« Como un hospital bien ordenado »
Alle origini del modello bibliotecario della Compagnia di Gesù
Natale VACALEBRE
Doctorant, université d’Udine
Questo contributo intende ripercorrere e analizzare le origini della disciplina bibliotecaria degli istituti educativi della Compagnia di Gesù. Partendo da un breve excursus storico sulla natura dei collegi gesuitici, si prosegue quindi con l’esame analitico della normativa libraria presente nelle Costituzioni gesuitiche (1541-1556) assieme a quello del più antico regolamento bibliotecario ignaziano, creato nel 1545 per il collegio lusitano di Coimbra. Dopo questa analisi vengono infine proposte alcune ipotesi circa l’individuazione del modello da cui prese origine il sistema biblioteconomico della Compagnia.
COLLEGI E INSEGNAMENTO
Il 27 settembre 1540, papa Paolo III, con la bolla Regimini militantis ecclesiae, confermò ufficialmente l’approvazione della Formula Instituti della Compagnia di Gesù avallata preliminarmente l’anno precedente1. Finalità precipua della Compagnia era, secondo la Formula, quella di
occuparsi specialmente della difesa e propagazione della fede, e del progresso delle anime nella vita e nella dottrina cristiana. [E ciò], mediante pubbliche predicazioni, conferenze e ogni altro servizio della parola di Dio, gli Esercizi spirituali, l’insegnamento della verità cristiana ai fanciulli e ai rozzi, e la consolazione spirituale dei credenti, con l’ascoltarne le confessioni e con l’amministrazione degli altri sacramenti2.
La missione educativa strictu sensu, in realtà, non era prevista nel progetto originario della Compagnia, l’insegnamento essendo inteso più che altro come sinonimo di catechesi3. Secondo la visione primigenia di Ignazio di Loyola, fondatore della Societas Iesu, il nuovo ordine doveva, infatti, essere costituito da religiosi già provvisti di un’adeguata preparazione umanistica. Il progetto, tuttavia, non si rivelò concretizzabile, a causa della mancanza effettiva di personalità capaci di attuare all’interno dell’Ordine i compiti e le funzioni previsti da Ignazio. La necessità di formare i futuri membri della Compagnia non solo sul piano religioso, ma anche sotto il profilo umanistico e scientifico, fece sì che l’istruzione delle nuove leve venisse demandata in un primo momento ai docenti delle università pubbliche4. Tra il 1540 e il 1544 vennero quindi creati i primi collegi (o case-collegio) della Compagnia per la formazione dei futuri membri dell’Ordine nelle città sedi di alcuni tra i più importanti atenei europei : Parigi, Lovanio, Colonia, Padova, Valencia, Cordoba, Alcalà e Coimbra. Tali istituzioni erano in realtà delle semplici residenze, dotate di rendite che ne garantivano la stabilità economica5, all’interno delle quali non era prevista alcuna attività didattica in quanto destinate a dare alloggio agli aspiranti gesuiti che stavano compiendo la loro formazione presso le locali università6. L’idea iniziale di escludere l’attività didattica nelle strutture collegiali della Compagnia andò in breve tempo mutando, a causa prevalentemente della mancanza effettiva di un metodo efficace di insegnamento negli atenei europei, particolarmente in quelli italiani, che riuscisse a formare in maniera completa i giovani desiderosi di entrare nell’ordine7. Un contributo più incisivo al processo di cambiamento del primigenio progetto ignaziano venne da alcuni fattori legati a situazioni pratiche della vita della Societs. Numerosi furono i problemi cui i gesuiti dovettero far fronte nelle diverse località in cui si erano insediati. All’interno di realtà estremamente complesse, e soprattutto lontane dai centri culturali del Vecchio continente, come quella di Goa, sulla costa occidentale indiana, venne da subito a porsi la questione della formazione dei sacerdoti missionari e dell’educazione dei fanciulli alla dottrina cristiana. Da quei luoghi remoti Francesco Saverio scriveva nel 1542 della richiesta, da parte di Diogo de Borba, di alcuni insegnanti gesuiti per il collegio di Santa Fé, da questi fondato l’anno prima per la formazione del clero indigeno8. Lo stesso gesuita riferiva, l’anno successivo, che moltissimi giovani del luogo venivano finalmente istruiti nella dottrina e nella lingua latina. Per quanto riguarda le esperienze di apostolato in zone geografiche più vicine, nel 1545 il p. Claude Jay, dalla Germania, informava il suo confratello Alfonso Salmerón della scarsa propensione da parte dei vescovi tedeschi a far impiantare nelle loro diocesi dei collegi destinati alla sola educazione degli studenti della Compagnia. Allo stesso tempo comunicava la profonda disponibilità dei religiosi a creare scuole dedicate alla preparazione di giovani del luogo, dirette dai padri ignaziani9. La necessità di dover fronteggiare le esigenze di formazione dei propri novizi, unitamente alle richieste di gestione di nuove scuole per l’istruzione della gioventù non indirizzata al sacerdozio, portarono dunque il fondatore dell’ordine a riflettere sulle nuove possibilità dell’apostolato educativo. Come già detto, nel 1544 esistevano sette residenze della Compagnia sparse per il territorio europeo. Due anni dopo, Ignazio acconsentì alla fondazione di una pubblica scuola a Gandia – città spagnola nell’attuale regione di Valencia – il cui collegio, fondato nel 1545 dal p. Francesco Borgia, aveva iniziato ad accogliere anche studenti non gesuiti. Un anno più tardi il collegio iberico, attraverso la bolla Copiosus in misericordia Dominus (4 novembre 1547)10, venne elevato al grado di studium generale, divenendo la prima università creata dalla Compagnia11.
Il caso di Gandia rappresentò il preludio ideale per la creazione del primo dei collegi gesuitici dedicati all’educazione degli studenti esterni, quello di Messina. Juan de Vega, viceré di Sicilia nonché amico e sostenitore di Ignazio, convinse il comune di Messina a chiedere al fondatore dei gesuiti la creazione di un collegio per la formazione della gioventù cittadina. Ignazio acconsentì, inviando dieci prelati della Compagnia che provvidero all’organizzazione della nuova scuola, inaugurata formalmente nell’ottobre del 1548. Questo istituto, fin dalla sua nascita, venne pensato soprattutto per soddisfare le esigenze educative di una schiera di studenti non avviati alla strada del sacerdozio, cui fornire una solida preparazione scientifico-umanistica finalizzata alla formazione culturale dei giovani fedeli. Sotto tale indirizzo, il collegio messinese arrivò a registrare la presenza, nel 1549, di 200 studenti esterni a fronte di appena due allievi della Compagnia12. La città dello Stretto rappresentò il punto di partenza effettivo per la novella missione educativa gesuitica che aveva avuto i suoi prodromi nell’esperienza spagnola di Gandia. Seguendo dunque questa nuova linea di azione, i Padri si impegnarono nell’educazione della gioventù studiosa, sia attraverso la creazione di proprie strutture educative, sia venendo promossi come collaboratori presso altri istituti quali le università e, nel periodo postridentino, i seminari locali. In questo ambito della loro missione apostolica, i gesuiti profusero un impegno straordinario, riuscendo ad allestire sedi idonee per la preparazione dei giovani e per la formazione di coloro i quali avrebbero intrapreso le strade collimanti del sacerdozio e dell’insegnamento. Nel 1551 a Roma, oramai sede stabile del fondatore, venne creato il Collegio Romano, destinato a divenire l’istituzione educativa più importante dell’orbe gesuitico, alla quale vennero concessi i privilegi effettivi delle Università nel 1556 da Paolo IV, con facoltà di addottorare in Filosofia e Teologia13. In breve tempo i seguaci di Ignazio fondarono case professe, seminari e collegi educativi in Italia, Spagna, Portogallo, Francia, Ungheria, Polonia, America ed Estremo Oriente, all’interno dei quali veniva impartita un’istruzione superiore ai giovani studenti, appartenenti prevalentemente ai ceti socialmente più elevati ; allo stesso tempo, all’interno dei collegi venivano preparati e continuamente aggiornati i docenti gesuiti. Alla morte del fondatore, nel 1556, si contavano 50 case gesuitiche (distribuite prevalentemente in Italia e Spagna), 46 delle quali munite di scuole in cui circa mille gesuiti, seguendo i dettami della Ratio studiorum della Compagnia14 e la forma di insegnamento del modus parisiensis15 si dedicavano alla formazione di più di seimila discenti16. Due secoli dopo, di converso, la situazione europea registrava la presenza di « 669 collegi gestiti da 22.589 gesuiti facenti capo alle cinque Assistenze d’Italia, Portogallo, Spagna, Francia e Germania »17.
COLLEGI E BIBLIOTECHE : LE « CONSTITUTIONES SOCIETATIS IESU »
Come ha ben illustrato Bernabé Batolomé Martinez, in ciascuna sede della Compagnia le attività svolte dai Padri si incentravano :
en primer lugar y en modo general, en la predicación callejera de las misiones populares o catequesis de niños, de sermones cuaresemales y novenarios en los templos o en la exposición privada de los ejercicios espirituales, meditaciones y platicás de ritiro para grupos de espiritualidad más selecta ; en segundo término sobre la direción de las conciecias y cultivo de la piedad a través de confradías y diversas congregaciones establecidas en sus centros o por medio de visitas, como carceleros y limosneros, a los marginados de la sociedad ; finalmente en la educación de la niñez y juventud desde las escuelas de primeras letras o aulas de humanidades clásicas, en la enseñanzas de “re morali” a los clérigos y sacerdotes o en las cátedras universitarias donde se exponía la doctrina teológica, de modo preferente desde la escuela jésuitica18.
Proprio sulla base di queste molteplici attività vennero a formarsi le raccolte librarie gesuitiche, le quali, possiamo affermare, rappresentarono nel concreto la « struttura portante dell’intero curriculum di docenti e allievi » della Societas Jesu19. Libri e biblioteche furono, di fatto, il corredo essenziale per l’attività scientifico-pedagogica svolta dai gesuiti, nonché tra i più indispensabili strumenti di supporto e formazione per l’attività missionaria e predicatoria. Proprio a causa del loro carattere ausiliario per la vita pratica della Compagnia, le raccolte librarie allestite nei collegi gesuitici ebbero pochi eguali nel panorama delle istituzioni laiche e religiose europee, sia per numero e dimensioni, sia per qualità scientifico-bibliografica. Le pratiche e le attitudini bibliotecarie degli istituti gesuitici trovano la loro origine nelle collezioni di regolamenti approntati a uso delle biblioteche della Compagnia durante il XVI secolo, le quali, nella loro redazione finale,
contengono sulla materia bibliotecaria le istruzioni più complete e dettagliate che siano comunque apparse in quei decenni in Europa [e costituiscono] il vademecum più sicuro per orientarsi anche nella analisi e nella ricostruzione delle condizioni logistiche, librarie, catalografiche e di servizio » di una qualsivoglia biblioteca gesuitica20.
Dalla fondazione della Compagnia (1540) furono stilate in totale sei versioni di regole21, l’ultima delle quali rimase invariata dal 1582, data della sua emissione, fino al 1932, quando venne realizzato un nuovo regolamento generale dell’Ordine22.
Prima di addentrasi nell’analisi specifica della normativa biblioteconomica gesuitica, è utile esaminare il ruolo delle raccolte librarie all’interno del testo giuridico fondamentale della Compagnia, le Costituzioni23. In esse, infatti, assieme alla precisazione circa la selezione dei testi da utilizzare per l’insegnamento e di quelli che gli allievi devono studiare per la loro formazione personale, viene ricordata anche l’importanza delle biblioteche. In realtà, non si tratta di disposizioni vere e proprie circa l’organizzazione delle raccolte, bensì di principi fissi che offrono le linee guida per la costituzione e la regolamentazione generale di una biblioteca gesuitica.
Secondo le Costituzioni, in ciascun collegio deve esserci
una biblioteca comune, di cui terranno la chiave quelli che, a giudizio del rettore, devono averla. Oltre a ciò, i singoli devono avere i libri loro necessari »
senza tuttavia avere il permesso di fare su di essi alcun tipo di annotazione ; il « responsabile dei libri » (non si parla ancora di bibliotecario) terrà poi l’elenco delle opere distribuite a ciascun membro della comunità24. In questa norma di carattere generale si effettua una prima distinzione pratica tra il patrimonio librario del collegio, rappresentato dalla biblioteca comune, e quello dei membri (gesuiti) della comunità, incarnato dai libri ad uso privato dei singoli individui ; tali volumi possono essere intesi come facenti parte di una “biblioteca professionale”, in quanto necessari al percorso formativo personale di colui che li utilizza25. D’altro canto, essi non possono essere considerati esclusi dalla giurisdizione della biblioteca, dal momento che ciascun volume viene registrato in una lista interna stilata dal responsabile dei libri e che ai detentori dei libri è fatto esplicito divieto di inserire al loro interno glosse e postille, segno evidente del fatto che anche tale materiale era considerato come facente parte a tutti gli effetti del patrimonio bibliografico dell’intero collegio. Il paragrafo relativo alla raccolta libraria precisa inoltre che la biblioteca comune non è una biblioteca aperta a tutti ; i suoi ambienti, chiusi al pubblico, sono ufficialmente accessibili solo a coloro i quali il Rettore del collegio affiderà le chiavi. Chi facesse parte di questa ristretta cerchia è arduo da stabilire. Tuttavia, se si considera che agli studenti era richiesto di concentrarsi quasi esclusivamente sulle lezioni esposte dai docenti o su testi particolari previsti dalla Ratio studiorum, si può facilmente ipotizzare che l’accesso alla biblioteca fosse concesso unicamente ai professori gesuiti e ai futuri membri della Compagnia, e che, di converso, fosse interdetto ai giovani allievi. Questo, come si vedrà in seguito, a partire dal periodo in cui i collegi passarono definitivamente da residenziali a educativi. Per quanto riguarda le letture necessarie alla formazione dei giovani, le Costituzioni impongono di seguire
quei testi che espongono la dottrina più solida e più sicura, tralasciando certi altri che siano sospetti per il loro contenuto o per i loro autori26.
A tal proposito, per quanto riguarda i testi degli autori cristiani, viene stabilito che « anche se l’opera è buona, essa non si leggerà quando l’autore è cattivo, per evitare che ne derivi una simpatia » ; principio che impone di « stabilire nei particolari quali libri siano da esporre [nelle lezioni] e quali no, sia delle materie umanistiche come delle altre »27. Per contro, circa le opere degli autori pagani studiati nelle classi di umanità, le Costituzioni stabiliscono di evitare di esporre quei passi dei testi classici ritenuti « disdicevoli »28. Lo scopo di questo processo di selezione è non tanto, o non solo, quello di preservare docenti e allievi dai pericoli delle opere di autori “sconvenienti” (sottoposte per altro a un minuzioso lavoro di espurgazione testuale)29, quanto piuttosto quello di attuare una sorta di purificazione linguistica finalizzata alla ricomposizione di quei testi utilizzati durante le lezioni nelle scuole e nelle università della Compagnia30. Di rimando, l’uso attivo di questa tipologia di opere all’interno della vita dei collegi conduce alla produzione di edizioni “purgate” dei testi antichi, le quali ricoprono posti di rilievo nelle raccolte librarie gesuitiche31.
IL PRIMO REGOLAMENTO BIBLIOTECARIO : COIMBRA (1545)
Le prime regole in materia bibliotecaria elaborate dalla Compagnia di Gesù vennero redatte nel 1545 da Simão Rodriguez, uno dei primi compagni di Ignazio nell’esperienza parigina del collegio di Santa Barbara, per il collegio di Coimbra e promulgate l’anno seguente in due versioni, una in lingua portoghese e l’altra in latino. Il testo si compone di 8 norme che, cosa sorprendente per i tempi, coprono un notevole numero di aree della disciplina bibliotecaria :
1. [O que tem cargo de los livros] Teraa hum rol geral de todos os livros de casa por ordem scritos segundo suas faculdades. | 1. Habebit [bibliothecae custos] indicem universalem librorum omnium, quos scribet separatim secundum suas facultates. |
2. Segundo a diversidade das sciencias, asi teraa os livros àaparte, juntos e bem ordenados, e nom misturara nem confundiraa huns com outros. | 2. Secundum diversitatem scientiarium, ita habebit libros divisos, atque ordine collocatos ; neque miscebit, aut confundet libros unis facultatis cum libris alterius. |
3. Antre cada faculdade de livros teraa huma mão de papel cosida com hum fio pello meo, no qual screveraa os livros que cada hum tem daquela faculdade em su camara, e em outra parte os que o rector a pesoas de fora mandar impresta ; e screverá a pessoa que os levou, anno e dia ; e quando os tornar, apagaraa o que tinha scrito. Teraa em rol todos os livros que cada hum trouxer a casa, pera lhos darem se se tornar e nom permanecer. | 3. Volumen habebit papyraceum, in qualibet facultate, in cuius parte una anotabit quos quisque libros habeat facultatis illius, in cubicolo suo ; in parte altera collocabit libros eiusdem facultatis, quos rector e domo efferri iusserit commodarique estranei, adiungens simul, et nomen illius qui libros abstulit, et annum et diem ; qui ubi redditi fuerint, expunget e libro suo quod scripserat. |
4. Nom daraa nenhum livro sin licença do reitor. | 4. Non dabit cuicuam librum aliquem absque iussu rectoris. |
5. Cada XV dias sacudiraa o poo dos livros, e olharaa se lhe faz mal alguma humidade e os poraa a enxugar. | 5. Singulis diebus XV excudiet pulverem ab unoquoque libro, illud diligenter considerans, num qui sint libri madidi, humoribusve obnoxi ; quos ubi invenerit, explicabit in sole dissiccandos. |
6. A todos os livros faraa ter titolos de boa letra, grande e lesive, e que est da banda de fora, pera que se posão leer e achar quando for necesario. | 6. Dabit opera muti unusquisque librorum suum habeat nomen scriptum literis e grandioribus, quaeque ab omnibus eminus videri possint ; quae nomina in parte adversa scribantur, uti et legi queant, et quando necessarium fuerit inveniri. |
7. Teraa toda a livraria asi de cima como de baixo bem limpa e a bom recado, e a varreraa cada dous dias. | 7. Habeat universam bibliothecam supra et infra bene mundam et tersam. Sit fideli bonusque custos in omnibus. Demum verrat cubiculum alternis diebus semel. |
8. Teraa papel, tinta, penas, canivetes, tisouras, escrevaninha, o que tudo destribuirá segundo o mestre de casa o ordenar. | 8. Habebit penes se papyrum atramentum et calamos, quae universa destribuet iuxta id quod oeconomus ordinarit32. |
L’estrema precisione di queste prescrizioni ne ha fatto un modello per tutte le norme stilate nei decenni successivi per regolamentare la disciplina bibliotecaria della Compagnia. A una prima analisi si può facilmente vedere come il testo si possa ripartire in tre sezioni semantiche principali. La prima, comprendente le regole n. 1 e 2, è quella che riguarda l’organizzazione dei libri all’interno della biblioteca. Il “responsabile dei libri” dovrà compilare un catalogo generale della raccolta, i cui volumi devono essere suddivisi e ordinati fisicamente per materia, facendo ben attenzione a che i libri di una disciplina non vadano a mischiarsi con quelli di un’altra. La seconda sezione (regole n. 3 e 4), di carattere marcatamente amministrativo, si riferisce al controllo e alla circolazione dei volumi dentro e fuori le mura del collegio. Il prestito dei libri è ammesso e controllato attraverso una serie di registri, uno per ogni materia in cui i volumi sono suddivisi, e al loro interno sono riportati i nomi dei detentori dei libri presi in prestito. Le due norme mettono in evidenza il ruolo preminente del Rettore del collegio nel processo di circolazione e uso dei libri ; al custode della biblioteca, infatti, non è consentito concedere in prestito alcun volume senza il preventivo assenso del superiore, il quale è l’unico a poter accordare il prestito esterno degli esemplari della biblioteca. Nessuna specificazione è offerta invece circa la durata dei prestiti, che, come si può ben vedere, erano concessi anche al di fuori del collegio ; il che evidenzia un certo grado di “pubblicità” della raccolta, almeno per quanto riguarda la realtà conimbricense. La terza e ultima sezione comprende le regole che vanno dalla n. 5 alla n. 8 e riguarda la manutenzione della raccolta libraria da parte del bibliotecario : dalla spolveratura dei volumi fino alle pulizie generali dei locali. La regola n. 6, in particolare, che impone di apporre l’iscrizione dei titoli all’esterno dei singoli esemplari (ma non il nome degli autori), offre indirettamente una notizia circa il sistema di catalogazione della biblioteca. L’ultima regola riguarda l’incarico affidato al responsabile della raccolta, seguendo le direttive dell’economo, di adempiere ai bisogni di cancelleria della comunità, di conservare e distribuire cioè il materiale utile all’attività di studio come carta, penne e inchiostro.
L’espletamento di tali obblighi da parte del responsabile della biblioteca risulta alquanto anacronistico in una scena culturale come quella di metà del XVI secolo, almeno se si considera la figura del bibliotecario come responsabile di una raccolta bibliografica in senso moderno, ovvero una figura indipendente con precise competenze specialistiche di amministrazione e strutturazione del settore a lui affidato. Se invece consideriamo la biblioteca collegiale come una istituzione, totalmente dipendente da un più ampio organismo comunitario, il cui responsabile è semplicemente un gesuita cui non erano richieste particolari capacità manageriali e organizzative (non dimentichiamo che la normativa lo individua essenzialmente come un agente subordinato del Rettore e dell’economo di casa), incaricato di sorvegliare e custodire il patrimonio destinato al progresso degli studi dei giovani novizi, allora non è difficile ipotizzare che tale patrimonio comprendesse non soltanto i volumi, ma anche il materiale di base necessario alla vita quotidiana dello studente.
LE ORIGINI DEL MODELLO BIBLIOTECARIO IGNAZIANO : ALCUNE IPOTESI
Partendo da quanto esposto nell’ultima regola conimbricense, bisogna di necessità porre attenzione ad alcuni dati storici che potrebbero far luce su aspetti finora non indagati circa la costituzione e la disciplina delle biblioteche gesuitiche. Gli studiosi che si sono occupati di storia bibliotecaria ignaziana hanno riconosciuto ed evidenziato l’importanza delle regole conimbricensi, ponendole giustamente come primo esempio di legislazione gesuitica in materia biblioteconomica, modello originario cui si ispirarono tutte le altre serie di norme bibliotecarie della Compagnia33. Allo stesso tempo, il concetto di biblioteca gesuitica è sempre stato incentrato sulla funzione marcatamente professionale della raccolta, cioè sulla sua fondamentale natura di biblioteca a uso dei padri, totalmente preclusa agli allievi dei collegi, ai quali era destinato un programma di testi definito nei suoi particolari all’interno della Ratio studiorum34.
Come detto prima, la Compagnia di Gesù creò i suoi primi collegi residenziali subito dopo la conferma pontificia dell’Ordine (1540), per consentire agli aspiranti gesuiti di completare la propria formazione universitaria nei vari atenei d’Europa ; il primo collegio educativo strictu sensu per i novizi ignaziani venne invece attivato tra il 1545 e il 1546, seguito da quelli in cui l’insegnamento era esteso ad allievi laici. Il collegio di Coimbra venne fondato nel 1542 da Rodriguez come ente residenziale, rimanendo tale fino agli anni Cinquanta del XVI secolo35. Secondo quanto testimoniato in una lettera scritta dallo stesso Rodriguez all’allora rettore dell’istituto conimbricense, Martim de Santa Cruz, egli compose il regolamento generale del collegio per sovvenire alle gravi necessità di ordine interno dell’istituzione, dopo che le sue reiterate richieste a Roma di inviare in Portogallo delle regole unificate erano rimaste inascoltate36. Come ha fatto notare Dionisio Fernàndez Zapico nella sua analisi introduttiva all’edizione dei regolamenti gesuitici, se si confronta il testo lusitano con i complessi normativi di altri ordini religiosi a esso precedenti, si può constatare come le norme di Rodriguez siano sostanzialmente originali, in quanto non desunte da nessun altro regolamento monastico o regolare precedente37. L’originalità delle norme portoghesi sta, infatti, nell’essere un prodotto derivato direttamente da circostanze esperienziali, una raccolta creata ad hoc per sovvenire alle necessità di una data comunità, specchio fedele quindi della vita di una singola realtà collegiale.
Ma in cosa consiste questa realtà ? Siamo nel 1545, il collegio ospita, oltre ai sacerdoti gesuiti e alla compagine di supporto (portiere, sacrestano, cuoco etc.), giovani che studiano nella locale università per formarsi umanisticamente e potere quindi accedere alla Societas ; siamo quindi ancora lontani dall’essere di fronte alla popolazione di un collegio educativo come quelli di Messina o Roma. L’immagine che abbiamo è invece quella di una comunità di persone in cui pochi superiori si relazionano a una moltitudine di scolari ospitati nelle strutture della Compangia e che quindi devono tenere conto delle fondamentali esigenze di questi ultimi. Come per gli altri collegi gesuitici del tempo, offrire supporto logistico ai giovani della Societas era l’obiettivo precipuo della casa conimbricense ; tuttavia, leggendo le regole della biblioteca ci si accorge di un fattore : le notevoli raffinatezza e precisione con cui esse sono composte non sembrano affatto adattarsi a un istituto che non abbia in sé un fine formativo, o meglio, a una struttura collegiale che abbia come unica missione la mera ospitalità collegiale. La presenza di una dettagliata serie normativa che riguarda una raccolta libraria testimonia, naturalmente, l’esistenza effettiva, all’interno del collegio, di una biblioteca. Ma a chi era destinato l’utilizzo dei libri in essa conservati ? Perché non si trova traccia di una altrettanto raffinata regolamentazione bibliotecaria nelle norme di governo dei primi collegi educativi d’Europa38 ? Non è facile rispondere a tali quesiti, tuttavia è possibile offrire delle ipotesi abbastanza plausibili.
Il fatto che le regole di Rodriguez costituiscano cronologicamente la prima testimonianza del rapporto diretto tra gli istituti della Compagnia e il mondo del libro e che non si ritrovino norme simili nella documentazione regolamentare gesuitica del tempo ci fa comprendere, com’è buona logica d’altronde, che nei primi anni della creazione dei collegi ogni singola realtà provvedeva, secondo le proprie capacità organizzative e materiali, alla strutturazione interna delle diverse case della Societas. Sia nelle primitive Costituzioni del 1541, sia nella primigenia regolamentazione sulla fondazione dei collegi ignaziani (Fundación de Colegio) è presente, infatti, un paragrafo relativo alle modalità di allestimento delle nuove case, la cui lettura appare illuminante in relazione alle problematiche poste poc’anzi.
Nelle Costituzioni si legge :
4. Después de la Compañia presente, en la Compañia que ha da venir, el perlado pueda despensar segundo la neçesidad y edificatión mayor çerca algunas neçesidades (que no sean del comer y beuer y vestir cotidiano), es saber, axuar de casa, fuego, libros y todo neçesario para el estudio39.
Allo stesso modo, il testo della Fundación recita :
27. Si Dios nuestro Señor por algún su especial instrumento nos diere alcuna casa, es nuestra intención que la casa pueda tener rrenta para ella misma, es a saber, para la sacristía, adornamiento de la casa, botica, librería, fuego y ajuar della, como en un hospital bien ordenado sería aver todo lo necessario en él para los viandantes40.
La creazione di fondi librari era quindi prevista già agli albori della Compagnia ; ciò che appare interessante, unendo le testimonianze dei documenti fondativi e delle regole conimbricensi, è il costatare che la raccolta bibliografica collegiale, diversamente da quanto sarebbe avvenuto in futuro, era destinata prevalentemente all’utilizzo da parte della popolazione studentesca. Come testimoniato dalle Costituzioni del ’41 ogni elemento (come arredi o libri) che non sovvenisse ai bisogni basilari di ciascun individuo era destinato al miglioramento delle condizioni degli studenti, per agevolare la loro permanenza presso una data università procurando loro « tutto il necessario per lo studio ». Ugualmente il testo della Fundación raccomanda di procurare rendite stabili per i collegi perché possano fornirsi di una farmacia, di una biblioteca, di un arredo accettabile, al fine di creare al loro interno un ambiente consono e dignitoso per chi dovrà essere accolto in quel luogo, come un buon ostello che contiene « tutto il necessario per ospitare i viandanti ». In aggiunta a ciò, dalla norma n. 3 del regolamento lusitano si apprende che i libri della raccolta collegiale potevano essere presi in prestito dagli appartenenti alla comunità e portati e custoditi all’interno delle singole camere. Il mantenimento e la buona tenuta dei volumi negli abitacoli da parte degli studenti sono inoltre disciplinati da una specifica norma presente nella Regula Generalis della normativa conimbricense, che recita :
13. Cada hum polla menhã concertará seu lieto, e cada dous dias varrerá sua camara ; e os livros que nella tever, cada somana os sacudirá do poo...
[13]. A libris, quos in cubiculo habet, singulis hebdomadibus pulverem excutiat saltem semel41.
Il che implica quindi una disciplina attiva e una fruizione libraria a largo raggio all’interno delle strutture collegiali della Compagnia, i cui protagonisti principali non potevano essere altri se non gli studenti che frequentavano l’istituzione. Questi elementi, di conseguenza, ci portano ad affermare una volta di più l’ipotesi circa l’iniziale destinazione della biblioteca come sostegno per gli studi universitari e che anzi le biblioteche dei collegi gesuitici, contrariamente a quanto si può dedurre dalle Costituzioni ignaziane del 1556 e dalle future Regulae, nascono direttamente come supporto per gli studenti ospitati nelle case della Compagnia.
Ad ogni modo, se si prende per veritiera tale ipotesi, il fatto di vedere nelle raccolte bibliografiche gesuitiche un mezzo dapprima dedicato all’uso da parte della popolazione studentesca non deve sorprendere più di tanto. Tra la primigenia regolamentazione dei collegi e quella contenuta nelle Costituzioni e nella successiva Ratio studiorum, passa infatti una differenza sostanziale che tuttavia non lede minimamente la coerenza del programma culturale gesuitico, ma che anzi la sottolinea e conferma. Come già detto, a partire dall’esperienza di Messina, la comunità studentesca era in maggioranza costituita da giovani che non erano destinati a entrare nella Compagnia, la cui formazione doveva costruirsi su un ben determinato piano di letture, esplicato dapprima in modo generale nelle Costituzioni del 1556 e poi definitivamente all’interno delle varie edizioni della Ratio. La fruizione del patrimonio librario era quindi destinata unicamente alla costante preparazione e al continuo aggiornamento dei padri e, dopo un certo periodo, di quei giovani desiderosi di indossare l’abito sacerdotale. Ora, se pensiamo che prima della “deviazione” pedagogica dei collegi gesuitici, avvenuta con la creazione del collegio messinese, la popolazione delle case della Compagnia era nella sua totalità costituita dai padri ignaziani e dai novizi della Societas, possiamo ben vedere che, col passare del tempo e il mutare delle istituzioni, il pubblico cui era indirizzato l’uso della raccolta è rimasto lo stesso. A cambiare, semmai, fu quella che oggi chiameremmo la “offerta formativa” degli istituti collegiali, i quali, ospitando soggetti al di fuori del mondo gesuitico, vennero incaricati di dedicare a essi un programma bibliografico chiaramente delineato, riservando ai componenti della Compagnia (effettivi e potenziali) la fruizione del proprio patrimonio librario. Le biblioteche gesuitiche, d’altronde, anche nel periodo post messinese ospitarono prevalentemente materiale librario destinato a un’istruzione di tipo superiore/universitario, non adatto sicuramente a degli studenti di collegio, ma palesemente indirizzato alla formazione e al progresso culturale di quelli che facevano parte (o che sarebbero un giorno entrati a far parte) della famiglia gesuitica42.
Passiamo adesso a esaminare un altro elemento di non secondaria importanza, utile a formulare talune congetture sull’origine più o meno diretta del modello bibliotecario della Compagnia. Attraverso un raffronto diretto con la documentazione esistente in materia, si può infatti intravedere una sorta di continuità, dal punto di vista biblioteconomico, tra i collegi della Compagnia e un’altra istituzione educativa, da cui probabilmente trassero ispirazione le biblioteche ignaziane : le raccolte dei collegi universitari parigini. Come per le prime case della Societas, infatti, anche negli istituti collegiali d’oltralpe il patrimonio librario era destinato all’utilizzo da parte dei socii appartenenti al singolo collegio. E di fatto il primo punto di raccordo tra le due istituzioni è questo : entrambe erano strutture dedicate ad accogliere e sostentare studenti universitari, anche se nei collegi ignaziani non era prevista all’inizio alcuna attività didattica. Con buone probabilità, anche se manca la certezza documentaria, possiamo ipotizzare che Ignazio e i suoi compagni, quando decisero di creare le loro case per ospitare gli studenti del nuovo ordine, si ispirarono alla loro precedente esperienza presso il collegio di Santa Barbara, dotando le nuove strutture, come era regola nei collegi parigini in cui vissero i primissimi gesuiti, di biblioteche utili ai giovani frequentatori delle locali università43.
La presenza di una raccolta libraria organizzata nella sede collegiale di Coimbra piuttosto che in un’altra struttura europea della Compagnia testimonia del fatto che i vertici del collegio portoghese ebbero la possibilità e la volontà di creare un fondo bibliografico per chi risiedeva all’interno dell’istituto. Al momento della creazione del regolamento, tuttavia, l’istituzione lusitana era ancora molto giovane, essendo trascorsi appena due anni dalla sua fondazione ; di converso, le regole della biblioteca stilate da Rodriguez, come già detto, erano notevolmente precise e particolareggiate, forse addirittura troppo raffinate per un istituto il cui regolamento interno era sostanzialmente basato sull’esperienza della realtà collegiale di riferimento. A questo punto sorge quindi una domanda : è possibile che le norme bibliotecarie conimbricensi, alcuni elementi delle quali (catalogazione per soggetto, registro dei prestiti) necessitano di competenze e conoscenze particolari per essere ideati, siano un prodotto ex abrupto ? Oppure è più probabile che il legislatore abbia avuto un modello base a cui ispirarsi per la creazione del regolamento ? La propensione logica verte naturalmente per la seconda opzione, che rappresenta poi una linea di continuazione del modus agendi di Rodriguez nella compilazione della normativa collegiale di Coimbra : un regolamento stilato a partire dall’esperienza diretta del suo creatore. Solo che, secondo la nostra ipotesi, per il caso bibliotecario la base esperienziale non è quella immediata legata alla vita del collegio conimbricense, bensì quella più lontana nel tempo collegata alla prassi vigente nel collegio di Santa Barbara, l’unica esperienza vissuta da Rodriguez in cui fosse presente e attiva una realtà bibliotecaria disciplinata, votata al progresso degli studi universitari.
Purtroppo il regolamento del collegio di Santa Barbara non si è conservato, quindi non sappiamo se esistesse al suo interno una sezione di norme dedicata alla raccolta libraria collegiale, né come quest’ultima fosse organizzata e disciplinata44. Di conseguenza non è possibile accertare l’effettiva influenza di questo preciso regolamento sui precetti bibliotecari lusitani. Tuttavia, se andiamo a prendere come esempio paradigmatico di normativa bibliotecaria universitaria i regolamenti del più importante collegio parigino, quello della Sorbonne, possiamo riscontrare tra questo e le regole gesuitiche di Rodriguez e delle Costituzioni taluni elementi di similarità che riguardano essenzialmente l’accesso alla biblioteca, il prestito dei volumi e la cura del patrimonio librario comune. Come per le raccolte della Compagnia, infatti, anche nel collegio francese la biblioteca era chiusa e il possesso della chiave riservato a pochi socii particolarmente affidabili, anche se l’accesso era consentito a tutti gli studenti45. Per ciò che riguarda il prestito dei volumi, invece, la normativa sorboniana prevedeva fin dall’età medievale la compilazione di un dettagliato registro dei volumi concessi a uso personale agli studenti del collegio e ad alcuni utenti esterni46. Con l’avvento dell’arte tipografica la biblioteca sorboniana venne notevolmente incrementata cambiando fisionomia e dotandosi di un apposito nuovo regolamento che, tra l’altro, imponeva l’assoluto divieto di annotare o deformare i volumi della raccolta, con l’obbligo altresì di conservare al meglio i libri presi in prestito, spolverandoli e preservandoli dall’umidità47.
Come già detto, questi pochi elementi di congiunzione non bastano sicuramente per individuare con certezza nel modello bibliotecario universitario francese il precedente diretto delle biblioteche gesuitiche. Tuttavia, se pensiamo che l’esperienza educativa universitaria dei primi socii di Ignazio (in particolare di Rodriguez) e del fondatore stesso dell’Ordine si condensò principalmente nel periodo della permanenza parigina – l’unica effettivamente strutturata secondo una plurisecolare organizzazione delle discipline e degli spazi di supporto all’attività di studio – non è poi così inverosimile ritenere che, come dal punto di vista educativo il modus parisiensis fu alla base del sistema educativo ignaziano, allo stesso modo il modus (bibliothecarius) parisiensis abbia costituito il primigenio paradigma biblioteconomico della Compagnia.
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1 La seconda approvazione che confermava definitivamente l’esistenza della Compagnia avvenne nel 1550 con la promulgazione, da parte di papa Giulio III, della bolla Exposcit debitum.
2 La citazione è presa dall’edizione delle Formule contenuta nel sito ufficiale della Compagnia. Vd. FORMULE DELL’ISTITUTO DELLA COMPAGNIA DI GESÙ approvate e confermate dai Sommi Pontefici Paolo III e Giulio III, Capitolo 1, http://www.gesuiti.it/linguaggi/129/190/ listagenerica.asp.
3 «No estudios ni lectiones en la Compañia» (Monumenta Historica Societatis Iesu [d’ora in poi MHSI], Monumenta Ignatiana, Series Tertia, Constitutiones et Regulae S. I. [d’ora in poi MI Const.], III, Romae, Institutum Historicum Societatis Iesu, 1938, p. 501).
4 «Ad hunc finem prosequendum admittere voluerunt solum homines maturos, in scientia et pietate iam formatos. Brevi tamen experti sunt, hismodi nomine invenire, esse per difficile. Quare necessarium fuit, ut iuvenes quoque reciperentur, qui, aliorum ordinum religioso rum more, in collegiis Societatis, iuxta celebres universitates erigendi, collocarnetur ad scientias necessarias acquirendas. Haec tamen collegia haud parum differebant a collegiis aliorum ordinum. Etenim nec aggregata, nec incorporata erant universitatibus, sed prorsus indipendentia. Admittebantur ad ea solum studentes Societatis; neque erant eis – quo maxime ab aliis discrepabant – studia generalia aut particularia» (MHSI, Monumenta Paedagogica Societatis Iesu [d’ora in poi MP] V, edidit Ladislaus Lukács, Romae, Institutum Historicum Societatis Iesu, 1986, p. 1*).
5 Isabel Azcárate Ristori, Los jesuitas en la política educativa del Ayuntamiento de Cádiz (1564-1767), Granada, Facultad de Teología, 1996, p. 51.
6 «Domi enim non fiebant lectiones, sed ad eas audiendas scolastici ad universitates se conferebant. Huiusmodi collegia anno 1544 erant iam septem: Parisiis, Conimbricae, Patavii, Lovanii, Coloniae, Valentiae et Compluti» (MHSI, MP, V, cit., p. 1*).
7 Mario Zanardi, La «Ratio atque institutio studiorum Societatis Iesu»: tappe e vicende della sua progressiva formazione (1541-1616), «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», 5, 1998, p. 135.
8 Giuseppe Wicki, La formazione della gioventù indo-europea a Goa, in Civiltà indiana ed impatto europeo nei secoli XVI-XVIII. L’apporto dei viaggiatori e missionari italiani, a cura di Enrico Fasana – Giuseppe Sorge, Milano, Jaca Book, 1988, p. 49.
9 William V. Bangert, Storia della Compagnia di Gesù, Genova, Marietti, 1990, p. 38.
10 Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu [d’ora in poi ARSI], Fondo Gesuitico [d’ora in poi FG], 1441, fasc. 7, doc. 15.
11 «Interea Dux Gandiae, Franciscus de Borgia, cum initio anni in oppido suo gandiensi versaretur, sollicite collegii sui atque universitatis expeditionem curabat, quae eodem anno [1547] Romae, P. Ignatio adiuvante obtenta est; et ea fuit prima universitas, quam Societas habuit» (MHSI, MP, I, edidit Ladislaus Lukács, Romae, Institutum Historicum Societatis Iesu, 1965, p. 507).
12 MHSI, MP, I, cit., pp. 514-5.
13 Riccardo G. Villoslada, Storia del Collegio Romano dal suo inizio (1551) alla soppressione della Compagnia di Gesù (1773), Romae, apud Aedes Universitatis Gregorianae, 1954, p. 34.
14 Con il nome di Ratio studiorum viene comunemente indicato il programma di studi unitario messo a punto dalla Compagnia di Gesù tra il 1546 e il 1599, frutto di una profonda riflessione pedagogica attraverso il confronto tra i professori di tutti i collegi, fondato prevalentemente sul prezioso bagaglio di esperienze didattiche maturate quotidianamente nel rapporto con gli studenti. La prima edizione a stampa della versione definitiva del codice educativo della Compagnia è: Ratio atq. institutio studiorum Societatis Iesu, Neapoli, In collegio eiusdem Societatis. Ex typographia Tarquinii Longi, 1598 (Neapoli, apud Tarquinium Longhum, 1599). Per uno studio approfondito sulla Ratio si veda Angelo Bianchi, Introduzione, in Ratio atque institutio studiorum Societatis Iesu. Ordinamento degli studi della Compagnia di Gesù, introduzione e traduzione di Id., Milano, BUR, 2002, pp. 11-73.
15 Il programma di insegnamento posto in essere dai gesuiti trova la sua ispirazione e la sua chiara origine nel metodo di apprendimento sviluppatosi tra Quattro e Cinquecento nelle università francesi – e particolarmente nell’ateneo parigino –, conosciuto come modus parisiensis. Questo era caratterizzato dall’esistenza di un percorso curriculare ben marcato, da un alto numero di lezioni interattive e dall’instaurazione di un rapporto diretto tra maestro e allievo, volto al graduale e costante progresso della formazione di quest’ultimo. Parigi, dove Ignazio risiedette dal 1528 al 1534 per completare la sua preparazione universitaria, dapprima nel collegio di Montaigue poi in quello di Santa Barbara, fu quindi il centro prediletto degli studi del santo di Loyola, il quale trovò nel modus pedagogico della Sorbonne il mezzo migliore per portare avanti organicamente la sua formazione (Fernando de Lasala, Genesi della pedagogia gesuitica, in Missione e carità. Scritti in onore di P. Luigi Mezzadri, C. M., a cura di Filippo Lovison – Luigi Nuovo, Roma, CLV, 2008, pp. 195-217).
16 Angelo Bianchi, Introduzione, in Ratio atque institutio studiorum, cit., p. 23.
17 Valentino Romani, ‘Dispersione’ vs ‘Disseminazione’. Note e materiali per una storia delle biblioteche gesuitiche, in Le biblioteche private come paradigma bibliografico. Atti del convegno internazionale: Roma, Tempio di Adriano, 10-12 ottobre 2007, a cura di Fiammetta Sabba, Roma, Bulzoni, 2008, p. 159.
18 Bernabé Bartolomé Martínez, Las librerias e imprentas de los jesuitas (1540-1767): una aportación notable a la cultura española, «Hispania Sacra», 40, 1988, p. 316.
19 Valentino Romani, ‘Dispersione’ vs ‘Disseminazione’, cit., p. 160.
20 Alfredo Serrai, La Bibliotheca Secreta del Collegio Romano, «Il Bibliotecario», III serie, 2/3 maggio-dicembre, 2009, p. 19.
21 Per un primo studio sui regolamenti bibliotecari gesuitici si veda Brendan Connolly, Jesuit library beginnings, «The Library Quarterly», 30, 1960, pp. 243-252.
22 Regulae Societatis Iesu. Ad usum nostrorum tantum, Romae, apud Curiam Praepositi Generalis, 1932.
23 Le Costituzioni equivalgono a una vera e propria Regola della Compagnia di Gesù. Dopo una prima serie di regole generali stilata nel 1541, Ignazio iniziò la stesura delle nuove Constitutiones nel 1547 ultimandola nel 1550. In seguito a una revisione avvenuta nel 1552, la versione definitiva fu approvata nel 1556, anno della morte del santo fondatore. Il testo consta di dieci parti riguardanti «l’ammissione e l’accettazione nell’ordine, la cura spirituale e pedagogica dei novizi e la direzione dell’ordine» (James Bowen, Storia dell’educazione occidentale, II, Milano, Mondadori, 1975, p. 466).
24 Ignazio di Loyola, Costituzioni della Compagnia di Gesù, cit., Capitolo 6, Istruzione nelle lettere e in altri mezzi d’aiuto del prossimo per quelli che si tengono in Compagnia, § 372-373.
25 Brendan Connolly, Jesuit library beginnings, cit., p. 245.
26 Ignazio di Loyola, Costituzioni, cit., Capitolo 5, Le materie di studio per gli scolastici della Compagnia, § 359.
27 Ibidem.
28 Ibidem.
29 «Circa i testi per gli studi umanistici di latino e di greco, si eviti tanto nelle università che nei collegi, per quanto è possibile, di farne spiegare alla gioventù qualcuno contenente particolari offensivi per i buoni costumi, prima di averlo espurgato dei brani e delle parole immorali. Se alcuni, come Terenzio, non possono essere espurgati in nessun modo, è preferibile non farli spiegare, perché la natura degli argomenti non offenda la purezza degli animi». Ivi, Capitolo 14, I testi per l’insegnamento, § 465.
30 Il canone dei classici latini elaborato dalla Compagnia si contrapponeva al canone degli umanisti legati alla devotio moderna. Il canone dei Gesuiti si limita ad autori del periodo repubblicano e lo scopo principale non è quello di avvicinarsi ai classici, ma quello di impadronirsi della loro lingua per la propagazione della fede. In questo senso, i Gesuiti voltarono le spalle all’umanesimo classicista compiendo un passo verso una modernità latinizzante (Paolo Cerchi, Le “Spoglie d’Egitto”. Il canone dei classici nella Ratio studiorum, «Critica del testo», III, 2000, pp. 251-252).
31 Dominique Julia, La Constitution des bibliothèques des collèges. Remarque méthodique, «Revue d’histoire de l’Église de France», 83, 1997, p. 147.
32 MHSI, Regulae Societatis Jesu (1540-1556), edidit Dionysius Fernández Zapico, Romae, 1948, [d’ora in poi RSI], Regulae Conimbricenses, Bibliothecae Custos (O que tem cargo de los livros), pp. 58-61.
33 Dominique Julia, La Constitution des bibliothèques des collèges, cit., p. 148.
34 «The common library was not an open library. It was locked and accessibile officially only to whom the Rector gave keys. (...) It would seem likely, therefore, that, while access would probably be given quite generally to those who were priests and faculty members, it might very well not have been allowed to students, whether jesuits or laymen» (Brendan Connolly, Jesuit library beginnings, cit., p. 245).
35 MHSI, RSI, cit., p. 23*.
36 «O P. misser Ignacio, occupado em cousas de maior qualidade e, segundo eu imagino, por não saber enteiramente o que cá passa, não nos acode com o que nos he necessario, auendo-lhe eu por uezes escrito que non mandasse regras, pollas quaes nos rogessemos conforme a nosso instituto, e nunca me respondeo a isso. E vendo eu a necessidade que tinhamos de não viuer confusamente e cada hum segundo seu parecer, fiz esses apontamentos adiante escreto, que comprehendem a sub stancia do que me a mi pareceo que nos conuinha; e mando-uol-os para que os façaes escreuer no liuro que tem a regra do collegio» (MHSI, Epistolae PP. Paschasii Broëtii, Claudii Jaji, Joannis Codurii, et Simonis Rodericii, Romae, Institutum Historicum Societatis Iesu, 1971, p. 546).
37 MHSI, RSI, cit., pp. 23*-24*.
38 MHSI, MP, I, cit., pp. 3-16 (Padova); 17-27 (Messina); 50-63 (Gandia); 64-92 (Collegio Romano).
39 Constitutiones anni 1541, in MHSI, MI Const., I, Roma, Institutum Historicum Societatis Iesu, 1934, p. 37.
40 Fundación de colegio, in Ivi, p. 62.
41 MHSI, RSI, cit., pp. 72-73.
42 Per una panoramica sulla qualità delle raccolte gesuitiche si rimanda alla bibliografia seguente: Bernabé Bartolomé Martínez, Las librerías e imprentas de los jesuitas, cit., pp. 315-388; Alfredo Serrai, Storia della bibliografia, IV, Cataloghi a stampa. Bibliografie teologiche. Bibliografie filosofiche. Antonio Possevino, a cura di Maria Grazia Ceccarelli, Roma, Bulzoni, 1993, pp. 239-245; La Biblioteca del Collegio dei Gesuiti di Trento. Pubblicazioni e manoscritti conservati nelle biblioteche trentine, catalogo a cura di Claudio Fedele – Italo Franceschini, manoscritti a cura di Adriana Paolini, 2 voll., [Trento], Provincia Autonoma. Soprintendenza per i beni librari e archivistici, 2007; Alfredo Serrai, La Bibliotheca Secreta del Collegio Romano, cit.; María Dolores García Gómez, Testigos de la memoria. Los inventarios de las bibliotecas de la Compañia de Jesús en la expulsión de 1767, San Vicente del Raspeig, Universidad de Alicante, 2011.
43 Per una panoramica sulla storia delle biblioteche dei collegi universitari francesi si vedano: Léopold Delisle, Le Cabinet des manuscrits de la Bibliothèque Nationale. Étude sur la formation de ce dépot, comprenant les éléments d’une histoire de la calligraphie, de la miniature, de la reliure, et du commerce des livres à Paris avant l’invention de l’imprimerie, II, Paris, Imprimerie Nationale, 1874; Richard H. et Mary A. Rouse, La Bibliothèque du collège de Sorbonne, in Histoire des bibliothèques françaises, I, Les bibliothèques médiévales. Du VIe siècle à 1530, sous la direction d’André Vernet, Paris, Promodis / Éditions du Cercle de la Librairie 1989, pp. 113-123; Andrea Capaccioni, Le Biblioteche delle università, Milano, Apogeo, 2013 (Ebook), con la bibliografia indicata.
44 Nella sua introduzione all’edizione delle regole ignaziane, Zapico annota: «Optabamus in compendium redigere statuta collegii Sanctae Barbarae ubi P. Ignatius, S. Franciscus Xaverius, B. Petrus Faber et alii S. Ignatii socii per longum tempus vixerunt; sed ea invenire non potuimus. Ipse Quicherat, qui collegii historiam tribus voluminibus scripsit, ea ignoravit [...]» (Dionysius Fernández Zapico, Praefatio generalis, in MHSI, RSI, cit., p. 22*n.).
45 Nel 1391 il collegio francese decise di dotarsi di una normativa che mettesse fine alla problematica del «vagabondage des clés de la magna libraria», visto che risultavano essere numerosi coloro (anche non appartenenti alla comunità collegiale) i quali avevano la possibilità di accedere a piacimento alla biblioteca dell’istituzione, normalmente riservata agli studenti. Per contrastare questa abitudine i vertici del collegio decisero quanto segue: «Les clés et serrures de la magna libreria doivent toutes être changées, car un très grand nombre de clés sont à présent dispersées partout. Pour remédier à cette situation il a donc été décidé: premièrement, qu’à l’avenir, il y aurait seulement vingt clés, lesquelles seraient confiées aux membres actuels, à la condition que chacun d’eux jure que, au cas où il devrait quitter Paris, il déposarait sa clé dans la parva libraria, en présence des bibliothécaires, ainsi que les livres qu’il aurait le cas échéant en prêt, et ce sous peine d’une amende égale à celle qui était imposée aux emprunteurs défaillants... » (Richard H. et Mary A. Rouse, La Bibliothèque du collège de Sorbonne, cit., p. 120).
46 Nelle istruzioni trecentesche della Sorbonne sulla compilazione dei registri di prestito si legge: «Non sufficit scribere: Talis habet librum, VI librarum, vel hujusmodi, nisi scribatur etiam sic in registro: Incipit secundo folio sic, vel sic, ne fiat faus in commutando librum majoris precii in librum ejusdem speciei, minoris tamen precii, vel si perderetur unus melior, restitueretur pejor» (Léopold Delisle, Le Cabinet des manuscrits, cit., p. 188n).
47 «VII. Si quis librum pulpito in usum eduxerit, polvere aut deformitatem quamcumque prius abstergito, eodem utitor honeste, eum ordini loco clausum restituito. VIII. Nulla litura aut nota nullave complicazione foliorum librum deformato». (Ivi, p. 201).