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Il tipografo nel paratesto : identità, pubblicità, celebrità

Anna Giulia CAVAGNA

Università di Genova

In quanto prodotti culturali le comunicazioni informative paratestuali, che propongono e rendono presente ai lettori le pubblicazioni, trovano giustificazione e pertinenza nel sistema editoriale nella creazione di un pubblico1 ; hanno lo scopo commerciale di non rendere vano né l’impegno intellettuale dell’autore né l’investimento economico dell’editore (che nell’antico regime tipografico – e in molte regioni d’Italia fin quasi alle soglie del Novecento, era il tipografo-editore-libraio). Quelle informazioni ragguagliano meglio sulla singola opera edita ; sono soggette a mutevoli realizzazioni e manifestazioni storiche ma, seppur in tipologie diverse, sono state sempre presenti nella civiltà del libro occidentale. Quando redatte o allestite, firmate, dal tipografo-editore medesimo, proprio perché forme tipologiche ricorrenti e di lunga persistenza, possono essere indagate nel loro insieme come paratesto editoriale per verificare se forniscano anche altre indicazioni, generino altre conseguenze. All’interno di un rinnovato paradigma storiografico di storia del libro che tien conto del valore di singole individualità e loro biografie2, nei tempi lunghi della storia, modificandosi o fornendo lo spunto per redigere nuove composizioni, nuovi testi dove il tipografo è autore, quell’insieme di pratiche editoriali, tracce di un individuo che cambia nel tempo in quanto singolo soggetto ma che persegue nelle epoche il medesimo fine, sono interpretabili come paratesto fattuale3. Un paratesto dove, espandendo il significato genettiano, il testo è da intendersi non la singola pubblicazione, il singolo libro prodotto, bensì l’insieme di tutte le scritture pubblicate da un editore-tipografo, il complesso di edizioni che, anche attraverso espedienti epitestuali e informazioni personali fornite al pubblico, egli auspica, riceva considerazione dai lettori : costoro, comprando, valideranno il suo lavoro.

Analizzerò qui in breve alcune tipologie di paratesti editoriali essenzialmente di natura grafico-visiva dei primi quattro secoli, esemplificandone l’uso all’interno dell’attività editoriale del tipografo ; farò riferimento, solo funzionale, ai paratesti verbali realizzati dal tipografo che contornarono, rafforzandoli, quelli visivi. Centrerò l’analisi in ambito italiano in rapporto dialettico però con una ampia esemplificazione europea perché la vicenda del paratesto editoriale non è circoscrivibile nell’ambito, artificioso, di un solo stato nazionale. Territori diversi hanno avuto varianti di sviluppo ma l’evoluzione nel tempo della figura del tipografo-editore, da artigiano con qualche abilità a professionista specifico con ampie esperienze e strategie commerciali, culturali allargate, pur nella conservazione di un bagaglio tecnico-nozionistico e gestuale abbastanza uniforme sul continente4, è appunto manifestazione europea. L’analisi vuol segnare e indicare quei paratesi, che pure assolvono anche la funzione classicamente riconosciuta dalla critica a tali scritture comunicative, come veicoli attraverso i quali progressivamente il tipografo-editore compone e qualifica i propri spazi di impegno artigianale e culturale. Additandole reiteratamente come indicatori utili per qualificare ambiti e caratteristiche del proprio preciso lavoro, il tipografo stesso marca progressivamente quelle scritture e le operazioni in esse descritte o che ad esse fanno riferimento, come segni distintivi della propria peculiare preparazione ; in quei paratesti e loro tramite egli manifesta cioè la propria identità, personale e professionale, che nell’Ottocento-Novecento italiano ha forte connotazione intellettuale, di impegno politico, civile, anche quando si rivolge al mercato di massa.

Formato del libro edito, caratteri e carta impiegati per trasmettere il testo sono i primi e più appariscenti elementi paratestuali non verbali a cura del tipografo-editore che connotano il manufatto librario e dipendono dalle sue decisioni e competenze tecniche5.

Se nei primi decenni della stampa al tipografo interessa segnalare la quantità della carta impiegata indicandola nel linguaggio specialistico del registro codificato anche per altri usi, successivamente subentra una preoccupazione di qualità6. Nei peritesti verbali da lui firmati prevale infatti l’informazione sulla particolare consistenza del prodotto impiegato che esclude, progressivamente ma con forza, eventuali patteggiamenti con i desideri eventuali dell’autore7. A partire dal primo Ottocento la preliminare scelta che vi è sottesa è pienamente considerata inscritta nei suoi doveri lavorativi, tanto da essere regolamentata ormai secondo una raffinata casistica di necessità. Il tipografo-editore deve saper valutare la carta adatta a : sopportare i nuovi processi meccanici per il trattamento decorativo delle illustrazioni o le frequenti consultazioni8 ; ottemperare un criterio di leggibilità onde non infastidire la vista con fogli troppo bianchi9 ; sfruttare i mutamenti di fabbricazione del materiale cartaceo che aboliscono le filigrane deturpanti il centropagina10. Con soddisfazione pertanto, pubblicizza al frontespizio le scelte operate con un peritesto tecnico propagandistico di rilievo : « edizione in 16° grande, carta sopraffina levigata », oppure enfatizza l’uso di certune tipologie di caratteri, materiali e processi riproduttivi nei preliminari discorsivi o nelle note tipografiche11. Con motivate argomentazioni nell’Ottocento giustifica anche l’opzione contraria di carta mediocre, caratteri piccoli, specchio di stampa compatto con poco margine, in virtù di una proposta editoriale (che è politica) protesa a democratizzare la stampa, così accessibile economicamente ai ceti meno abbienti12. Ugualmente oggi i segnali che lancia al lettore al riguardo, lo esibiscono impegnato in un uso responsabile della carta, attento alla sensibilità ecologica emergente : una variante globalista dell’ amor patrio13.

Il tipografo-editore nei peritesti verbali riferisce sui caratteri tipografici impiegati, ne elogia disegno e chiarezza, motivando la riedizione di un opera in base alla veste grafica rinnovata che ne incrementa la ricezione-circolazione ; fa assurgere a livello di titolo e colophon, dunque a livello comunicazionale, degno di essere detto, una procedura tecnica di servizio, una informazione sul proprio lavoro, per mettersi in migliore luce presso quel pubblico che condivida analoghi orientamenti o cui vuole additare comportamenti virtuosi14. La padronanza conoscitiva (non la fabbricazione15) di questi oggetti così mutevoli per forma, dimensione e nomenclatura, è percepita come sua competenza peculiare. Ai caratteri si fa riferimento già nei primi componimento descrittivi cinquecenteschi dell’arte tipografica ; naturalmente anche nella posteriore manualistica tecnica redatta dagli stessi tipografi, attenti ad istituire una simmetria fra corpo e tipologia del carattere da un lato e il contenuto delle porzioni testuali che esso trascrive o il pubblico che deve raggiungere dall’altro16 ; i caratteri son ricordati in varie scritture ibride, a metà strada fra l’enciclopedia e il lessico-dizionario, che contribuiscono a sustanziare in materia l’immaginario conoscitivo dell’uomo moderno17.

Tuttavia, non maneggiando banalmente i caratteri, bensì sapendoli applicare opportunamente, il tipografo-editore riesce a farsi percepire. Nel Cinque-Settecento calibra l’ordine e la visibilità (per forma e dimensione) dei peritesti, anche dei propri, che quasi sempre antecedono quelli autorali e son composti di norma in corsivo con un carattere cioè che designa l’intervento, la parola ; successivamente userà di preferenza il tondo ma, per marcare la distinzione fra sé e l’autore, impiega una spaziatura più larga del testo, o una diversa dimensione del carattere18. Impagina i caratteri secondo una corrispondenza gerarchica che riflette gli equilibri o la logica politico-sociale del suo tempo, ma che in fondo tien conto della distinzione fra libro e opera19 ; costruisce l’architettura della pagina, un incontro di contenuto e forma rivendicata dalla trattatistica del secolo scorso ma che riecheggia il lontano dibattito umanistico sulla correttezza filologico-grafica20.

I caratteri, per moltitudine e qualità grafica, connotano e distinguono la ricchezza, dunque le potenzialità editoriali, di una azienda. Il tipografo ne riferisce, li intende, o li esibisce come segni distintivi del proprio lavoro : comprendendo, soprattutto col dischiudersi di mercati più larghi nel corso dell’Ottocento, l’opportunità di pubblicizzare attraverso di essi le proprie potenzialità di produttive ne pubblica il campionario. Trasforma cioè un elemento tecnico strumentale del proprio mestiere in un opera pubblicata, in un epitesto propagandistico che circola a beneficio non di una singola edizione ma dell’insieme dei libri che con quei segni verranno pubblicati21.

In modo progressivamente sistematico il tipografo provvede alla teorizzazione, divulgazione, di alcuni stadi tipografici. Superata la fase dei primi secoli in cui accuse di reciproca incuria tradivano anche una mancata standardizzazione dei processi lavorativi, coopera, responsabilizzandolo, con l’autore per il corretto uso dei caratteri, dopo averlo debitamente istruito. Nel Sette-Otto-cento, egli ha l’autorità di chiarire (e imporre), al potenziale pubblico oltre che alle maestranze, la grammatica sottesa all’impiego di segni, corpi, forme, caratteri, tramite una manualistica che di fatto ha sempre di più il compito di governare la sfuggente materia paratestuale. Inizialmente la terminologia di segni speciali, caratteri aveva raggiunto il pubblico veicolata da scritti di eruditi, volenterosi ma spesso non competenti di quanto andavan descrivendo22. Fra Sette e Ottocento, in concomitanza con la diffusione di uno spirito razionalistico e ordinatore23, compaiono invece tabelle, tavole illustrate, elencazioni figurate, create dal tipografo-editore quale corredo paratestuale ai manuali che egli stesso stende24. Esse regolamentano il ricorso a segni tipografici o segni di correzione per il revisore25, disciplinando anche l’autore26, accreditando, sul piano grafico-concettuale, la competenza lavorativa del tipografo suggerendone, visivamente, la specificità professionale27. Forse imbrigliano le potenzialità comunicazionaliespressive dell’autore, che in epoca barocca utilizza il tempo della correzione delle bozze come momento per la revisione di idee e pensiero28, ma tali norme accrescono il rendimento produttivo29. Sono, insieme ad altri epitesti (specimen, cataloghi aziendali) lo scenario di fondo, quel genettiano fatto ‘altro’ che, riconosciuto dal pubblico, concorrerà a far accogliere positivamente il lavoro di un editore e la sua persona.

La convergenza fra carattere e contenuto testuale, che il tipografo d’antico regime sperimenta nella sua pratica giornaliera, si introiettata a fondo nella sua persona30, divenendo indizio della sua essenza lavorativa, segno della sua personalità ; connota la sua comunicazione, non solo peritestuale, al punto da spingerlo a creare, con quei pezzi, non solo epitesti pubblicitari ma nuove forme espressive, nuovi, diversi scritti. Così fece uno sfortunato compositore ottocentesco31 : i piccoli grafemi strumenti ordinari del suo incarico quotidiano divennero ossessivi segni per ideare prose visive, allucinati elementi di un linguaggio redatto (e concepito) in tono delirante. Uguale riuso creativo dei caratteri, assurti veramente ad identificare persona e mestiere, offrirono per una ricorrenza mondana, in toni festosi e meno inquietanti, amici tipografi e compositori a un editore italiano del primo Novecento32. Ancora una volta, una pratica paratestuale, una maestria lavorativa genera dunque testi « altri », per il largo pubblico, connotati dal fatto di essere pensiero, parola e segno del tipografo-editore.

Caratteri, formato, carta definiscono la fisionomia di un piano editoriale33, il codice grafico di un tipografo-editore, tanto che per traslato si denomina il formato (l’impianto bibliologico) con il nome dell’editore che lo ha usato per primo, o con il nome del prodotto (di solito una collana) dove per primo l’editore lo ha applicato : una sineddoche applicata per esempio sia in Italia che in Francia34. Inoltre da paratesto tecnico, i caratteri e lo specchio di stampa da essi generato divengono, da segni comunicativi, testi : duplicati infatti nelle riproduzioni facsimilari di fine Ottocento con finalità didattico-pedagogiche di istruzione professionale, sono oggetto di studio, per chi deve imparare il mestiere e per chi studia lo spirito di un’epoca35. Come testi-modello devono essere accolti in quanto sono degli exempla che raccontano cultura e personalità di chi li ha fabbricati36 ; nell’insieme rappresentano la vita di un editore sono la sua stessa vita : « la vita di un editore è la storia delle sue edizioni » recita un fulminante peritesto ottocentesco italiano, in exergo a un libro di memorie editoriali37. In forme e sintassi moderne, questa epigrafe esprime ciò cui una edizione cinquecentesca alludeva, in modo sincretico ma chiaro, già con la propria fattura fisica : essa riuniva, combaciandoli in fase di produzione del libro, opera, vita e libri stampati. L’orazione funebre per la morte di Oporino nel 1569, che ne ricostruisce dettagliatamente l’esistenza, è corredata dal catalogo completo delle sue edizioni sicuramente recepito anche come epitesto pubblicitario dell’azienda38. Simigliante uso epitestuale, a favore della persona dunque della ditta, mimetizzato nei toni eleganti e dignitosi della celebrazione obituaria, ebbe la commemorazione del cavaliere-tipografo Giuseppe Antonelli, che nel secondo Ottocento « onorò l’arte e la patria » con incisioni, litografie e libri, il cui catalogo prezzato accompagna l’elogio funebre39.

Grazie anche a queste scritture epitestuali che esplicitano al pubblico talenti personali e abilità del mestiere, il tipografo-editore acquista uno spazio urbano visibile, una individualità ; se nei primi due tre secoli della stampa era sufficiente per trovarlo il ricorso alla pratica peritestuale dell’indirizzo tipografico al frontespizio, nel secondo Settecento, e in Italia nel secolo successivo, egli ricorre a più precise segnalazioni in guide commerciali, che talora lui stesso redige e pubblica : una rubrica fissa aiuta potenziali lettori e autori a rintracciarlo nel dedalo delle attività merceologiche urbane in via di industrializzazione40. Pensandosi in qualche modo come distributore (agente operante) di cultura, contribuisce alla nascita di quella public sphere41 che, almeno nell’Italia ottocentesca, in molti casi potrà significare anche impegno politico, nuovi orientamenti e responsabilità della stampa, lessicalmente percepibili persino nei peritesti frontespiziali42. Anche quelle guide, quasi epitesti aziendali, distribuiranno nel circuito dei lettori segni tangibili della reperibilità e dell’identità dell’editore.

La ragione profonda di tutte queste scritture e del loro reiterato proporsi sta nella convinzione, che si esplicita pienamente nel corso dell’Ottocento, della assoluta imprescindibilità della figura del tipografo-editore all’interno di una società. Egli contribuisce a delineare la nazione, senza il suo segno non c’è neanche memoria storica da conservare : questa l’idea comunicata, graficamente, da alcuni singolari paratesti editoriali del 1824, composti da un tipografo-editore inglese come preliminari a un manuale. Al frontespizio il titolo lunghissimo è seguito da rime in lode della stampa che terminano : « thou art the means by which we gain redress Our Nation’s bulwark is the British Press ». È inquadrato in un grande arco romano fatto di minuti ornamenti tipografici ; nella chiave di volta c’è il nome del primo tipografo inglese, lateralmente, confusi nella decorazione geometrica, ci sono i nomi di una dozzina d’altri tipografi del passato ; al piede, in caratteri piccoli, affogato nei decori, il proprio nome. Nel secondo volume il frontespizio, che riprende la metafora libro-monumento, pagina frontespiziale come architettura del sapere, è meno arzigogolato ; comunque v’è una seconda illustrazione che raffigura l’entrata della Bodleian Library (scelta perché « particularly rich in early typography ») sormontata da effigi di Gutenberg e Aldo Manuzio, armi araldiche di celebri dinastie di tipografi continentali (Gutenberg, Faust, Manuzio, Elzevier) : una rivendicazione di visibilità e valore professionale consistente, quasi metafora definitiva dell’avvenuto passaggio, per il tipografo-editore, dalla parola all’immagine ove la retorica tardorinascimentale aveva ancorato i processi di memoria e invenzione43.

Un altro elemento peritestuale di natura visiva curato dal tipografo-editore è l’illustrazione che viene apposta al frontespizio o in antiporta e che lo ritrae in quanto lavoratore di categoria o come persona specifica. Sono svariati i tipografi-editori che ricorsero a tale strategia. L’immagine si presenta in varie forme iconografiche : vignetta, marca tipografica, o vero e proprio ritratto : lo spazio che occupa è quasi sempre quello preliminare del peritesto.

La marca di solito raffigura la gestualità tecnica del lavoratore a volte rappresentando in modo perspicuo anche il bagaglio strumentale di attrezzi o l’ambiente spaziale dove opera, i gruppi umani che lo frequentano occasionalmente, le persone impiegate, di ambo i sessi, nelle varie mansioni ; altre volte è raffigurato solo lo strumento principale : il torchio44. Il disegno in quest’ultimo caso è una unità significante evocativa : rinvia a un contesto di conoscenze, il libro, all’interno di una società ben disposta a prenderlo in considerazione. Il senso dell’illustrazione richiama per estensione l’idea del sapere, è in linea con le raffigurazione del negozio di libraio dispensatore di cultura-idee45, allude a una positiva crescita personale attraverso la lettura, all’emancipazione del pubblico grazie al lavoro del tipografo. Significati meglio conciliabili con l’etica protestante che non cattolica, ed infatti i tipografi italiani non amano tali scene collettive, apparse tardivamente con uso peritestuale46 e comunque dopo che illustrazioni didattiche d’autore già eran circolate in compilazioni generaliste47.

Il ritratto, altro elemento peritestuale editoriale, presenta il tipografo secondo i canoni artistici e iconografici del periodo : dotto erudito nei medaglioni classicheggianti del Cinquecento, non per forza fedeli ai lineamenti del soggetto, o nello spazio esiguo, ambiguo e sottotono di un capolettera48 ; agiato mercante con ambizioni di annobilimento nei secoli successivi quando la fisionomia è reale ; imprenditore della cultura nell’Otto-Novecento quando il ritratto è lito o fotografico a piena persona49.

Nel Rinascimento si ricorreva al dipinto, succedaneo della persona assente, come informazione su fisionomie che grandi lontananze, improbabilità di incontro avrebbero lasciato ignote. Umanesimo e rinascimento in forme diverse avevano posto attenzione al ritratto (d’autore) : testimonianze iconografiche emergono copiose dalle edizioni italiane o europee50. Tipografi famosi indulsero alla moda del ritratto per far conoscere i propri lineamenti agli autori di riguardo, ma si trattava di immagini per amici o corrispondenti, senza l’idea di un uso commerciale51. Non sono queste le motivazione che meglio spiegano i peritesti editoriali con ritratti di tipografi o interni di bottega. Il desiderio di segnare con le proprie fattezze il proprio prodotto risente in primo luogo di un clima culturale, cioè di quelle gallerie di ritratti, di celebrità in varie professioni, di iconobibliografie d’eruditi in cui si specializzarono il secondo Cinquecento e il Seicento52. L’illustrazione auto-rappresentativa del tipografo si apparenta a questo filone alto e, in parallelo, è rafforzata nel ricordo del lettore da una sorta di canone, di albo d’oro degli artigiani valenti, elaborato da vari studiosi che indicavano, in chiave celebrativa nei propri scritti, i nomi di reputati e stimati tipografi più o meno dotti53. Il desiderio di esibirsi in qualche modo di persona accanto, dentro, i libri prodotti è forse incoraggiato, almeno in alcuni paesi, dalla circolazione di raccolte di incisioni di tema tipografico-librario, o dal dibattito sull’identità del vero primo tipografo e dalle celebrazioni di metà Seicento che ne diffusero ritratti veri o presunti54. La secolare polemica sull’individuazione certa dell’inventore dei caratteri mobili fa aumentare in quel periodo la circolazione di immagini-santino fra lettori europei ; in questo caso, tuttavia, la ragione del ritratto è differente : in quest’ultimo caso infatti il peritesto illustrativo sulle sembianze del tipografo è strettamente funzionale al contenuto argomentativo comunicato nel libro, è un peritesto autorale inserito, e rilegato, nell’opera55.

In secondo luogo la motivazione da parte del tipografo-editore d’inserire nelle pubblicazioni altrui immagini di sé, del proprio lavoro dipende da una ben più stringente e intrinseca ragione professionale. È sotteso cioè al peritesto editoriale un sentimento di orgoglio, soddisfazione, che ha conseguenze pubblicitarie ma in prima istanza rivendica una autoaffermazione, il raggiungimento di una esibita dignità professionale in campo latamente intellettuale. Come, per esempio nelle edizioni dei discendenti Manuzio, in libri di argomento vario, dove compaiono ritratti diversificati di Aldo a suggello di qualità editoriale56. Ciò che pare rilevante osservare, al di là della verosimiglianza o meno di tali raffigurazioni e del relativo valore artistico o dei modelli espressivi richiamati57, è la decisione editoriale di marcare inconfondibilmente le proprie pubblicazioni con il disegno della propria immagine-personalità, per connotarsi, distinguersi, rivendicare un preciso ambito d’azione, oltre che uno spazio, nella memoria del lettore. Quando un tipografo governativo milanese correda una raccolta legislativa pubblicata con parziale sostegno del governo, con il proprio, grande, ritratto posto in controfacciata alla dedica che egli stesso stende, fa qualcosa che è molto di più che indulgere ad una moda. Egli si rende riconoscibile in tutti i tribunali e gli ambienti giuridico-nobiliari del territorio, ma si propone anche autorevole detentore di un potere comunicativo « vero », di un ruolo di mediazione ufficiale gravido di sviluppi considerevoli58. I peritesti iconografici autorappresentativi, marche o ritratti, sottendono il convincimento, la speranza, del valore culturale del proprio lavoro per la collettività, da cui si richiede approvazione non solo grazie alla retorica verbale del professato ossequio, scritto nelle varie dediche o prefazioni liminari. L’immagine del ritratto simula una presenza, adombra una complicità o un consenso, ma soprattutto rivendica valore e rilievo della persona che il lettore è chiamato a ricordare grazie al disegno59.

Il lettore può fruire di quei testi, dell’opera comprata nel libro, con una normale lettura e dunque considerare gli elementi grafici come meri segni decorativi ; una più scaltra esegesi, in linea con le correnti fisiognomiche del Seicento, lo indurrà a credere che da quei ritratti, da quella fisionimia esibita si possa arguire lo stile, forse l’ethos, di un uomo, che pensiero e conoscenze del tipografo-editore si rivelino nel suo volto come nelle sue offerte editoriali, in quei segni grafici e disegni in cui il tipografo-editore s’identifica e vuol essere identificato.

Una importante testimonianza della complessità di motivazioni che si intrecciano in questa autoesibizione, sono le Icones bibliopolarum realizzate all’inizio del Settecento in ambito tedesco col desiderio di allestire una galleria pedagogica imitabile60. Con estensione cronologica bisecolare e copertura continentale, seppur centrata in area germanofila, l’editore, che è contemporaneamente autore dell’opera e detentore delle effigi, pubblica oltre un centinaio di ritratti di tipografi e librai europei, fra cui due italiani : un pantheon che celebra solo per immagini i fasti dei tipografi-editori. Il peritesto iconografico dei tipografi cinquecenteschi trasmutato a generare una nuova pubblicazione, si risolve qui in una visiva campagna promozionale dei mestieri del libro, nell’esibita soddisfazione di voler marcare una competenza, segnalare con fierezza e senso dell’onore una professione utile.

Sono queste, certo, le motivazioni sottese alla decisione di collocare, in antiporta al volume di Memorie dell’ottocentesco tipografo-editore Barbèra pubblicato dalla sua casa, il suo ritratto con la riproduzione della sua scrittura. La sua minuta grafia sancisce in una massima, epigrafe alla sua esistenza e alla sua attività lavorativa, il concetto d’identità, intellettuale oltre che affettiva e economica61, fra editore e opere pubblicate. È un peritesto-manifesto che il lettore è chiamato a approvare, con il quale è chiamato ad identificarsi : nella sintesi di parole e immagini egli trarrà, con la compera del libro cosi segnato, quegli insegnamenti civili tanto cari alla tradizione del pensiero storiografico italiano62. Stessa idea di riconoscimento e identificazione soggiace all’iniziativa pubblicitaria, di poco posteriore ma fallita, di presentare i ritratti, fotografici, di tutti giornalisti italiani di fine Ottocento63.

Il pubblico in quegli anni rafforza il ricordo di questo o quell’editore anche grazie alla proliferazione di epitesti pubblicitari essenzialmente grafici, che nell’Italia fra Otto e Novecento cominciano vistosamente a comparire sui periodici generalisti. Le inserzioni compendiano in una sola immagine l’intero ciclo produttivo, presentano gli stabilimenti di cui si ritrae l’ambiente di lavoro, le sedi corrispondenti. In una locandina promozionale multilingue del primo Novecento, un editore dell’allora impero asburgico con filiali a Milano, oltre che in Europa, ritrae gli edifici di tutte le succursali con i toponimi delle città di riferimento, ponendo al centro il disegno della casa madre i cui locali interni son ripieni di operosi lavoratori64. Altre pubblicazioni italiane propagandistiche collettive celebrano in quegli anni il nuovo olimpo nazionale di editori di vaglia65. Le reclames di macchinari che quegli stessi editori usano costituiscono lo scenario di fondo che aiuta il lettore Otto-novecentesco a familiarizzare con la tipografia, a costruirsi un immaginario della stampa entro cui ritrovare, nello scarto di abilità fra sé e l’editore, la rispettabile identità pubblica che il moderno imprenditore del libro ha saputo costruirsi con gli esiti commerciali del proprio lavoro66. Sono, tutti quei paratesti editoriali nel loro insieme, paratesti fattuali che informano il pubblico, concorrono a formare in lui una opinione sulla modernità, e bontà, di un editore.

In lineare coerenza con la scelta di Barbèra, un altro editore italiano che ha marcato quasi cinquant’anni di cultura nazionale, Giulio Einaudi, comporrà un paratesto simile per la sovraccoperta di un volume di proprie memorie, costruite nel racconto-ricordo degli autori che fecero grande la Casa. La fotografia lo ritrae in montagna stagliato in primo piano su uno sfondo di cime che egli sormonta ; lo effigia insieme al nipote, auspicio di una generazione d’editoria futura che non fu. É di profilo, con velato sfuggente sorriso interiore, ma con aspetto perentorio ; non guarda il lettore, ma lontano, oltre le vette innevate dell’orizzonte che la sua bianca testa in primo piano duplica sovrastandole. É un paratesto che scioglie l’interrogativo iniziale se la pubblicazione dovesse riguardare « la mia attività (…) o [la] mia persona » : per un editore, sono la stessa cosa, come evidenzia l’immagine67. L’idea, in differente pubblicazione, è ribadita nel peritesto metaforico di un’altra copertina che parla ancora di lui : sancisce figurativamente, il preciso legame fra persona, segno alfabetico, e libri pubblicati quali segnali connotanti l’editore. Nella copertina, che rilega le pagine, campeggia un elegante volume aperto con fogli bianchi ; il titolo recita Alfabeto Einaudi68. L’alfabeto sono gli autori di cui, all’interno dell’opera, sono ricordate, da parte di uno scrittore anch’egli dipendente della Casa, circostanze di pubblicazione, dialoghi con l’editore, mansioni. Se la scrittura può essere intesa una « assenza » in contrapposizione alla parola che implica (o implicava) presenza, l’immagine dell’editore, il segno dei suoi caratteri e formati, ricostruiscono l’immediatezza del voler esserci, impongono una identità, una competenza sul e del libro, un tempo monopolio del solo autore.

Oggi il ritratto dell’editore, il segno più immediato dei paratesti editoriali, è impossibile nel libro contemporaneo : l’avvenuto mutamento della struttura proprietaria, passata, in quella casa editrice come in altre, dalle mani di un singolo individuo a quelle indistinte di grandi concentrazioni editoriali collettive impedisce di ancorare una produzione alla figura e al segno di un uomo : per alcuni è una perdita. Forse anche per questo i paratesti tendono ad essere spesso corrivi omologati fra loro.

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1 Gérard Genette, Soglie, i dintorni del testo, Torino, Einaudi, 1989 ; Marco Santoro, « 002 Testo e paratesto », in Biblioteconomia. Guida classificata, ed. Mauro Guerrini, Gianfranco Crupi, Stefano Gambari, Vincenzo Fugaldi, presentazione di Luigi Crocetti, Milano, Editrice Bibliografica, 2007, pp. 32-37 ; Jacques Michon, « La collection littéraire et son auteur », in Paratextes. Études aux bords du texte, ed. Mireille Calle-Gruber, Élisabeth Zawisza, Paris, L’Harmattan, 2000, pp. 157-168.

2 Alistair McCleery, « The Return of the Publisher to Book History », in Book History, 5, 2002, pp. 161-185.

3 G. Genette, Soglie, cit., p. 9 : « qualifico come fattuale un paratesto costituito […] da un fatto la cui sola esistenza, se conosciuta al pubblico, apporti qualche commento al testo e abbia un peso sulla sua ricezione ».

4 Il tipografo-editore, impegnato con argomenti etnografici, Francesco Giliberti, Studi storici sulla tipografia intorno all’origine dell’arte della stampa, Palermo, Stabilimento tipografico dell’Autore, 1870, racconta per esempio della estrema facilità con cui si acclimatò nelle stamperie marsigliesi dove andò a lavorare esule politico, grazie ad una sostanziale uguaglianza terminologica, lessicale e gestuale del gergo tipografico.

5 M. Santoro, « 002 Testo e paratesto », cit., p. 36.

6 Sopravvive a lungo comunque il riferimento alla carta di ordine quantitativo : nel 1816, il Proemio della Biblioteca Italiana, avvisa il lettore, p. 7, che la serie comprenderà per ciascuna edizione un libro di non meno di fogli e non più di 10, fornendo un ordine di grandezza all’acquirente ma anche l’idea di quanto l’editore fosse disposto a investire nell’impresa.

7 Per esempio la « finezza di carta & leggiadria di carattere [e le] belle figure » cui allude Giordano Ziletti, in Giovanni Mario Verdizotti, Cento fauole morali. De i più illustri antichi, et moderni autori greci, et latini, scielte, et trattate in varie maniere di versi volgari, Venetia, Alessandro de’ Vecchi, c.A1r., oppure l’avviso ai lettori in Ludovico Ariosto, Orlando furioso, Birmingham, da’ torchj di G. Baskerville, per Pietro Molini librajo dell’Accademia Reale, e G. Molini, 1773, p 1 ; infine la pubblicità « ai Signori associati » a firma dell’editore sull’uso di carta blu per la copertina, in Alfonso Niccolai, Dichiarazione letterale del sacro testo della bibbia, Genova, Adamo Scionico ; si vende da Ivone Gravier, 1773.

8 Thomas C. Hansard, The Origin and Progress of the Art of Printing with Practical Directions for Conducting Every Department, London, Baldwin, 1825, p. 14 ; Severino Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, Roma-Napoli, Theoria, 1991 : alla domanda qual’è il libro perfetto, l’intervistato risponde : « Il catalogo storico […] un volume di 845 pagine, maneggevole, che resiste […] Merito anche della carta che, pur non essendo cara, è migliore di quella usata per altri volumi ». Ancora nel Seicento era costume in alcune aree europee che l’autore consigliasse o scegliesse il tipo di carattere da usare per le proprie pubblicazioni, almeno stando alla testimonianza di Jeronimus Hornschuch, Όρθοτυπογράφίά, hoc est instructio operas typographicas correcturis et admonitio scripta sua in lucem edituris utili set necessaria […], Lipsiae, Michaël Lantzenberger, 1608, che correda l’opera c. [1] varia tpographorum sive scripturarum typographis genera et appellatione s[…] ut quibus sua excudit malit benevolus lecto inde seligere possit.

9 Juan Josef Sigüenza y Vera, Mecanismo del arte de la Imprenta para facilidad de los operarios Madrid, Imprenta de la Compañia, 1811, Prólogo pp. III e 38 : « [el papel] no esté muy blanco […] pues asì no molesta tanto la vista » ; in un altro passaggio il tipografo esprime il convincimento d’essere essere così « útil à la patria ».

10 Cfr. l’« avertissement » del tipografo-traduttore, in Plainte de la typographie contre certains imprimeurs ignorants qui lui ont attiré le mépris où elle est tombée. Poème latin […] Traduit en François par un Imprimeur de Paris du XVIIIe siècle Paris, Chez Jean-Roch Lottin de Saint Germains Imprimeur-libraire, 1785, pp. ix-xii ; è l’adattamento di Henri Estienne, Artis typographica Querimonia, 1569.

11 Cfr. Ippolito Pindemonte, Elogi di letterati italiani, Milano, Giovanni Silvestri, 1829, indicazione posta in corsivo sulla copertina editoriale, impaginata fra il nome dell’autore e del titolo ; a p.[3] la prefazione firmata dal Tipografo anticipa i titoli di imminente uscita nella stessa collana. Si vedano anche : Jean-Baptiste Blanchard La scuola de’ costumi, Genova, Andrea Frugoni, 1795- 1796, p. 3 : Lo stampatore ai lettori : « ho adoprato caratteri non inferiori a quelli nei quali è impressa l’edizione di Lione e carta molto migliore » ; Vittorio Alfieri, Della tirannide libri due, [Kehl], dalla tipografia di Kehl co’ caratteri di Baskerville, 1809, con indicazione del tipografo subito al frontespizio sulla tipologia dei caratteri ; François Callet, Tables portatives de logarithmes des nombres de 1 à 108 000 et des sinus et tangentes, Paris, Édition stéréotype, gravée, fondue et imprimée par Firmin Didot, 1825. Sulle influenze che carta carattere e formato hanno sulla ricezione dell’opera e le varie posizioni della critica odierna Margherita Di Fazio, Dal titolo all’indice. Forme di rappresentazione del testo letterario, Parma, Pratiche Editrice, 1994, p. 7.

12 Così agisce l’editore torinese Giuseppe Pomba presentato nelle parole di Piero Barbèra, Quaderni di Memorie stampate ad usum delphini, Firenze, G. Barbèra editore, 1920, p. 436 che, certo pensando a sé, precisa invece p. 429 : « quanto ai futuri aspetti materiali del libro […] la necessità maggiore dei tempi nostri è il risparmio del tempo ».

13 L’editore Aliberti compone tutti i colofon con la dicitura : « Questa parte di albero è diventata libro sotto i moderni torchi di Grafica Veneta di Trebaseleghe (PD) […] Possa un giorno dopo aver compiuto il suo ciclo presso gli uomini desiderosi di conoscenza ritornare ala terra e diventare nuovo albero » (intervista editoriale in Graphicus, no 1055, 2008, p. 10). Oppure Pablo García Baena, Impresiones y paisajes, Cuenca, Segundo Santos, 1999 nel cui colophon si specificano le diverse qualità di carta usata nelle varie parti del libro, e si precisa che « Todo el cartón empleado es reciclado ».

14 Oltre a note 7-11, cfr. Israel Gottlieb Canz, Philosophiae leibnitianae […], Francofurti & Lipsiae, Johann Andreas Berger, 1749, Prefatio Bibliopolae ad edizione III, c.)(6r. ; Johann Philip Bockenhoffer, Exempla literarum typographicarum : quae reperiuntur in Regiae Majestatis & Academiae Hafniensis Typographia : primo erecta a Petro Jani Morsingio, deinde aucta a Henrico et Georgio Gödianis, Cornificio Luft, tandem renovata a Johanne Philip Bockenhoffer […], Københavns, Johann Philip Bockenhoffer, 1691.

15 Persino il contributo di Estienne al disegno del suo nuovo carattere romano è dubbio : Hendrik D. L. Verliet, « Robert Estienne printing types » in The Library, 2004-2, pp. 107-175.

16 Alonso Víctor de Paredes, Institución y origen del arte de la imprenta, edición y prólogo de Jaime Moll. Nueva noticia editorial de Víctor Infantes, Madrid, Calambour, 2002 : l’opera fu scritta attorno al 1680 quasi contemporaneamente al testo di Joseph Moxon, Mechanick Exercises : or the Doctrine of Handy-Works Applied to the Art of Printing, London, Printed for Joseph Moxon, 1683[-1684]. Per l’area di lingua tedesca : Martin Boghardt, « Der in der Buchdruckerei wohl unterrichtete Lehr-Junge. Bibliographische Beschreibung der im deutschsprachigen raum zwischen 1608 und 1847 erschienenen typographischen lehrbücher » in Philobiblon, 27, no 1, 1983, pp. 5-57.

17 Conor Fahy, « Descrizioni cinquecentesche della fabbricazione dei caratteri e del processo tipografico », in La Bibliofilia, 88, 1986, pp. 47-76 ; Étienne Binet, Essay des merveilles de nature et des plus nobles artifices Pièce très necessaire, à tous ceux qui font profession d’éloquence, Rouen, Romain de Beauvais et Jean Osmont, 1622, cap. 38 : L’Imprimerie, p. 294-303 ; Dictionnaire portatif des arts et métiers. Contenant en abrégé l’histoire, la description et la police des arts et métiers des fabriques et manufactures de France et des Pays étrangers, Paris, Lacombe, 1766, vol. II ; Giacinto Carena, Prontuario di vocaboli attinenti a parecchie arti ed alcuni mestieri, Torino, Fontana, 1846.

18 Anna Giulia Cavagna, « La parola dei tipografi-editori nei paratesti genovesi » (Convegno, Roma-Bologna, 2004) in Dintorni del testo. Approcci alle periferie del libro, ed. Marco Santoro e Maria Gioia Tavoni, Roma, Accademia editoriale, 2005, vol. I, pp. 301-308.

19 Giulio Pozzoli, Nuovo manuale di tipografia, Milano, Gaetano Brigola, 1882 (dedica : « agli italiani che l’arte di Guttenberg professano ») p. 93 ove ribadisce che gli scritti dell’editore o le parti che a lui pertengono devono sempre precedere quelle dell’autore. Ancora in tempi recenti un editore italiano interveniva personalmente nel decidere la posizione del titolo in copertina e progettava lui stesso la grafica, cfr. S. Cesari, Colloquio, cit., pp. 110-111.

20 Carlo Frassinelli, Trattato di architettura tipografica, Torino, Frassinelli, 1940, p. 153 : armonia di tono e di contrasto, egli scrive, derivano nella pagina dall’ uso motivato e coerente di caratteri scelti perchè « come i colori non fanno il pittore così i caratteri non fanno il tipografo ». Già l’editore Estienne (nota 10) sottolineava che la resa grafica è anche resa di interpretazione e di senso : non si può fare senza comprender il significato. La sua era una istanza filologica ma e recepita dal tipografo, sebbene nella più modesta necessità di correttezza ortografica. Per questo una tipografia urbinate del Seicento possiede una piccola bibliotechina di consultazione di « libri per uso di stampa e comodo del Correttore, e sono un Calepino sette lingue, una Crusca, Facciolati, Grammatica greco-latina » (Moranti Luigi, L’arte tipografica in Urbino (1493-1800) con appendice di documenti e annali, Firenze, Leo S. Olschki, 1967, inventario della tipografia Ponticelli 1729).

21 Per l’Italia alcuni esempi : Giambattista Bodoni, Iscrizioni esotiche a caratteri novellamente incisi e fvsi, [Parma, Impresso nella R. Stamperia, 1774] ; Caratteri e vignette, o sieno, Fregi [Venezia, A. Zatta, 1793] ; Giovanni Battista Sassi, Saggi dei caratteri, fregi, e sgraffe, [Bologna, 1797] ; Saggio dei caratteri, con modelli per fatture intestazioni, tavole, Treviso, s.t. [Luigi Zoppelli] ; Saggio di caratteri e fregi [In Torino, nella Stamperia Reale] ; Saggio di caratteri di moderno gusto con brevi istruzioni dirette ai principianti, In Bassano, s.t. [Remondini], 1798 ; Saggio dei nuovi caratteri, [Vicenza] Bartolomeo Paroni, 1802 ; Saggio de’ caratteri della fonderia di Gio. Battista Gaspari, e figlio, Venezia, 1804 ; Saggio di caratteri e fregi della tipografia di Gio. Sardi, [Livorno], 1826 ; Saggio di caratteri, ornati, e vignette della fabbrica de’ Punzoni, Napoli, da’ tipi di Cataneo, 1828 ; Saggio dei caratteri della tipografia Gio. Battista Andreoli, s.l., 1851 ; Stabilimento Tipo-cromolito-grafico a vapore – Provveditore di S.A.R. il Duca d’Aosta – Giuseppe Crupi [Messina], Crupi, 1900. Spesso anche i peritesti pubblicitari diffusi dal tipografo-editore in occasione di sottoscrizioni o all’apertura di una nuova bottega riportano elenchi di caratteri disponibili : Avviso alli Signori Stampatori, e librari, d’Italia, e Sicilia, [Malta, Nicolò Capaci], 1758 ne elenca 5. Solo nel Sette-Ottocento in Italia tali pubblicazioni assurgono a forma libraria prima erano fogli sciolti : James Mosley, « Sources for Italian typefouding » in La Bibliofilia, 102, 2000, pp. 52-102.

22 É. Binet, Essay, cit., pp. 294-303 elenca nomi di caratteri, procedimenti tipografici e spiega il significato di alcuni segni dai significati particolari.

23 Pietro Verri, « Della economia politica » in Del piacere e del dolore ed altri scritti, ed. Renzo De Felice, Milano, 1964, sottolineando l’importanza qualitativa del consumo editoriale (p. 143) rivaluta tutte quelle invenzioni che mettono gli uomini in maggiore comunicazione fra di loro, fra cui, per esempio, nautica e stampa (p. 133).

24 Manuali che, come già accadde sicuramente per il primo, erano probabilmente pensati per una audience allargata (Lisa Maruca, « Bodies of Type : The Work of Textual Production in English Printers’ Manuals » in Eighteenth-Century Studies, 36, no 3, 2003, pp. 321-343).

25 Jacques André, « Petite histoire des signes de correction typographique » in Cahiers Gutenberg, 31, 1998, pp. 45-59.

26 Si evitavano così errori derivanti da una imprecisa decrittazione del manoscritto : Hesiodus, Les besognes et les jovrs d’Hésiode Ascraean, mis en françois par Jaqves Le Gras de Roven, [Paris] Estienne Prevosteau, 1586 c.50 “Amy lectevr. Il est presque impossible qu’vne impression soit totalement sans fautes, principalement de liures en si petite forme & menus caracteres que celuy-cy. Dauantage cecy ayant esté mis sous la presse en mon absence, le compositeur de l’Imprimerie, pensant bien faire, a prins ce qu’il voyoit en ligne sans regarder ce qui estoit en marge ». Ancora nel secondo Novecento, il direttore tecnico O. Molina grafico alla Einaudi, lamentando il disordine di certi autori, che consegnavano manoscritti confusi, e l’incuria di redattori superficiali, era solito proferire, in presenza dell’editore stesso con cui concordava segni diacritici e forma dell’apparato filologico, « non mi metto a comporre un testo se non ho delle indicazioni » (S. Cesari, Colloquio, cit., p. 114).

27 Cfr. le tabelle e illustrazioni dei segni grafici convenzionali per la correzione delle bozze o la redazione di testi in : J. Hornschuch, Orthotypographia, cit., p. 16 (che mi pare il primo a inserire segni particolari elencati e spiegati razionalmente). L’autore però era un medico, una sua riedizione (s.d.) del tipografo Georg Ritzsch esposta al Museo del libro di Lipsia riporta una incisione raffigurante un interno di tipografia. Christian Friedrich Geßner, Der in der Buchdruckerei wohl unterrichtete Lehr-Junge Oder : bey der Löblichen Buchdruckerkunst Nöthige und nüzliche Anfangsgründe : Darinnen alles, was bey selbiger in Acht zu nehmen und zu lernen vorfällt, von einem Kunstverwandten mitgetheilet wird, Leipzig, C. F. Geßner, 1743, p. 364 ; Juan Josef Sigüenza y Vera, Mecanismo del arte de la Imprenta para facilidad de los operarios, Madrid, Imprenta de la Compañia, 1811 ; John Johnson, Typographia or the Printers’ Instructor, London, Longman, 1824 ; T. C. Hansard, The Origin, cit. ; Salvatore Landi, Tipografia, guida per chi stampa e fa stampare, Milano, Hoepli, 1892. Quando la funzione del tipografo si stacca da quella commerciale e imprenditoriale dell’editore questi tecnicismi rimangono competenza del primo, ma il secondo li deve comunque conoscere e discutere con il tipografo, nella fase preliminare di progettazione : cfr. in generale Percy Simpson, Proof-Reading in the Sixteenth, Seventeenth and Eighteenth Centuries, Oxford, Oxford University Press, 1935 ; Désiré Greffier, Les Règles de la composition typographique, Paris, Muller, 1897 ; Gatta Massimo, « Sul correttore di bozze. La minuziosa professione di Pompeo Bettini » in Charta, 47, 2000, pp. 30-33.

28 Flaminio Langhi, Disinganni della Stampa, Milano, Giuseppe Ambrogio Maietta, 1681, pp. 304- 310.

29 L’uso di segni particolari, caratteri speciali e tipi grafici peculiari si intreccia poi, nell’Ottocento, in parte determinandola, con la scelta del procedimento meccanico di stampa da usare e che il tipografo deve saper determinare in relazione al genere produttivo che quei segni ospita : esso contraddistinguerà anche la sua produzione e la sua ditta. Già nel 1836, seppur entro una polemica che qui ora non interessa, il Dialogue entre une presse mécanique et une presse à bras, recueilli et reconté par une vielle presse en bois par Henri J. Compositeur, Paris, rue du Foin St. Jacques, et chez les Marchants de nouveautés, 1830, faceva distinzione fra libri, per i quali si consigliava il ricorso al torchio manuale, e pubblicazioni effimere per le quali andava bene un torchio meccanico che non garantiva la nitidezza del carattere ; più tardi si farà distinzione fra il procedimento tradizionale e la nuova zincografia, adatta a pubblicare illustrazioni e materiale d’attualità come fecero in Italia gli editori Treves e Sonzogno (G. Pozzoli, Nuovo manuale di tipografia, cit., p. 154).

30 Nicolas Barker, Form and Meaning in the History of the Book : Selected Essays, London, The British Library, 2003.

31 Nicolas Cirier, L’Œil typographyque offert aux homme de lettres typographyques ou non, Paris, Firmin Didot et chez l’auteur Nic. Cirier, 1839 ; idem, Le plus étonnant des catalogues, Paris, éditions des Cendres, 2004 ; Ivan Fonagy, Le lettere vive : scritti di semantica dei mutamenti linguistici, ed. Paolo Bollini, Bari, Dedalo, 1993. Licenziato dall’Imprimerie Nationale, scrisse libelli in difesa del proprio lavoro ; mescolava caratteri tipografici, illustrazioni, figure, disegni composti con la distribuzione irregolare dei segni tipografici, in modo immaginifico ricorrendo ai caratteri ebraici per disegnare figure male auguranti. Le sue composizioni ricordano in parte i calligrammi di G. Apollinaire.

32 Danza di caratteri per la nascita di una figlia a Longanesi lo zar delle tipografia [Roma, s.t., 1940] (i caratteri tipografici disegnano anche la cornice) in Il selvaggio : battagliero fascista, 1, 1940, p. 7.

33 Agostino Paradisi, Versi sciolti, Genova, Andrea Frugoni, 1795 ; nella dedica il tipografo spiega di aver « studiato di farla quanto si potea men costosa, togliendo i molti rami adoprati in quella di Bologna e riducendo questa mia edizione ad un sesto molto più comodo alla borsa insieme e alle mani ».

34 Frédéric Barbier (Storia del libro. Dall’antichità al XX secolo. Postfazione di Mario Infelise, Bari, Dedalo, 2004, pp. 483-485) riferisce dell’editore parigino Gervais Charpentier che nel 1838 crea una collana a grande densità tipografica contribuendo a far affermare, nella concorrenza, la dizione formato charpentier per definire raccolte con piccoli caratteri e formati. In Italia la denominazione di un formato lillipuziano per una serie di libri piccini del secondo Ottocento, la collezione Diamante, è frutto di un calco inglese essendo imitazione di una esperienza editoriale britannica.

35 Nella nota preliminare di Ferdinando Ongania, L’arte della stampa nel Rinascimento italiano, Venezia, Ongania, 1894, pp. 5-6, l’editore sostiene che ogni edizione antica « con la varia configurazione del sesto, dei tipi, degli ornati, è dunque non pure un saggio industriale ma anche un documento storico artistico il cui carattere corrisponde a quello che nell’epoca rispettiva ebbero le arti […] La storia dell’arte tipografica non può essere d’ammaestramento ai tipografi se non quando si corredi largamente di saggi del lavoro antico da proporre come modelli » ; cfr. la raccolta documentaria Ferdinando Ongania editore a San Marco, ed. Mariachiara Mazzariol, Venezia, Marsilio, 2008. Il topos del valore pedagogico del passato sopravvive anche nell’editore contemporaneo : cfr. la chiusa del colophon in Joan Margarit, Estació de França, Madrid, Hiperión, 1999 (Poesía Hyperión, 338) : « El ayer nos espera en el mañana ».

36 G. Pozzoli, Nuovo manuale di tipografia, cit., con dedica : « agli italiani che l’arte di Guttenberg professano », cita a p. 392 il giornale Arte della stampa « bel saggio di perfezione e insegnamento tecnico » diretto dal proprietario tipografo editore Salvatore Landi.

37 Gaspero Barbèra, Memorie di un editore, Firenze, G. Barbèra, 1883 : al verso della tavola 1f.t. riproduzione facsimilare di postilla manoscritta autografa dell’editore. La metafora della vita come libro, inversione di altra metafora della libro sacro come libro della vita, è remota : Michael Ferber, A Dictionary of Literary Symbols, Cambridge, Cambridge University Press, 1999. Anche all’esposizione di Parigi le sale pubblicitarie riservate agli editori francesi suggeriscono al visitatore Edmondo De Amicis, Ricordi di Parigi, Milano, Treves, 1879, l’osservazione che « gli editori espongono sulle pareti, come titoli di nobiltà, gli elenchi interminabili degli autori illustri a cui prestarono i tipi ».

38 Andreas Jociscus, Joannes Henricus Hainzelius, Oratio de ortu, vita et obitu Ioannis Oporini basiliensis Typographicorum Germaniae Principis, […] Adiunximus librorum […] catalogum […], Argentorati, excudebat Theodosius Rihelius, 1569.

39 Rinaldo Fulin, Del cavaliere Giuseppe Antonelli tipografo, Venezia, Antonelli, 1862, p. 76 ; uguale osservazione si potrebbe fare per la vita di Bodoni stesa da Giuseppe De Lama.

40 L’interprete Milanese ossia guida generale del commercio e dei recapiti di Milano per l’anno 1827- 1828, Milano, Placido Maria Visaj, 1827 ; Giornale per l’anno 1827, Milano, snt., ove si citano oltre a librai e tipografi editori anche i fabbricanti di torchi e caratteri ; Guida per le arti e mestieri 1871, anno II, pp. 49-51 e pp. 65-68 ; Annuario della stampa italiana e della libreria (1895-1898), Milano, Galli e Raimondi, elenca (1897 e 1898) nomi e indirizzi di tipografi editori, fonditori. Per altri paesi John Pendred, The London and Country Printers, Booksellers and Stationers Vade Mecum, [London s.t.], 1785 ; con differente genesi, Liste alphabétique des libraires imprimeurs de Paris 1689-1748 […], Paris, 1748 ; Tableau des libraires et des imprimeurs jurés de l’université de Paris, Paris, 1766 ; Catalogue chronologique des libraires et des imprimeurs de Paris, depuis l’an 1470, Paris, Jean Roch Lottin, 1789.

41 Timothy C. W. Blanning, The Culture of Power and the Power of Culture : Old Regime Europe 1660-1789, Oxford, Oxford University Press, 2003, p. 153.

42 Carlo Mele, Degli odierni uffici della tipografia e de’ libri. Discorso pratico ed economico, Napoli, Dalla stamperia e cartiera del Fibreno, 1834 ; Gianfranco Tortorelli, Parole di carta. Studi di storia dell’editoria, Ravenna, Longo, 1992.

43 J. Johnson, Typographia, cit., London, Longman, 1824, 2 vol. ; c’è anche il ritratto dell’editore e un terzo paratesto pubblicitario che promuove l’imminente uscita di un manifesto celebrativo stampato su carta fine in onore di Caxton con ritratto e altri tipografi. Sulla propensione a percepire le parole in rappresentazioni visive, con tutte le complesse implicazioni sottese in campo letterario, cfr. Lina Bolzoni, La stanza della memoria. Modelli iconografici e letterari nell’età della stampa, Torino, Einaudi, 1995, cap. V.

44 Per esempio le marche di : Jodocus e Conrad Bade, Jean Baudouin, Dirk van der Borne, Peter De Keysere, Michel e Jean de Roigny, Ulrich Gering, Éloy Gibier, Johann Grünenberg, Jean Le Preux, Enguilbert de Marnef, Ralph Newbery, Oldřich Velenskyˆ, Johann de Westphalia, John Wight, nel Quattro-Cinquecento ; Aegidius Rooman (coinvolto nella pubblicazioni, con ritratti di Coster, di opere sulla tesi olandese dell’invenzione dei caratteri) ; Francesco Grasset, Pieter Mortier, Arturo Taberniel, Johann Thomas von Trattnern, nel Sei-Settecento ; cfr. per la bibliografia note 44, 47, 57 ed inoltre Antonius van der Linde, Jan Hendrik Hessels, The Haarlem Legend of the Invention of Printing by Laurens Janszoon Coster, London, Blades, 1871 ; William Roberts, Printers’ Marks. A Chapter in the History of Typography, London, George Bell, 1893 ; Falconer Madan, « Early Representations of the Printing Press », in The Bodleian Quarterly Record, IV, 1917, pp. 165-167 ; Ugo Rozzo, « L’officina tipografica nelle illustrazioni dei secoli XV e XVI », in Iconographica, II, 2003, pp. 146-167.

45 Si vedano le illustrazioni in Johann Host, Congestorium artificiose memorie, Venetijs, Melchiorem Sessam, 1533 (prima raffigurazione, in edizione italiana, di una bottega del bibliopola, con bancone pieno di libri) e in Pierre Eskrich, Mappemonde nouvelle papistique (XVI sec.) riprodotta in Segni e sogni della terra. Il disegno del mondo dal mito di Atlantide alla geografia delle reti, Milano, De Agostini-Electa, 2001 p. 78, dove con tono polemico è ritratta una bancarella pieni di libri di preghiera e scritti papisti venduti a peso come carta per avvolgere il pesce. L’immagine depreca, ironizzandola, la stessa forma dei libri cattolici, con i loro grossi ingombri di copertine lignee, borchie, appesantimenti dove il paratesto editoriale (deriso) è segnale di contenuto (respinto).

46 Si veda la marca settecentesca della Stamperia Bolognese in Albano Sorbelli, Storia della stampa in Bologna, Bologna, Zanichelli, 1929, p. 170 ; nell’Ottocento il tipografo-editore Sambolino nella pubblicazione promozionale Saggio tipografico che include di Benjamin Franklin, La maniera di farsi ricco, Savona, dai tipi di Luigi Sambolino, 1858, compone una serie di pagine in vari stili apponendo come illustrazione l’interno di una bottega, credo la sua, con moderno torchio in ferro, accanto a uno ligneo, cui attendono tre operai ; l’editore Ettore Salani, erede di Adriano, all’inizio del Novecento usa come marca-logo aziendale l’immagine di un torchio, in almeno tre varianti, accompagnato dal motto labor non clamor e in labore dignitas (per esempio Alfonse Daudet, Tartarino sulle Alpi, Firenze Salani, 1909).

47 In Italia, per esempio in Francesco Griselini e Marco Fassadoni, Dizionario delle arti e de’ mestieri, Venezia, Modesto Fenzo, 1774, vol. XVI, Tav. 1 ; successivamente Magazzino italiano, Livorno, [Antonio Santini e Compagni], 1752-1753, a p. 34 la raffigurazione del torchio con didascalie esplicative su incisione di Giovanni Lapi.

48 Sembra il caso del tipografo Jacopo Pocatela da Borgofranco (de Paucisdrapis de Burgofrancho) : Hug Williams Davies, Devices of the Early Printers, 1457-1560, London, Grafton, 1935, p. 696.

49 Per esempio i ritratti cinque-secenteschi di : Giano Bigazzini, Girolamo Cartolari, Antonio Malatesta, Francesco Marcolini, Jacopo Pocatela da Borgofranco, Francesco Priscianese, Francesco Rossi, Ippolito Salviani, Lazzaro de’Soardi discussi in Anna Giulia Cavagna, « L’immagine dei tipografi nella prima età moderna », in L’Europa del libro nell’età dell’umanesimo. Atti del XIV convegno internazionale (Chianciano, 2002), ed. Luisa Secchi Tarugi, Firenze, Cesati, 2004, pp. 11- 42, cui va aggiunto Antonio Bulifon segnalato da Giuseppina Zappella, «Immagini autoreferenziali in antichi tipografi napoletani », in Per la storia della tipografia napoletana nei secoli 15.-18.: atti del Convegno internazionale, Napoli, 2005, ed. Antonio Garzya, Napoli, Accademia Pontaniana, 2006, pp. 113-162.

50 Ad esempio Alighieri Dante, Il Dante, In Lione per Giovan de Tournes, 1597, con il ritratto del poeta cinto d’alloro in medaglione circolare al frontespizio e idem, Comedia del divino poeta Danthe […], In Vinegia, ad instantia di M. Gioanni Giolito da Trino, 1586, con ritratto del poeta in ovale.

51 Max Rooses, Jean Denuce, Correspondance de Christophe Plantin, Antwerpen, Buschmann-Gent, Hoste, 1883-1918, I, pp. 121 e 265 ; un ritratto di Pietro Molini editore libraio a Londra nel Settecento di William Daniell, su disegno di George Dance è conservato alla National Portrait Gallery di Londra.

52 Immaginare l’autore : il ritratto del letterato nella cultura umanistica : convegno di studi (Firenze 1998), ed. Giovanna Lazzi, Paolo Viti, Firenze, Polistampa, 2000 ; Mauda Bregoli Russo, L’impresa come ritratto del rinascimento, Napoli, Loffredo, 1990 ; Jean-Jacques Boissard-Theodor de Bry, Bibliotheca chalcographica, hoc est Virtute et eruditione clarorum Virorum Imagines, Heidelberg-Frankfurt, Clemens Ammon, 1652-1669, registra le biografie di Oporino, Raphelengius e i Manuzio ; Henning Witte, Memoriae renovatae decades, Königsberg-Frankfurt, Hallervord, 1674-1679, menziona Thomas Erpenius, Geraard Vossius.

53 Nella trattatistica enciclopedica cinque-secentesca, persino cartografica, l’elenco dei tipografi famosi è frequente, ancorato ad una delle voci di pertinenza della storia tipografica oppure a corredo di un qualche elenco di eruditi. La lista varia offrendo nomi locali del territorio ove l’opera è pubblicata, ma include sempre i maggiori tipografi umanisti e, nel secondo Settecento, i riformatori francesi, inglesi e italiani dello stile tipografico : si veda Conrad Johann Zeltner, Theatrum virorum qui speciatim typographis laudabilem operam praestiterunt, Norimbergae, Adami Jonathan Felsecke, 1720.

54 Carmina Secularia de Typographia : ante annos ipsos ducentos a Germanis inventa, Vratislava, Baumann, 1640 ; Hugo Grotius, Inleydinghe tot de Hollandsche rechts-gheleerdheyt, beschreven by Hvgo de Groot, [Haerlem, A. Roman, 1641], p. 90. Jan Van der Straet (G. Stradano) pubblicò ad Anversa da Theodore Galle e Adrian Collaert, nella serie Nova reperta, una collezione sulle recenti scoperte scientifiche, la dettagliata incisione di un interno di tipografia (1590-1600 ca.). La diffusione di figurine a soggetto tipografico continua, in tono popolare, nell’Ottocento : L’imprenta – L’imprimerie – The Printing, [Paris, Lith. Vieillemard et ses fils, librairie Hachette, 1886-1895], cromolitografia (Modena, Museo della figurina).

55 Un elenco di autori, bibliografi o studiosi ma non tipografi, che riferirono di ritratti di tipografi è discusso da T. C. Hansard, The Origin, cit., pp. VIII-IX. Cfr. anche Christian Friedrich Geßner, Die so nöthig als nützliche Buchdruckerkunst und Schriftgießerey : mit ihren Schriften, Formaten und allen dazu gehörigen Instrumenten abgebildet auch klärlich beschrieben, […], Leipzig, C. F. Geßner, 1740-1745 ; per la Francia, Johannes Tiberius Bodel Nijenhuis, Liste alphabétique d’une collection de portraits d’imprimeurs, de libraires, etc., possédée et décrite par J. T. Bodel Nijenhuis, Leide, s.t., 1836-1868 : su un totale di 479 persone solo 4 sono italiane, padre e figlio Manuzio, Francesco Giunta e Giovanbattista Bodoni.

56 Cfr. i due ritratti del 1571 e 1581 riprodotti in H. W. Davies, Devices, cit., p. 695.

57 Cfr. note 43, 49, 50, 55 e Louis Catherine Silvestre, Marques typographiques, Paris, Renou et Maulde, 1867 ; per il Sette-Ottocento, Peter Mortzfeld, Katalog der graphischen Porträts in der Herzog-August-Bibliothek Wolfenbüttel : 1500 – 1850, pt. I : Die Porträtsammlung der Herzog August Bibliothek Wolfenbüttel, München-Paris, Saur, 1986-2007, vol. 7-9 ; e Florence Vuilleumier Laurens, Du signe au symbole : évolution de la marque chez les imprimeurs parisiens à la Renaissance, in Per la storia della tipografia, cit., pp. 7-40.

58 É il caso del tipografo editore Antonio Malatesta, Gridario generale delle gride, bandi, ordini, editti, provisioni […], In Milano, per Marc’Antonio Pandolfo Malatesta, Stampatore Regio Camerale, 1688.

59 Barbara M. Benedict, « Reading Faces : Physiognomy and Epistemology in Late Eighteenth Century Sentimental Novels », in Studies in Philology, 92, 1995, pp. 311-328 ; Louis van Delft, « La cire de mnèmosine. La similitude de l’impression dans la rhétorique classique », in XVIIesiècle, 182, 1994, pp. 22-39.

60 Frideric Rothscholtz, Icones bibliopolarum et typographorum de repubblica litteraria bene meritorum ab incunabulis typographiae ad nostra usque tempora in lucem edidit, Norimbergae et Altdorfii, apud Haeredes Dan. Tauberi, 1726-1742. La raccolta completa, non sempre posseduta interamente dalle biblioteche, annovera oltre 130 incisioni, uscì in più parti in emissioni diverse con sequenze di ritratti non sempre coincidenti. L’autore con una formazione logico-filosofica e giuridica che risentiva del pietismo, imparentatosi per matrimonio coi tipografi librai eredi di Johann Daniel Tauber, entrò in una ristretta cerchia di librai dei quali contribuì a rilanciare l’importanza : Frideric Rothscholtz, Thesaurus symbolorum ac emblematum, i. e. Insignia bibliopolarum et typographorum ab incunabulis typographiae ad nostra usque tempora […], Norimbergae Altorfii, Tauber, 1730 ; Allgemeine Deutsche Biographie, ed. Historische Kommission bei der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, vol. 29,1889, pp. 346-348 ; Hermann Staub, « Aus dem Historischen Archiv des Börsenvereins (48) : Porträtsammlung-I : Frideric Rothscholtz und seine Icones bibliopolarum et typographorum », in Buchhädelsgeschichte Aufsätze, Rezensionen und Berichte zur Geschichte des Buchwesens, 1996, pp. 170-173.

61 Se l’uomo editore è l’insieme dei suoi libri si può dire che ogni libro reca traccia dell’insieme della sua azienda. Una singolare modalità di redazione delle note tipografiche (al verso del frontespizio) nelle pubblicazioni italiane fra Otto e Novecento prevede una dicitura composta da un numero (anche molto alto), che precede la data e che indica un numero d’ordine di lavorazione e che rinvia a un qualche registro o elenco interno, ma ufficiale, di commissioni : Lucia Capelli, Le edizioni Bemporad. Catalogo 1889-1938. Introduzione di Gabriele Turi, Milano, Franco Angeli, 2008.

62 Cfr. nota 37. Nel volume, a parte qualche vicenda familiare e di formazione, domina il resoconto delle relazioni intessute con gli autori; dei viaggi svolti in Francia, Germania e Inghilterra in un Gran tour tipografico che tocca, a scopo istruttivo, le migliori aziende e i piu convenienti fornitori del tempo; delle sue scelte di pubblicazione e delle tipografie gestite con minor o maggior fortuna. Sulla memorialistica nella storia del libro, David Finkelstein, Alistair McCleery, ed. The Book History Reader, New York, London, Routledge, 2006. Tali scritture, almeno in Italia (e secondo una interpretazione che individua un nesso fra storiografia e coscienza civile e politica, elemento di lunga presenza nella tradizione storiografica locale), assolvono fra l’altro il compito di auto legittimazione, di garantire a un gruppo sociale un’identita particolare, completando l’azione della memoria comune.

63 Il compilatore Henry Berger dell’Annuario della stampa italiana lancio la proposta nel 1896; incontrando forte opposizione, ripiego su una iniziativa per l’epoca unica nel panorama italiano, di forte impatto visivo: la riproduzione facsimilare di testate di giornali nazionali, dove ancora una volta sono i segni tipografici, i caratteri a facilitare il riconoscimento fra testata e suo direttore-proprietario.

64 L’Annuario della stampa nelle varie annate inserisce moltissime pubblicita di macchinari tipografici delle ditte francesi Jules Derriey o della ditta milanese Dall’Orto corredandole sempre con dettagliate illustrazioni; come pure per inchiostri, rilegatrici e piegafogli; Dalbello Marija, «Franz Josef ’s Time Machine. Images of Modernity in the Era of Mechanical Photoreproduction », in Book History, 5, 2002, pp. 67-103.

65 Relazione della partecipazione ufficiale dell’Italia alla esposizione internazionale del libro e d’arte grafica Lipsia 1914 organizzata e diretta per incarico del governo dal comitato nazionale per le esposizioni italiane all’estero, Bergamo, officine dell’IST. IT. d’arti grafiche, incisioni del’Unione zincografi di Milano, [1914]; Catalogo della mostra storica dell’arte della stampa in Italia dalla metà del secolo XV a tutto il XVIII, Milano, Comitato nazionale per le esposizioni italiane all’estero, 1914: tra gli organizzatori e gli espositori il gotha dell’editoria italiana.

66 La familiarizzazione passa anche attraverso il gioco, genera divulgazione e imitazione : un inserzione pubblicitaria all’inizio del secolo scorso recita « Tutti Tipografi. In pochi minuti tutti possono diventare tipografi e stampare da sé » e prosegue elencando le varie cassette portatili con caratteri tipografici, in vendita relativamente a buon prezzo da una ditta milanese, per l’auto-produzione di stampati casalinghi : La lettura. Rivista bimensile del Corriere della Sera, IV, 1904, no 11, p. VIIr.

67 Giulio Einaudi, Frammenti di memoria, Milano, Rizzoli, 1988, sovraccoperta a colori. Ricordo che egli è, non casualmente, l’editore di uno dei primi studi moderni di storia del libro intesa come storia della cultura in Italia, realizzato, con evocativo titolo, da Marino Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino, Einaudi, 1980.

68 Guido Davico Bonino, Alfabeto Einaudi. Scrittori e libri, Milano, Garzanti, 2003, progetto grafico di Giorgio Cignoni.