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Nel laboratorio di Ulisse Aldrovandi : un indice manoscritto e segni di lettura in un volume stampa

Maria Gioia TAVONI

DI UNA BIBLIOTECA E DI UN LABORATORIO

Complesso e articolato è il parco dei volumi che Ulisse Aldrovandi (1522- 1605), « medico e filosofo bolognese », come venne biografato da Giovanni Fantuzzi1, lasciò in affido, in locali adatti ad ospitarne oltre seimila, unitamente ai suoi naturalia et mirabilia, al Senato di Bologna2. La donazione non fu solo per perpetuare la propria fama e perché si provvedesse alla stampa dei suoi manoscritti dopo la sua morte, ma per dotare Bologna di una raccolta straordinaria di codici e di volumi a stampa che fossero utili a coloro che intendessero proseguire negli studi da lui intrapresi. Il mecenatismo culturale si attuava all’epoca anche attraverso donazioni : la liberalità che i possessori di ingenti patrimoni culturali mettevano in campo ancora in vita con il far accedere ai manufatti artistici raccolti altri intellettuali, è un segno inequivocabile di un disegno che ha alle radici la volontà di partecipare le proprie conoscenze e contribuire al diffondersi nella Repubblica delle lettere delle cognizioni acquisite3. Una circolarità di pensiero che portava ad un’attenta e mirata conservazione di tutto ciò che si era venuto raccogliendo nel tempo, compresa la corrispondenza, altro vero medium dell’epoca.

L’iter seguito da Aldrovandi, divenuto celebre naturalista, per le sue raccolte, e che ancora oggi è possibile rinvenire attraverso la copiosa testimonianza lasciata anche fra le pagine dei suoi volumi, è prova inoppugnabile della sua autentica visione liberale, che si evince fin dalla nota manoscritta che, seguendo una consuetudine diffusa anche fra gli antichi, è apposta su tutte le unità librarie possedute. Si tratta di un prezioso segno di riconoscimento lasciato di pugno dallo stesso possessore i cui personali marginalia, sparsi nelle opere da lui lette o consultate, si distinguono per la peculiare scrittura. Con alcune non sostanziali varianti, così si presenta la nota posta nel margine superiore dell’occhiello o della page de titre, in alto a destra e ancora leggibilissima, quando purtroppo non obliterata da maldestri interventi di restauro attuati con rifilature dei margini superiori : Ulissis Aldrovandi et amicorum.

Fra tante biblioteche private fortunatamente conservatesi, quella di Aldrovandi spicca per particolari caratteristiche : sui manoscritti ma anche sui volumi a stampa, oggetto dello studio del naturalista, si rinvengono infatti numerosi segni di lettura non solo frutto del personale approccio al testo, ma anche della schiera dei collaboratori, amanuensi o lettori per interposta persona, che lo coadiuvarono. La dimora di Aldrovandi, come Giuseppe Olmi, fra i primi, ha ampiamente dimostrato4, fu un laboratorio dove convenivano anche artisti molto affermati per corroborare lo scienziato nella predisposizione delle matrici in legno delle immagini naturalistiche che andavano, o sarebbero dovuto andare, a impreziosire e arricchire il linguaggio tecnico rinascimentale dei manoscritti destinati alle stampe. Il progetto molto ambizioso fu perseguito solo in parte, avendo Aldrovandi pubblicato in vita, in età molto avanzata, unicamente poche opere : un Antidotarium (1574)5, tuttavia uscito anonimo, l’Ornithologia in tre volumi (1599-1603)6 e il trattato De animalibus insectis (1602)7 compongono il corpus editoriale che egli riuscì a far mettere sotto i torchi8. Se le xilografie occupano un posto di rilievo nel suo laboratorio altrettanto può dirsi per tutti i marginalia che si rinvengono nei suoi libri che, coniugati ai suoi manoscritti, formano la fitta trama di un percorso culturale che non è dato rinvenire, con la medesima determinazione e sistematicità, in altri importanti fondi librari del tempo. È come dire che Aldrovandi perseguì un metodo finalizzato alla scrittura, un metodo che prende origine dal particolare approccio che egli ebbe con i testi. Si articolò in un insieme di segni, il cui rinvenimento all’atto della scrittura, avrebbe dovuto risparmiargli tempo e fatica nel rintracciare parole, passi, autori, citazioni, fonti diverse, sovvenendo la memoria frastornata dal mare magnum di informazioni raccolte, che con il diffondersi della stampa aumentavano a dismisura e non erano più facilmente dominabili. Per ritrovarle e per utilizzare passi, nomi, concetti, Aldrovandi escogitò una strategia di ricerca comprensiva di rinvii, accessi multipli, trasposizioni su altri supporti delle notizie rinvenute, non solo con l’uso di note manoscritte ma pure con sottolineature facili a identificarsi nel momento della ripresa in mano dei volumi per riferire sugli studi intrapresi e documentare i propri scritti. Il ricorso a pezzetti di carta sui quali si depositano gli accessi, già praticato da Conrad Gesner (1516-1565), anch’egli naturalista, oltre che bibliografo e teologo9, e poi teorizzato da Juan Caramuel Lobkowitz (1606-1682) nel suo Syntagma de arte typographica10, trova in Aldrovandi un grande assertore non solo per la costruzione di rinvii e rimandi ma pure per l’allestimento di indici, soprattutto per il suo manoscritto più ponderoso, il Pandechion epistemonicon, un indice universale, nel quale dispose tutte le informazioni estratte in vari luoghi in ordine alfabetico11. Come era stato attuato dal naturalista svizzero e come lo intenderà l’erudito e teologo spagnolo, così il lavoro procedeva con il ricorso a familiari, amici e aiutanti – nel caso di Aldrovandi anche con l’aiuto della moglie –, i quali tutti avevano il compito di scrivere sulle polizze i soggetti o i loci communes oggetto dello spoglio sistematico delle opere lette e glossate.

Lo studio in profondità di questa strategia meriterebbe un discorso a sé : non è infatti un metodo solo empirico, come spesso è stato osservato, ma presuppone un ordine e una elaborazione concettuali con cui addivenire agli impianti classificatòri. In questa sede mi limito a osservare che la conoscenza del laboratorio di scrittura-lettura di Aldrovandi passa anche attraverso il rilevamento di quelle note manoscritte che egli lasciò al momento della lettura del testo. Le annotazioni autografe di inizio o fine lettura o i « progressi giornalieri della lettura », in gran parte rilevati dalla Bacchi, si rinvengono numerosi nelle pagine dei volumi compulsati, siano essi codici o libri a stampa. Si tratta di notabilia che, essendo a volte corredati da indicazioni cronologiche, permettono di precisare non solo i modi della lettura ma pure i tempi in cui essa avvenne12.

Sono questi i motivi più rilevanti che mi hanno indirizzato sulle tracce di un’opera, e soprattutto del suo indice, nei quali mi sono imbattuta a seguito del mio Circumnavigare il testo13. È parso fin da subito interessante capire come venisse allestito l’indice e quali rapporti intrattenesse con il testo, letto non solo da Aldrovandi ma anche da uno dei suoi molteplici collaboratori. La sua complessa architettura ha consentito alcune osservazioni non rivolte unicamente alla tecnica adottata per il suo allestimento, ma anche, strada poco percorsa, al tentativo di stabilire che un indice si raccorda all’opera soprattutto quando essa viene letta e annotata proprio in funzione della costruzione di richiami che agevolino il lettore nel ritrovare lemmi e perifrasi utilizzabili per i propri personali fini di studio e di ricerca. Nel caso dell’indice in questione comprenderne la complessa morfologia ha permesso pure di capire la complicità che l’estensore ha stabilito con il testo, così come inseguire le sottolineature che evidenziano parti assai specifiche del testo e si coniugano con l’apparato indicale.

DI UN INDICE DI UN’OPERA UMANISTICA

Va precisato che l’indice di cui mi appresto a dare notizia è un indice manoscritto, ma apposto in calce ad un volume a stampa e con il testo a stampa rilegato. Indici manoscritti rilegati assieme a testi a stampa si rinvengono soprattutto quando un esemplare acquisito alle raccolte ne è privo fin dalle origini14. Diverso come vedremo è il caso di questo particolare strumento di raccordo con il testo. Esso si configura inoltre per essere stato allestito per un’opera che, al primo impatto, sembrerebbe esulare dagli interessi del naturalista bolognese : non si tratta di una dissertazione di storia naturale né di un testo di altro ambito scientifico, bensì di un’opera letteraria. E per comprendere meglio quale fosse l’utilizzo che Aldrovandi, lettore onnivoro, facesse dei testi letti e chiosati, ricorro ancora alla Bacchi che, con queste parole, definisce l’utilizzo che egli fece della lettura di opere umanistiche :

…dati relativi al mondo naturale (riguardanti, ad esempio, piante, animali, materie e fenomeni naturali) sono individuati ed evidenziati non solo, come ci si aspetterebbe, nelle opere di carattere scientifico, ma anche in quelle di poesia di autori italiani, greci e latini, e, in generale, in opere di carattere religioso, letterario, filosofico, storico e geografico15.

Sintetizzata per sommi capi l’officina aldrovandiana, i cui elementi caratterizzanti si rinvengono anche in questo apparato, è giunto il momento di chiarire a quale indice mi riferisco e a quale opera esso è stato apposto. Si tratta dell’indice manoscritto allegato ad un particolare esemplare dell’Asinus aureus di Apuleio stampato a Bologna da Benedetto Faelli nel 1500 e curato da Filippo Beroaldo (1453-1505), il suo primo commentatore, il cui intervento accompagna il testo in esso inscritto16. L’esemplare è quello della Biblioteca Universitaria di Bologna (coll. : A.V.KK.VII.38), uno tra i molti sopravvissuti e giunti sino a noi (sono ben 43 solo in Italia, 6 dei quali a Bologna).

Beroaldo seniore, bolognese come Aldrovandi, umanista di grande fama e anch’egli docente illustre, di retorica e poesia, del più antico Studio europeo17, appartiene a quella schiera di studiosi di rara cultura che ebbero stretti rapporti con la tipografia del loro tempo : si sa per certo che anche per questa edizione il commentatore si adoperò perché l’opera fosse curata in ogni sua pagina e fosse poi divulgata nei modi migliori, stabilendo un vero e proprio contratto con lo stampatore18. La conoscenza di Beroaldo da parte di Aldrovandi non si limita alla sola lettura dell’Asino nella chiave che maggiormente può sembrare attagliarsi alle conoscenze del naturalista, ma spazia anche attraverso altri suoi interessi, quali ad esempio la cultura del libro nelle sue varie sfaccettate forme. Così infatti si esprime Aldrovandi nel primo libro della Biblologia a proposito di una precisazione del grande umanista :

Appresso latini e’l medesmo libraria che appresso Greci Biblioteca ; ancora che il Beroaldo voglia che la libraria sia la botegha dove si vendono i libri più presto che Biblioteca, sì come mostra per Gellio, il quale scrive che erano exposti da vendere li Annalli di fabio nella libraria19. rivelando un ricorso attento e circostanziato alle fonti sia umanistiche sia classiche.

Il commento di Beroaldo all’Asino d’oro, fabula che ancora oggi mantiene intatto tutto il suo fascino di romanzo sulle metamorfosi, è un concentrato di riflessione epistemica, frutto di quella Scuola umanistica che, accanto al diritto e alla medicina che accampano nella città più antiche origini, costituì il terzo punto di forza della cultura bolognese. Non è solo una riflessione sull’opera di Apuleio ma, come è stato giustamente rilevato, è un « pellegrinaggio nel cuore profondo, nel perché della Natura e del Cosmo »20. Il commento beroaldiano all’Asino d’oro costituì la base per la fortuna letteraria del romanzo, impresso per la prima volta insieme con gli Opera di Apuleio nel 1469 per opera dei prototipografi sublacensi, stabilitisi in casa dei Massimi. Nel XVI secolo le Metamorfosi, come si sa, sottotitolo della celeberrima opera e titolo della traduzione in volgare, contano, a quanto è dato sapere, 22 edizioni italiane21, molte delle quali ne diffondono due fortunati volgarizzamenti, ad opera di Boiardo e di Agnolo Fiorenzuola. L’umanista bolognese, che per primo commentò il romanzo, trovò nello stile dello scrittore africano, fuori dalla misura classica, « composito e fiorito », un modello assai pertinente alla propria sensibilità letteraria. Così si esprime Luca dal Maso, rivelando di conoscere a fondo il primo commentatore di Apuleio :

Beroaldo elaborò uno stile assai singolare, particolare, unico. Come Apuleio, non pone limiti, non ghettizza alcun autore, egli attinge all’intera latinità letteraria. Il suo latino è zeppo di allitterazioni, antitesi, anafore, chiasmi, metafore, pleonasmi, parole rare, neologismi, arcaismi, vocaboli greci latinizzati22.

Il commentatore aveva piena consapevolezza di accingersi a un’esegesi che si rilevava strettamente interattiva con il suo autore : nella Prefazione (5, V) ebbe infatti a esprimersi su Apuleio che aveva costruito i suoi undici libri, nei quali « elegans (…) eruditus, emunctus » [è elegante, erudito, raffinato].

Un approccio utile anche per Aldrovandi che lesse il commento con l’intento di mettere a frutto le cognizioni estratte quando gli sarebbero parse necessarie a documentare passi delle proprie opere. La copia dell’Asino d’oro conservata nella Biblioteca Universitaria di Bologna si sa per certo essergli appartenuta, come prova la nota manoscritta Ulissis Aldrovandi et amicorum che ancora campeggia nell’alto dell’occhiello, con la consueta indicazione della collocazione che il volume occupava nello scaffale aldrovandiano. Il volume presenta il testo inscritto nel commento e articolati marginalia, che costituiscono l’ossatura dell’indice, su cui indirizzo le mie riflessioni. Aldrovandi non solo ha posseduto il prezioso incunabolo, ma l’ha anche letto, come provano alcune note di sua mano che nelle carte iniziali si alternano con altre della stessa grafia che ha compilato l’indice manoscritto, aggiunto al testo al momento della legatura, la stessa mano che poi continua a postillare tutto il testo. Da un primo bilancio delle conoscenze si può con buona dose di attendibilità sostenere che la seconda mano è la stessa che ha vergato la Biblologia, il codice aldrovandiano ancora in gran parte inedito sulla storia dei supporti scrittòri, compresa la carta, e sulle caratteristiche dell’oggetto libro inteso nell’accezione più lata23. Entrambe le note si arrestano al libro primo alla carta 23r mentre continuano per tutto il testo le sottolineature e i segni di paragrafo con lo scopo di mettere in evidenza frasi o parole sia di Apuleio sia ancora di Beroaldo.

A stampa si rinviene, non sempre in chiusura di ciascun libro, ma spesso in apertura di quello successivo, la sintesi del libro, ovvero l’Argumentum. Mai la sintesi è sottolineata o chiosata, segno che i lettori hanno proceduto nella lettura di tutto il testo alla ricerca degli interessi a loro più congeniali, senza avvalersi del solo rapido excursus ma procedendo in modo sequenziale. Le sottolineature di Aldrovandi e del suo amanuense, lettore in sua vece, continuano dunque per tutto il volume, senza particolare attenzione per ciò che concerne gli animali e le piante, oggetto del maggiore impegno di ricerca del naturalista bolognese ma, come vedremo, puntando su altri interessi.

La morfologia semantica della lettura di Aldrovandi, finalizzata agli scopi che si sono brevemente indicati, traspare anche dall’indice dell’Asino d’oro : con buona dose di attendibilità si può asserire che fu Aldrovandi stesso a commissionare l’indice al suo amanuense, il quale si avvalse della metodologia ormai entrata nell’uso dell’officina aldrovandiana e lo concepì come un riflesso delle necessità del committente.

A tal proposito va rilevato che vi sono copie dell’edizione dell’Asinus aureus dotate di indice a stampa, sopravvissuto in unione con il testo per il quale era nato. Questo è il caso di uno dei quattro esemplari custoditi nella Biblioteca dell’Archiginnasio24 (la sesta copia bolognese è conservata nella Biblioteca del Collegio di Spagna), ennesimo segno, se mai ce ne fosse bisogno, che i volumi nascevano in fascicoli sciolti e venivano corredati di indice per lo più in presenza di acquirenti che ne facessero precipua richiesta. Essendo il volume stampato a Bologna, viene naturale pensare che Aldrovandi, con una certa facilità, avrebbe potuto trovare nella sua città anche una copia con l’indice impresso. Se non seguì questa via, fu quasi sicuramente per altro motivo ; siamo infatti inclini a credere che egli abbia preferito acquistare il nudo testo per potervi fare apporre l’indice di propria concezione, assai più articolato ed elaborato di quello rinvenuto nell’esemplare dell’Archiginnasio, sebbene ad esso ispirato. Sulla metodologia di come Aldrovandi procedesse per i volumi accolti nelle sue raccolte senza indice, conferme potranno aversi dopo lo studio più accurato di un altro manoscritto di Aldrovandi, una vacchetta che elenca tutti i volumi posseduti sprovvisti di indice e che in apertura reca la seguente annotazione : die 6 Augusti 1595 observationum vigesimus quintus tomus25.

LA STRUTTURA DEI DUE INDICI

Con gli indici dell’Asinus aureus si è in presenza di un complesso di voci a dir poco impressionante. L’indice stampato porta a titolo Tabula Apulei, il cui prologo, rivolgendosi al lettore, sottolinea, così in libera traduzione, che la tavola riguarda sia i lemmi sia le storie, e che i lemmi si desumono dalle frasi poste ai margini, per meglio facilitare la lettura. Si dispone su quattro colonne e occupa 16 carte non numerate. Quello manoscritto, introdotto dal titolo Index In Apuleium de aureo Asino Philippi Beroaldi comment(arium) illustratum », è di 87 carte non numerate, ed è scritto su due colonne, ad eccezione della carta incipitaria e di quella finale, su una sola colonna26. Quanto agli items, l’indice a stampa ne comprende circa duecento per carta, per un totale di quasi tremila voci, mentre quello manoscritto una media di circa quaranta sempre per ogni singola facciata, portando a quasi tremilacinque le voci indicizzate.

Entrambi possono già configurarsi come indici delle cose notevoli. Sostantivi isolati, sostantivi con aggettivi, toponimi, nomi di persona, loci communes, espressioni complete dei marginalia a stampa, forme diverse di verbi soprattutto all’infinito e al gerundio, e anche aggettivi qualificativi formano un apparato imprescindibile per chi vorrà accingersi alla lettura del testo e soprattutto del commento, o alla loro rilettura.

La tipologia di indicizzazione è sostanzialmente la stessa, vale a dire che ambedue gli indici registrano i marginalia come « luoghi notevoli » senza discriminare fra loci di argomento scientifico o meno. Le differenze paiono sostanzialmente due :

1. l’indice manoscritto è più completo, quello a stampa comprende un numero assai inferiore di lemmi desunti dai marginalia tipografici.

2. il metodo di indicizzazione è differente : in quello manoscritto viene registrato, in linea di massima, l’intero marginalium, in quello a stampa invece viene indicizzata soltanto una parola significativa con il risultato di rendere meno diretto il legame con il marginalium stesso.

Se dunque nel complesso più ricco e completo appare quello manoscritto, riguardo al metodo e alle modalità di interrogazione e reperimento dell’informazione da parte del lettore i due indici si rifanno sostanzialmente alle modalità teorizzate attorno al 1560 da Florian Trefler nel suo manuale27. Il terzo e il quarto catalogo o indice dei cinque suggeriti da Trefler per una biblioteca sono quelli organizzati per loci communes, cioè soggetti particolari : il secondo, di tipo ausiliario, organizza alfabeticamente per parole significative quanto nel primo catalogo è strutturato in modo strettamente semantico e a questo rimanda per reperire il testo completo del locus cercato e l’indicazione del volume che lo contiene. L’indice a stampa dell’Asino d’oro presenta lo stesso criterio di indicizzazione del quarto catalogo trefleriano : tutti e due rimandano ad un’altra posizione nella quale si trova il testo completo del locus (in Trefler il terzo indice, in Apuleio ovviamente il marginalium). Al contrario l’indice aldrovandiano manoscritto è una sorta di incrocio fra i due cataloghi : come il terzo riporta il testo completo dei loci ma, come il quarto, è organizzato alfabeticamente. Quindi, se da un lato riduce i passaggi per il reperimento dell’informazione, dall’altro però, volendo in un certo senso concentrare il procedimento, risulta più macchinoso, perché costringe il lettore a crearsi mentalmente a priori un locus completo (per lo più una frase nominale) per cercare e reperire nell’indice un dato argomento.

Si può pertanto osservare che nell’indice a stampa è il singolo lemma ad essere prescelto, il quale in successione con gli altri lemmi, attraverso l’ordinamento alfabetico, peraltro non rigido, viene a formare una sorta di dizionario delle parole chiave del commento di Beroaldo. In quello manoscritto si estrae l’intero marginalium spesso invertendo i termini e facendo precedere il sostantivo seguito poi dall’aggettivo o dalla frase che caratterizza il marginalium stesso. La successione è anch’essa alfabetica ma si perde il formarsi del lemmario.

Si vedano alcuni esempi :

Nella prefazione al suo commentario – Philippi Beroaldi in commentarios Apvleianos prefatio –, Beroaldo fa un excursus di storia della magia, sottolineando l’importante ruolo da essa occupato nelle vicende umane fin dall’antichità : grandi maghi furono anche Zoroastro e Mosè. Di quest’ultimo, verso l’inizio della suddetta prefazione, si dice : Quin etiam Moses ille iudaicaru(m) legu(m) Co(n)ditor famigeratus magices factione(m) illustrasse proditur [Inoltre si tramanda che anche Mosè, il famoso fondatore della legislazione giudaica, abbia dato lustro alla pratica della magia]. Il marginalium porta : Moses. qui uulgo. Moyses [Moses, volgarmente Moyses]. L’indice a stampa (forse non ritenendolo significativo ?) non lo indicizza. Quello manoscritto invece lo riporta tale e quale.

A carta 3r nel commento si parla di Sparta che non aveva mura. Il marginalium recita : Spartha. sine muris. L’indice a stampa porta semplicemente Spartha, quello manoscritto invece, come spesso accade, tutto il marginalium.

Viene anche il sospetto che la punteggiatura dei marginalia possa essere servita per isolare le parole significative. Ad esempio Moses è separato dal punto rispetto alla frase relativa. Lo stesso dicasi per Spartha rispetto a sine muris. Tanti sono gli esempi che si potrebbero addurre. La stessa struttura dei marginalia giustifica tutta una tradizione di indici a stampa che, come risulta da miei lavori sull’argomento, sono diretta espressione di tipografi e/o editori, i quali hanno saputo colloquiare con i propri autori dotandone le opere di appositi strumenti semantici.

A carta 4r si tratta della lingua latina e del suo uso da parte dei Romani. Il marginalium è bipartito in questo modo : Indigena. sermo Romanorum. Latine o(mn)es loquebant(ur) [Lingua nativa dei Romani. Tutti parlavano latino]. L’indice a stampa indicizza Latinitas (l’aggettivo Indigena si riferirà invece ad un marginalium Indigena nella medesima pagina). C’è un lemma sermo romanus ma non si riferisce a questo passo. L’indice manoscritto indicizza invece Latinè omnes loquebantur Romani, quindi anche in questo caso, con una piccola aggiunta, l’intero marginalium.

Accade spesso che gli stessi sostantivi accompagnati dai medesimi aggettivi vengano registrati in ambedue gli indici. Ma nell’indice manoscritto si rileva una particolarità : esso ne elenca infatti molti di più di quelli in comune, dando luogo a ulteriori voci, alcune fortemente analitiche rispetto al commento. Si veda ad esempio la voce Cupido, che da sola e con sue specificazioni, fa registrare sei presenze nell’indice manoscritto a fronte delle tre che si rilevano nell’indice a stampa dove il sostantivo è seguito dal solo aggettivo : cupido cur alatus ; cupido cur facibus et sagittis armatus ; cupido cur volaticus sono gli items differenti, diversi pure nella forma con cui si presentano. Si raccordano al testo là dove si riferisce l’ira di Venere, inquietata da una bellissima, ed umana, fanciulla che sembra rubarle la scena ; contro di lei la dea dell’amore invoca l’aiuto del puerum suum pinnatum, l’alato Cupido minutamente descritto dalle fonti riferite nel commento di Beroaldo. Così si rileva pure per la voce Deus che nell’indice manoscritto è registrata quattordici volte, sette in più dell’indice a stampa. Solo la conoscenza approfondita del commento e della sua relazione con il testo potrà aiutare a dipanare la rete dei molteplici accessi manoscritti per una singola voce, che sono, comunque, un segno di maggiore attenzione al dispiegarsi dell’esegesi beroaldiana. Allora, quella rete soccorreva Aldrovandi nella sua quasi maniacale visione indicizzatoria ; ora, mantiene inalterata la sua vocazione : essa sovviene infatti il lettore offrendogli chiavi d’accesso multiple e più circostanziate. È come dire che l’indice a stampa spersonalizza il rapporto lettore-testo riducendo le possibilità di ricerca, mentre la successione dei lemmi (i vocabula) di quello manoscritto, impostata per i fini di lettura di un committente, rende più facile raggiungere porzioni del testo, invitando il lettore a penetrarlo in profondità. Viene inoltre naturale osservare che per allestire un indice manoscritto non ci si deve allontanare da prassi indicizzatorie note e consolidate, sebbene debba essere tenuto presente l’uso che di quell’indice potrà essere fatto non solo dal committente e/o dall’autore, considerata la circolazione dei volumi delle librerie private a quella altezza cronologica.

LA COMPLICITÀ DELLE SOTTOLINEATURE CON L’OPERA

Si è provato a inseguire le sottolineature e a cogliere quando esse inclinino verso temi o parole rese dai marginalia riproposti poi nell’indice manoscritto, per vedere se c’è correlazione fra gli interessi più propri di Aldrovandi, che spaziano in ambiti diversissimi, e l’indice manoscritto. Soccorre, nel tentare di capire su che cosa appuntasse lo sguardo Aldrovandi, sapere che gli umanisti, soprattutto a Bologna, in merito alla disputa sulle arti, consideravano tutti gli insegnamenti alla stessa stregua e che inseguirli dovesse intendersi, come riferisce Andrea Battistini, « un modo per far ricerca ». Beroaldo invitava pertanto, nella garbata pacatezza del suo De utilitate disputationis, a coltivare tutte le discipline e non solo quelle emergenti28. Ma non è unicamente nel De utilitate che si rinviene il suo pensiero : esso è disseminato anche nei suoi commenti. In particolare quello alle Metamorfosi, si pone anch’esso come un concentrato enciclopedico a cui non poteva restare insensibile il naturalista bolognese, proteso ad indagare tutto lo scibile, su autori antichi, medievali e moderni, mediazione necessaria per costruire una sistematizzazione scientifica nel tempo in cui lavorarono Aldrovandi e altri noti naturalisti29. Anche le sottolineature sono un indizio in questa direzione. Se è vero che tutti i passi beroaldiani a commento di Apuleio riguardanti gli aspetti più in sintonia con le inclinazioni di chi guarda il cosmo e la natura con sguardo attento e pronto a scorgervi materia per le proprie dissertazioni, sono spesso da Aldrovandi puntualmente messi in rilievo dalle sottolineature, è altresì vero che nell’Asinus esse spaziano invece nelle direzioni più disparate, quasi a non farci riconoscere le sue reali propensioni. Aiuta a rivelare la lettura selettiva che Aldrovandi comunque fece non solo di Apuleio ma anche del suo stesso indice manoscritto, una manciata di lemmi, aggiunti dopo alcune carte bianche nel verso di c. 89r e in rigoroso ordine alfabetico, riguardano unicamente animali, reali e immaginari. Una verifica su tutti e 22 i lemmi, che vanno da Aspis a Vulpes, passando per il Basiliscus e Hydra, porta a un’ulteriore riflessione : è tanto ovvio che gli animali elencati appartengano alle speculazione aldrovandiana, che di essi a testo non esista alcuna sottolineatura. L’esigenza gnoseologica del lettore si dispiega, invece, per tutto il volume, anche se le sottolineature si riducono di frequenza oltre la metà del testo, senza che possano scorgervi altri interessi, coincidenti solo con le branche del sapere più tipiche di Aldrovandi.

Il coinvolgimento sia per il testo sia per il commento traspare dunque non solo dall’indice, ma pure dalle sottolineature che si susseguono numerose anche se diventa estremamente difficile isolare zone d’avanguardia o di organizzazione sistematica di unità tematiche. Nel tentativo di mettere a confronto passi oggetto di puntuale lettura anche in questo caso si procederà per exempla, inseguendo la mano o le mani che si sono avvicendate sul testo e sul commento, così come appare fin dalle prime batture dell’Asino d’oro.

A carta 3r si legge : iunxit Aristides milesia carmina secum [Aristide legò al suo nome i componimenti milesî]. La sottolineatura pone l’accento sul I Libro, in cui si fa riferimento (I 1 : ego tibi sermone isto Milesio varias fabulas conseram [io intreccerò per te varie favole con stile Milesio])30 ai componimenti di natura erotica – una delle fonti dell’Asino d’oro – sui quali Aldrovandi avrebbe potuto presumibilmente rintracciare altre informazioni nei libri della sua biblioteca. Aristide di Mileto fu autore o ordinatore delle perdute Storie milesie che, come sappiamo da Ovidio (Tristia II, 413-4), erano racconti erotici, spesso assai piccanti. Oltre ad Ovidio31, altre possibili fonti, che Aldrovandi custodiva nella propria, ricchissima, libreria o avrebbe potuto consultare nelle importanti collezioni private che frequentò32, sono : Plutarco, Vita di Crasso ; pseudo-Luciano, Amores. Le storie come l’Asino di Luciano, la Vedova di Efeso di Petronio (Satyricon 111s.) e quelle contenute nelle Metamorfosi di Apuleio ripropongono anch’essi racconti scabrosi. Nonostante i guai avuti con la censura33, la sottolineatura di questo passo e le presenze di alcune opere nella sua biblioteca dimostrano a chiare lettere la libertà di pensiero di Aldrovandi e i suoi interessi di lettura, svincolati da qualsiasi remora o imposizione controriformistica.

La retorica accampa ovviamente pure essa un posto di rilievo. A carta 4r, commentando l’autopresentazione di Apuleio secondo la quale in Attica, fra i prima puericiae stipendia, apprese la lingua greca, ritorna il tema delle discipline. Così il latino di Beroaldo, che chiosa, a proposito dei Puericiae stipendiis : signat se prima graecarum litterarum elementa athenis didicisse : quae civitas domicilium fuit & veluti officina ingenuarum disciplinarum [Significa che ha appreso i rudimenti del greco ad Atene, città che fu domicilio e quasi officina delle discipline nobili]. Ma quali sono queste ingenuae disciplinae ? Un po’ più oltre, un’altra sottolineatura chiarisce il pensiero, rivolto alla disciplina retorica con la citazione di Quintiliano e del suo celebre Aliud enim est latine aliud grammatice loqui, cui segue il Brutus di Cicerone, Plauto, Nevio e altre numerose auctoritates.

Il libro V si apre con la descrizione del palazzo dove Psiche trova finalmente la sua degna dimora ; proprio qui si registra un’amplissima sottolineatura che corre lungo quasi due pagine del commento di Beroaldo, bolognese come Aldrovandi e proprio per questo attratto dallo splendore del luogo descritto da Apuleio, che richiama immediatamente alla memoria il lusso della villa che il caro amico Mino Roscio possedeva nel territorio bolognese34. Il commento di Beroaldo, che fra le fonti richiama i passi di Cicerone e propri scritti, parte dai summa laquearia del palazzo di Psiche, al quale si collegano dieci marginalia a stampa (dalla Descriptio Ponticulani Rosciorum al Secessus mihi anniversarius) che accompagnano la lunga digressione riservata ai lussi della villa pulcherrima, rinverditi nel Quattrocento dal palazzo di Giovanni Bentivoglio dove Beroaldo trovò sempre magnifica ospitalità al punto da ricordare nel passo i due Bentivoglio35. Oltre alla vistosa sottolineatura, Aldrovandi appone anche un marginalium dove ricorda la Ponticulani villa, marginalium registrato nell’indice sotto la voce Ponticulani roscio(rum) descriptio.

Mi sono limitata a pochi esempi, compatti e organici ; altri se ne potrebbero fare. Chi finalmente studierà tutta l’opera di Aldrovandi anche attraverso la moltitudine dei suoi manoscritti non potrà fare a meno di porsi dalla parte di lui per riuscire a resuscitare le interconnessioni fra i suoi testi e la inclusività propria del suo operare. Gli indici manoscritti potranno essere anch’essi una spia degli infiniti suoi interessi di lettura e di ricerca.

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1 Giovanni Fantuzzi, Memorie della vita di Ulisse Aldrovandi medico e filosofo bolognese, Bologna, per le stampe di Lelio dalla Volpe, 1774.

2 Si dispone da pochi anni di uno studio esemplare sulla biblioteca di Aldrovandi che ha toccato i principali aspetti della raccolta e del laboratorio bibliografico del natuaralista bolognese, oltre che riferire il pensiero di altri studiosi (Maria Cristina Bacchi, « Ulisse Aldrovandi e i suoi libri », in Archiginnasio, 2005, pp. 255-365, dove è anche la copiosa e esauriente bibliografia).

3 Angela Nuovo, « Et amicorum : costruzione e circolazione del sapere nelle biblioteche private del Cinquecento », in Libri, biblioteche e cultura degli ordini regolari nell’Italia moderna attraverso la documentazione della Congregazione dell’Indice. Atti del convegno internazionale, Macerata, 30 maggio-1 giugno 2006, a cura di Rosa Marisa Borraccini e Roberto Rusconi, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2006, pp. 105-127.

4 Giuseppe Olmi, Ulisse Aldrovandi : scienza e natura nel secondo Cinquecento, Trento, Libera Università degli studi, 1976. Dello stesso autore si veda anche « Il collezionismo scientifico », in Il Teatro della natura, Bologna, Editrice Compositori, 2001, pp. 20-50. Sul pensiero aldrovandiano si rinvia pure ai volumi e ai saggi di Sandra Tugnoli Pattaro segnalati in M. C. Bacchi, Ulisse Aldrovandi e i suoi libri, cit., pp. 255-365.

5 Antidotarii Bononiensis, sive de usitata ratione componendorum, miscendorumque medicamentorum, epitome, Bononiae, apud Ioannem Rossium, 1574 (Biblioteca universitaria di Bologna [BUB], coll. : A.IV.F.VIII.32).

6 Ulyssis Aldrovandi philosophi ac medici Bononiensis historiam naturalem in gymnasio Bononiensi profitentis, Ornithologiae hoc est de avibus historiae libri XII. Cum indice septendecim linguarum copiosissimo, Bononiae, apud Franciscum de Franciscis Senensem, 1599-1603 (BUB, coll. : A.IV.H.III.8.1-3).

7 De Animalibus insectis libri septem, cum singulorum iconibus ad viuum expressis. Autore Vlysse Aldrouando in almo Gymnasio Bonon : (…) Cum indice copiosissimo, Bonon., apud Ioan. Bapt. Bellagambam, 1602 (BUB, coll. : A.IV.H.III.7).

8 Maria Gioia Tavoni, « Stampa e fortuna delle opere di Ulisse Aldrovandi », in Atti e memorie della Deputazione di Storia patria per le province di Romagna, n.s., 42, 1991, pp. 207-224. Cfr. anche Alfredo Serrai, « Ulisse Aldrovandi », in Il Bibliotecario, 36-37, 1993, pp. 1-24, riedito in Appendice a Storia della bibliografia. VII. Storia e critica della catalogazione bibliografica, a cura di Gabriella Miggiano, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 793-819.

9 Si veda almeno : Hans Wellisch, « How to Make an Index-16th Century Style. Conrad Gesner on Indexes and Catalogs », in International Classification, 8, 1981, pp. 10-15.

10 Maria Gioia Tavoni, « Avant Genette fra trattati e “curiosità” », in Sulle tracce del paratesto. Catalogo della mostra. Biblioteca Universitaria di Bologna 19 novembre-18 dicembre 2004, a cura di Biancastella Antonino, Marco Santoro, Maria Gioia Tavoni, Bologna, Bononia University Press, 2004, p. 11-18.

11 Cfr. M. C. Bacchi, « Ulisse Aldrovandi e i suoi libri », cit., p. 271. Il testo del ms. Aldr. 21 (ll), trascritto per la prima volta da G. Olmi, Ulisse Aldrovandi, cit., è stato tradotto in italiano da A. Serrai, « Ulisse Aldrovandi », cit., pp. 796-799.

12 Sull note manoscritte apposte dei lettori nei volumi si vedor William H. Sherman, Used Books. Marking Readers in Renaissance England, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2008.

13 Maria Gioia Tavoni, Circumnavigare il testo : gli indici in età moderna, Napoli, Liguori, 2009.

14 Copiato da una stampa risulta, ad esempio, l’indice apposto ad un esemplare delle Elegantie di Lorenzo Valla conservato presso la Biblioteca Nazionale dell’Accademia dei Lincei e Corsiniana, sul quale cfr. Maria Gioia Tavoni, « La princeps delle Elegantie e i paratesti delle edizioni del 1471 », in Valla e l’Umanesimo a Bologna, a cura di Gian Mario Anselmi e Marta Guerra, Bologna, BUP, 2009, pp. 239-284.

15 M. C. Bacchi, « Ulisse Aldrovandi e i suoi libri », cit., p. 311.

16 Apuleio, Asinus aureus, sive Metamorphosis, comm. Filippo Beroaldo, Bologna, Benedetto Faelli, 1 Agosto 1500, ISTC ia00938000 ; IGI 773 ; (BUB, coll. : A.V.KK.VII.38. Prov. : Ulisse Aldrovandi). L’occhiello reca il titolo : « Cōmntarii a Philippo Beroaldo conditi in Asinum Aure|um Lucii Apuleii. Mox in reliqua Opuscula eiusdem Annota/|tiones imprimentur ». Cfr. Gli Incunaboli della r. Biblioteca universitaria di Bologna, catalogo di Andrea Caronti, compiuto e pubblicato da Alberto Bacchi Della Lega e Ludovico Frati, Bologna, Zanichelli, 1889, n° 59.

17 Silvia Fabrizio-Costa, Frank La Brasca, Filippo Beroaldo l’Ancien : un passeur d’humanités/Filippo Beroaldo il Vecchio : un umanista ad limina, Bern, Lang, 2005.

18 Si veda Albano Sorbelli, Corpus chartarum Italiae ad rem typographicam pertinentium ab arte inventa ad ann. MDL, vol. I, Bologna, a cura di Maria Gioia Tavoni con la collaborazione di Federica Rossi e Paolo Temeroli. Premessa di Anna Maria Giorgetti Vichi, Roma, IPZS, 2004, ad indicem e in particolare il saggio di Paolo Temeroli, « Prima e dopo il Corpus chartarum Italiae : un nuovo contributo di Albano Sorbelli alla storia della stampa », pp. 75-76.

19 BUB, ms. aldrovandiano 83, vol. 1, p. 334. Sempre nel medesimo ms. (vol. 1, p. 428) vi è una nota sulla corrispondenza che vale la pena riferire : « Si scrivono le cose per causa di haverne testimonio et certificatione (…). Delle lettere si ha d’havere la medesima consideratione percioche trovansi alcune parole per si posto che particularmente significano qualche cosa come il scrivere significa eruditione et l’ignorare da segno d’un ingegno rozo ».

20 Gian Mario Anselmi, « Filippo Beroaldo umanista e commentatore interprete », in Esperienze letterarie, 2009, 1, pp. 17-25, in part. p. 23. Si veda dello stesso autore anche : « Dalla eccellenza della retorica all’ermeneutica sapienziale », in Id., Il tempo ritrovato. Padania e Umanesimo tra erudizione e storiografia, Modena, Mucchi, 1992, pp. 23-36.

21 EDIT16 : censimento delle edizioni italiane del XVI secolo, <http://edit16.iccu.sbn.it> (ultima consultazione : 25 settembre 2009).

22 Luca dal Maso, Il Commentario di Filippo Beroaldo agli Apulei Metamorphoseon Libri XI, tesi di laurea, relatore prof. Manlio Pastore Stocchi, Padova, Università degli studi, Facoltà di lettere e filosofia, 2003-2004. Ringrazio l’autore per avermi fatto invio della sua tesi.

23 La Biblologia è l’opera del naturalista bolognese scritta tra la fine del 1580 e il principio dell’anno successivo, tramandata da due manoscritti custoditi nella Biblioteca Universitaria di Bologna (coll. : ms. Aldrovandi 83.1-2, già A.III.B.53.1-2). Il primo codice, cartaceo, consta di pp. 1067 numerate e di 9 cc. non numerate ; il secondo, anch’esso cartaceo, si compone di 459 cc. numerate e di 16 cc. non numerate. Il titolo dello scritto, indicato dallo stesso Aldrovandi, è De papyro, et linguarum, et academiarum diversitate libri duo. Un progetto mio e di Marco Guardo per un’edizione commentata della Biblologia, inoltrato alla Fondazione Alma mater studiorum, non ha mai avuto alcun riscontro.

24 Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna [BCAB], 16 P. II. 14.

25 BUB, ms. Aldrovandi 136, tomo XXV. Devo la segnalazione di questo ms. al collega e amico Giuseppe Olmi che ringrazio di cuore.

26 A c. 89v sono alcuni lemmi, estratti dallo stesso indice e aggiunti da mano posteriore, su cui riferiamo in seguito.

27 Methodus exhibens per varios indices, et classes subinde, quorumlibet librorum, cuiuslibet Bibliothecæ, breue(m), facilem, imitabilem ordinationem. Qua sanè peraccommodè, & sine multa inquisitione occurrat studiosis optata inuentio, & lectio eorundem, Impressum Augustae, per Philippum Vlhardum. Ringrazio con calore Federico Olmi che mi ha permesso di accedere all’edizione da lui tradotta e commentata del manuale di Trefler, che comparirà a stampa presso l’editore Forni di Castelbolognese nel 2010, nella collana « Bibliografia e storie del libro » curata da me e da Paolo Tinti.

28 Andrea Battistini, « Il rasoio e lo scalpello : le forme della disputa delle arti dal medioevo all’età moderna », in Sapere e/è potere : il caso bolognese a confronto, a cura di Luisa Avellini. Introduzione di Andrea Battistini, Bologna, Comune di Bologna ; Istituto per la Storia di Bologna, 1990, I, pp. 11-40.

29 A tal proposito si rinvia a G. Olmi, Ulisse Aldrovandi : scienza e natura nel secondo Cinquecento, cit., capitolo primo.

30 Mi sono avvalsa per i riscontri al testo dell’edizione : Apuleio, Le Metamorfosi o l’Asino d’oro, introduzione di Reinhold Merkelbach. Premessa al testo di Salvatore Rizzo, Testo latino a fronte, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1955.

31 Aldrovandi possedeva numerosi esemplari di stampe ovidiane, « spesso arricchiti degli indici dei nomi degli animali » citati : cfr. M. C. Bacchi, « Ulisse Aldrovandi e i suoi libri » cit., p. 311.

32 Si citi ad esempio la provata conoscenza della biblioteca del cardinale Paleotti : ivi, p. 318.

33 Si vedano : G. Olmi, Ulisse Aldrovandi : scienza e natura nel secondo Cinquecento, cit., pp. 43-59 e Albano Biondi, « Ulisse Aldrovandi e l’eresia a Bologna », in Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento, XVII (1991), pp. 77-89.

34 Pensiamo si tratti di quello che ancor oggi è chiamato Palazzo de’ Rossi, ubicato a Pontecchio (Sasso Marconi). Un Mino risulta infatti figlio di Bartolomeo de’ Rossi, il ricco possidente che scelse con molta cura il luogo dove fece sorgere la sua sontuosa dimora che ospitò pure i Bentivoglio, signori di Bologna.

35 Osservazioni pregnanti e pertinenti sulla villa di Mino Roscio e sull’atteggiamento sempre encomiastico di Beroaldo nei confronti dei Bentivoglio, si ricavano dalla tesi di laurea di Luca dal Maso, cit., pp. 80-88.