letterari italiani e, in particolare, i popolarissimi romanzi cavallereschi31, favorissero costumi immorali e propensioni ereticali. Nella Bibliotheca selecta (1593) Antonio Possevino giunse a equiparare i romanzi di cavalleria a diabolici veicoli di eresia, additando nella traduzione francese dell’Amadigi l’esca con la quale Satana aveva attirato al calvinismo la nobiltà di Francia32. È in questa nuova temperie che le autorità centrali iniziarono a diramare liste che, sia pure in maniera assai confusa, colpivano un numero elevatissimo di letterati, tra i quali Alamanni, Ariosto, Bandello, Bembo, Brunetti, Burchiello, Castiglione, Calmo, Doni, Firenzuola, Teofilo Folengo, Franco, Ludovico Guicciardini, Parabosco, Sansovino, Speroni, Straparola, ecc., e vietavano una vasta gamma di scritti sotto voci onnicomprensive come « Comedie dishoneste », « Lettere amorose », « Madrigali dishonesti, & lascivi », « Canzone dishoneste, & lascive cioè in canto », « historie tutte che non apportano giovamento ne alla fede, ne a buoni costumi »33. Mentre la periferia veniva raggiunta da questi elenchi, che indussero un attonito Torquato Tasso a interrompere la Gerusalemme liberata34, a Roma si trattava « di continuo di levar via tanti libri volgari »35 ; si proibiva ai librai di rifornirsi di edizioni del Furioso36 ; si diffidavano gli stampatori dal pubblicare « storie, comedie et altri libri volgari d’inamoramenti, che pur troppo si vitia il mondo da se stesso »37 e i censori passavano al setaccio gran parte dei testi incriminati, suggerendo senza scrupoli che le Rime e i Trionfi di Petrarca, « maestro di sporche libidini », e il Furioso di Ariosto, « uomo impudicissimo e frivolissimo », venissero consegnati alle fiamme38.

Erano altrettanti segnali di interpretazioni decisamente estensive della regola settima tridentina, destinati a essere recepiti negli indici « nazionali », ossia negli elenchi dei libri scritti o tradotti nelle lingue vernacolari condannati o sospesi da collocarsi in appendice al terzo indice romano. Fu l’oratore veneziano Paolo Paruta a denunciare i danni che l’indice dei « libri volgari italiani » avrebbe arrecato all’editoria della Repubblica39 e a convincere Clemente VIII a eliminare tutti gli indici « nazionali » dal terzo catalogo romano che, dopo una laboriosissima confezione, venne promulgato nel 1596. L’eliminazione non servì a salvare le opere letterarie : alle dieci regole tridentine vennero aggiunte nuove regole, che avevano lo scopo di fornire ai censori una guida sia per la revisione delle opere che andavano in stampa sia per quelle che, già stampate, dovevano essere emendate. Lungi dal limitarsi a colpire l’eresia teologica, le norme de correctione librorum condannavano tutto ciò che poteva offendere la morale cristiana, la reputazione di ecclesiastici, principi e privati, i riti e le istituzioni della Chiesa, gli ordini religiosi ; tutto ciò che poteva favorire la superstizione, che faceva riferimento a sortilegi e divinazione e al fato e alla fortuna ; l’uso scorretto della Sacra Scrittura e di un linguaggio pagano ; gli attacchi alla giurisdizione ecclesiastica e la difesa della ragion di stato : in breve tutto ciò che rispondeva al criterio – quanto mai elastico e nebuloso – di « offesa alle pie orecchie » dei lettori40. In tal modo le possibilità di intervento dei censori diventavano pressoché illimitate, come documenta l’applicazione dell’indice del 1596. I testi letterari insieme alle opere di contenuto biblico in volgare rappresentano le categorie più massicciamente presenti tra i libri sequestrati. Molti vennero mandati al rogo, ma la gran maggioranza fu depositata negli archivi inquisitoriali. Per molti di questi scritti sospesi donec corrigantur si trattò di un parcheggio definitivo : il più volte annunciato indice espurgatorio delle opere letterarie non vide mai la luce, e solo di pochissimi testi vennero allestite edizioni espurgate che li riproponevano pesantemente mutilati e manipolati, come accadde al Decameron e a molte altre opere41. Gli altri scompariranno dal mercato per riapparirvi solo nel Settecento. Dissuasi dagli organi centrali dall’investire le loro energie nel recupero di scritti giudicati superflui e inutili, i censori preferirono sforbiciare e inchiostrare opere reclamate dai professionisti42.

D’altro canto la letteratura d’evasione – diversamente dai volgarizzamenti della Scrittura – non trovò difensori né ai vertici della curia, né tra gli esecutori dell’indice. Mentre su molte categorie di libri o su singole opere erano emerse posizioni contrastanti e in alcuni casi conflittuali, sulla letteratura organi centrali e periferici si mossero in totale sintonia. L’avversione nei confronti di poeti e prosatori era infatti condivisa da intransigenti e moderati per ragioni di varia natura.

Da una parte, in anni in cui la Chiesa si adoperava – con esiti molto scarsi – all’irrobustimento e alla riforma delle istituzioni ecclesiastiche e a una riqualificazione dell’alto e basso clero, fondata su una marcata separatezza dal laicato, i suoi apparati repressivi non potevano non ingaggiare una lotta serrata contro la vena anticlericale e anticuriale che percorreva gran parte della letteratura italiana : una letteratura in cui istituzioni, riti, devozioni, sacramenti erano fatti oggetto di irrisione e di scherno e in cui preti, frati e monache erano protagonisti di vicende scabrose. Dall’altra, sotto la spinta dell’applicazione dei decreti tridentini e dello spostamento dell’attenzione dalla lotta al dissenso teologico, ormai debellato, alla moralità individuale e collettiva e alle « superstizioni », accanto alla lascivia e all’oscenità, condannate nella regola settima tridentina, erano ora anche la profonda immersione nel magico e nel sacro di molti protagonisti delle opere letterarie e il loro ambiguo profilo di eroi ad un tempo della mitologia pagana e dell’epopea cristiana a preoccupare i censori, sempre più propensi a ravvisare nel meraviglioso i segni di una diffusa irriverenza nei confronti della religione che poteva facilmente sconfinare nell’eresia. Quella secolare, innocua abitudine di poeti e narratori di adornare comuni esseri mortali di attributi riservati alla divinità e ai santi ; di divinizzare la donna e l’amore ; di accordare preminenza nel destino dell’uomo al fato e alla fortuna (in contrasto sia con la dottrina del libero arbitrio, sia con la visione della storia retta non dal caso, ma da un disegno provvidenziale) ; di affollare il comune linguaggio di parole, di modi di dire, di proverbi tratti da fonti liturgiche e bibliche, veniva ora guardata con diffidenza e intolleranza crescenti.

Non è quindi da stupire che così come sulla produzione di contenuto biblico in volgare, anche sulla letteratura si abbattessero i fulmini della censura, con effetti rilevanti, ancorché spesso trascurati, sulla vita culturale e religiosa degli italiani. Se è indubbio che la svolta repressiva di fine Cinquecento abbia avuto un’incidenza più profonda e penetrante sui « semplici » che non sul mondo dei professionisti e degli uomini di lettere, è altrettanto indiscutibile che le sue ripercussioni si siano estese ben al di là del campo religioso. Rimane, tuttavia, da verificare in questo settore in cui – con il pretesto di salvaguardarli da pericolose derive eterodosse e da trasgressioni morali – i comuni credenti vennero allontanati dai testi fondanti della loro fede, quali testi devozionali riuscirono a sostituire la letteratura biblica proibita. I cataloghi dei tipografi lasciano intravedere una significativa impennata della produzione agiografica, ma lo stesso fenomeno non sembra toccare le opere dei grandi maestri spagnoli di spiritualità, la cui lettura il clero si impegnò a promuovere.

Anche l’accanimento contro le opere della letteratura italiana che, se esaminato dall’angolo ristretto della lotta alla lascivia e all’oscenità può essere ricondotto nell’alveo tranquillizzante della riforma dei costumi43, ebbe finalità molto più estese, come documenta l’attività dei correttori. Profondamente permeata da umori anticlericali e anticuriali, irriverente nei confronti di papato, curia e clero alto e basso, essa poteva fornire ai lettori un antidoto contro la confessionalizzazione della cultura e della società e dotarli di anticorpi contro la subordinazione all’autorità ecclesiastica. E furono questi aspetti a provocare le più frequenti espunzioni dei censori, spesso incuranti della presenza di esplicite adesioni a dottrine condannate dalla Chiesa44. Ma per misurare più concretamente l’incidenza delle proibizioni sulla letteratura sarà opportuno seguire gli sviluppi dei generi che ne furono investiti. Per quanto riguarda quantomeno il genere più fortunato, il romanzo cavalleresco, che, malgrado i ripetuti fulmini, la Chiesa non riuscì a sopprimere, occorrerà individuare le profonde modifiche da esso subite sotto le pressioni della censura preventiva e dell’autocensura. È significativo che, svuotato di amori, incanti, magie e sortilegi, nessun romanzo cavalleresco scritto dopo la fine del Cinquecento riuscì a sostituire i Reali di Francia e il Guerrin meschino di Andrea da Barberino, il Furioso di Ariosto e la Gerusalemme Liberata del Tasso, letti o recitati a mente ancora all’inizio del Novecento nelle veglie contadine45.

Ma è sul processo di alfabetizzazione e di unificazione linguistica che la lotta al volgare condotta dalla Chiesa sembra aver lasciato le tracce più durature. E non soltanto perché, come mostrano le liste dei libri sequestrati, a essere colpite erano opere di larghissimo consumo, ma perché i volgarizzamenti biblici, a cominciare dagli Ufficioli della Madonna, e le opere della letteratura italiana, con una predilezione per i « libri di batagia », venivano utilizzati per avviare i bambini all’apprendimento dei primi rudimenti della lettura sia entro le pareti domestiche sia nelle scuole d’abaco, dove quei libri venivano portati da casa46. A fine Cinquecento i divieti, nonché il più rigido controllo esercitato dalle autorità diocesane sulle attività delle scuole private o gestite dalle comunità e il potenziamento delle strutture e degli strumenti catechistici47, causarono progressive modifiche dei tradizionali, ancorché fluidi, percorsi didattici delle scuole di abaco, aperti alla cultura e alla letteratura volgari. L’insegnamento primario venne da allora fondandosi prevalentemente sulla lettura e sulla ripetizione mnemonica di orazioni in latino e dell’Officium Beatae Virginis, mentre l’uso dell’italiano fu riservato al catechismo, che i fanciulli « recitavano pressoché a memoria per essere stati nella sola lettura di esso per anni e anni esercitati »48. Che la recita di succinti e aridi catechismi in italiano e di meccaniche preci in latino possa aver contribuito alla crescita culturale e alla maturazione religiosa degli italiani rimane da dimostrare49. Né andrà trascurata la diffidenza che la Chiesa seppe inculcare verso il possesso di libri – di qualsiasi libro – e delle sue ripercussioni sulla pratica della lettura.

Basti qui richiamare alla mente la reazione di Domenico, ciabattino di Spilimbergo, il quale dopo la sottrazione e distruzione dei suoi unici tre libri – il Furioso, il Decameron e il Nuovo Testamento – dichiarò : « Zurai non legger mai più »50. O il sollievo con cui un vescovo comunicava a Roma che il suo popolo era dedito « per la Dio gratia [...] ad altri essercitii, che a libri »51.

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1 Cf. Claudio Donati, « A Project of ‘Expurgation’ by the Congregation of the Index : Treatises on Duelling », in Church, Censorship and Culture in Early Modern Italy, ed. Gigliola Fragnito, Cambridge, Cambridge University Press, 2001, p. 134-162. Rodolfo Savelli, Censori e giuristi : storie di libri, di idee e di costumi (secoli XVI-XVII), Milano, Giuffrè, 2011. Saverio Ricci, Inquisitori, censori, filosofi sullo scenario della Controriforma, Roma, Salerno, 2008, e Id., « Censura ecclesiastica, filosofia, Controriforma », Dimensioni e problemi della ricerca storica, 2012, 1, p. 125-169.

2 Sulle opere astrologiche e più in generale scientifiche si vedano in particolare gli studi di Ugo Baldini, « Le congregazioni romane dell’Inquisizione e dell’Indice e le scienze, dal 1542 al 1615 », in L’Inquisizione e gli storici : un cantiere aperto, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2000, p. 329-364 ; Id., « The Roman Inquisition’s Condemnation of Astrology : Antecedents, Reasons and Consequences », in Church, Censorship, ouvr. cité, p. 79-110 ; Id., « Die Römischen Kongregationen der Inquisition und des Index und der Naturwissenschaftlichen Fortschritt im 16. bis 18. Jahrhundert : Anmerkungen zur Chronologie und zur Logik ihres Verhältnisses », in Inquisition, Index, Zensur: Wissenskulturen der Neuzeit im Widerstreit, ed. Hubert Wolf, Paderborn, Ferdinand Schöning, 2001, p. 229-278 ; Id., « L’Inquisizione romana e le scienze : etica, ideologia, storia », in L’Inquisizione, ed. Agostino Borromeo, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2003 (Studi e testi, 417), p. 661-707 ; Id., « La chiesa cattolica e le scienze (secoli XVI-XVIII) », in Le religioni e il mondo moderno, vol. I, Cristianesimo, ed. Giovanni Filoramo e Daniele Menozzi, Torino, Einaudi, 2008, p. 109-137 ; U. Baldini, L. Spruit, « Cardano e Aldrovandi nelle lettere del Sant’Uffizio romano all’Inquisitore di Bologna (1571-73) », Bruniana & Campanelliana, 6 (2000), p. 145-163 ; Id., « Nuovi documenti galileiani dall’archivio della Congregazione per la dottrina della fede », Rivista di storia della filosofia, 56 (2001), p. 661-699 ; Id., « Catholic Church and Modern Science : prolegomena to the Edition of Inquisition and Index documents », in Verbotene Bücher. Zur Geschichte des Index im 18. und 19. Jahrhundert, ed. H. Wolf, Paderborn, Ferdinand Schöning, 2007, p. 391-426 ; e soprattutto Catholic Church and Modern Science: documents from the Historical Archives of the Roman Holy Office and the Index, vol. I, Sixteenth-Century Documents, ed. U. Baldini e L. Spruit, Roma, Libreria Editrice Vaticana, 2009.

3 Marina Caffiero, « I libri degli ebrei : censura e norme della revisione in una fonte inedita », in Censura ecclesiastica e cultura politica in Italia tra Cinquecento e Seicento, ed. Cristina Stango, Firenze, Olschki, 2001, p. 203-223 ; Fausto Parente, « The Index, the Holy Office, the Condemnation of the Talmud and Publication of Clement VIII’s Index », in Church, Censorship, op. cit., p. 163-193.

4 Luigi Balsamo, « How to Doctor a Bibliography : Antonio Possevino’s Practice », in Church, Censorship, op. cit., p. 50-78 ; U. Rozzo, « Biblioteche e censura : da Conrad Gesner a Gabriel Naudé », Bibliotheca, 2 (2003), p. 33-72 ; Patrizia Delpiano, Il governo della lettura : chiesa e libri nell’Italia del Settecento, Bologna, Il Mulino, 2007.

5 Lodovica Braida, Libri di lettere : le raccolte epistolari del Cinquecento tra inquietudini religiose e ‘buon volgare’, Roma-Bari, Laterza, 2009. Miguel Gotor, Santi stravaganti : agiografia, ordini religiosi e censura ecclesiastica nella prima età moderna, Roma, Aracne, 2012.

6 Giorgio Caravale, L’orazione proibita : censura ecclesiastica e letteratura devozionale nella prima età moderna, Firenze, Olschki, 2003 ; Id., « Forbidding Prayer in Italy and Spain : Censorship and Devotional Literature in the Sixteenth Century. Current Issues and Future Research », in Reading and Censorship in Early Modern Europe, ed. María José Vega, Julian Weiss, Cesc Esteve, Bellaterra, Universitat Autònoma de Barcelona, Servei de Publicacions, 2010, p. 57-78 ; Edoardo Barbieri, « Tradition and change in the spiritual literature of the cinquecento », in Church, Censorship, op. cit., p. 111-133 ; Adelisa Malena, L’eresia dei perfetti : inquisizione romana ed esperienze mistiche nel Seicento italiano, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2003. Per le orazioni superstiziose cf. Maria Pia Fantini, « Censura romana e orazioni : modi, tempi, formule (1571-1620) », in L’Inquisizione e gli storici, op. cit., p. 221-243 ; Ead., « Saggio per un catalogo bibliografico dei processi dell’Inquisizione : orazioni, scongiuri, libri de segreti (Modena 1571-1608) », Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento, 25 (1999), p. 587-668.

7 G. Fragnito, La Bibbia al rogo : la censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura (1471-1605), Bologna, Il Mulino, 1997 ; Ead., Proibito capire : la Chiesa e il volgare nella prima età moderna, Bologna, Il Mulino, 2005.

8 Marina Roggero, L’alfabeto conquistato : apprendere e insegnare nell’Italia tra Sette e Ottocento, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 19, ma si vedano in particolare p. 19-76. È, tra l’altro, un mondo che, privo di confini nettamente definiti verso l’alto e verso il basso della società, sembra più esteso dello « strato culturale intermedio » (tra dotti e analfabeti) formatosi prevalentemente nelle scuole di abaco di cui ha trattato Carlo Maccagni, « Leggere, scrivere e disegnare la “scienza volgare” », Scrittura e civiltà, 15 (1991), p. 267-88, sottolineando come tra la metà del Cinquecento e il primo Seicento si sia interrotta la « fioritura » di quello strato.

9 Cf. Antonio Rotondò, « La censura ecclesiastica e la cultura », in Storia d’Italia, vol. V, I documenti, Torino, Einaudi, 1973, p. 1449-1450 ; Gian Vincenzo Pinelli, Claude Dupuy. Une correspondance entre deux humanistes, ed. Anna Maria Raugei, Firenze, Olschki, 2001 ; Angela Nuovo, « “Et amicorum” : costruzione e circolazione del sapere nelle biblioteche private del Cinquecento », in Libri, biblioteche e cultura degli ordini regolari nell’Italia moderna attraverso la documentazione della Congregazione dell’Indice, ed. Rosa Maria Borraccini, Roberto Rusconi, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2006, p. 105-127 ; Jérôme Delatour, Une bibliothèque humaniste au temps des guerres de religion : les livres de Claude Dupuy, Paris- Villeurbanne, École des chartes-Presses de l’enssib, 1998 (« Mémoires et documents de l’École des chartes », 53) ; Id., « Le cabinet des frères Dupuy », Revue d’histoire des Facultés de droit et de la science juridique, 25-26 (2005-2006), p. 157-200 ; sul tema in generale, tra i contributi più recenti, cf. Stéphane Garcia, Élie Diodati et Galilée : naissance d’un réseau scientifique dans l’Europe du XVIIe siècle, Firenze, Olschki, 2004 ; Les grands intermédiaires culturels de la république des lettres : études de réseaux de correspondances du XVIe au XVIIIe siècles, ed. Christiane Berkvens-Stevelinck, Hans Bots, Jens Häseler, Paris, Champion, 2005 (Les Dix-huitième siècles).

10 Grida del 4 dicembre 1543 del cardinale Ercole Gonzaga, il quale ha appreso che a Gonzaga « alcuni temerari che, con tutto che non habbino intelligentia delle sacre scritture et manco di sacri canoni, ardiscono por bocca… » : Stefano Davari, « Cenni storici intorno al tribunale della Inquisizione di Mantova », Archivio storico lombardo, 6 (1879), p. 563.

11 Grida del cardinale Ercole Gonzaga e della duchessa Margherita Paleologo del 24 marzo 1541 contro la diffusione dell’eresia a Viadana : ibid., p. 562-563.

12 Per quanto segue cf. G. Fragnito, La Bibbia al rogo, op. cit., p. 75-198.

13 Cf. G. Fragnito, « Pio V e la censura », in Pio V nella società e nella politica del suo tempo, ed. Maurilio Guasco, Angelo Torre, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 129-158.

14 Cf. Simon Ditchfield, Liturgy, Sanctity and History in Tridentine Italy: Pietro Maria Campi and the Preservation of the Particular, Cambridge, Cambride University Press, 1995, p. 17-67. Sui rapporti tra riforma dei libri liturgici e provvedimenti relativi all’Officium cf. G. Caravale, L’orazione proibita, op. cit., p. 69-78.

15 Si veda il Motu proprio di Pio V del 19 novembre 1570 con cui affidava al Maestro del Sacro Palazzo Tommaso Manrique la correzione dell’Officium, « in quo ad praesens multa superflua, & quae ad varias superstitiones non sine maximo scandalo lectores inducunt, tam ratione rubricarum, tam aliorum in eodem per impressores additorum consistunt » (in Joseph Hilgers, Der Index der verbotenen Bücher, Freiburg im Breisgau, Herder, 1904, p. 510-513). Per la loro mutevole struttura cf. Albert Labarre, « Heures », in Dictionnaire de spiritualité, vol. VII, Paris, Beauchesne, 1968, col. 410-431, e l’introduzione di Giovanni Morello al catalogo della mostra Libri d’ore della Biblioteca Vaticana, Zürich, Belser Verlag, 1988, p. 11-15.

16 Figurano al secondo posto, dopo il breviario, nella lista dei best-sellers del Quattrocento secondo Michael Milway, « Forgotten Best-Sellers from the Dawn of the Reformation », in Continuity and Change: the Harvest of Late-Medieval and Reformation History. Essays Presented to Heiko A. Oberman on his 70th Birthday, ed. Robert J. Bast e Andrew C. Gow, Leiden-Boston-Köln, Brill, 2000, p. 113-142, in particolare p. 141-142. Sulla diffusione dell’Officium Beatae Mariae Virginis nel Cinquecento si vedano Karen Lee Bowen, Christopher Plantin’s Books of Hours: Illustration and Production, Nieuwkoop, De Graaf, 1997, p. 41-58 (che tende a ridimensionarla) e Paul F. Grendler, « Il libro popolare nel Cinquecento », in La stampa in Italia nel Cinquecento, ed. Marco Santoro, Roma, Bulzoni, 1992, vol. I, p. 221-224.

17 Bullarium Romanum a Pio Quarto usque ad Innocentium IX…, tomus II, Lugduni, Sumptibus Petri Borde, Joannis & Petri Arnaud, 1692, p. 330-332 : « officia quaecumque, in primis Italico, seu quovis alio vulgari idiomate, & sermone quomodolibet composita […] tollimus & abolemus ». Superfluo notare la volontà di colpire soprattutto l’uso dell’Ufficiolo tra gli Italiani, ma anche la consapevolezza della impossibilità di imporre fuori della penisola divieti che si volevano universali. A dare maggior efficacia alla proibizione Pio V riproponeva lo stesso giorno (11 marzo 1571) in italiano, nella costituzione « sopra la recitatione dell’Ufficio della B. Vergine Maria », quanto contenuto nella Ac ut fidelium : « tutti gl’Ufficioli volgari, in qualonche lingua siano […] sono proibiti » e le « orationi volgari, qualonque siano […] e parimente Litanie volgari sono prohibite, e interdette ».

18 Si veda G. Fragnito, La Bibbia al rogo, op. cit., p. 121-142.

19 Vedila in ILI, IX, p. 929.

20 Sull’applicazione dell’indice clementino che, diversamente dai precedenti indici, ha lasciato una ricchissima documentazione, cf. G. Fragnito, « L’applicazione dell’indice dei libri proibiti di Clemente VIII », Archivio storico italiano, 159 (2001), p. 107-149.

21 Sulla diffusione di questa letteratura in tutti gli strati della società cf. G. Fragnito, Proibito capire, op. cit., p. 261-310, e tra le donne, laiche e religiose, Ead., « Censura ecclesiastica e identità spirituale e culturale femminile », Mélanges de l’École française de Rome, Italie et Méditerranée, 115, 1 (2003), p. 287-313.

22 ACDF, Index, II/9, f. 19v : parere sulla regola IV (non datato, ma del 1593).

23 Carlo Ginzburg, Il formaggio e i vermi : il cosmo di un mugnaio del ‘500, Torino, Einaudi, 1976.

24 Cf. G. Fragnito, Proibito capire, op. cit., p. 191-222.

25 Alessandro Strozzi, esecutore dell’indice a Firenze, a Cosimo I de’ Medici, 27 gennaio 1559, cit. in Antonio Panella, « L’introduzione a Firenze dell’Indice di Paolo IV », Rivista storica degli archivi toscani, 1 (1929), p. 12.

26 Alessandro Guidiccioni, vescovo di Lucca, al card. Agostino Valier, Lucca 21 dicembre 1596 (ACDF, Index, III/1, f. 316).

27 Piero Usimbardi, vescovo di Arezzo, al card. Agostino Valier, Arezzo 19 marzo 1597 (ACDF, Index, III/3, f. 3v).

28 Usimbardo Usimbardi, vescovo di Colle Val d’Elsa, al card. Marcantonio Colonna, Colle 20 dicembre 1596 (ACDF, Index, III/1, f. 406). La lista dei libri di cui viene chiesta la restituzione in ACDF, Index, XVIII/1, f. 206.

29 Antonio Benivieni, vicario dell’arcivescovo di Firenze al r.do Lionardo, canonico fiorentino, allora a Roma, Firenze 26 ottobre 1596 (ACDF, Index, III/1, f. 352r-v). Sulle resistenze dei fedeli cf. G. Fragnito, Proibito capire, op. cit., p. 213-222.

30 Sulla censura ecclesiastica e la letteratura ci si limita a segnalare gli importanti lavori di U. Rozzo, « Italian literature on the index », in Church, Censorship, op. cit., p. 194-222 ; Id., La letteratura italiana negli ‘Indici’ del Cinquecento, Udine, Forum, 2005 e i rinvii ai precedenti studi ; Adriano Prosperi, « Censurare le favole : il protoromanzo e l’Europa cattolica », in Il romanzo, ed. Franco Moretti, I, La cultura del romanzo, Torino, Einaudi, 2001, p. 71-106 ; G. Fragnito, « “Li libbri non zò rrobba da cristiano” : la letteratura italiana e l’indice di Clemente VIII (1596) », Schifanoia, 19 (1999), p. 123-135 ; Ead., « Censura ecclesiastica e letteratura d’evasione nel Cinquecento », in Scuola di dottorato in studi storici dell’Università di Torino, Intellettuali e politica, Torino, Nino Aragno, 2006, p. 75-92.

31 Cf. M. Roggero, Le carte piene di sogni : testi e lettori in età moderna, Bologna, Il Mulino, 2006. Sui libri di grande consumo cf. Libri per tutti : generi editoriali di larga circolazione tra antico regime ed età moderna, ed. L. Braida, M. Infelise, Torino, Utet, 2010.

32 Cf. Marina Beer, Romanzi di cavalleria : il « Furioso » e il romanzo italiano del primo Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1987, p. 26. Sull’introduzione in Francia dell’Amadigi nell’adattamento di Nicolas de Herberay si vedano le pagine suggestive di André Chastel, Architettura e cultura nella Francia del Cinquecento, Torino, Einaudi, 1991, p. 76-93.

33 Per queste liste cf. ILI, IX, p. 17-185, 724-778, e X, p. 826-839.

34 G. Fragnito, Torquato Tasso, « Paolo Costabili e la revisione della Gerusalemme liberata », Schifanoia, 22-23 (2002), p. 57-61 ; Ead., « Ferrara, giugno 1577, il divieto di leggere : Torquato si autodenuncia al tribunale dell’Inquisizione », in Atlante storico della letteratura italiana, ed. Sergio Luzzatto,Gabriele Pedullà, vol. II, Dalla Controriforma alla Restaurazione, ed. E. Irace, Torino, Einaudi, 2011, p. 238-243.

35 Lettera di Damiano Rossi da Cento all’inquisitore di Bologna Eliseo Capys, Roma 31 marzo 1576, in Antonio Samaritani, Religione cittadina, autoriforma cattolica, malessere ereticale a Cento nel secolo XVI tra Estensi e Controriforma, Ferrara, Corbo, 1997, p. 133.

36 Id. a Id., Roma 17 luglio 1576 (ibidem, p. 136-137).

37 Id. a Id., Roma 21 marzo 1576, in Antonio Rotondò, « Nuovi documenti per la storia dell’”Indice dei libri proibiti” (1572-1638) », Rinascimento, 2a s., 3 (1963), p. 155-156.

38 BAV, Vat. Lat. 6149, f. 141-146v e 148-150.

39 Vedilo in ILI, IX, p. 905-911, in appendice dell’indice del 1593 che non verrà promulgato.

40 ILI, IX, p. 926-927.

41 Sulla censura espurgatoria cf. G. Fragnito, « Aspetti e problemi della censura espurgatoria », in L’Inquisizione e gli storici, op. cit., p. 161-178 ; Ead., « “In questo vasto mare de libri prohibiti et sospesi tra tanti scogli di varietà et controversie” : la censura ecclesiastica tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento », in Censura ecclesiastica e cultura politica, op. cit., p. 19-35. Per interventi su singole opere si vedano, fra gli altri, Raoul Mordenti, « Le due censure : la collazione dei testi del Decameron “rassettati” da Vincenzo Borghini e Lionardo Salviati », in Le pouvoir et la plume : incitation, contrôle et répression dans l’Italie du XVIe siècle, Paris, Université Sorbonne nouvelle, 1982, p. 253-73 ; Giuseppe Chiecchi, Luciano Troisio, Il Decameron sequestrato : le tre edizioni censurate nel Cinquecento, Milano, Unicopli, 1984 ; Claudia Tapella, Mario Pozzi, « L’edizione del ‘Decameron’ del 1573 : lettere e documenti sulla rassettatura », Giornale storico della letteratura italiana, 115 (1988), p. 54-84, 196-227, 366-398, 511-544 ; Stefano Carrai, Silvia Mandricardo, « Il ‘Decameron’ censurato (1573) », Rivista di letteratura italiana, 7 (1989), p. 225-47 ; G. Chiecchi, « Dolcemente dissimulando » : cartelle laurenziane e ‘ Decameron’ censurato (1573), Padova, Antenore, 1992 ; Vincenzo Borghini, Lettera intorno a’ manoscritti antichi, ed. Gino Belloni, Roma, Salerno, 1995 ; Gustavo Bertoli, « Le prime due edizioni della seconda “rassettatura” », Studi sul Boccaccio, 23 (1995) [1996]İ, p. 3-17 ; Vittorio Cian, « Un episodio della storia della censura in Italia nel secolo XVI : l’edizione spurgata del Cortegiano », Archivio storico lombardo, s. 2, 14 (1887), p. 661-727 ; U. Rozzo, « L’espurgazione dei testi letterari nell’Italia del secondo Cinquecento », e Antonio Corsaro, « Tra filologia e censura : i ‘Paradossi’ di Ortensio Lando », in La censura libraria nell’Europa del secolo XVI, ed. U. Rozzo, Udine, 1997, p. 219-71 e 297-324 ; Francesco Sberlati, « La pia ecdotica : l’edizione censurata degli “Inferni” di Anton Francesco Doni », Lettere italiane, 49 (1997), p. 3-39 ; Elena Pierazzo, « Un intellettuale a servizio della Chiesa : Girolamo Giovannini da Capugnano », Filologia & critica, 23 (1998), p. 206-248 ; G. Fragnito, « “Vanissimus et spurcissimus homo” : Ariosto all’esame dei censori », in Dalla bibliografia alla storia : studi in onore di Ugo Rozzo, ed. Rudj Gorian, Udine, Forum, 2010, p. 115-137. Nulla aggiunge, utilizzando documenti largamente noti dati per lo più per inediti, Jennifer Helm, « Literary Censorship : the Case of the ‘Orlando Furioso’ », in Dimensioni e problem della ricerca storica, 1 (2012), p. 193-214.

42 Alla luce del fallimento della correzione dei testi letterari andrebbe più attentamente e compiutamente verificata e documentata la tesi secondo cui i letterati laici avrebbero collaborato con i censori « ecclesiastici », condividendo con loro la convinzione della necessità di controllare la produzione culturale sostenuta da A. Prosperi in « L’inquisizione fiorentina al tempo di Galileo », in Novità celesti e crisi del sapere, supplemento agli Annali dell’Istituto e museo di storia della scienza, 1983, p. 315-325 ; Id., « Anime in trappola : confessione e censura ecclesiastica all’università di Pisa tra ‘500 e ‘600 », Belfagor, 54, 1999, p. 257-287 ; Id., « La Chiesa e la circolazione della cultura nell’Italia della Controriforma : effetti involontari della censura », in La censura libraria, op. cit., p. 53-100 ; Id., « Censurare le favole… », op. cit., p. 71-106, ripresa da Marco Cavarzere, La prassi della censura nell’Italia del Seicento tra repressione e mediazione, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 2011, p. 119-134, e da Sandro Landi, Stampa, censura e opinione pubblica in età moderna, Bologna, Il Mulino, 2011, p. 81-82.

43 È la tesi di V. Frajese, Nascita dell’Indice : la censura ecclesiastica dal Rinascimento alla Controri-forma, Brescia, Morcelliana, 2006, p. 39-52 e 99-100.

44 Cf. A. Corsaro, « Tra filologia e censura… », op. cit., e G. Fragnito, « Vanissimus et spurcissimus homo »…, op. cit. 41

45 M. Roggero, Le carte piene di sogni…, op. cit.

46 Cf. Paul F. Grendler, La scuola nel Rinascimento italiano, Roma-Bari, Laterza, 1991, p. 156-176 e 297-312 ; Piero Lucchi, « La Santacroce, il Salterio e il Babbuino », Quaderni Storici, 38, 13 (1978), p. 593-630 ; Id., « La prima istruzione : idee, metodi, libri », in Il catechismo e la grammatica, ed. Gian Paolo Brizzi, Bologna, Il Mulino, 1985, p. 58-59 e 74-75 ; Attilio Bartoli Langeli, Mario Infelise, Il libro manoscritto e a stampa, in L’Italiano nelle Regioni : lingua nazionale e identità regionali, ed. Francesco Bruni, Torino, Utet, 1992, p. 955-957 ; Tiziana Plebani, « Omaggio ad Aldo grammatico : origine e tradizione degli insegnanti-stampatori », in Aldo Manuzio e l’ambiente veneziano, 1494-1515, ed. Susy Marcon, Marino Zorzi, Venezia, Il Cardo, 1994, p. 76-78.

47 T. Plebani, « Nascita e caratteristiche del pubblico di lettrici tra Medieovo e prima età moderna », in Donna, disciplina, creanza cristiana dal XV al XVII secolo : studi e testi a stampa, ed. Gabriella Zarri, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1996, p. 38-45 ; P. F. Grendler, La scuola nel Rinascimento, op. cit., p. 297-328. Per la riorganizzazione dell’insegnamento e delle scuole della dottrina cristiana cf. Michela Catto, Un panopticon catechistico : l’arciconfraternita della dottrina cristiana a Roma in età moderna, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003, p. 6-8 e 93-133.

48 Michele Ponza, Lettera di un maestro di seconda scuola comunale ad un suo collega, Torino, Stamperia Bianco, 1823, p. 12, cit. M. Roggero, « L’alfabeto e le orazioni : l’istruzione di base in Piemonte nel primo Ottocento », Rivista storica italiana, 103 (1991), p. 764 ; si vedano anche Ead., L’alfabeto conquistato…, op. cit., p. 19-53, e Ead., « L’alphabétisation en Italie : une conquête féminine », Annales histoire sciences sociales, 56, 4-5 (2001), p. 903-925 ; Maurizio Piseri, L’Alfabeto delle riforme : scuola e alfabetismo nel basso Cremonese da Maria Teresa all’Unità, Milano, Vita e Pensiero, 2002, p. 88.

49 In proposito cf. G. Fragnito, « “Zurai non legger mai più” : censura libraria e pratiche linguistiche nella penisola italiana », in Le sentiment national dans l’Europe méridionale aux XVIe et XVIIe siècles (France, Espagne, Italie), éd. Alain Tallon, Madrid, Casa de Velázquez, 2007, p. 251-272.

50 Silvana Seidel Menchi, Erasmo in Italia 1520-1580, Torino, Bollati Boringhieri, 1987, p. 447. Sul freno esercitato dai divieti relativi alla Bibbia e alla letteratura sulla lettura popolare vedi M. Infelise, I libri proibiti da Gutenberg all’ Encyclopédie, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 49-55.

51 Lettera del minore conventuale Massimiliano Beniamino, vescovo di Chioggia, al card. Marcantonio Colonna, Chioggia 28 dicembre 1596, in ACDF, Index, III/1, f. 409r.